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Autore: Gotick_92    28/09/2008    2 recensioni
Dedicata a l_s. Nata per lei e scritta per lei.
Quando si ammalò gravemente, e io ero in ospedale vicino a lui, mi disse che non poteva permettersi una seconda possibilità: me lo ripetette una seconda volta, e io non l'ho più scordato. Scrisse un'ultima volta sul quaderno.
Scrisse la "E".
Scrisse la "N".
Scrisse la "D"
Genere: Malinconico, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Second chance Nota: Desidero dedicare questa fanfiction a l_s,  poichè lei da essa non ha nulla da imparare, nulla da vedere e nulla da capire. Desidero dedicarglela con tutto me stesso, perchè penso potrebbe riconoscere un pò di me in questo racconto. E perchè reputo che sia per lei un qualcosa, un qualcosa che fa parte di me e di lei. Spero la apprezzerai, l_s, ma non ci conto.
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Second Chance
La seconda possibilità


Lui... scriveva.
Si, scriveva. Non potevi vederlo andare in giro da qualche parte senza quel quaderno. Che cosa scrivesse, l'ho saputo dopo, in un modo spiacevole. Ma è questo il punto. Lui scriveva.

Scriveva sempre, con quella sua grafia un pò distratta, dalle linee confuse e qualche volta sbilenche, piano, piano. Mi ricordo con affetto piccoli tratti neri che scaturivano dalla sua penna nel corso del tempo. La scrittura era un pò come la sua parola: era laconico, non parlava mai più del necessario, e quando lo faceva la sua voce era sempre rauca, impigrita dall'utilizzo incostante. Però sapeva cosa dire.

Andava sull'autobus: scriveva.
Si sedeva ad un posto, tirava fuori dalla borsa il suo quaderno, la sua penna e la sua determinazione, si accoccolava il piccolo oggetto sulle gambe e incominciava a scrivere. Guardava dalla finestra e scriveva. Quando gli parlavo, sembrava non ascoltasse, ma poi si ricordava sempre di tutto quello che gli avevo detto. Guardava fuori, oltre il mondo visibile a noi, e scriveva. Sembrava prendesse appunti.

Era a scuola: scriveva.
Non aveva problemi con i professori, che lo vedevano lì, seduto a quel suo banco all'angolo della classe,che scriveva come un bravo studente che segue la spiegazione, e alle verifiche rendeva per la sufficienza, e non veniva considerato un problema vedere i suoi occhi che fissavano il foglio e le linee che vi si disegnavano sopra. Anche quando c'era un'altra persona all'interrogazione, lui scriveva, dolcemente, senza fretta, con calma. Sembrava che quel quaderno non finisse mai.

Era a casa: qualunque cosa facesse, scriveva.
Si, non intendo dire che facesse due cose contemporaneamente, solo che... intraprendeva un'azione, poi dopo poco smetteva per riaprire il quaderno e scrivere. Non mi ha mai detto nulla sul suo passato prima del liceo, ovvero prima di conoscerci, e in classe è nata la leggenda che nasconda un qualcosa di oscuro. Ovvio, non è vero, ma agli altri piace crederci. C'è addirittura chi dice che se si guardassero i suoi occhi per più di dieci secondi si sarebbe vista la faccia della morte. Ed infatti l'aria malaticcia ce l'aveva sempre. Non si curava minimamente, però, di cosa dicessero tutti. Lui, li guardava, incuriosito, abbozzava sottovoce un "puoi ripetere?" e si rimetteva a scrivere pensoso. Sembrava che non fosse nemmeno umano, a volte.

Anche quando uscivamo: lui scriveva.
Teneva appesa al fianco una borsa, nera anche quella che conteneva il suo inseparabile quaderno, qualche fumetto e le sigarette con l'accendino. Parlavamo, e lui scriveva. Prendeva appunti sui discorsi che facevamo, sulle teorie che ipotizzavamo, sulla dibattuta questione esistenziale: possono coesistere nutella e maionese? Se gli avessimo chiesto di parlare del suo futuro, dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, lui non rispondeva, oppure si infilava l'estremità della penna in bocca e diceva qualcosa come "io morirò presto". Quando rimanevamo da soli e chiacchieravamo, lui scriveva sempre.Sembrava non terminasse mai di avere argomenti su cui scrivere.

E poi sbagliai. Commisi un grosso errore: decisi di chiedergli di mostrarmi il quadreno, o almeno di cosa trattasse.
Non avrei mai dovuto farlo.

Mi ricordo. Sospirò e disse: -Io non posso permettermi una seconda possibilità: io non voglio dover richiedere una seconda possibilità Le seconde possibilità sono per coloro che sbagliano. Io non posso permettermi un errore. E' per questo che annoto. Ogni frase che dico è il frutto di un attento studio e di una meticolosa analisi.- tossì e poi riprese: -Io appunto tuto quello che succede. Così posso studiarlo, studiare le reazioni di chi mi sta intorno, così da sapere sempre cosa dire. Non posso permettermi di sbagliare. Devo sempre avere la reazione giusta.-

-Ma...- risposi io, sconcertato: -... farlo non significa svendere la propria anima? Adattarsi algli altri per cercare apprezzamento è una cosa contro natura.-

-Lo so.- mi disse. -Ma io non posso concedere un errore a me stesso, gli altri non me lo concederanno. Si è sempre giudicati, sempre.- e posò la penna, scorse indietro le pagine del quaderno fino a selezionarne una, poi me la porse. E io lessi esattamente quello che lui mi aveva detto e che io gli avevo risposto. E c'era scritta anche la maniera in cui mi sentivo, esattamente con le parole che avrei usato io per descriverla. Mi sentii insignifcante, schiacciato dal peso di un'anima che aveva fatto uno sforzo immane per adattarsi ad una società che non aveva mai visto il suo vero volto.

Quando si ammalò gravemente, e io ero in ospedale vicino a lui, mi disse che non poteva permettersi una seconda possibilità: me lo ripetette una seconda volta, e io non l'ho più scordato. Scrisse un'ultima volta sul quaderno.

Scrisse la "E".

Scrisse la "N".

Scrisse la "D"

E poi il suo elettrocardiogramma emise un fischio continuo, lungo e piatto, che mi assordò e mi provocò la nausea.

Non l'ho mai dimenticato, nè lo farò mai. Una persona che non poteva avere una seconda possibilità, che non aveva  avuto tempo per averla. Forse, pensai, non gliel'avrei data. Già. Dopo un errore grave in un rapporto, le cose possono calmarsi, ma non torneranno mai più come prima. Voleva evitarlo. Un pò lo capisco, ma non avrei accettato il suo comportamento. In fondo, è come se non fosse esistito, per gli altri. Ora che ci penso meglio, me lo ricordo solo per via di quel quaderno che mi ha lasciato. Forse è ora di bruciarlo...


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Spregevole, vero? Spregevole il comportamento del narratore alla fine, spregevole il comportamento del ragazzo nello scrivere, nel non essere mai se stesso. E' solo un paragone. Ho portato ai limiti dell'immaginazione, mettendo in scena un paradosso, uno spaccato di vita. A molti capita di doversi svendere, di dover essere qualcun altro per gli altri. che cosa ne si ottiene? Che tu sia solo un altro punto nella massa, che tu non esista. Oppure bisogna accettare la possibilità di dover richiedere una seconda occasione. E ci sono molte persone, come coloro che si riconosceranno nel narratore, che una seconda occasione non la concedono. Vi parla uno che ne ha conosciute, di quelle persone, e non lo augura a nessuno.
  
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