Buona lettura a tutti :-)
1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia
“Padmé,
dobbiamo andare”
La
voce gentile di Obi-Wan mi richiamò al presente. Lo guardai
in viso, notando
come il peso delle recenti preoccupazioni lo avesse invecchiato. Il
volto era
sempre il suo, gli occhi castani, la pelle ancora giovane, la barba
dorata che
gli copriva il mento, ma la linea dura che gli piegava le labbra
solitamente
atteggiata ad un sorriso benevolo, i lineamenti tirati e le occhiaie
date dalle
recenti fatiche, denotavano quanto fosse provato fisicamente e
mentalmente.
Mi
tese la mano per condurmi verso la navicella che attendeva il nostro
arrivo,
poco lontano da dove si era svolto il corteo. Salii la scala
d’accesso alla
piccola astronave con le pareti a specchio e mi lasciai ricadere sulla
poltroncina bianca del co-pilota.
Obi-Wan
chiuse lo sportello e inserì le coordinate della nostra
destinazione, Giano, un
piccolo pianeta della Costellazione Vegan. L’avevamo scelto
come rifugio due
giorni prima, dopo una lunga discussione. Personalmente avrei voluto
andare a
Naboo dalla mia famiglia, dove mi sarebbe stato più facile
dimenticare per
almeno un giorno l’orrore di ciò che era successo,
ma eravamo ricercati, e il
mio pianeta natale sarebbe stato il primo luogo in cui avrebbero
tentato di
trovarci. Dopo averne proposti altri, avevamo scelto un pianeta in cui
nessuno
dei due era mai stato, in modo che non ci fossero possibili
collegamenti perché
venissero dei sospetti sul nostro rifugio, ma dove Obi-Wan aveva un
amico
fidato e conduceva una vita appartata a cui potevamo chiedere asilo.
Inoltre Giano
era abbastanza sconosciuto da non destare attenzione e sufficientemente
vicino
per monitorare ciò che succedeva a Coruscant.
“Stai
bene?” mi chiese lo Jedi.
Gli
sorrisi mesta. “Non dovrei chiederlo io a te? Era un tuo caro
amico” gli feci
notare.
Obi-Wan
annuì e il suo sguardo si adombrò un poco.
“Non sono io però che ho appena fatto
la fatica di partorire due gemelli” mi ricordò.
Al
pensiero dei miei figli, la cappa buia di quella giornata si
illuminò un poco.
I miei bambini di appena tre giorni, Luke e Leila. Quella mattina li
avevo lasciati
alle cure della balia con il cuore gonfio di apprensione per andare ad
assistere al funerale. L’idea che stavo per tornare da loro
mi tranquillizzava.
“Credimi,
il parto è stata la cosa meno difficile da sopportare di
questi giorni”
mormorai.
Mi
lanciò un’occhiata scettica e seppi perfettamente
il perché. Avevo avuto delle
serie complicazioni, un’emorragia mi aveva portata quasi in
fin di vita e i
dottori avevano dichiarato che ero stata molto fortunata a
sopravvivere. Il
medico aveva detto che era stata la mia forza morale e la mia voglia di
vivere
più che le sue cure a salvarmi. Tuttavia erano altri i
pensieri che mi
offuscavano la mente. Primo tra tutti il motivo del mio parto
difficile. La
nascita dei bambini era prevista tra due settimane, il parto era stato
anticipato a causa dello stress e del rischio di soffocamento che avevo
avuto…
Come un flash mi apparve davanti il suo
viso contratto dalla rabbia e dal dolore per il tradimento mentre mi
stringeva
alla gola. Rabbrividii, scacciando via l’immagine. Un dolore
sordo mi si
propagava nel petto ogni volta che ripensavo a quel momento, ogni volta
che
rivedevo il suo volto guardarmi in
quel modo. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome senza che mi
venisse
il desiderio di piangere.
“Hai
contattato il Maestro Yoda? Ci raggiungerà a
Giano?” domandai a Obi-Wan per
distrarmi dai miei stessi pensieri.
“Non ancora, prima
vuole assicurarsi
l’alleanza degli Wookie, ma ci raggiungerà al
più presto” mi informò.
Annuii,
riflettendo su quanto avessimo bisogno di alleati in quel momento.
Palpatine
era stato molto abile negli anni a intessersi attorno una fitta rete di
soci
fedeli. Le nostre fila invece si erano terribilmente assottigliate, ci
erano
scivolate dalle dita senza che ce ne accorgessimo.
“Jar
Jar mi ha detto prima che iniziasse la cerimonia che manderà
un rappresentante
di Naboo in giornata. Ha promesso che per qualunque cosa ci serva
possiamo
contare su Naboo.” Dissi io.
