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Autore: zinzuleddha    10/09/2014    2 recensioni
"Perché è vero: soffriamo più nella fantasia che nella realtà, e il confine che segna entrambe le cose è appunto la magia della vita. Sopravvivete, come io ho fatto"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scosso per ciò che il giorno dopo mi avrebbe aspettato non chiusi occhio quella notte e, per la prima volta in vita mia, fui più che felice nell'udire il suono della sveglia e in men che non si dica, mi ritrovai fuori dalla porta.
Decisi all'istante che quel giorno non mi sarei recato a scuola: avevo di meglio da fare, come per esempio mettere in atto i miei piani per il futuro.
E mi sentii nuovamente vivo, non appena udii, per la terza volta, quell'armoniosa melodia che, sarebbe stata capace di far sentire vivi anche i morti e, io ne ero l'esempio vivente, dal momento in cui ero un morto vivente.
Trasalii non appena, nell'udire i miei passi, l'uomo smise di suonare, aprendo gli occhi, per poi, dopo quegli istanti che sembrarono anni, ricominciare a suonare, alzando il volto al cielo. Mi sedetti allora al suo fianco, osservando attentamente i suoi movimenti, per poi soffermarmi sulle sue lunghe ciglia che, ad ogni respiro, gli accarezzavano soavemente le guance. Chiusi allora anch'io gli occhi, ma le mie ciglia, troppo corte, mi sfioravano a malapena le guance; fu allora che un inaspettato pensiero si fece spazio nella mia mente: volevo sentire le sue ciglia sulla mia pelle.
Scossi la testa, scacciando quegli stupidi pensieri, fu solo allora che mi resi conto che, da quando ero arrivato, la melodia era cambiata radicalmente; era divenuta veloce, confusa, ti lasciava senza fiato, esattamente come la tachicardia che, alla vista dell'uomo, si era fatta presente.
Smise nuovamente di suonare, tirando un lungo respiro.
Entusiasta applaudii, osservandolo attentamente mentre, ancora ad occhi chiusi, prendeva fiato come se avesse appena fatto una lunghissima corsa, prima di rivolgermi un sorriso.
Fu allora che la mia attenzione si spostò sul suo sorriso; i suoi denti, piccoli e storti- dei quali uno tenuto da quella che, alla mia ignoranza, appariva una vite- tutti rigorosamente macchiati dalla nicotina, esattamente come adesso, la mia anima lo era macchiata da quella nuova melodia.
La sua espressione cambiò totalmente quando fece per aprire bocca, ma lo anticipai, consapevole di ciò che stava per chiedermi.
"Voglio che tu mi insegni a suonare", affermai dopo aver preso un lungo respiro, deciso.
"Ti pagherò; lo farò, davvero. Devo solo trovarmi un lavoro" quasi lo supplicai, nel non-vedere alcuna sua reazione.
Fu allora che si mise in piedi, osservandomi ad occhi stretti dalla testa ai piedi; fu allora che i nostri sguardi si incrociarono nuovamente, incatenandosi per i successivi tre minuti di silenzio- questa volta, a mia sorpresa, non imbarazzanti, ma strazianti.
I miei palmi cominciarono a sudare, il cuore in gola mentre, impaziente, aspettavo una risposta. Mi sentii terribilmente mortificato non appena mi voltò le spalle, cominciando, lentamente, a camminare, dirigendosi verso una metà a me ancora sconosciuta.
Fu mentre abbassai lo sguardo che mi sentii letteralmente crollare il mondo addosso; ero un illuso. Ero solo un bambino ancora convinto che la vita fosse tutta rose e fiori ma, mi dovetti ricredere non appena si voltò nuovamente.
Nonostante tenessi la testa bassa, sapevo mi stesse fissando; sapevo mi stesse sorridendo.
"Allora, ci hai ripensato? Non vieni?"
Fu a quella domanda che fui assalito da quella a me sconosciuta sensazione che, oramai non provavo da anni: felicità- mi sentivo felice. Tremendamente felice. Schifosamente felice.
E fu allora che, troppo felice per poterci pensare su, cominciando a saltellare come un bimbo alla vista dei regali di Natale, lo seguii, senza scostargli lo sguardo di dosso nemmeno un secondo. Facevo quasi fatica a tenere il passo.
E volevo chiederli un milione e una fottuta cosa, ma ero troppo felice per farlo.
E volevo chiederli un milione e una fottuta cosa, ma il suo sorriso mi distraeva.
