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Autore: 68Keira68    12/09/2014    2 recensioni
E se lo scontro tra Obi-Wan e Anakin fosse finito in maniera diversa? E
se la conversione al Lato Oscuro di Anakin e la caduta della Repubblica
avessero dato la spinta a Padmé per sopravvivere al parto
anziché ucciderla? L'universo è nelle mani di
Palpatine e Anakin ma la ribellione è appena cominciata, e a
guidarla sono Obi-Wan e Padmé. Riusciranno a ripristinare la
giustizia in un universo corrotto dal Lato Oscuro? La Forza
riuscirà a sconfiggere anche quest'ultima minaccia?
Dal testo:
"La parte buona di Anakin era lì, andava solo riportata alla
luce"
"il Sith creato dalle ceneri di quello che avrebbe potuto essere un
grande Jedi, Darth Vader"
"Noi siamo ancora vivi e non ci arrenderemo"
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi, Padmè Amidala, Palpatine/Darth Sidious, Yoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1 fiamma di speranza fiamma di rabbia
Ecco, come promesso, il primo capitolo! Il Prologo era introduttivo, questo capitolo serve invece a riprendere le fila dal film e a far capire cosa sia successo alla Galassia e ai protagonisti e come si stanno riorganizzando. La storia entrarà più nel vivo nei capitoli successivi ovviamente visto che siamo solo all'inizio, ma spero che questo primo capitolo vi piaccia e come sempre i vostri consigli e i vostri parere sono ben accetti :-) Ringrazio tutti coloro che hanno letto il Prologo e grazie a Nox93 e La_Birba per aver commentato, sono molto felice che il prologo vi abbia incuriosito e spero che continuerà a farlo anche questo primo capitolo!  
Buona lettura a tutti :-)

1_Fiamma di speranza, fiamma di rabbia

 

“Padmé, dobbiamo andare”

La voce gentile di Obi-Wan mi richiamò al presente. Lo guardai in viso, notando come il peso delle recenti preoccupazioni lo avesse invecchiato. Il volto era sempre il suo, gli occhi castani, la pelle ancora giovane, la barba dorata che gli copriva il mento, ma la linea dura che gli piegava le labbra solitamente atteggiata ad un sorriso benevolo, i lineamenti tirati e le occhiaie date dalle recenti fatiche, denotavano quanto fosse provato fisicamente e mentalmente.

Mi tese la mano per condurmi verso la navicella che attendeva il nostro arrivo, poco lontano da dove si era svolto il corteo. Salii la scala d’accesso alla piccola astronave con le pareti a specchio e mi lasciai ricadere sulla poltroncina bianca del co-pilota.

Obi-Wan chiuse lo sportello e inserì le coordinate della nostra destinazione, Giano, un piccolo pianeta della Costellazione Vegan. L’avevamo scelto come rifugio due giorni prima, dopo una lunga discussione. Personalmente avrei voluto andare a Naboo dalla mia famiglia, dove mi sarebbe stato più facile dimenticare per almeno un giorno l’orrore di ciò che era successo, ma eravamo ricercati, e il mio pianeta natale sarebbe stato il primo luogo in cui avrebbero tentato di trovarci. Dopo averne proposti altri, avevamo scelto un pianeta in cui nessuno dei due era mai stato, in modo che non ci fossero possibili collegamenti perché venissero dei sospetti sul nostro rifugio, ma dove Obi-Wan aveva un amico fidato e conduceva una vita appartata a cui potevamo chiedere asilo. Inoltre Giano era abbastanza sconosciuto da non destare attenzione e sufficientemente vicino per monitorare ciò che succedeva a Coruscant.

“Stai bene?” mi chiese lo Jedi.

Gli sorrisi mesta. “Non dovrei chiederlo io a te? Era un tuo caro amico” gli feci notare.

Obi-Wan annuì e il suo sguardo si adombrò un poco. “Non sono io però che ho appena fatto la fatica di partorire due gemelli” mi ricordò.

Al pensiero dei miei figli, la cappa buia di quella giornata si illuminò un poco. I miei bambini di appena tre giorni, Luke e Leila. Quella mattina li avevo lasciati alle cure della balia con il cuore gonfio di apprensione per andare ad assistere al funerale. L’idea che stavo per tornare da loro mi tranquillizzava.

“Credimi, il parto è stata la cosa meno difficile da sopportare di questi giorni” mormorai.

Mi lanciò un’occhiata scettica e seppi perfettamente il perché. Avevo avuto delle serie complicazioni, un’emorragia mi aveva portata quasi in fin di vita e i dottori avevano dichiarato che ero stata molto fortunata a sopravvivere. Il medico aveva detto che era stata la mia forza morale e la mia voglia di vivere più che le sue cure a salvarmi. Tuttavia erano altri i pensieri che mi offuscavano la mente. Primo tra tutti il motivo del mio parto difficile. La nascita dei bambini era prevista tra due settimane, il parto era stato anticipato a causa dello stress e del rischio di soffocamento che avevo avuto… Come un flash mi apparve davanti il suo viso contratto dalla rabbia e dal dolore per il tradimento mentre mi stringeva alla gola. Rabbrividii, scacciando via l’immagine. Un dolore sordo mi si propagava nel petto ogni volta che ripensavo a quel momento, ogni volta che rivedevo il suo volto guardarmi in quel modo. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome senza che mi venisse il desiderio di piangere.