Lo
Jedi però, nonostante la notizia positiva,
sospirò frustrato. “Siamo lo stesso
in pochi, e soprattutto senza un esercito vero e proprio”.
D’istinto,
gli misi una mano sul braccio e lo strinsi, un semplice gesto per
fargli capire
che anche se eravamo in pochi, non era solo.
“Lo
so, ma è solo l’inizio. Ci dobbiamo riorganizzare
e sono certa che…”
Non
riuscii a terminare la frase perché fui interrotta dal bip
continuo del radar.
Mi avvicinai al monitor per controllare cosa avesse rintracciato il
macchinario
con un brutto presentimento. Speravo solo che non fosse…
“Diavolo!”
esclamai “è una nave di pattuglia”.
“Ci
avrà sicuramente visti, starà verificando i
nostri dati per capire se ci deve
attaccare o no” predisse nefasto Obi-Wan.
“Alzo
gli scudi?” chiesi. Sentii l’adrenalina familiare
di quando si era in pericolo
salire. La spinta che ti preparava a scattare in caso di bisogno.
“Per
ora no, sarebbe come dichiarare che ci aspettiamo un attacco e
c’è ancora una
possibilità che magari ci passi oltre senza
considerarci”.
La
speranza di Obi-Wan si rivelò presto vana. Ci
arrivò un messaggio vocale dal
comandante della pattuglia ma sia io che lo Jedi lo ignorammo. Ci
avrebbero
chiesto di dichiarare la nostra identità e di arrenderci,
poi, visto che non
avremmo accolto la richiesta, ci avrebbero attaccato. Tanto valeva
passare
direttamente all’ultima fase.
Obi-Wan
virò a destra cambiando rotta improvvisamente.
Ciò colse di sorpresa la
pattuglia che, non reagendo prontamente, lasciò il fianco
scoperto. Iniziammo ad
attaccare, ma la navicella davanti a noi non era sprovveduta. Aveva gli
scudi
alzati e ciò gli permise di non subire danni mentre
cercavano di rimettersi in
una posizione vantaggiosa. Allungai la mano per alzare gli scudi ma
colpirono
prima che ci riuscissi. Un violento scossone ci informò che
ci avevano colpiti.
Il monitor mostrò dei danni alla superficie
dell’ala destra, per fortuna non
eccessivamente gravi.
“Lancia
i missili Padmé!” mi urlò Obi-Wan,
mentre riprendeva il controllo della nave.
Inserii
velocemente i codici per il lancio. Un altro scossone, più
violento del primo,
mi fece cadere dalla sedia, allontanandomi di nuovo dal monitor. Un
altro
danno. Con una spinta mi rialzai, ignorando il dolore alla schiena per
la botta
subita. Premetti il pulsante d’avvio e il missile
partì. Un colpo solo che per
fortuna andò a segno. Vedemmo la navicella davanti a noi
saltare in aria senza
possibilità di salvarsi.
Mi
accasciai sulla poltroncina, il cuore che batteva forte per il pericolo
appena
corso.
Mi
chiesi quante volte l’avevamo scampata per un pelo e quante
ancora ci avrebbero
messo alla prova.
“Sei
tutta intera?”
Lo
Jedi aveva i lineamenti tesi ma era evidente che era meno provato di
me. Invidiai
un poco quella patina di calma che sembrava non abbandonarlo mai.
“Si”
confermai con un sospiro liberatorio. La mia povera schiena aveva
senz’altro
visto di peggio.
“Bhé,
così ci tengono allenati, sia mai che perdiamo
l’abitudine”.
Il
commento ironico, o forse il momento catartico post-adrenalina, mi fece
scappare un sorriso che contagiò anche lo Jedi, un sorriso
che nasceva a
discapito della gravità della situazione che
quell’attacco rivelava. Ma per ora
eravamo salvi.
Anche
questa
volta.
Dopo
quasi due ore di viaggio, giungemmo a Giano. Appena atterrati
nell’hangar,
corsi giù dalla navetta, impaziente di riabbracciare i miei
figli. La balia,
una donna sulla quarantina, dalle forme leggermente tondeggianti ma con
un viso
dall’espressione dolce, mi aspettava all’ingresso
del palazzo con entrambi i
bimbi in braccio.
“Bentornata
senatrice” mi accolse con un sincero calore.
“Grazie
Lavel” presi il piccolo Luke in braccio, accarezzandogli il
visino addormentato
“Sono stati bravi in mia assenza?”.
“Hanno
dormito praticamente per tutto il tempo” mi
tranquillizzò.
“Oh,
ecco le due piccole stelle”.
Obi-Wan,
lasciato indietro dalla mia fretta, ci raggiunse e prese in braccio
Leila, la
quale si svegliò strizzando gli occhietti, probabilmente
infastidita dalle voci
attorno a lei. Guardò il maestro Jedi inclinando la testa di
lato e fece un
piccolo sorriso, come se fosse felice di vederlo.