Ci fermammo allora difronte una villetta gialla, dei ciclamini facevano capolino sui davanzali delle finestre e tra le erbacce del vialetto, un grande battente in ferro al centro del portone che, dopo aver poggiato il violino a terra, aprii, facendosi silenziosamente strada in casa mentre lo seguivo.
Per tutto il tempo non aveva aperto bocca, ma ciò poco importava; il suo sorriso valeva più di mille parole.
E conoscevo quell'uomo da sole settantadue ore, ma già mi ci sentivo estremamente legato- sapevo fosse una persona speciale, sapevo certe cose-me le sentivo nell'anima.
Mi distolsi dai miei pensieri, posando la mia attenzione sulla casa; le pareti color nocciola, tappezzate di tanto in tanto da coloratissimi quadri, parecchi mobiletti lungo il grande corridoio, i quali ognuno ospitava, sulla propria soglia, innumerevoli oggettini; intuii da quella particolarità fosse un grande collezionista.
Trasalii nuovamente non appena percepii un peso sulla spalla.
"Ti piacciono?" chiese, prendendone uno in mano che, prima di porgermi, spolverò con un dito.
Lo presi cautamente tra le mani, come ci fosse il rischio di farli male; come se fosse l'oggetto più prezioso del mondo e, forse era così. Ricordai allora ciò che, da bambino, mi era stato insegnato: ciò che per me era un semplice oggetto, per un altra persona poteva essere fonte di serenità.
Annuii, osservandolo attentamente. 
Era un pagliaccetto dai ricci capelli rossi, rigorosamente in tinta col rossetto sbavato e i ricciolini rossi della tuta a pois verdi che indossava.
Notai allora i pois, essi erano perfettamente in tinta con i bottoncini della tuta, i lacci delle scarpe e le 'x' sui suoi occhi.
Mi ricordava tanto il mio adorato vestito di Carnevale e le feste trascorse con il mio caro nonno, mi trasmetteva serenità.
Ridacchiò alla mia espressione da ebete, sistemando ulteriormente alcuni oggettini; soffiandoci sopra come se ciò avesse potuto mandar via il grosso strato di polvere che li ricopriva.
"Te lo regalo" fece una pausa, sospirando. Fu forse una mia impressione ma, per un attimo giurai stesse facendo di tutto per nascondere quel sorriso che, adesso, si stava facendo spazio sul suo volto.
Ridacchiai a quel pensiero, continuando ad osservare il sorridente pagliaccetto, adesso divenuto mio.
"D'oggi in poi siamo.. soci" affermò, dirigendosi poi verso quello che sembrava fosse il salotto.
Lo seguii nuovamente, stringendo il pagliaccetto fra i palmi sudati, attento a non farmelo scivolare.
Quasi inciampai in un tappeto; fu allora che posai nuovamente la mia attenzione sull'uomo, adesso seduto in una poltrona giallo ocra.
Mi fece segno di prendere posto difronte a lui, mentre, senza distogliere lo sguardo, tirava il violino fuori dalla custodia.
Poggiai allora, solo dopo avergli lasciato un ultimo sguardo, il pagliaccetto sul tavolino tra le due poltrone, posando la mia attenzione sul violino, adesso anch'esso sul tavolo.
Lo osservai allora, per la prima volta, attentamente, attentamente; anch'esso, esattamente come il volto dell'uomo, era marcato dai segni del tempo, dandogli un'aria vissuto che, dal momento in cui, per avere un aria vissuta dovevi vivere, non mi dispiaceva affatto.
Adoravo gli oggetti dall'aria vissuta, esattamente come, nonostante mi risultasse estremamente strano ammetterlo, adoravo il viso dell'uomo.
Posai una mano sull'oggetto adesso al centro del tavolo, sfiorandone le corde; erano taglienti tanto quanto le parole dei miei genitori che, taglienti come fossero lame, mi riducevano puntualmente il cuore in pezzi.
A quel pensiero una triste espressione si fece largo sul mio viso ma, seguita dai brutti pensieri, si affrettò a scomparire non appena percepii la presenza dell'uomo alle mie spalle; notai solo allora il violino non fosse più sul tavolo ma, poggiato nell'incavo del mio collo, mentre l'uomo, poggiandomi una mano sul viso, mi aiutava a poggiare correttamente il mento sullo strumento, del quale odore di legno antico mi inebriava il cervello.
"Vedi" ruppe nuovamente il silenzio, indicandomi il pezzo di legno nero sul quale, precedentemente, mi era stato fatto poggiare il mento.
"Questa, da quanto ne so, si chiama mentoniera" continuò orgoglioso, cominciando a gironzolare per la stanza, strofinandosi puntualmente i palmi delle mani, come se fosse alla ricerca di un qualcosa.
