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Autore: Stellyna_P    28/09/2008    2 recensioni
Layla è una normale ragazza di diciassette anni. Ha un fratello gemello disastroso, un padre che le ha appena comunicato che va a letto con la segretaria, un ragazzo che la tradisce con la ex e per finire in bellezza è stressata a causa di uno stupido ballo studentesco.
E’ per tutto questo che una notte di fine maggio esprime un desiderio che cambierà il corso del suo destino: Avere una vita perfetta.
Ed è così che la mattina dopo si sveglia completamente diversa. E’ un vero schianto, la sua famiglia è unita e il suo ragazzo sembra amarla incondizionatamente.
Inoltre ha un angelo custode che sembra volerla aiutare sempre.
Un angelo di nome Angelica che solo lei può vedere e che in poco tempo diverrà la sua migliore amica.
Ma se per lei la vita ha preso tutta una svolta diversa le cose rimangono uguali per Christian; Un ragazzo che ormai aspetta solo di precipitare nell’oblio totale.
E fra pianti, smarrimenti, sorrisi e parole dette a metà Layla scoprirà cos’è il vero amore: Quello che ti fa battere il cuore e che ti fa fare cose estremamente stupide come voler donare la propria vita per qualcun altro.
Il vero amore.
--
Infine c'è quell'amore malsano fra Clizia e James, un amore fatto di strani sguardi e da tanta, tanta paura.
Lei che nasconde un segreto di cui si vergogna e lui che cerca di vedere il meglio in ogni persona.
Una storia raccontata fra le pagine di un diario da un angelo
Perché l'amore a volte è un'arma micidiale. Non sai mai se ne uscirai vittorioso.
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V Capitolo

V Capitolo.

  

 

L’avvolsi fra le mie braccia.

Il profumo impalpabile, così lontano, diverso fra tutti.

I capelli neri che coprivano la visuale.

Le lacrime che rigavano il volto.

Parole pesanti che mi corrodevano dentro.

E la consapevolezza di avere qualcuno accanto che mi amava.

Era tutto questo lei.

L’angelo che mi afferrava quando inciampavo e che mi donava

le sue ali invisibile quando ne avevo bisogno.

 

.

 

-Sono a casa!.- urlai, lanciando nel mobiletto le chiavi del portone. Mi tolsi le scarpe lentamente e rimasi con le calzette.

Durante il tragitto avevo pensato, come ormai mi capitava da troppo tempo, a quello che il fato mi aveva concesso.

Avevo una vita perfetta, avevo una famiglia unita e il ragazzo che amavo. Come diceva Angelica –che continuava a violare la mia privacy leggendo i miei pensieri- non avevo nessun motivo per lamentarmi.

Non dovevo, non era lecito.

Suppongo che doveva essere una clausola del patto invisibile che mi legava a quella nuova vita.

Eppure mi sentivo incompleta, perché era la mia vita ad essere cambiata non io.

Percepivo le stesse sensazione che provavo prima.

Mi passai una mano fra i capelli e mi diressi verso la cucina. Dove mamma, papà e Jesse mi aspettavano per pranzare.

-Perché non sei tornata a casa con me e Cris?- domandò Jesse a bocca piena.

-Sei disgustoso, non parlare mentre mangi.- risposi rivoltata, rigirandomi la domanda. Non aveva voglia di rispondere e soprattutto non volevo fare la domanda a me.

Non sapevo la risposta.

-Ma sta…-

-Jesse, smettila. Tua sorella ha ragione.- ci interruppe mia mamma, solare, era da molto che non la vedevo così.

-Scusaci.- sussurrammo in coro io e mio fratello.

Mio padre sorrise divertito e mi fece segno di sedermi accanto a lui, sorrisi a mia volta e mi sedetti.

-Allora racconta com’è andata oggi?- mi domandò mio padre e io gli raccontai tutto- sorvolando su alcuni punti, naturalmente- .

Assaggiai la minestra calda e mi bruciai la lingua, sentivo il dolore diffondersi nelle papille gustative. Afferrai velocemente il bicchiere d’acqua che avevo riempito precedentemente e bevetti l’acqua.

Jesse rise e io lo fulminai con gli occhi.

-Era calda, vero?- mi disse papà trattenendo a fatica le risate.

Io annuì incavolata. Tipico di papà e Jesse, ridevano delle mie disgrazie.

Dopo che guardai male sia mio padre che mio fratello scoppiai a ridere. Eravamo uniti, e questo bastava ad eclissare tutti i miei problemi.

 

 

-Angelica a cosa pensi?- Di solito non ero da me fare quelle domande, era lei che cercava di psicoanalizzarmi.

Eravamo entrambe sdraiate nel mio letto, indossavo una maglietta a mezze maniche attillata rosa che di solito usavo per casa e dei pantaloncini che mi arrivavano un po’ più sopra del ginocchio.

L’estate stava arrivando portandosi con se il freddo e dando il benvenuto al caldo.

