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Autore: fuoritema    10/09/2014    2 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 
 (XII)
Di domande indiscrete, messaggi in codice e ricordi tornati a galla.
 
 



«Chi sei? Fatti vedere.»
L'albina aveva parlato con calma, lasciando che la sua voce tradisse solo un po' d'incertezza. Era una ragazzina fragile, con i capelli legati in una morbida treccia bianca che le arrivava al busto: faceva quasi ridere mentre cercava di fare la faccia feroce, esibendosi in una ridicola angolazione della mascella. Però Nat non rise: in quel momento doveva solo capire se l'alleanza era plausibile. Eppure aveva tentato di stabilire un contatto con i due prima di esserne certo. Si diede dell'idiota, tirando tra pollice e indice un lembo della sua felpa per il nervosismo. Lo faceva spesso, quando non voleva distruggersi la pelle screpolata delle mani.
«Allora? Esci o no?»
Questa volta l'albina si era avvicinata al muro ghiacciato e, toccandolo con le dita sottili, aveva fatto per guardargli dietro. Il suo alleato l'aveva fermata con un gesto spiccio della mano. Ecco, era lui il motivo dell'indecisione di Nat: il suo sguardo non lo convinceva perché non era mai riuscito a scambiarsi un'occhiata con lui senza che Raika chiudesse gli occhi o guardasse da un'altra parte. “Quelli come lui hanno sempre qualcosa da nascondere: in bene o in male. Più in male, però” si disse. Il ghiaccio sotto i suoi piedi minacciava di rompersi per il caldo che andava via via aumentando.
«Esco, esco» mormorò infine, uscendo dal suo nascondiglio con le mani alzate in segno di resa. Mahinete fece un sorriso. «E' quello del dieci» esclamò nell'orecchio del suo alleato che grugnì perché lui «si ricordava tutto alla perfezione.»
«Distretto dieci. Nat Carter. Sedici anni.» Raika aveva parlato con voce stanca, limitandosi a dire quelle poche nozioni che giudicava importanti. Aveva però evitato di soffermarsi sulla sua bravura con l'arco e i lividi che aveva notato durante l'allenamento. “Meglio non parlarne” aveva convenuto tra sé e sé. Tanto l'arco era nelle mani dei Favoriti e, riguardo alla seconda cosa che aveva notato, preferiva non impicciarsi in affari che non lo riguardavano.
«Di' un po'... Sai anche che taglia di mutande porto?» chiese Nat con un sorriso, e Mahinete ridacchiò dello sguardo che gli lanciò il Tributo del nove.
«In realtà non saprei... Mica posso controllare?» sghignazzò Raika, sorridendo mesto. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d'intesa, mentre l'albina sbuffava esasperata. «Se non altro questo è un modo nuovo per iniziare un'alleanza.»
«Già, Mahinete. Giusto?» chiese. L'albina scosse la testa, dicendo: «chiamami pure
Neth
A quella risposta, il ragazzo del nove sbuffò. «Pensavo che ti facessi chiamare
Neth solo da quelli di cui ti fidavi alla cieca.»
«Difatti. Ma ieri, grazie ad un certo idiota che ha cercato di uccidermi - indicò Raika con un gesto spiccio della mano - non sono più tanto sicura delle mie scelte.»
Il moro preso in questione si rabbuiò in un attimo. «Non è colpa mia se gli Strateghi hanno capito qual è il mio punto debole.» Abbozzò un sorriso che risultò piuttosto tirato, almeno agli occhi di Nat.
«Cos'è successo ieri?» chiese quest'ultimo, alludendo alla risposta di Raika.
«Ha visto il fantasma di una sua amica, ma si rifiuta di parlarne.»
«Perché dovrei farlo?»
«Perché te lo dico io, okay?» Era divertente vedere come battibeccavano, come l'albina rispondeva pronta alle affermazioni del suo amico.
«Le somigli troppo. Avete lo stesso modo di rompere le palle» sbottò lui e fece per andarsene, ma Mahinete lo tenne fermo per un braccio.
«Chi?»