Nel frattempo sorreggevo lo strumento lo strumento col braccio sinistro, impaziente di impugnare l'archetto e cominciare a suonare.
Quasi sussultai non appena realizzai l'uomo fosse nuovamente alle mie spalle, questa volta aiutandomi ad impugnare correttamente quella che mi spiegò si chiamasse tastiera.
Annuii, impugnandolo saldamente; la mano tremante.
Venni allora assalito da una nuova sensazione; non avevo ancora cominciato a suonare ma, solo tenerlo come i veri musicisti facevano mi facevano sentire.. potente. Mi faceva sentire vivo.
Mi misi allora, intento a non farmelo scivolare dall'incavo del mio collo, in piedi, osservando poi attentamente i movimenti dell'uomo che, adesso, mi stava porgendo l'archetto, che, sfoderando uno dei miei migliori sorrisi, impugnai fieramente.
Mi sentivo terribilmente bene e, ciò, oltre che risultare strano, mi risultava del tutto nuovo, dal momento in cui, per anni, l'apatia aveva preso il sopravvento.
"Bene, adesso, sta dritto" disse, poggiandomi una mano sulla schiena che, presto scivolò sul mio fianco.
"Adesso apri un tantino le gambe, ti aiuterà a tenere la postura corretta che farà venir fuori un buon suono" sospirò, infilando un piede tra i miei, aiutandomi a raggiungere la giusta distanza per tenere una buona postura.
"Okay, adesso, tieni l'archetto così" disse infine, posizionandomi le dita sull'archetto mentre un enorme sorriso si faceva spazio sul suo volto. Il mignolo terribilmente dolorante.
"Lo so, fa male le prime volte, è tutta una questione d'abitudine" sputò sorridente, osservando le mie dita.
"Hai le unghie così piccole" osservò ingenuamente, passandomi un dito sull'unghia dell'anulare, mentre un espressione da ebete si faceva spazio sul suo volto.
Posai allora la mia attenzione sulle mie mani- Cristo quanto aveva ragione, sembravano quasi le mani di una ragazza.
"Meglio! Un punto a tuo vantaggio! Sai, non è molto facile suonare quando ti ritrovi delle dita del genere" continuo poi, mettendo una sua mano in confronto con la mia.
Osservai allora le sue mani, le quali in confronto alle mie risultavano giganti, per poi posare la mia attenzione sulle sue unghie, in parte scheggiate a causa affilatissime corde del violino, ma pur sempre ben curate; mi piacevano.
Accarezzò per un ultima volta la mia mano, prima di aiutarmi a posizionare correttamente il braccio -per far uscire un suono orecchiabile, mi aveva detto- e posizionare il volto nell'incavo del mio collo, per avere una migliore visuale del mio lavoro e aiutarmi a scorrere l'arco in modo corretto. E nel preciso istante in cui, per la prima volta, produssi un suono, mi cadde letteralmente il mondo addosso.
Era un qualcosa di orrendo e, più che una melodia, quella che stavo producendo sembrava il lamento di un elefante con la proboscide in culo; in quel preciso momento, mi resi conto di non essere bravo e, insieme alle mie speranze, svanì la mia passione, portandosi dietro, di conseguenza, il talento.
Per l'ennesima volta: mi ero illuso.
Mi arresi all'istante, riponendo il violino sulla poltrona.
Scossi allora la testa, passandomi ripetutamente le mani sul volto; sapevo che, da un istante all'altro, sarei scoppiato nuovamente a piangere, dal momento in cui venni nuovamente assalito da quella sensazione che credevo di essermi definitivamente lasciato alle spalle. E mentre continue reminiscenze dei miei precedenti fallimenti mi assalivano in continuazione, mi sentivo morire lentamente e, questa volta risultava tutto più straziante dal momento in cui quella sensazione di gelo assaliva nuovamente il mio cuore, accomunandomi a tutte le fredde persone di quella città.
"Devi apprendere dai tuoi errori, ragazzo" sospirò, mettendomi una mano sulla spalla.
"E' normale sbagliare, anch'io, oggigiorno, dopo anni di pratica commetto i miei errori; è umano. Devi semplicemente imparare ad apprendere da essi e, soprattutto, non arrenderti mai se una cosa la vuoi davvero"
Scossi la testa, confuso da quelle parole. Sentii una lacrima scivolarmi lungo il viso mentre, lentamente, mi si scatenava una guerra interna.
