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Autore: Judith Svart    10/09/2014    1 recensioni
Avevo solo una persona come amica. Non mi disprezzava, mi trattava come uno degli altri.
Iniziarono a chiamarla l’amica del pazzo e così smise di parlarmi.
Chi prova a socializzare con me viene messo in guardia, ascolta le voci degli altri sui miei comportamenti fuori dal comune, e se ne va.
Se ne vanno tutti. Hanno paura senza averne avuto motivo, ma adesso ne avranno uno…
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Sangue.
Il rumore di vetro infranto e poi sangue, sangue ovunque.
Quando lasciai scivolare quel bicchiere dalla mia mano,  il suono che produsse frantumandosi a terra richiamò la loro attenzione, ma non li fece allarmare più di tanto.
  Erano abituati. Al mio essere maldestro, impacciato. Ai miei movimenti rapidi e pieni d’ansia che mi facevano intruppare ad ogni mobile, causavano la caduta degli oggetti dalle mie mani, la loro rottura.
  Mi chiamavano in tanti modi, tra cui il Distruttore. Distruggevo ciò che avevo intorno, ma principalmente distruggevo me stesso, permettendo anche agli altri di farlo, di annientarmi piano piano.
 
  Mi credevano pazzo, e un pazzo hanno avuto.
Arrivi ad un certo punto in cui ti guardi indietro e vedi strade in rovina, ridotte in cenere.
Ti guardi avanti e vedi muri invalicabili, indistruttibili.
Attorno a te, solo una distesa infinita di terre desolate, pronte ad allargare i loro confini.
  Arrivi ad un certo punto in cui ti guardi allo specchio e vedi un mostro, non ti riconosci più. Non vuoi riconoscerti.
Gli occhi infossati, stanchi. Il volto pallido, scavato.
 L’aspetto di un uomo distrutto.
 Di un uomo? No. Di un folle.
 
  -Cosa hai rotto stavolta?- Chiede uno di loro, assumendo un tono di scherno e disprezzo allo stesso tempo.
 
  Cosa ho rotto?  Me stesso. Un bicchiere.
Tre piatti. Uno dopo l’altro, con estrema lentezza.
  Adesso sì che cominciano ad allarmarsi. Chiamano il mio nome in modo interrogativo, iniziano ad alzarsi. Sono tutti e tre in cucina quando mi osservano rovesciare sul pavimento il loro servizio completo di piatti, tazze, bicchieri, contenitori in vetro…
 Capisco di essermi tagliato con qualcosa quando noto del sangue gocciare su migliaia di frantumi. Ma non sarà l’unico sangue ad essere versato stanotte, questo è certo.
 
  Io sono quello inadeguato, diverso, strambo. Il distruttore.
Perché? Nessuno che riesca a motivare almeno uno di questi appellativi che ripetono alle mie spalle, come se non li sentissi.
  Ogni tentativo di legare con qualcuno è stato stroncato. Quando si limitavano ad isolarmi era brutto, ma è stato ancora peggio quando tutti hanno iniziato ad osservarmi, giudicarmi, allontanarmi.
  La solita commedia ogni volta che mi avvicino a qualcuno per scambiare qualche parola: lo sguardo sfuggente, il voltarsi continuamente intorno, la scusa buttata lì a metà discorso tanto per piantarmi in asso. Sia mai che qualcuno si faccia vedere con me, che figura ci farebbe?
  Avevo solo una persona come amica. Non mi disprezzava, mi trattava come uno degli altri.
  Iniziarono a chiamarla l’amica del pazzo e così smise di parlarmi.
  Chi prova a socializzare con me viene messo in guardia, ascolta le voci degli altri sui miei comportamenti fuori dal comune, e se ne va.
  Se ne vanno tutti. Hanno paura senza averne avuto motivo, ma adesso ne avranno uno…
 
  -Calmo. Stai calmo!-  Tentano di rassicurami, ma non funzionerà.
  L’ho già visto questo teatrino. Quando mi parlano lo fanno lentamente, come se io non fossi in grado di capire. La loro dolcezza forzata, che risulta però sprezzante. Mi sottovalutano, ma sbagliano. Finora mi sono sorbito i loro colpi, le loro offese, la loro derisione.
  Mi sono apparentemente tranquillizzato e loro sono entrati in cucina, un po’ rassicurati. Inizio a pensare che forse non vale la pena di fare follie, di comportarmi ulteriormente come un pazzo, dandogli esattamente ciò si aspettano da me.
  Lei mi poggia una mano sulla spalla, sorridendo.
  Non è l’unica, tutti e tre mi stanno sorridendo. Ma il loro è un sorriso falso, è un sorriso colmo di compassione, di pietà. Non lo reggo. Non più.
  Con una mossa rapida afferro il grande coltello posto nel cassetto alle mie spalle e colpisco. Le sfiguro il volto, tagliandole via quel sorriso di commiserazione. Ecco, ora potete avere paura.
  Colpisco ovunque e chiunque, finché non restano solo brandelli di carne umana. Un lago di sangue ricopre il vetro in frantumi.
 Un lago di lacrime ricopre una vita  in frantumi.
  Adesso non sorridono più.
  Non mi disprezzano più.
  
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