“Ciao
piccolina, ti sono mancato?”
Osservai
la tenera scena che mi si proponeva davanti e che mai avrei pensato di
vedere.
Obi-Wan Kenobi che vezzeggiava mia figlia. In quei tre giorni si era
dimostrato
una persona splendida e un amico insostituibile. Era stato lui a
portarmi via
dalla piattaforma di atterraggio dove giacevo a terra svenuta mentre
Neimodia,
il pianeta della Confederazione dei Mercanti, stava per esplodere. Mi
aveva
portata in ospedale e mi era stato vicino durante il parto, e da
lì non mi
aveva più lasciata sola. Sembrava si fosse preso
l’impegno di curare me e i
bambini e non avrei mai immaginato di vederlo così dolce nei
confronti di due neonati.
Mentre ero incinta, temevo che avrebbe disprezzato sia la gravidanza
che i
bambini sapendo chi fosse il padre. Erano nati da una relazione
proibita, una
relazione che forse era una delle cause di tutto ciò che era
successo in quei
giorni, eppure non una sola parola di rimprovero era uscita dalle
labbra dello
Jedi. Anzi, si era sempre dimostrato disponibile e comprensivo, come
avrebbe
potuto fare un fratello maggiore, e io non potevo essergliene
più grata. Da
sola non sarei mai stata capace di affrontare la nascita di quelle due
creature
e la caduta della Repubblica.
“Portali
nella mia stanza Lavel, per favore. Vi raggiungo appena
posso” promisi.
La
donna annuì facendo ondeggiare i lisci capelli ramati e
riprese in braccio
entrambi i bambini, anche se glieli lasciai a malincuore. Avrei di gran
lunga
preferito portarli in camera e stare con loro, ma avevo delle questioni
urgenti
da svolgere che non potevo ignorare. Dopotutto, lo facevo anche per
loro.
“Vuoi
andare a vedere se qualcuno ha risposto al nostro appello?”
mi chiese Obi-Wan,
intuendo le mie intenzioni.
“Si,
se hanno risposto possiamo iniziare ad aprire una comunicazione con
nuovi
alleati” dissi, dirigendomi verso la sala delle conferenze,
attrezzata per le
trasmissioni a lungo raggio.
Il
palazzo che ci ospitava era di un amico di vecchia data di Obi-Wan,
Taomar,
reso ricco da fortuiti scambi commerciali con alcuni pianeti
dell’Orlo Esterno.
Da quello che mi aveva rivelato lo stesso Taomar, lo Jedi gli aveva
salvato la
vita anni addietro quando, dirigendosi verso un pianeta con cui doveva
fare
affari per la prima volta, aveva sbagliato rotta ed era finito dentro
una scia
di asteroidi. Obi-Wan aveva recepito l’S.O.S. che la sua nave
aveva inviato e
trovandosi a poco distanza era intervenuto in suo soccorso, salvandolo.
Quando
il Maestro Jedi si era rivolto a lui per chiedergli asilo, Taomar era
stato più
che felice di poter ricambiare il favore e ci aveva messo a
disposizione la sua
casa, un palazzo di tre piani costruito sulla sommità di uno
strapiombo che
dava su un lago, distante mezzo miglio da Oriunta, la città
più vicina.
La
sala delle conferenze era una spaziosa stanza circolare al cui centro,
in mezzo
a poltrone di velluto beige, c’era l’attrezzatura
per trasmettere e ricevere
messaggi e ologrammi. Ieri, Obi-Wan ed io avevo inviato un messaggio
criptato
rivolto a tutti i pianeti della Confederazione per vedere quanti tra
gli Jedi
erano sopravvissuti e quanti tra i senatori erano rimasti fedeli alla
Repubblica con la richiesta di contattarci.
Lo
Jedi si avvicinò al bordo nero del trasmettitore, le cui
sembianze ricordavano
un grande cilindro, e accese il monitor. Sulla superficie apparvero
diverse
frequenze e nell’angolo a destra la nostra richiesta
d’aiuto trasmessa a ritmo
continuo. Una schermata a sinistra si illuminò per ultima
catturando la nostra
attenzione. Era un messaggio da Dardwin!
Lanciai
un’occhiata speranzosa a Obi-Wan, che si affrettò
ad aprire il messaggio vocale
e una voce autoritaria, maschile, si diffuse nella sala.
“Maestro
Kenobi, senatrice Amidala, abbiamo ricevuto il vostro messaggio.
Sappiate che
avete l’appoggio del pianeta Dardwin per sconfiggere il
Cancelliere. Se
possibile, vi invieremo al più presto un nostro ambasciatore
che farà da
tramite tra noi e voi per coordinarci. Siamo con voi”.
