Salve
salvino (?)
Non
mi piace molto com’è venuto questo
capitolo, ma ho voluto aggiornare oggi perché
sarò molto impegnata nei prossimi
giorni, e credo che non sarei riuscita proprio a mettermi al computer.
Comunque,
la canzone sarà “With Me”, dei
miei amori Sum 41.
Le
loro canzoni all’interno della storia,
per il momento, dovrebbero essere sette. Sempre che non cambi idea
^^”
Spero
vi piaccia :3
Ringrazio
molto chi apprezza questa storia
silenziosamente e chi la legge e la recensisce.
Buon
nuovo anno scolastico a tutti. In
bocca al lupo <3
~
Cruel Heart.
***
***
Harrisburg,
Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 16 Maggio 2001
Avril's pov
La
luce del sole filtrò dalla finestra in camera mia e mi
svegliai.
Aprii
piano gli occhi e mi stiracchiai per bene, ma non fu un buon risveglio.
In
un attimo, ricordai tutto quello che era successo la sera prima:
l’agitazione
per l’incontro con Matt e gli altri, la frenesia subito dopo
aver bevuto, il bacio… e
il buio.
Avevo avuto un attacco. Di
nuovo.
Scostai
le coperte e mi alzai: qualcosa di giallo era attaccato alla porta.
Mi
avvicinai e vidi un post-it, riconoscendo subito la scrittura
disordinata con
cui era scritto il messaggio.
“Ho visto che stavi dormendo e non ho voluto
svegliarti. Tutto bene? - E”
Lo
strappai bruscamente e lo accartocciai.
Tutta
la rabbia, che avevo cercato di trattenere inutilmente, venne fuori: rabbia verso questa stupida malattia, che
era sempre lì, pronta a sopraffarmi in ogni momento, e rabbia verso Dio, perché
aveva scelto proprio me per sopportarla.
Strinsi
il biglietto appallottolato nella mano destra. Ero arrabbiata, delusa e
ferita,
soprattutto perché avevo permesso a lui di vedermi in quello
stato.
Le
lacrime minacciavano di uscire, ma le ricacciai immediatamente indietro.
Provavo
vergogna, una cocente e dolorosa vergogna.
Vergogna
perché mi aveva vista nel
peggiore dei momenti.
Vergogna
perché mi aveva vista quando
ero debole e inerte.
Quando
ero vittima della mia malattia
senza nome.
Guardai
il tatuaggio sul polso sinistro e fissai, per dieci, lunghissimi
secondi, il
suo secondo nome, David.
Strinsi
le nocche fino a farle sbiancare.
Non
succederà mai più una cosa del
genere,
promisi a me stessa.
Mai
più.
***
Harrisburg,
Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 01 Giugno 2001
La
campanella suonò, dichiarando conclusa un’altra
noiosissima giornata di
lezione.
Qualche
minuto dopo, voltai piano la testa e mi guardai le spalle con
circospetto,
sperando che lui non ci fosse.
«Avril.»
Saltai
dalla sedia per lo spavento e fulminai Kevin con lo sguardo.
«Kevin! Mi hai
fatto perdere quindici anni di vita!»
«Wow,
ti facevo un po’ più grande di una
poppante…»
Roteai
gli occhi, ma non ebbi il tempo di replicare. «Se lo stai cercando, mi dispiace, ma non
c’è.»
disse.
«È stato uno dei primi ad andarsene e
adesso starà sicuramente in sella alla sua moto sulla via di
casa.»
Emisi
un impercettibile sospiro di sollievo e rilassai le spalle.
«Va bene. Noi andiamo con Alfred?»
chiesi, alzandomi.
Annuì. «Certo.»
E
così, accompagnata
dall’andatura leggermente zoppicante di Kevin, percorsi il
corridoio del
Sanford-Brown e raggiunsi la limousine guidata da Alfred.
Strabuzzai
gli
occhi: era completamente nera, tirata a lucido e, beh…
enorme.
Decisamente poco vistosa.
Io
e Kevin ci sedemmo
sui sedili posteriori, mentre venimmo accolti dalla baritonale voce di
Alfred,
che canticchiava “James
Bond”.
Appena
si accorse
del nostro imbarazzo, s’interruppe subito. «Oh,
scusatemi tanto, ragazzi. È che, da bambino, fantasticavo di
essere una spia in
missione che sparava con la pistola ad acqua e pensavo che bastasse
solo
canticchiare questa canzoncina per entrare nell’FBI.»
ridacchiò,
ricordando quello che, evidentemente, era rimasto solo un sogno
infantile. «Piuttosto,
com’è andata la vostra giornata?»
