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Autore: Lily_Malandrina    10/09/2014    0 recensioni
Damon si è appena trasferito a Welington e non ne è per niente entusiasta, quello che non sa è che la sua casa nasconde un segreto vecchio di secoli che aspetta di essere svelato.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando mio padre aveva annunciato che ci saremmo trasferiti a Welington non avevo di certo fatto i salti di gioia. Mi piaceva vivere a Oak, nella casa dove ero nato e avrei preferito continuare a stare lì, ma papà non ne voleva sapere. Aveva acquistato un locale a Welington in modo da poter realizzare il suo sogno di sempre: avere una libreria dove far volare la fantasia e far appassionare tutti alla lettura. Non poteva sembrare più entusiasta, anche se in realtà guardandolo si notava una certa malinconia. Da quando mamma era mancata, quasi un anno prima, lui non era stato più lo stesso e il trasferimento non era altro che una scusa per ricominciare vita e allontanarsi da quei ricordi che lo facevano soffrire così tanto. Mia sorella, Allison, era ancora troppo piccola per rendersi effettivamente conto di cosa significa trasferirsi e poi lei non aveva mai avuto problemi a farsi nuovi amici, con quel suo visino angelico e il carattere gentile e allegro. Io, invece, ero decisamente preoccupato. A 13 anni avevo solo un amico sincero, il mio cane Rehina, una cucciola di beagle vivace e giocherellona. La mamma me la aveva regalata per il mio decimo compleanno e da allora l'avevo addestrata ed eravamo diventati inseparabili. Non che non provassi a farmi degli amici tra i miei compagni di classe o comunque nel genere umano, ma non ero quello assolutamente il più popolare a scuola. Avevo sempre amato leggere, grazie ai miei genitori che mi avevano trasmesso la passione fin da bambino, e questo faceva di me il secchione che sapeva sempre tutto. In realtà non mi divertivo affatto a saperne più degli altri o a mettermi in mostra davanti a tutti, ma la mia curiosità mi spingeva a voler sapere sempre di più e la mia ottima memoria mi impediva di “rientrare negli standard” dei miei compagni di classe. Mi bastava leggere una volta sola per sapere il necessario e, se per i miei genitori questo era un “dono dal cielo”, agli occhi dei miei compagni mi rendeva semplicemente il cocco del prof. All'inizio avevo anche provato a far cambiare loro idea, ma dopo svariati insuccessi, mi ero rassegnato ai nomignoli che mi affibbiavano e avevo imparato a non dar loro troppo peso.

Nel giro di una settimana ci eravamo trasferiti e mio padre stava già cercando un acquirente per la casa ad Oak. Non potevo davvero credere che stesse cercando di vendere quel posto, pensavo ci fosse affezionato tanto quanto lo ero io, ma forse quando il dolore è forte supera gli altri sentimenti e non c'è altro da fare che assecondarlo.

Welington non era male, ma di certo non era Oak. Eravamo passati dal vivere in una cittadina in mezzo alla natura e al verde, allo stare in mezzo al cemento. La casa era una villetta a schiera rosa pallido a due piani, con un tetto in tegole rosse che brillava se visto da lontano, non diversa dalle altre case vicino a noi, infatti per i primi giorni avrei dovuto fare attenzione e non entrare per sbaglio nella casa dei vicini. Sul retro c'era un prato verde, circondato da una siepe, e con in mezzo due alberi di ciliegie. Mio padre non sarebbe potuto essere più soddisfatto del luogo che aveva comprato e i primi giorni non faceva altro che elogiare i vicini “così gentili” o il posto “così tranquillo” oppure ancora la comodità del vivere in una città grande, mentre io stavo già pensando al fatto che mancava poco più di una settimana all'inizio della scuola e che avrei potuto ricominciare da capo e magari provare a farmi degli amici veri, cosa di cui mio padre non smetteva mai di consigliarmi di fare. Non pensavo fosse così necessario, ma fare un tentativo non mi avrebbe certo rovinato.