«Tu e 'Bekah, solo che lei
era un po' più manesca.» Raika sorrise nuovamente, ricordando tutte le volte che le sue discussioni con Volpe finivano con una sberla sulla sua guancia e l'andare via di lei.
«
Era?» Nat colse l'incertezza nella voce di Neth, evitando di interromperla per chiedergli di spiegare un po' la situazione.
«Morta. Nei sessantasettesimi Hunger Games. Quando ha vinto quella del dieci. Un'alluvione.»
“Colpita e affondata” pensò il Tributo del dieci, guardando l'altro allontanarsi e lasciare così la ragazza a pensare a quello che aveva detto.
 

 
Mahinete dormiva con un braccio sotto la testa, incorniciata dai morbidi capelli bianchi che le ricadevano scomposti sugli occhi. Era fragile, fragile come l'aveva vista per la prima volta, e Nat non riusciva a togliersi quell'aggettivo dalla testa, sebbene ci avesse provato. Non riusciva a visualizzarla con una caratteristica diversa. “Forse è colpa dei capelli bianchi” si disse, osservando la ragazzina poggiare la testa dall'altro lato con uno sbadiglio. Mahinete si passò una mano sugli occhi, poi li aprì con calma, come se la luce azzurrina che filtrava dal soffitto le desse fastidio.
«'Giorno» lo salutò con uno sbadiglio e tirò i piedi e le gambe fuori dal sacco a pelo scuro. «Raika dov'è?» chiese, sbadigliando di nuovo. «Dovrei scusarmi.»
«Non credo che voglia delle scuse» rifletté Nat, «più che altro vorrebbe mandare via quei ricordi e non ci riesce.»
«E tu come fai a saperlo.» Neth gli si avvicinò e, sedendosi accanto a lui, si mise ad allacciarsi gli scarponcini.
«Forza dell'abitudine.» Evitò di guardare l'albina negli occhi, raccattando con il piede un lembo del sacco a pelo. “Perfetto. Ora mi sono cercato delle domande” pensò stringendo i denti, ma la ragazzina non disse niente. Lo scrutò solo da capo a piedi, con il labbro corrucciato.
«Io non riesco mai ad accorgermene. Diciamo che la mia sensibilità a queste cose è pari alla meno un milione.» Gli sorrise, e il Tributo del dieci pensò che quella ragazzina era simile a Gea nel suo parlare con schiettezza.
Fece per rispondere, ma notò che Neth stava guardando verso la sua spalla, stranita. Si affrettò a rialzare la sua maglietta, che aveva lasciato scoperto un lembo di pelle dove si poteva notare una cicatrice rossastra.
«Per favore. Niente domande.» La sua affermazione suonò come una supplica e Neth capì che non doveva impicciarsi in quella faccenda. Sapeva cosa erano quelle ferite: a volte le vedeva sulla schiena dei giovani più poveri del distretto, quelli con i genitori che bevevano rhum, alla sera, gli stessi che magari si addormentavano sbronzi sulla spiaggia e rimanevano lì fino alla mattinata successiva.
«Alcol?» chiese in un soffio.
«Generalmente no. Mi odiava e basta.»
“Non è possibile” pensò Neth, ma dallo sguardo che le rivolse il suo alleato capì che doveva essere in quel modo. Non era un bugiardo, lui.
La domanda le sorse spontanea: «perché?»
Nat sbuffò e non rispose, stiracchiandosi contro la parete. «Non ne ho idea.» Evitò di guardarla, perché non si accorgesse che stava mentendo. Lui lo sapeva benissimo perché, lo sapeva e avrebbe voluto non conoscere il motivo. Sarebbe stato meglio per tutti se non fosse nato. Niente cinghiate per lui, niente bastardo di cui occuparsi per suo padre - anche se non avrebbe dovuto chiamarlo così.
Mahinete fece per dire qualcosa, ma si fermò all'arrivo di Raika, di ritorno da un giro di perlustrazione.
«Nelle vicinanze non c'è nessuno. Neppure un'uscita» disse spiccio e si lasciò cadere sulla coperta dove erano seduti i suoi alleati. «Non capisco perché gli Strateghi ci abbiano fatti arrivare qui.» Si passò una mano tra i capelli, mentre l'albina cercava un accenno nel suo sguardo sull'averla perdonata o meno.