Io
e Kevin rispondemmo in coro.
«Magnifica.»
disse lui, facendo un sorriso da 1060 watt.
«Noiosa.»
risposi io, roteando gli occhi.
Alfred
rise
ancora. «Beh,
mettetevi d’accordo.»
«Direi
magnificamente noiosa, Alfred.» terminò Kevin,
sempre con il sorriso.
Mi
girai verso di
lui. «Perché
magnifica?»
Fece
un cenno con il capo. «Perché… sono
riuscito a seguire tutto il discorso di
Wilson.»
Alzai
un
sopracciglio. «Tu
ti addormenti, alle lezioni di
Wilson.»
Arrossì.
«E…
perché… uhm… Mary ha fatto le polpette
al sugo. Io
adoro le polpette al sugo. E anche tu adori le polpette al sugo. Chi
non adora
le polpette al sugo?»
Ridussi
gli occhi
ad una fessura. «Tu
non me la racconti giusta,
Kevin Beadfluent.»
Scrollò
le spalle
e diresse lo sguardo all’esterno della macchina.
Anch’io
guardai il
finestrino e riconobbi la moto di Evan parcheggiata accanto al cancello
di
villa Taubenfeld.
Sentii
improvvisamente lo stomaco in subbuglio.
Kevin
scese dalla
limousine e mi tenne la portiera aperta, in modo da poter far scendere
anche a
me. «Dio, ho una fame!»
Aprì
il cancello con la chiave e percorremmo il viale. «Allora ti
è andata proprio
bene, visto che Mary ha preparato le polpette al sugo.»
dissi, dandogli una pacca sulla spalla.
Lui,
però, ebbe
una reazione del tutto inaspettata: con una smorfia, si
scostò.
Lo
guardai,
totalmente confusa.
Abbassò
lo sguardo.
«Scusami,
tu non c’entri niente. È che… ho la
schiena
completamente coperta di ferite. E, beh… mi fa male anche se
qualcuno mi
sfiora.»
sussurrò.
Abbassai
subito la
mano, sentendomi terribilmente in colpa. «Oddio,
mi dispiace tanto Kevin, non lo sapevo. In che senso… ferite? Cosa sono, graffi?»
Scosse
la testa. «No,
sono delle lesioni più profonde, non semplici
graffi.»
«E
come te le sei procurate?»
«Non
lo so, non ne ho la più pallida idea. Ce le ho sempre avute,
da quel che
ricordo.»
Ci
fu qualche
breve istante di silenzio, in cui pensai a cosa potesse essergli
capitato.
Poi,
parlò di
nuovo. «E
tu?»
«Cosa?»
gli chiesi, mentre aprivamo la porta e andavamo verso la sala da pranzo.
«Hai fame?»
“Più
di quanto
immagini.” stavo per rispondergli.
Ma
non pronunciai
una sola sillaba, perché una morsa mi strinse
pericolosamente lo stomaco.
Alzai
gli occhi e
vidi Evan, seduto al tavolo, con lo sguardo dritto verso di me.
«No.
Credo che salirò in camera.»
E
scomparsi dalla
sua vista.
***
Evan's pov
Inspirai
ed
espirai profondamente.
Poi,
mi presi la
testa tra le mani ed emisi un gemito di frustrazione.
In
tutta risposta,
sentii Kevin spingere indietro la sedia, facendola raschiare sul
parquet.
«Ehm…
Che succede, amico?»
Alzai
lo sguardo
verso di lui. «Ti manca solo la carota e poi saresti un perfetto
Bugs Bunny.»
Alzò
le spalle. «Allora?
Mi
vuoi dire che succede?»
Sospirai.
«È
evidente, non c’è altra spiegazione: ce
l’ha con
me.»
«Chi
ce l’ha con te?»
Roteai
gli occhi.
Kevin era il mio migliore amico, va bene, ma era un po’ duro
di comprendonio. «Mia nonna.» gli risposi sarcasticamente.
«Non
sapevo avessi una nonna…»
«Oh
mio Dio, Kevin, non è di mia nonna che sto parlando! Si
tratta di Avril!»
«E che ne so io! Se tu mi dici “Mia
nonna”,
io credo veramente che tu intenda tua nonna, scusa.»
Ignorai
la sua ultima risposta. «Il fatto è che sento che
mi sta evitando. E lo sta
facendo con tutte le sue forze.»
Appoggiai le mie mani sulle sue. «Ti
prego Kevin, aiutami, non so cosa fare!»
«Non
toccare le mie mani, maniaco!»
mi disse, facendo una finta faccia schifata. «E
poi, non capisco: perché non ci vai a parlare e risolvi
tutta la faccenda?»