"Vieni, seguimi, voglio insegnarti alcune cose fondamentali" continuò poi, trascinandomi verso lo scantinato, infondo l'oscurità.
"Mettiti seduto" ruppe il silenzio che si era venuto a creare, porgendomi quello che mi sembrava il violino.
"Chiudi gli occhi" continuò sorridente, sedendosi difronte a me. Nonostante fossimo nella più totale oscurità, riuscivo a intravederlo.
Sospirai, "Non ne sono capace" ammisi in preda allo sconforto, sospirando.
"Questo perché lo credi. Fallo" mi ordinò, alzando il tono della voce; per un attimo mi spaventò a morte.
"Bene, suona. E non ribattere" continuò, potei udire tra una frase e l'altra una risata e, ciò mi aiutò a rilassarmi.
"Ma-" feci per ribattere, ma venni interrotto.
"Vuoi farlo?" mi domandò, abbassando nuovamente il tono della voce, adesso in un sussurro.
"Si" affermai.
"E allora PUOI farlo. Volere è potere!" esclamò entusiasta, infondendomi coraggio. Poggiai allora, deciso, l'archetto sulle corde, tentando innumerevoli volte di raggiungere il suono perfetto, finendo, puntualmente, per fallire miseramente.
Il mio lungo sospiro risuonò nella stanza, mentre, nuovamente in preda allo sconforto, poggiavo cautamente il violino a terra.
"E' da un ora che ci provo e, faccio ancora schifo" sospirai.
Nonostante il buio regnava sovrano, potei vedere che, adesso in piedi, stava scuotendo la testa, sorridendomi.
"Tener conto del tempo, mio caro ragazzo, è inutile" affermò duramente.
"Riprova un ultima volta, poi starà a te decidere se continuare o meno, dal momento in cui non sono nelle condizioni di poter influenzare la tua vita".
Presi nuovamente un lungo respiro, prima di poggiare nuovamente il violino nell'incavo del collo e, di conseguenza, l'arco sulle corde. Fu allora che, lentamente, lo feci scorrere, ottenendo allora l'ultima cosa che in quel preciso istante mi aspettavo: un buon suono.
"C'è l'ho fatta!" esclamai entusiasta, balzando in piedi.
Udii un applauso, percepii la sua presenza alle mie spalle.
"Bene, adesso che hai ottenuto il suono, voglio che tu apprenda la tecnica", disse poi, accendendo la luce.
"Nell'oscurità le cose riescono meglio" sussurrò al mio orecchio, alzando un sopracciglio.
"Osserva attentamente le corde" continuò poi, mentre un enorme sorriso si faceva largo sul suo volto.
Annuii, posando la mia attenzione sulle corde.
"Adesso suonale, dalla più spessa alla più fine"
Mi feci allora coraggio, poggiando poi l'archetto sulla prima corda, facendolo poi, lentamente, scorrere su di essa; respiravo a fatica.
Il suono che uscì non fu affatto spiacevole ma, sapevo che potevo fare di meglio, così suonai le corde successive, prima di posare nuovamente la mia attenzione sull'uomo, adesso con gli occhi serrati, mentre picchiettava, a ritmo del mio battito cardiaco, l'indice sul mento.
"Risuona la prima corda" schioccò e, parecchio confuso dalla sua reazione, poggiai nuovamente l'archetto sulla corda, chiedendomi ripetutamente il perché dovessi risuonarla, dal momento in cui il suono che ne era venuto fuori non fosse stato poi così terribile.
Alzai allora lo sguardo verso l'uomo, adesso stravaccato su quella poltrona rossa che, a mia sorpresa, mi era saltata all'occhio.
"Suonala ancora; descrivi il suono che produce" ammiccò.
Annuii, continuando a chiedermi il perché di tutto quanto.
La suonai altre quattro volte, alternando suoni terrificanti a suoni orecchiabili.
"E'... duro" alzai un sopracciglio, attendendo una sua risposta.
"Esattamente" schioccò, "Produce un suono molto duro, freddo, pesante, malinconico- non ti ricorda nulla?"
Riflettei su quella domanda per quelli che sembrarono anni, spolverando le mie memorie e, con esse, i miei sentimenti che, sopraffatti dall'apatia, si erano lentamente auto-riposti in una a me sconosciuta zona del cuore, portandosi con loro la mia positività. 
"Allora?" mi sollecitò, distogliendomi dai miei pensieri.
"Mi ricorda mio padre" sussurrai tra me e me, letteralmente stupito. "Mi ricorda la mia vita" affermai, dopo aver riflettuto ulteriormente.