Ci eravamo stabiliti da circa 10 giorni nella nuova casa ed ero in giardino con Rehina a giocare a pallone. Ally si stava godendo gli ultimi giorni di vacanza, stesa sull'amaca nuova di zecca che avevo sistemato tra i due ciliegi, e stava prendendo un thé immaginario con la sua bambola preferita, mentre mio padre era in cucina, tutto intento a preparare una gran cena. Aveva deciso che un buon modo per fare conoscenza era invitare a cena tutto il vicinato e quindi dalla mattina presto aveva trasformato la cucina di casa nostra in un ristorante di prim'ordine. Dalla finestra che dava sul giardino arrivavano profumini invitanti che stuzzicavano l'appetito, ma Chef Sarah, così diceva il grembiule della mamma che aveva addosso, non faceva avvicinare nessuno ai suoi manicaretti.

“Papà hai intenzione di presentarti con un grembiule pieno di macchie e con sopra scritto un nome da donna stasera?”, gli chiesi mentre tiravo il pallone a Rehina. Lo sentii ridacchiare, ma non disse niente, troppo preso dai piatti che stava preparando. “Jack? Hai sentito?”, domandai ancora. Quando cucinava rispondeva solo se lo chiamavi per nome, anche se nessuno sapeva perché. “No, Damon, ho intenzione di mettermi un vestito aderente, magari rosso, e le scarpe con il tacco abbinate”, mi disse lui, ridendo della sua stessa battuta. Mi misi a ridere anch'io, immaginando la scena se l'avesse fatto davvero. Immerso in quei pensieri, per sbaglio tirai il pallone verso una porta aperta che portava in cantina. Vedendolo rotolare di sotto mi avviai per recuperarlo. Rehina era addestrata, ma aveva una fobia per le scale e non sarebbe scesa di sotto nemmeno se al fondo ci fosse stato da mangiare per lei. Così scesi e arrivato nella cantina umida e impolverata, visto che ancora non avevamo sistemato là sotto, cercai il pallone. Si era incastrato tra alcuni vecchi scatoloni, probabilmente appartenenti ai precedenti proprietari. Mi avvicinai e presi il pallone, ma prima di tornare in giardino, iniziai a curiosare nelle scatole ammassate, per vedere se c'era qualcosa di interessante o di utile da poter tenere, visto che gli O'Neill (i vecchi proprietari) ci avevano autorizzato a tenerci tutto ciò che loro avevano lasciato lì. Trovai un mucchio di chiavi inglesi, bulloni arrugginiti e chiodi storti. Stavo quasi per arrendermi e tornare di sopra, quando una scatola attirò la mia attenzione. In realtà non era la scatola stessa ad interessarmi quanto il pavimento su cui poggiava. Era l'unica parte della cantina a non essere grigia. Spostai la scatola e al di sotto vidi una porta di metallo scura e impolverata. Il contorno era lavorato, con incisi simboli che non avevano alcun significato per me e al centro c'era una maniglia e una serratura arrugginita. Provai a forzarla senza riuscirci e quindi iniziai a cercare in lungo e in largo la chiave, in tutte le scatole, ma di essa non c'era traccia. Deciso a non arrendermi cercai sugli scaffali di acciaio, sperando che fosse lì. Dovevo assolutamente sapere cosa c'era dietro quella porta sotterranea. Dopo quasi un'ora di disperata e infruttuosa ricerca, la frustrazione prese il sopravvento e per sfogarmi tirai un calcio a una colonna il legno vicino alla porta misteriosa e sentii un tonfo. Non mi ero accorto che sulla colonna c'era una vecchia foto ingiallita e incorniciata. La raccolsi e vidi che la cornice si era rotta a causa della caduta. La foto ritraeva due uomini sulla trentina, vestiti in modo bizzarro. Sembrava avessero addosso delle tenute da esplorazione in stile Indiana Jones, con cappello da cowboy e corda legata in vita. Da dietro la foto era caduto un foglio di carta consumato. Lo aprii. Era una lettera, scritta con una calligrafia ordinata e precisa:

 

“Mr Baylor,

spero che questa lettera non finisca nelle mani sbagliate.

Ce l'ho fatta ho trovato il tesoro e te lo farò avere al più presto.

Mettilo nella botola e nascondi la chiave in biblioteca ai piedi dell'acqua che scorre.

Mr R. L.”