«Forse hanno deciso di lasciare che ci grattassimo le palle per tutto il resto dell'edizione.»
«Un po' insensato» rifletté Nat, «ci faranno incontrare qualcuno.»
«E quel qualcuno saranno certamente i Favoriti.» L'albina non riuscì ad evitare che le venisse la pelle d'oca a quella conclusione.
«In quel caso li affronteremo, pecorella. E vinceremo.» Il Tributo del nove non ne era tanto convinto, eppure continuava a ripeterselo, pensando che forse farlo sarebbe stato utile. Avevano solo una borsa con dei coltelli, un po' di cibo e la sua balestra: certamente troppo poco.
«Toh... Guarda, un paracadute» esclamò con nonchalance, mentre la ragazzina del quattro, cui sicuramente era destinato, lo seguiva con lo sguardo. Il cesto scendeva lentamente, a giri, e le finì davanti come per dare conferma alla domanda. Si aprì da solo e, emettendo dei bagliori argentati, scoprì una spada dalla lama fina, tagliente e qualche striscia di carne essiccata.
“E' per me?” si chiese incredula Mahinete, guardando in alto con un sorriso per ringraziare i suoi mentori.
«Però... Regalo costoso. Devi essere una delle favorite, pecorella.» L'esclamazione di Raika le diede il coraggio di prenderla in mano per osservarla meglio. Era leggera, adatta a lei, perfettamente bilanciata. La ragazzina menò un paio di fendenti nel vuoto, tagliando l'aria con gesti precisi, quando un bigliettino le cadde ai piedi e Nat si chinò per raccoglierlo. Sopra c'era scritta una moltiplicazione con dei caratteri femminili, non veloci e abbozzati come quelli di Finnick.
Il Tributo del dieci sorrise, mentre Raika grugniva. «Questo viene dalla mia Mentore, solo... ecco... Non pensavo che saper contare mi sarebbe stato utile» esclamò, crucciando lo sguardo e convenendo che quello era un messaggio in codice.
«Ora bisogna solo capire cosa sta a significare “101 X 5”. E credo che non sarà una buona notizia di certo.»
 
 
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«Papà!»
India si slanciò sulla figura che era appena entrata dalla porta di casa con un sorriso, per farsi prendere in braccio. Amava il suo papà, la dolce rozzezza con cui le scompigliava i capelli scurissimi, il suo odore di buono – qualcosa che in seguito la ragazza avrebbe attribuito ai campi dove a volte lavorava. Era il papà migliore del mondo, di questo ne era certa.
«Ciao, scricciolo.» L’uomo le si abbassò davanti, per arrivare alla sua altezza, e lasciò che la bambina gli schioccasse un piccolo, dolce bacio sulla guancia. Poi si avvicinò alla moglie, che li stava guardando con tenerezza mentre allattava la piccola di casa, e le posò un leggero bacio sulle labbra tra le esclamazioni di disgusto della figlia maggiore. «Guarda che dovrai fare così anche tu, quando sarai grande» le disse con un sorriso, prendendo la manina che la piccola gli tendeva gongolando.
«Dov’è?» Si toccò la tasca inferiore della giacca con apprensione, dove evidentemente mancava qualcosa d’importante, mentre India gli sventolava davanti un sacchetto con aria furba.
«Cerchi forse questo, papy?» sghignazzò e corse verso l’altra parte della stanza, veloce come una saetta. Suo padre roteò gli occhi, esasperato. Era ormai da un paio di mesi che quella bambina gli faceva lo stesso identico giochetto, come per fargli capire che era pronta per andare a “lavorare” con lui. Aveva solo sei anni, ma sapeva il fatto suo ed era certamente più silenziosa di lui. Si muoveva con garbo, le gambe sottili attente a non fare il benché minimo rumore, ed era poco sospettabile. Quando stava ferma vicino alle bancarelle, poi, con le braccia congiunte davanti a sé, era impossibile pensare che potesse anche solo rubare qualcosa.