Il silenziò calò nella stanza, mentre l'uomo annuiva ripetutamente, puntualmente inumidendosi le labbra con la lingua.
"Che sentimenti colleghi alla tua vita? Che sentimenti provi quando rifletti su essa?"
Cristo, se poco prima mi sentivo ad un provino, adesso mi sentivo dallo psicologo e, odiavo lo psicologo.
Sospirai, "Malinconia, tristezza, apatia, dolore.." sussurrai alzando un sopracciglio.
"Adesso suona le altre e, dimmi cosa ti ricordano esse"
Suonai allora la corda successiva, quella non molto grossa, che produsse un suono meno duro della precedente ma, pur sempre freddo.
"Descrive alla grande ciò che provo quando vengo mortificato dai miei genitori" sputai, abbassando lo sguardo sul pavimento che, notai solo allora fosse beige.
Non ricevendo alcuna risposta, continuai l'esercizio, scorrendo l'archetto sulla corda fine.
Quella era squillante, decisi all'istante fosse la mia preferita.
"Questa mi piace, emette un suono allegro" affermai entusiasta, ricevendo in cambio un sorriso, ma non ancora una risposta compiuta.
"Mi ricorda in campi in fiore in Primavera. Serenità, libertà, positività... vita!" esclamai infine, alzando le mani in aria, entusiasta, mentre quello scenario di libertà si faceva largo nella mia mente, facendo riaffiorare con esso meravigliosi ricordi della mia serena infanzia.
Rise alla mia reazione, aprendo finalmente gli occhi.
"Suona l'ultima" mi incoraggiò, mettendosi nuovamente in piedi, rivolgendomi poi uno dei suoi migliori sorrisi.
Feci allora ciò che mi disse, scorrendo l'archetto sulla finissima corda.
Il primo suono che fui in grado di produrre risultò terrificante tanto quanto l'espressione infastidita che si era fatta largo sul viso dell'uomo quando, nonostante fossi consapevole che quel suono fosse orrendo, continuai a tirare l'arco.
Fortunatamente, i successivi tre suoni prodotti risultarono orecchiabili.
Suonare quella corda era estremamente difficile dal momento in cui, la mano, non era in una delle posizioni migliori e, dovevo ancora acquistare scioglievolezza, aveva detto.
Fu allora che mi soffermai a riflettere su quella corda.
Era difficile da suonare ma, se suonata bene, dopo lunghi mesi di impegno, suonarla sarebbe risultato facile; dal suono tagliente, stridulo e fastidioso, esattamente come i miei compagni, le quali parole riducevano puntualmente in pezzi i miei ideali, rappresentava il mio obbiettivo: superare le difficoltà, superare le loro parole taglienti come lame che, come pioggia che si scagliava contro le finestre, si scagliavano come proiettili contro la mia suscettibile anima.
Gli spiegai allora la mia opinione, nonostante mi fossi un tantino discostato dall'esercizio assegnatomi, seguendolo poi fino la poltrona, dove adesso si era nuovamente stravaccato.
"Ah, la scuola" sospirò.
"Nascondendosi dietro maschere, dietro finti sorrisi, tenteranno di strapparti via la personalità, facendo dei tuoi ideali i loro ideali, trasformandoti così in un ennesima marionetta del sistema.
Ma tu, ragazzo, non lasciare che lo facciano, non lasciare che il mondo prenda il tuo cuore e, sopratutto, non lasciare mai che prendano la luce dietro i tuoi occhi", sospirò, mettendosi pigramente in piedi e poggiandomi un dito sul cuore, prima di rivolgermi un dolce sorriso.
Riflettei a lungo sulle sue parole, cercando di coglierne a pieno il significato. Per la prima volta in vita mia, mi sentivo compreso.
"Comunque non ci siamo ancora presentato" continuò d'un tratto, facendomi quasi sobbalzare.
"Io sono Gerard" soffiò, porgendomi una mano.
"Io Frank" risposi con fierezza, stringendola.
D'oggi in poi eravamo soci, con una grande missione in comune: rendere il mondo un posto migliore.




- Ed ecco il secondo capitolo, del quale, per scriverlo, ci ho impiegato due giorni.
Ebbene, tra un paio di capitoli, la vita di Frank prenderà una svolta definitiva che cambierà radicalmente la storia che, ad un certo punto, verrà letteralmente stroncata da un colpo di scena, dopo il quale la trama cambierà, diventando eccessivamente angst. Aah, quanto vorrei potervi spoilerare tutto..

Vi invito a lasciare una recensione per farmi sapere che ve ne pare. -

A presto,
- Danny x

   
 
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