 

Il mio cuore batteva all'impazzata per la curiosità. Non potevo più aspettare dovevo trovare la chiave. In biblioteca. Non avevo idea di dove fosse la biblioteca nella vecchia casa, ma avrei dovuto scoprirlo velocemente. Decisi che mio padre magari poteva saperlo e corsi di sopra con la lettera nascosta in tasca. Arrivato in giardino mi sporsi dalla finestra e chiesi: “Papà, sai per caso dove fosse la biblioteca in questa casa prima che ci trasferissimo qui?”. Mio padre alzo lo sguardo dalla torta che stava decorando e ci pensò un attimo, poi scosse la testa dicendo: “Non ne ho idea. Gli O'Neill mi hanno solamente detto che tutte le stanze erano da loro state utilizzate nella stessa maniera in cui le avevano trovate quando erano venuti a vivere qui, su richiesta dei proprietari precedenti. Forse in macchina ci sono le planimetrie con la disposizione, ma non ne ho la certez...”. Non gli avevo dato il tempo di finire che già ero corso in macchina a vedere se fossero effettivamente lì. Dovetti cercare per una buona mezz'ora, visto che mio padre era l'uomo più disordinato del pianeta, ma alla fine le trovai. Esaminai le carte e vidi che in corrispondenza della mansarda era disegnato un libro. Rientrai in casa di corsa e feci i gradini a due a due per arrivare in cima subito. La mansarda ora era semi vuota. C'era solo una scrivania e un computer portatile, visto che sarebbe dovuto diventare lo studio di mio papà, e alcuni scaffali con sopra dei tomi impolverati. Ripresi la lettera e cercai di ragionare. Ai piedi dell'acqua che scorre, ai piedi dell'acqua che scorre... L'acqua scorre nelle tubature, pensai... Tubi... Osservando le planimetrie vidi che erano segnati due diversi impianti di tubazioni, quello attuale e uno più antico, non utilizzato. Certo la chiave doveva essere nei tubi vecchi, visto che quelli nuovi erano stati messi da noi. Ma come raggiungerli? Non potevo certo spaccare i muri per cercare una chiave. Chi l'avrebbe spiegato a mio padre? Mi imposi di ragionare con calma, mentre camminavo in cerchio nella stanza. Non so per quanto tempo avevo camminato quando mi resi conto che girando in tondo poggiavo i piedi su una parte instabile del pavimento. Solo in quel momento realizzai cosa significava la frase. Ai piedi dell'acqua che scorre! L'acqua scorre nei tubi. I piedi sono per terra. Ovvio. Mi misi in ginocchio sul pavimento e tentai di togliere la piastrella traballante. Dopo un paio di sforzi venne via e sotto c'era un tubo di rame e una chiave inglese. Utilizzai l'aggeggio per svitare i bulloni e presi il tubo in mano. Ci guardai dentro e vidi una chiave tutta incrostata e arrugginita. Vittoria, pensai eccitato.

Feci per precipitarmi in cantina, ma mi sentii chiamare, allora nascosi la chiave in tasca e raggiunsi il salotto. “Damon, dammi una mano a preparare per stasera, poi sistema tua sorella e vestiti, gli ospiti saranno qui tra meno di un'ora e da solo non ce la posso fare a far tutto”. “Ma papà io...”. “Niente ma, Damon, ho bisogno di te adesso, qualsiasi altra cosa è secondaria, sbrigati”. Sbuffai rumorosamente, ma feci ciò che mi era stato chiesto pensando che comunque la botola non scappava di certo, quindi avrei potuto fare una scappatella durante la serata a vedere che cosa c'era lì dentro. I miei piani ovviamente andarono in fumo. I nuovi vicini erano così curiosi di conoscere la famiglia e mi riempirono di domande, non riuscii a stare seduto tranquillo nemmeno un secondo, perché se non dovevo raccontare se fossi o meno preoccupato per la nuova scuola, dovevo aiutare mio padre a portare i piatti in tavola, dovevo badare a mia sorella che sembrava decisa a dare da mangiare al suo abito piuttosto che a lei stessa, o guardare che Rehina non desse troppo fastidio agli ospiti. La mia curiosità non si era certo esaurita, anzi il pensiero della botola e del tesoro che vi era nascosto mi ossessionava ogni secondo e non potevo fare a meno di immaginarmi cosa fosse.

La sera quando finalmente tutti furono andati a casa ero talmente stanco che pensai non fosse giusto andare a scoprire un tesoro così, dopotutto poteva essere una scoperta storica, avrei potuto diventare famoso per questo e non volevo avere lo spirito di un ottantenne quando sarebbe arrivato il momento. Decisi quindi di rimandare al mattino dopo e con questo pensiero fisso nella testa, scivolai in un sonno profondo. 

  
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