-A niente, sul serio.- mi rispose, rigirandosi nel letto.

-A me non sembra.- insistetti, in fondo non era giusto che lei sapesse tutto di me e io così poco di lei.

-Lascia perdere.-

-per favore.- la pregai, stranamente ero davvero curiosa di sapere quello che la preoccupava.

-Bhè oggi se fossi ancora viva avrei compito ottantasei anni.- mi disse, guardandomi negli occhi.

Sussultai, e mi alzai un po’, sostenendo il mio corpo con gli avambracci.

-Mi racconti come è successo?- domandai sotto voce, avevo paura di averla turbata. Di solito è difficile parlare della  morte di un caro figuriamoci della propria morte.

-Sono morta durante la seconda guerra mondiale, in quel periodo avevo vent’anni ed ero un’ebrea. Penso che questo spieghi tutto, la mia famiglia fu portata al campo di concentramento di Auschwitz, se non ricordo male sono morta 2 giorni dopo mia madre, in una camera a gas.- parlava con un tono neutrale, come qualcuno che sta indicando la via a un turista. Era il mio stesso tono con cui parlavo della morte degli altri, ma io a differenza di lei facevo così perché non era una cosa che mi apparteneva, non faceva parte della mia storia.

Quando morì mia nonna mi dispiacque molto davvero, ma non piansi, non ero legata a lei, non me la ricordavo nemmeno.

Ma lei a differenza di me, aveva vissuto tutto quello, nella sua pelle. Le immagine erano impresse nella sua mente.

-Mio fratello aveva sei anni, lui si salvò, adesso è papà e nonno. Sai una sua figlia si chiama come me. Angelica.- continuava a racconta,  bella e eterna fissava la persiana delle finestre. Non volevo interromperla ma la mie sete di curiosità era troppa.

-Sei triste vero?Intendo dire non volevi…-

-Morire?- rise di gusto.

-Perché esiste qualcuno che lo vuole? Non volevo, ma era il mio destino. Se fossi nata ora, per esempio sarei stata libera di vivere, ma è stato così. Non siamo noi che decidiamo e nessuno mi aveva dato l’opportunità di avere una vita perfetta.-

Ecco, era questo quello che cercava di dirmi sta mattina a scuola, io mi lamentavo quando invece lei era stata strappata alla sua vita così violentemente.

-Scusami…-

-Ma non pensare che io adesso non sia felice.- mi interruppe, forse nemmeno ascoltò le mie scuse.

-Essere tristi, insoddisfatti non fa parte della mia natura, io la mia vita l’ho conclusa, adesso tu devi solo occuparti della tua. Fai le tue scelte tesoro, falle. Perché io ho visto molte persone arrendersi e non voglio che tu lo faccia. Ti conosco benissimo e so che vorresti mollare tutti e tutto. Non fermarti mai all’apparenza.-

Annuì, incapace di dire altro.

Lentamente mi mossi con le ginocchia vicino a lei, avvolgendola in un abbraccio. Sentivo il suo profumo dall’odore indefinibile, le sue braccia tendersi verso i miei fianchi, il sapore salato delle mie lacrime che copiose scendevano verso le labbra.

Quando ero nervosa, piangevo sempre. Era una mia caratteristica e lei lo sapeva, mi conosceva. Così come io inconsciamente conoscevo il mio angelo custode.

Adesso mi sentivo al sicuro, sapevo che anche in questa vita avevo un’amica.

 

 

-Svegliati dormigliona.- La voce di Angelica mi fece mugugnare di frustrazione.

Avevo ancora sonno.

Quella notte mi ero addormentata tranquillamente, stranamente con il sorriso fra le labbra.

Ero consapevole che fra pochi minuti avrei rivisto Christian ma non m’importava. Quella strana sensazione che provavo quando lui era con me doveva scomparire. E anche in fretta.

Non dovevo complicarmi la vita, non questa.

-Devo buttarti giù dal letto?- l’ennesimo commento di Angelica mi diede la spinta per svegliarmi.

-Ok, ok, mi sveglio. Stai calma.-

Quando mi alzai le sorrisi.

-E ora vestiti, sei in ritardo per la scuola.-

Annuì e cercai di togliermi il di sopra del pigiama, rimasi per un secondo incastrata ma poco dopo riuscì a far scivolare via l’indumento.

Rimasi in reggiseno.

Concentrata com’ero non mi ero accorta che qualcuno aveva aperto la porta, alzai gli occhi e quando vidi chi era urlai.

-Merda. Cosa ci fai tu qui?-

Davanti a me c’era l’ultima persona che avrei voluto vedere: Christian.

 

 

Dal diario di un angelo.

 

Scendi nel giardino, ogni tuo passo è calibrato, ogni giorno che passa sei sempre più lenta e non te ne accorgi.

Perdi le forze e fai finta di non saperlo.