Sorrisi
rincuorata. La nostra richiesta d’aiuto aveva iniziato a dare
i suoi frutti,
era stata ascoltata. Voleva dire che i passi che stavamo muovendo erano
nella
direzione giusta, dovevamo solo portare pazienza e perseverare.
“Dardwin
è uno dei pianeti dell’Orlo Esterno della
Confederazione, giusto?” chiese
Obi-Wan.
Annuii.
“Ho conosciuto il suo rappresentante durante una riunione del
senato, Mataal,
un fervente sostenitore della Repubblica. È un uomo giusto,
possiamo fidarci.”
Assicurai.
“E
soprattutto è un buon alleato. Se non
ricordo male ha un esercito che ci farebbe
comodo” considerò l’uomo.
Dardwin
era un pianeta ricco grazie alle risorse naturali del territorio e
oltre a far
prosperare economicamente i suoi abitanti, quelle ricchezze avevano
permesso
che avesse a disposizione una difesa ben armata. Per nostra fortuna.
“Vero,
è un’alleanza preziosa. Dobbiamo mandargli le
nostre coordinate e organizzare
un incontro con il loro ambasciatore. Con lui, abbiamo già
quattro pianeti
dalla nostra parte, è un buon inizio”.
Kenobi
mi sorrise, contagiato dal mio entusiasmo. Mi accarezzò il
braccio dicendomi
che se ne sarebbe occupato lui. “Vai dai tuoi figli ora,
è giusto che tu stia
un po’ con loro” mi consigliò.
“Credo
seguirò la tua proposta. Ci vediamo a cena”
acconsentii, con il cuore un po’
più leggero di quando ero arrivata.
Ero
certa che Dardwin fosse solo il primo di una lunga lista di pianeti che
avrebbe
accolto il nostro appello. Nella mia carriera di senatrice, conoscevo
diversi
politici sinceramente attaccati agli ideali della Repubblica, non
eravamo i
soli pronti a lottare per essa. Dovevamo solo organizzarci e
coordinarci tra
noi. Una volta divenuti numerosi, saremmo stati in grado di
contrattaccare
Palpatine. L’Impero che stava nascendo avrebbe avuto vita
breve.
Salii
in ascensore e raggiunsi il terzo piano, dove si trovavano le nostre
stanze
private. Percorsi il corridoio dalle pareti bianche e azzurre
dirigendomi verso
la quarta porta a destra. Prima che l’aprissi, la voce di
Lavel che
canticchiava una filastrocca, mi raggiunse facendomi sorridere. Aprii e
trovai
la balia intenta a far divertire i piccoli accompagnando la sua voce al
mimo
delle mani, un piccolo spettacolo che Luke e Leila pareva apprezzassero
molto,
dati i loro visini rapiti mentre guardavano la donna.
Lavel
si accorse della mia presenza e mi sorrise gentile prima di
accomiatarsi
silenziosamente. Raggiunsi i piccoli sdraiati nei loro lettini posti al
centro
del grande tappeto azzurro che copriva gran parte del salottino della
camera.
Mi sedetti accanto a loro e presi un pupazzo a forma di Tee-muss, una
creatura
con le corna dal manto dorato addestrabile per essere cavalcata. Feci
camminare
il peluche davanti al faccino di Luke e poi di Leila e entrambi
allungarono le
manine per afferrarlo. Li presi entrambi in braccio e mi diressi verso
il letto
matrimoniale nella sala accanto, separata dal salottino da tre scalini
in
marmo. La camera era tutta giocata sulle sfumature del bianco e
dell’azzurro.
Le pareti erano candite, in contrasto con il tappeto e il baldacchino
del
grande letto posto al centro. I comodini ai lati del letto e
l’armadio posto
sulla sinistra erano di legno d’acero intarsiato, mentre gli
infissi della
porta-finestra che dava sul terrazzo erano di nuovo azzurri.
Mi
sdraiai sul letto mettendomi i miei figli accanto. Erano entrambi
felici che
gli dessi le mie attenzioni e non mi feci pregare per continuare a
vezzeggiarli. In quei tre giorni, i momenti migliori erano quelli che
passavo
con loro. Mentre guardavo le loro piccole labbra atteggiate ad un
sorriso
sereno, mentre accarezzavo i loro visini e prendevo le loro piccole
mani
morbide e lisce come pesche, riuscivo finalmente a trovare la pace.
Quelle due
creature riuscivano a regalarmi un angolo di paradiso
nell’inferno in cui era
precipitata la galassia.
Accarezzai
la testolina di Leila che era già ricoperta da un leggero
strato di peluria
castano scuro, a differenza del fratello i cui pochi ciuffi rivelavano
che
sarebbe diventato biondo cenere. Come il padre.
Al
suo pensiero, la morsa al petto
divenuta ormai familiare mi prese.