«Sai… potrei venire con te, domani.» Cominciò, saltando in grembo a suo padre, i capelli corvini che solleticavano il naso dell’uomo. Era furba, India, eppure quando aveva in mente di fare qualche scherzo, il suo sguardo perdeva la risolutezza solita e gli occhi le luccicavano. «Ti aiuterei» aggiunse, ridandogli con un gesto cerimonioso il suo sacchetto.
«Sei troppo piccola.» Svuotò le tasche sul tavolo, esibendo la refurtiva di quel giorno, mentre sua figlia gli lanciava uno sguardo irato. «Non sono troppo piccola» esclamò, stizzita da quella spiegazione così ingiusta nei suoi confronti.
«E invece sì.» Suo padre la squadrò dall’alto al basso, con la sola reazione di far assumere ad India un’espressione annoiata. Allora rise, l’uomo, e le scompigliò i capelli scurissimi.
«Domani, forse – lanciò un’occhiata di domanda a sua moglie – potresti venire, ma niente sciocchezze. Ci siamo intesi?» chiese.
«Intesi.» India fece saltare una monetina sul suo palmo, nascondendola poi nella manica della maglietta. Era uno dei giochetti che le aveva insegnato il suo papà e, come tutte le cose che le aveva spiegato, ne era fiera, così come conservava nel cuore ogni raccomandazione che lui le faceva.
«Allora… Te la ricordi la prima regola?»
«Pianificare sempre tutto» canterellò India con voce serena, sbattendo gli occhi con un’aria da santarellina. Tra gli occhi le passò un lampo di malvagità e andò ad avvicinarsi al tavolo, le mani dietro di sé.
«La gente si lascia ingannare dalle apparenze» le ricordò suo padre sorridendo. «E, a fare questo, sei davvero brava» si congratulò con la figlia, mentre lei s’infilava un fazzoletto trovato sulla tavola nella manica. Era liscio al tatto, scorreva tra le dita come se fosse stato d’acqua.
«Beccata.» Suo padre l’afferrò per un braccio, mentre lei si dibatteva. «Vedi: non sei ancora pronta» aggiunse, dandole un leggero schiaffetto dietro alla testa. India sbuffò e si andò a sedere sul primo gradino della scala che portava alla sua camera, uno sgabuzzino che i suoi avevano adibito con un lettino, dei cassetti e perfino una lampada ad olio per quando India voleva leggere un po’ dell’unico libro che possedeva.
«Sei tu ad essere troppo bravo» sbottò, punta nel vivo. Anche quella volta suo padre aveva trovato il modo di non portarla con sé, sostenendo che era troppo inesperta per rubare al mercato.
«Non puoi permetterti uno sbaglio, fuori. I nostri “clienti” non esiterebbero a chiamare i Pacificatori.»
A quell’affermazione, India si sentì accapponare la pelle. Le avevano raccontato che quegli uomini vestiti di bianco erano autorizzati a fare molto male a chiunque fosse beccato a fare qualcosa che non avrebbe dovuto. Suo padre ne parlava spesso con la mamma, a bassa voce, convinto che la bambina non sentisse nulla. Eppure India aveva già sentito tante storie su di loro ed era arrivata alla conclusione che erano dei draghi cattivi e che non avrebbe mai dovuto averci a che fare.
«Va bene, però domani ci riprovo» esclamò risoluta, con il suo risultato di far scoppiare a ridere i genitori.
«Non te lo vieto. Stai diventando brava, scricciolo – le labbra di suo padre s’incresparono in un sorriso divertito - Tra un po’ potresti perfino sostituirmi.»
E India non lo sapeva, ma quel momento sarebbe arrivato molto più presto di quanto si sarebbe mai aspettata.
 
 
La ragazza dell'undici era appoggiata al tronco di un albero, ripensando a quello che le stava per fare Golia. Certo, le era capitato varie volte che qualcuno tentasse di stuprarla, e tutte quelle volte aveva saputo come difendersi. Gliel'aveva spiegato suo padre quando era piccola, come fosse un gioco. Non doveva farsi vedere dai ragazzi né dai Pacificatori, perché avrebbero potuto farle del male. “Non farti vedere. Ti stuprerebbero, e poi ti porterebbero in Piazza.” Distrattamente, India annuiva. In realtà quel poco che riusciva a capire si limitava alla seconda frase, il resto lo ignorava come solo una bambina poteva fare. E così India li temeva, nascosta dietro alle tegole, il corpo esile perfettamente coperto dai muri diroccati del Mercato Nero. Le parole di suo padre le rimbombavano spesso in mente, quasi lui fosse dentro di lei - forse era proprio così -, ricordandole tutto quello che le aveva insegnato.