Ti vedo mentre raccogli una rosa bianca dalla tua aiola privata, ogni volta hai paura di pungerti. Non sopporti la vista del sangue.

Come sempre conti i minuti che ti separano da lui, continui a fissare la rosa mentre ascolti attentamente il rumore del cancello arrugginito della villa accanto a te che si apre.

Sai chi sta per uscire, lo sai sempre, conosci il modo in cui lui apre la porta. Ha un modo tutto suo. Pensi che sicuramente Layla non conosce questo dettaglio, e allora ti arrabbi, e ti chiedi perché lei può avere lui mentre tu puoi solo bearti del rumore di una grata che si apre.

Una spina si conficca nella tua pelle, liscia, trasparente e che senza il tuo permesso diventa sbiadita e opaca.

Vedi un rivolo di sangue che risalta come una goccia di rugiada e senti la testa girarti, la tua vista si appena di pallini neri e oscilli un po’.

Stringi involontariamente la rosa selvatica nella mano, mentre altro sangue scende dalle tue mani.

Sono questi i momenti in cui ti odi profondamente, quando riesci a pensare a quello che stai facendo, quando capisci la portata delle tue azioni.

Lo sai che quando hai i capogiri non è colpa del sangue che scorre, lo sai, ma chiudi gli occhi e sorridi.

James suona il campanello, è arrivato, nascondi la mano pulsante nella tasca dei pantaloni, non sopporti il contatto della pelle ruvida e sporca con il tessuto dei jeans ma non fiati e raggiungi timidamente il ragazzo che ti sta aspettando.

Quando lo vedi, il tuo cuore inizia a battere forte, avvolte pensi che il tuo corpo non riesca a reggere tutto il peso di quell’amore.

-Ciao Jamie, stai andando agli allenamenti?- domandi, anche se sai a conoscenza della risposta.

E’ martedì e lui va sempre a scuola di sera per giocare a basket.

-Si, sono passato per salutarti. E’ anche questo il bello di essere vicini di casa.-

Sorridi, il tuo dolce Jamie, solo lui riesce a farti dimenticare solo per un attimo dell’essere orribile che sei.

Quell’ammasso di forme che è il tuo corpo.

-Quando pensi di ritornare a casa?-

-Sta sera, avevo pensato ti va di andare in pizzeria? Invito anche a Layla e gli altri.-

Sorridi ma già sai che dirai no.

-Non posso, magari un’altra volta, ok?-

Lui annuisce e ti guarda e abbassi gli occhi, odi quando lui ti fissa. Lo odi perché è di lui che temi un giudizio.

-Ok, ma stai diventando scheletrica. Ma mangi a casa?-

Ti blocchi un attimo. Per un attimo non sai che dire, ma poi alzi lo sguardo e sorridi.

-Certo che mangio, Oggi ho mangiato anche un elefante.- ridi, nascondendo i sensi di colpa.

-Allora devo stare attento? Pensi che potresti mangiare anche me?-

-Ah non lo so, ma se rimani qui è anche possibile. Dai è tardi, vai a scuola.-

Lui guarda l’orologio. Fa una faccia strana, si sarà accorto che se non si muove il mister gli farà una bella ramanzina.

Mi scocca un bacio nella guancia, vorresti che quelle labbra rimanessero per sempre li, solo per sentire quell’accenno di barba che ti pizzica la pelle.

Si volta, rimani lì. Senti la ghiaia sotto i suoi piedi che si muove insieme alla sua corsa sfrenata.

La sua figura scompare lentamente, diventa sempre più piccola fin quando non riesci più a vederlo.

Chiudi la porta e torni alla tua aiuola.

Ti accasci per terra, consapevole di star sporcando i jeans nuovi. Ma non hai le forze sufficienti per raggiungere la poltrona di casa.

Lo stomaco brontola, hai fame, insinui le mani, sia quella sporca di sangue che l’altra nel terriccio. Le unghie ti fanno male e ti deconcentrano dalla fame che ti assale.

Appena riuscirai a riprendere le forze andrai a bere l’acqua.

Continui a fissare le tue mani mentre io scuoto la testa.

Cosa stai combinando, Clizia?

 

SPAZIO AUTRICE.

Eccomi scusate l’attesa, ma ho dovuto riprendere il mio ritmo. Con l’inizio della scuola, danza e altre rotture varie non ho proprio avuto tempo di scrivere.

Per fortuna che esiste questa benedetta domenica.

Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito(scusate se non vi ringrazio, ma devo scappare) e le 16 persone che hanno “Falling Star” nei preferiti.

Grazie davvero.

 

Ps: Oddio… non si capisce davvero la parte del diario di Clizia, per me ha senso, perché in fondo io so la trama e quindi la cosa è diversa.

Se volete posso toglierla, ma essendo che è un personaggio abbastanza particolare non riuscivo a dargli il suo giusto spazio dal punto di vista di Layla. Ma se non vi piace ditelo subito!

Un bacio a tutti.

Ilenia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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