Il
loro padre. Mio marito. La causa della distruzione della Repubblica.
Anakin.
Sdraiandomi
su un fianco, allungai un braccio per stringere con delicatezza
entrambi i
bambini a me, quasi fossero un talismano contro i brutti ricordi.
Anakin.
Il mio Anakin.
Rivissi
con la mente gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ricordai il suo volto
preoccupato, la confusione che più di una volta gli avevo
letto nello sguardo.
I discorsi che mi aveva fatto, su come la sua fiducia
nell’Ordine degli Jedi
fosse stata scossa, su come si sentiva frustrato, indeciso sulle
decisioni da
prendere.
Mi
sentivo terribilmente stupida e in colpa. I segni che era in pericolo,
che
stava per cadere su una via deviata c’erano stati tutti, ma
non ero riuscita a
vederli. Lo avevo ascoltato, ma non ero riuscita a comprendere quali
sentimenti
gli agitassero il cuore, quali preoccupazioni gli affollavano la mente
al punto
da offuscarne completamente il giudizio. Avrei dovuto essere in grado
di
consigliarlo, di tranquillizzarlo. Avrei dovuto farlo riflettere con
calma sul da
farsi. Invece ero stata cieca, lo avevo lasciato da solo a prendere
decisioni
in un momento di grande agitazione, non c’ero stata quando
aveva avuto più
bisogno di me e lui era caduto. Non avevo capito in che grande momento
di
debolezza di trovasse e lo avevo lasciato alla mercé della
presenza
insinuatrice di Palpatine. Il Cancelliere aveva invece intuito alla
perfezione
quali sentimenti si scontrassero in Anakin ed era stato incredibilmente
abile a
sfruttarli.
Ed
ora Anakin era diventato un Sith. Darth Vader, un nome che mi metteva i
brividi
solo a pensarlo. Un nome che purtroppo ben si associava al volto
trasfigurato
dalla rabbia e dall’odio che gli avevo visto
l’ultima volta che ci eravamo
incontrati su Neimodia. Quel viso dai lineamenti contratti, quella
asprezza
nella voce, quegli occhi di brace… non appartenevano
all’uomo dolce e altruista
che avevo sposato. Era del Sith che era divenuto il braccio armato del
Cancelliere, o meglio dell’Imperatore.
Ma
come aveva potuto Anakin diventare un Sith? Come aveva potuto credergli
e
cedere al Lato Oscuro? Per quanto fosse debole in quel momento, come
aveva
potuto decidere di affidarsi a lui, a un Signore dei Sith, il simbolo
di tutto
quello che aveva giurato di distruggere, anziché cercare
aiuto da me o Obi-Wan?
Ricordai
l’ultimo discorso che mi aveva fatto. Lo avevo a stento
riconosciuto. Aveva
parlato di conquistare l’universo insieme, si era vantato di
essere divenuto
tanto potente da non doversi più nascondere. Quando era
diventato tanto
ambizioso? Possibile che il Lato Oscuro si fosse impadronito della sua
mente da
deviarla a tal punto?
Della
sua mente
forse, ma non del suo cuore.
Mi
aggrappai a quel pensiero, la convinzione che mi faceva andare avanti.
Forse il
Cancelliere era stato tanto bravo da manovrare la percezione della
realtà di
Anakin al punto da fargli credere di essere dalla parte del giusto, ma
sapevo
che il Lato Oscuro non avevo ancora preso il suo cuore. Anakin era
buono, non
aveva un’indole malvagia, sapevo quanto si prodigava per gli
altri, come
cercasse sempre di fare la cosa più giusta. Se Palpatine era
riuscito a
portarlo dalla sua parte doveva essere perché lo aveva
davvero convinto di
agire per il bene. Non c’erano altre spiegazioni.
Strinsi
più forte i bambini, tranquillizzata dalla loro presenza
silenziosa.
Chiusi
gli occhi e rievocai un’immagine di Anakin che ora mi
sembrava lontana anni
luce. Era un’immagine di noi due a Naboo, quando ci eravamo
rifugiati per
sfuggire agli assassini che attentavano alla mia vita. Rividi il suo
sorriso,
l’eco della sua risata spensierata, e giurai che avrei fatto
tutto ciò che era
in mio potere per riavere indietro il mio Anakin.
Se
stavo facendo tutto quello, se avevo messo in piedi quel primo gruppo
di
Ribelli con Obi-Wan, non era solo per far tornare la Repubblica. Era
per far
tornare Anakin da me. Non sapevo ancora come, ma lo avrei salvato da se
stesso,
lo avrei salvato dal suo errore riportandolo sulla giusta via, accanto
a me e
ai bambini.
Avremmo
dovuto sconfiggere l’Imperatore e smascherare le sue
menzogne, ma ce l’avremmo
fatta. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto, ma ero sicura del
risultato.