Con uno sbadiglio stanco, il Tributo dell'undici si passò la mano sugli occhi, stropicciandoseli. I capelli le sfuggivano dalla coda nella quale li aveva legati, ribelli, e le accarezzavano il viso. «Sveglia» mormorò, tirandosi uno schiaffetto. Il freddo minacciava di farla addormentare, sfibrandola lentamente, dall'interno.
“Chiudi gli occhi e sei morta” pensò. C'erano troppe cose che avrebbe potuto fare per finire morta, in una bara che sarebbe tornata a casa sua. Poteva solo camminare, India, e aspettare. Di aspettare, però, non era stufa come di tutto il resto.
Gli alberi innevati le scorrevano davanti agli occhi, identici. Le venne da sorridere pensando a quanto si stessero annoiando i Capitolini. Niente uccisioni, niente sbudellamenti o grida di dolore. Niente di niente. Forse l'ennesima testa del Primo Stratega sarebbe caduta per terra. La risata le morì in gola, trasformandosi in un rantolo strozzato.
La sua ombra, riflessa sul ghiaccio, la osservava malevola, un ghigno stampato sulle labbra semiaperte. D'un tratto le parve che non si sentisse più niente, tranne il gocciolare di una stalattite sul terreno. Il plic-plac parve fondersi con il frusciare delle foglie, mentre India si allontanava dalla grotta. Fin dal primo giorno aveva deciso di non entrarci per nessun motivo al mondo e avrebbe continuato così, anche se una valanga si fosse abbattuta sotto l'albero dove dormiva, anche se le avessero scatenato dietro ibridi assetati del suo sangue.
Pensando a quello, la ragazza fece dietro front. Eppure non riuscì ad evitare di guardare di nuovo verso la parete ghiacciata dove doveva esserci il suo riverbero. Non la rifletteva più, notò India rabbrividendo, i pugni stretti attorno alla sua felpa. «Non è successo niente» si ripeté a bassa voce, per darsi conferma che effettivamente non fosse accaduto nulla. Il vento sembrò risponderle da lontano, urtando contro i tronchi degli alberi. Erano diversi da quelli che aveva visto fino ad allora: più sottili e alti, i rami pronti a spezzarsi alla minima pressione. Sembrava che gli Strateghi si stessero dedicando con tutti se stessi a non farla scappare dagli altri Tributi. Ma non ce l'avrebbero fatta.
«Chi sei? Fatti vedere!» India cercò di far sembrare la sua foce più ferma di quanto non fosse, mentre l'aria rimaneva ferma, in attesa che la ragazza facesse qualche mossa di cui si sarebbe poi pentita amaramente.
«Sono... io.»
Le dita dell'ombra le toccarono i capelli scuri con delicatezza e India si girò di scatto. Gli occhi di suo padre si riflessero nei suoi, castano nel verde. «T-tu?» La ragazza si maledisse per aver lasciato trasparire l'incertezza da quel suo tono strascicato, così fragile. L'uomo le posò le mani sulle spalle e, dolcemente, le accarezzò una ciocca di capelli scuri tra pollice e indice.
«Sono io, scricciolo
La voce serena, felice, le fece drizzare le orecchie.
“Non è reale.” Si ripeté più volte, nella testa, fino ad urlarlo, le mani che le coprivano inutilmente le orecchie. “Morto. Morto. Lui è morto.” Cercò di stringere i padiglioni auricolari con forza, come se facendolo la voce di Liaam sarebbe scomparsa. I passi di suo padre risuonarono lenti, scanditi dal plic-plac di una goccia d'acqua che scendeva da una stalattite.