Sgranai
gli occhi.
Era
un’idea così semplice… che poteva
funzionare!
Un
secondo dopo,
però, la sorpresa venne rimpiazzata da un’enorme
sensazione di stupidità.
Perché
non ci avevo pensato prima, dannazione?!
«Grazie
Kevin, sei un vero amico!»
«Figurati,
“Centro d’Ascolto” è il mio
secondo nome. Beh no, in effetti sarebbe il secondo
e il terzo…»
Ma
non lo stavo
già più ascoltando.
Non
mi
complimentai per la sua battuta e salii in fretta le scale.
Poi,
cercando di
calmarmi, bussai alla porta della camera di Avril.
***
Avril's pov
Sentii
qualcuno
bussare alla porta.
Increspai
le
sopracciglia ma, sicura che fosse Kevin, andai ad aprire.
E,
invece, mi
ritrovai davanti… Evan.
Rimasi
completamente paralizzata, non sapendo se sbattergli la porta in faccia
o se
lasciarlo entrare.
Così,
approfittando della mia indecisione, decise lui per tutti e due e si
catapultò
nella mia camera, muovendosi irrequieto.
«Non
va bene. Non va bene per niente.»
Lo
guardai, confusa. «Di cosa…»
«No,
non interrompermi, sto cercando di mettere insieme un discorso decente.
In
questo modo, la cosa non può più andare avanti.»
Si passò una
mano tra i capelli. «Io
non posso più andare
avanti, Avril. Sono quindici fottutissimi giorni che mi eviti. Andiamo
a scuola
e tu mi eviti. Cerco di attirare la tua attenzione e tu mi eviti. Persino se mi parassi davanti a te e ti
mettessi un dito nell’occhio, tu mi eviteresti! E
non dire che non è vero!
Non ti sento più vicina come prima, mentre invece vorrei che
tu fossi sempre con
me.
È
da quella sera al locale che sei distante e mi sto scervellando da
allora,
perché non riesco a capire se il problema sia stato il bacio
o quello che è
successo dopo!
Prego
che tu non ti sia pentita del bacio, perché… insomma… è stata la
cosa più bella di tutta la mia vita. Poi, dopo
quell’episodio, io e tua madre abbiamo parlato. Non del
bacio, è chiaro, ma di
quello che ti è successo quella notte: mi ha spiegato la tua
malattia e mi ha
detto anche della sua assurdità, perché, voglio
dire, non c’è alcuna causa che
la determini. E se, magari, tu provi… non so…
vergogna… o imbarazzo… ti posso
assicurare che non ce n’è alcun bisogno,
perché, andiamo, io
m’imbarazzo a dire la parola “assorbente”!»
Fece una breve risata isterica, ma tornò subito serio. «La
affronteremo. Affronteremo questa malattia insieme. Io
sarò il tuo Augustus e tu sarai la mia
Hazel Grace. Sempre se lo vuoi. Quello
che voglio dire è che… insomma…
io… io sto
impazzendo… senza di te.»
Avevo
sentito abbastanza.
Mi
avvicinai a lui, allacciando le mani al suo collo.
«Sta’
zitto.»
gli sussurrai.
E
poi, mi alzai sulle punte, e lo baciai.
***
I
don't want this moment to ever
end,
where everything's nothing,
without you.
I'd
wait here forever just to,
to
see you smile.
'Cause
it's true,
I
am nothing without you.
[…]
I want you to know,
with
everything, I won't let this go.
These
words are my heart and soul.
I'll hold onto this moment, you know,
'cause
I'll bleed my heart out to show.
And
I won't let go.
[…]
All the streets,
where
I walked alone,
with
nowhere to go,
have
come to an end.
[…]
I don't want this moment to ever end,
where
everything's nothing, without you.
.
Vorrei
che questo momento
non finisse mai,
dove
tutto è niente, senza di te.
Aspetterò
qui per sempre,
solo
per vedere il tuo sorriso.
Perché
è vero, io non sono niente senza di te.
[…]
Voglio
che tu sappia che,
con
tutto quello che è successo,
non
permetterò che questa cosa vada in fumo.
Queste
parole sono il mio cuore e la mia anima.
Terrò
stretto questo momento, lo sai,
mentre
il mio cuore sanguina per mostrartelo.
E
non permetterò che questa cosa vada in
fumo.
[…]
Per
le strade, dove cammino
da solo,
senza
alcun posto dove andare,
sono
arrivato alla fine.
[…]
Vorrei
che questo momento
non finisse mai,
dove
tutto è niente, senza di te.
~ Sum 41 – With Me