La parte buona di Anakin era lì, andava solo riportata alla
luce oltre le
falsità e le melliflue parole di Palpatine.
۩
“Una
navicella di pattuglia è stata attaccata mentre era in
servizio, mio signore.”
Lo
sguardo di Lord Sidius si fece pensieroso mente rifletteva
sull’informazione
dell’ufficiale Kanvis, il giovane trentenne che dritto in un
uniforme blu
aspettava paziente e intensione il permesso di andarsene.
Sogghignò un poco
notando quanto stare alla sua presenza mettesse quel
pover’uomo in agitazione.
Poteva sentire la tensione che irradiava da ogni singolo poro anche a
quella
distanza, per non parlare della postura eccessivamente rigida e dal
modo
nervoso in cui i suoi occhi saettavano nella stanza, incapaci di
sostenere e
ricambiare il suo sguardo. Già quando era Cancelliere la sua
posizione gli
permetteva di porre in una certa soggezione dovuta al rispetto i suoi
sottoposti, ma da quando aveva vinto quella guerra che portava
silenziosamente
avanti da anni e aveva potuto rivelare la sua vera identità,
quella soggezione
si era tramutata in un vero e proprio terrore. E il fatto non poteva
che
essergli più gradito. Si crogiolava nella paura che scorgeva
negli sguardi dei
soldati semplici o dei rappresentanti degli altri pianeti ogni volta
che gli
erano davanti. Sentiva un leggero balbettio traditore nella loro voce,
vedeva
il tremito delle loro mani che cercavano di nascondere. Era fantastico.
Il terrore
che incuteva agli altri era il giusto riconoscimento per il potere che
aveva
acquisito.
Soltanto
una persona riusciva a sostenere senza minima difficoltà il
suo sguardo con
occhi fermi. Solo in lui non scorgeva la minima traccia di paura. Ma
dopotutto
era anche l’unico nell’intera galassia ad avere lui
stesso un potere
altrettanto grande da non tremare dinanzi a quello di Lord Sidius. Il
suo nuovo
apprendista, il Sith creato dalle ceneri di quello che avrebbe potuto
essere un
grande Jedi, Darth Vader.
Fu
lui, in piedi alla sua destra, con le braccia conserte e la schiena
dritta,
presenza silenziosa ma possente, a interrogare l’ufficiale.
“Dove
è avvenuto?” chiese, una domanda semplice ma con
il tono imperioso di un
ordine.
Kanvis
sobbalzò impercettibilmente sentendosi interrogare da colui
che era stato
soprannominato il “braccio armato” del Lord.
Azzardò un’occhiata. Era la prima
volta che lo vedeva dal vivo e nonostante la paura, nutriva una certa
curiosità
per la persona il cui nome era sulla bocca dell’intero
universo. Tutti sapevano
chi fosse e soprattutto chi era stato, il potente Jedi Anakin Skywalker
che per
anni si era battuto per la Repubblica e che improvvisamente aveva
cambiato
parte, diventando una figura sinistra attorno al quale aleggiavano
mistero e terrore.
Aveva una veste interamente nera, l’unico tocco di colore era
l’argento del
manico della spada laser che teneva legata alla cintura.
Incrociò
accidentalmente il suo sguardo, truce e penetrante. Sentii un brivido
percorrergli la spina dorsale e si affrettò a rispondere,
colto dall’improvviso
desiderio di allontanarsi.
“Vicino
alla costellazione Knish” balbettò.
“Quando
è successo?”
“Due…due
ore fa, signore”.
Darth
Vader annuì e si rivolse al suo maestro.
“Suggerisco di mandare delle navicelle
a controllare i pianeti nei dintorni ma chiunque fosse dubito che sia
ancora
nei paraggi. A quest’ora potrebbe essere ben oltre
l’Orlo Esterno”.
Lord
Sidius concordò con il giovane Sith e congedò
Kanvis, dandogli l’ordine di
perlustrare la zona, poi mise le mani sotto il mento, sospirando.
“Possibile
che ci sia ancora qualcuno capace di ribellarsi? Che non abbia ancora
capito
che ormai la guerra è finita?” si
lamentò, non comprendendo come qualcuno
potesse ancora avere la sfrontatezza di mettere in dubbio la sua
posizione.
Anakin
avanzò di un passo. “Con tutto il rispetto,
signore, finché il Maestro Yoda e
il Maestro Kenobi non saranno trovati, questi focolai di ribellione non
si
estingueranno” osservò, duro.
“Conoscendoli, staranno raggruppando tutti i Jedi
sopravvissuti”.
L’Imperatore
annuì e si appoggiò all’alto schienale
bianco, quasi fosse stanco per il peso
di quella seccatura.