«Seguimi» sussurrò, mentre le gambe di sua figlia si muovevano da sole, spinte da una forza misteriosa che la ragazza non avrebbe mai creduto di avere. La testa le pulsava: tentare di resistere era stato inutile. “Eppure è così bello.”
Si diede della stupida, per aver pensato ciò. Nei Giochi della Fame bello equivaleva a mortale, e quello era un dato di fatto. Rattralciante, India seguì lo spirito verso le pareti ghiacciate, ma, appena cercò di toccarlo, l'immagine scomparve, riapparendo come riflesso su di un'altra lastra. Le strade sembrarono sdoppiarsi in mille sfumature di azzurro, dal ghiaccio a quello più scuro delle parti ombreggiate; la luce filtrava dal soffitto riempiendo la grotta di un'atmosfera quasi magica.
“Io non dovrei stare qui.”
Tutta la prudenza di India era sparita nel nulla, mentre seguiva Liaam. Camminava e camminava e camminava, senza fermarsi neppure per un attimo per riprendere fiato.
«Perché non ti fermi?» chiese a suo padre, poiché, qualsiasi movimento lei facesse, lui era sempre avanti di almeno un paio di passi. “La distanza sta aumentando” constatò India e, in quel momento, iniziò a sentirsi le gambe stanche, appesantite. E suo padre non si fermava neppure alle sue suppliche: la superava di almeno un paio di metri, poi questi raddoppiarono, la sua figura divenne sempre più piccola.
«Fermati!» urlò il Tributo dell'undici, tentando disperatamente di tenere il passo mentre lo spirito scompariva, dissolto nel nulla. Al suo posto, apparve una ragazza bionda, da dietro ad una lastra di ghiaccio. Aveva un coltello nella mano destra e la stessa espressione smarrita.
«Undici» disse, inchinandosi in modo derisorio.
«Due.» India non aspettò altro: lanciò una lama alla mano della Favorita, facendole cadere la sua per terra. Altri coltelli le passarono tra le mani, volti a colpire l'altra, mentre cercava di schivare quelli che le venivano lanciati contro. Uno le colpì l'anca,  squarciandole la pelle, perché lei si fermasse a controllare la ferita. In seguito, India non avrebbe saputo dire quando avesse deciso di attaccare. L'unica cosa che avrebbe ricordato sarebbe stato il cadavere di "due" per terra, che macchiava il ghiaccio di rosso, e il rimbombo del cannone sulle pareti.
 
 


Angolino dell'Autrice:

BOOM! Mentre il cannone si diverte(?) a fare il suo canto di morte, io prendo in mano carta e penna e cerco di mettermi a disegnare ^^ Questo è uno dei capitoli che mi hanno fatto sorridere di più, perché Nat e Raika come alleati sono favolosiH. Diciamo che la loro alleanza è stata solo un mio capriccio. In realtà, Nat doveva proseguire da solo – senza subire tutte le domande di una principessa dai capelli bianchi  – e gli altri due idem. Ma sarebbe stato tutto molto più noioso, così ho deciso di metterli insieme e godermi tutte le cose che scopriranno grazie al brillante intervento di Nattuzzolo <3 Se volete, potete provare a rispolvere il quesito contenuto nel bigliettino, che è relativamente facile >.< Come si può notare dal regalo di Nethe, molti Capitolini scommettono su di lei e la sua vita. E' una Favorita dopotutto, e con quel bel faccino che si ritrova come potrebbe non essere così?
Passando alla parte di India, anche lei è stata vittima delle fallimentari trappole degli Strateghi, proprio come Raika due capitoli fa. Mi vergogno abbastanza di come non sia riuscita a rendere la morte di Alysha, ma non sapevo davvero che scrivere e già avevo saltato la parte in cui Raika non uccide Neth.
Sarebbe stata troppo simile alla lotta tra Tobias e Tris in Divergent, e non volevo affatto ridurmi a fare una cosa uguale. Così lei non è morta, io non ho scritto quella parte e il rapporto tra i due si è, stranamente, consolidato. Sono troppo tenerosi come alleati *^* E poi Hi è rompi-maroni come Rebekah ^^
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito o sono solo passati a vedere questo capitolo :°D

Talking Cricket
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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