“Allora
sarà meglio porre la loro cattura tra le priorità
assolute. Affido a te
l’incarico di trovare loro e i loro alleati. Ogni Jedi
rimasto è un nemico,
ricordalo Darth Vader.”
Skywalker
raccolse l’ordine e si inchinò con una mano sul
petto per congedarsi.
Si
diresse a passo veloce verso la sala degli ufficiali, posta poco
distante dalla
sala di controllo dove si trovava poco prima. Appena entrò
nell’ala adibita
agli ufficiali in comando, lo sguardo di tutti i presenti si
puntò su di lui.
Percepì con chiarezza la tensione che si propagò
rapida per la stanza, come se
l’aria stessa sfrigolasse. Gli ufficiali si alzarono
immediatamente in piedi e
accennarono a un inchino.
“Cordét”
chiamò. Nonostante la voce bassa, l’ordine fu
udito benissimo dal quarantenne
che si affrettò ad avvicinarsi a Lord Vader.
“Si,
mio signore”.
Anakin
percepì l’ansia dell’uomo e
l’evidente atto di coraggio che gli costava
rivolgersi a lui senza tremare, ma ciò lo lasciò
indifferente. Era abituato
agli sguardi di ammirazione o soddisfazione di senatori e politici
quando in
passato tornava dalle missioni per il Consiglio degli Jedi, sguardi che
ripagavano
la sua vanità dalle fatiche fatte, ma il terrore che
scorgeva ora negli occhi
di chi lo guardava gli era nuovo. Ma sapeva di esserselo meritato. Era
uno
sguardo che giudicava le ultime azioni che aveva compiuto,
però la cosa lo
lasciava indifferente. Non spettava certo a loro giudicarlo.
Semmai,
spettava
a un altro paio di dolci occhi castani…
Scacciò
via quel pensiero prima di completarlo. Non era luogo per lasciarsi
andare a
certe considerazioni.
“Voglio
una squadra di cloni pronta a partire all’hangar due tra
un’ora. Preparate le
provviste, ci aspetta una missione di ricerca”
ordinò secco.
Cordét
scattò sull’attenti, la mascella quadrata
visibilmente tirata.
“Sarà
fatto, mio signore”.
Skywalker
annuì e senza aggiungere altro si allontanò dalla
sala, portandosi dietro il
freddo che la sua presenza innestava. Si diresse nelle sue stanze,
collocate
all’ultimo piano del palazzo sede del Consiglio
dell’Impero Galattico. Ogni
volta che attraversava i corridoi di quel palazzo non poteva fare a
meno di pensare
che c’era decisamente troppo bianco. Era tutto interamente
bianco, non una
rifinitura, non uno stipite, non un singolo mobile era di colore
diverso, un
bianco accecante che quasi stordiva e rendeva tutto uguale, monocorde.
Fortunatamente, presto lasciò il corridoio e si
rifugiò nelle sue stanze. La
tappezzeria rossa e nera dell’interno e la penombra eterna in
cui lasciava la
stanza erano una piacevole alternativa al bianco totalizzante che
regnava là
fuori. Chissà poi perché era stato scelto quel
colore. Il Sith non poteva fare
a meno di pensare che era la tonalità che meno poteva
rispecchiare chi vi
abitava. Al momento, se si guardava allo specchio, l’unico
colore che poteva
vedersi addosso era il nero. Nero, come il Lato Oscuro da cui
attingevano il
loro potere. Nero, come il colore con cui aveva deciso di tingere la
sua anima
il giorno in cui aveva ucciso il Maestro Windu e si era votato ai Sith.
Nero,
come il velo che sembrava aver ricoperto tutto il suo
mondo…da quando lei se ne
era andata.
Attraversò
l’anticamera per raggiungere il letto. Si accasciò
sul bordo del materasso e
stiracchiò la gamba sinistra. Il movimento gli
procurò una smorfia. Si
massaggiò il punto di congiunzione tra la sua gamba e
l’innesto artificiale, di
poco sopra il ginocchio. La perdita della gamba sinistra era il ricordo
perenne
che Obi-Wan gli aveva lasciato della sua ingloriosa sconfitta. Il
pensiero
della sua disfatta era un tasto dolente. Era stato talmente sicuro di
vincere
che ancora non si capacitava di come potesse aver perso e averci
rimesso
addirittura un arto. Ricordava gli occhi di rimprovero e rimorso del
Maestro
Jedi che lo guardava dall’alto, la sua boria quando aveva
deciso di fare quel
salto per mettersi in una posizione vantaggiosa che gli avrebbe
assicurato la
vittoria… e il male che aveva provato quando la spada laser
dello Jedi gli
aveva tranciato via di netto la gamba sinistra. Il dolore era stato
immenso,
tanto da farlo precipitare a terra stordito e incapace di reagire, ma
ancora
più grande era stato il senso di umiliazione per la
sconfitta subita. Come gli
aveva detto Dooku una volta, “a doppia superbia, doppia
caduta”, e lui era
precipitato dall’alto di un grattacielo. Se si era salvato
era solo perché il
tempestivo arrivo di Lord Sidius aveva indotto Obi-Wan alla fuga,
impedendogli
di ucciderlo.
La
aggiungerò
all’elenco di cose di cui devo vendicarmi.
Era
un elenco che si allungava ogni giorno di più. Sapeva che
non poteva attribuire
tutte le cause della sua motivata rabbia al suo vecchio maestro,
però nella sua
mente era ormai il simbolo delle bugie che gli Jedi gli avevano
intessuto
attorno per anni e delle ingiustizie subite. Inoltre poteva giustamente
accusarlo di averlo tenuto con il guinzaglio stretto per anni,
probabilmente
invidioso e timoroso del potere che scorgeva in lui. Ma
l’accusa più grande che
gli rivolgeva era un’altra. Gli aveva portato via
Padmé.
Al solo pensiero, sentiva la rabbia pervadergli il petto, una fiammata che lo incendiava da dentro distruggendo ogni altro pensiero, ogni freno. La lampada sul comò accanto al letto iniziò a tremare e Anakin dovette fare una grande sforzo di volontà per calmarsi. Sentiva il potere della Forza scorrergli nelle vene, pompato proprio da quell’ira che gli ruggiva nel cuore. Era come se fosse pronto a esplodere e quei pensieri accendevano la miccia che già normalmente faticava a tenere spenta.
Padmé,
la sua bellissima moglie. La moglie che lo
aveva guardato negli occhi allontanandosi da lui, dicendogli che non
poteva più
seguirlo a causa delle sue scelte, che non lo riconosceva
più. La moglie che
aveva condotto Obi-Wan da lui e poi era stata capace di accusarlo di
avergli
spezzato il cuore!
Come
poteva aver osato dirgli una cosa del genere, quando era stata lei a
fare a
pezzi il suo? Tutto quello che aveva fatto da che la conosceva era
stato
proteggerla e amarla, era per lei che aveva intrapreso quella strada,
che era
andato contro gli Jedi! E mentre lui aveva messo in gioco la sua vita e
tutto ciò
in cui aveva creduto, Padmé lo aveva tradito e si era
allontanata da lui.
Era
un dolore insopportabile, alienante. Si rendeva conto che non riusciva
a pensare
ad altro che alla sua mancanza notte e giorno. Si, perché
nonostante il
tradimento, nonostante ciò che gli aveva detto, lui
l’amava ancora. L’aveva
sempre amata, da quando era apparsa simile ad un angelo nella sua
piccola casa
a Tatooine, e l’avrebbe amata per sempre, incurante di
qualsiasi cosa lei
potesse fare.
Ecco
perché la sua priorità assoluta, nonostante
ciò che aveva ordinato
l’Imperatore, era di ritrovarla. Era certo che Obi-Wan la
tenesse nascosta da
qualche parte, ma lui l’avrebbe trovata anche nei confini
più remoti della
Galassia, avesse dovuto setacciare i pianeti uno ad uno! Sperava solo
che lo
Jedi non le riempisse la testa di false insinuazioni su di lui nel
frattempo.
Una volta ritrovata, le avrebbe spiegato con calma i motivi che
c’erano dietro
le sue scelte ed era certo che lei lo avrebbe capito e lo avrebbe
appoggiato.
Avrebbe compreso che tutto ciò che aveva fatto era stato per
assicurarsi la sua
salvezza e per vivere finalmente alla luce del sole, senza
più il timore di
essere scoperti; che era più che giusto che lui, dopo tutti
quegli anni passati
nell’ombra degli altri, ottenesse le giuste ricompense per la
sua bravura e che
vedesse realizzate le sue ambizioni.
Dopotutto,
avevano superato ogni sfida che il destino gli aveva posto davanti fino
ad ora,
avrebbero superato anche questa.
Prese
un profondo respiro e si avvicinò all’armadio
incassato dentro il muro. Aperta
la porta metallica, prese un borsone dal fondo dell’armadio e
iniziò a mettere
dentro l’essenziale per la missione che lo attendeva.
Puntando la
concentrazione su ciò che stava facendo, cercò di
alienarsi dai suoi stessi
pensieri, dalle sue emozioni. Gli era quasi impossibile, ma era
l’unico modo
per mantenere la compostezza e la fermezza di cui aveva bisogno ora.
L’unico modo
per tenere a bada quella rabbia che esigeva di essere sfogata. Non era
ancora il
momento. Quando avrebbe trovato Obi-Wan, avrebbe finalmente avuto la
vendetta che
agognava. E trovato lui, era certo che avrebbe trovato anche la sua
Padmé.