“Hai contattato il Maestro Yoda? Ci raggiungerà a Giano?” domandai a Obi-Wan per distrarmi dai miei stessi pensieri.

 “Non ancora, prima vuole assicurarsi l’alleanza degli Wookie, ma ci raggiungerà al più presto” mi informò.

Annuii, riflettendo su quanto avessimo bisogno di alleati in quel momento. Palpatine era stato molto abile negli anni a intessersi attorno una fitta rete di soci fedeli. Le nostre fila invece si erano terribilmente assottigliate, ci erano scivolate dalle dita senza che ce ne accorgessimo.

“Jar Jar mi ha detto prima che iniziasse la cerimonia che manderà un rappresentante di Naboo in giornata. Ha promesso che per qualunque cosa ci serva possiamo contare su Naboo.” Dissi io.

Lo Jedi però, nonostante la notizia positiva, sospirò frustrato. “Siamo lo stesso in pochi, e soprattutto senza un esercito vero e proprio”.

D’istinto, gli misi una mano sul braccio e lo strinsi, un semplice gesto per fargli capire che anche se eravamo in pochi, non era solo.

“Lo so, ma è solo l’inizio. Ci dobbiamo riorganizzare e sono certa che…”

Non riuscii a terminare la frase perché fui interrotta dal bip continuo del radar. Mi avvicinai al monitor per controllare cosa avesse rintracciato il macchinario con un brutto presentimento. Speravo solo che non fosse…

“Diavolo!” esclamai “è una nave di pattuglia”.

“Ci avrà sicuramente visti, starà verificando i nostri dati per capire se ci deve attaccare o no” predisse nefasto Obi-Wan.

“Alzo gli scudi?” chiesi. Sentii l’adrenalina familiare di quando si era in pericolo salire. La spinta che ti preparava a scattare in caso di bisogno.

“Per ora no, sarebbe come dichiarare che ci aspettiamo un attacco e c’è ancora una possibilità che magari ci passi oltre senza considerarci”.

La speranza di Obi-Wan si rivelò presto vana. Ci arrivò un messaggio vocale dal comandante della pattuglia ma sia io che lo Jedi lo ignorammo. Ci avrebbero chiesto di dichiarare la nostra identità e di arrenderci, poi, visto che non avremmo accolto la richiesta, ci avrebbero attaccato. Tanto valeva passare direttamente all’ultima fase.

Obi-Wan virò a destra cambiando rotta improvvisamente. Ciò colse di sorpresa la pattuglia che, non reagendo prontamente, lasciò il fianco scoperto. Iniziammo ad attaccare, ma la navicella davanti a noi non era sprovveduta. Aveva gli scudi alzati e ciò gli permise di non subire danni mentre cercavano di rimettersi in una posizione vantaggiosa. Allungai la mano per alzare gli scudi ma colpirono prima che ci riuscissi. Un violento scossone ci informò che ci avevano colpiti. Il monitor mostrò dei danni alla superficie dell’ala destra, per fortuna non eccessivamente gravi.

“Lancia i missili Padmé!” mi urlò Obi-Wan, mentre riprendeva il controllo della nave.

Inserii velocemente i codici per il lancio. Un altro scossone, più violento del primo, mi fece cadere dalla sedia, allontanandomi di nuovo dal monitor. Un altro danno. Con una spinta mi rialzai, ignorando il dolore alla schiena per la botta subita. Premetti il pulsante d’avvio e il missile partì. Un colpo solo che per fortuna andò a segno. Vedemmo la navicella davanti a noi saltare in aria senza possibilità di salvarsi.

Mi accasciai sulla poltroncina, il cuore che batteva forte per il pericolo appena corso.

Mi chiesi quante volte l’avevamo scampata per un pelo e quante ancora ci avrebbero messo alla prova.

“Sei tutta intera?”

Lo Jedi aveva i lineamenti tesi ma era evidente che era meno provato di me. Invidiai un poco quella patina di calma che sembrava non abbandonarlo mai.

“Si” confermai con un sospiro liberatorio. La mia povera schiena aveva senz’altro visto di peggio.

“Bhé, così ci tengono allenati, sia mai che perdiamo l’abitudine”.

Il commento ironico, o forse il momento catartico post-adrenalina, mi fece scappare un sorriso che contagiò anche lo Jedi, un sorriso che nasceva a discapito della gravità della situazione che quell’attacco rivelava. Ma per ora eravamo salvi.

Anche questa volta.

Dopo quasi due ore di viaggio, giungemmo a Giano. Appena atterrati nell’hangar, corsi giù dalla navetta, impaziente di riabbracciare i miei figli. La balia, una donna sulla quarantina, dalle forme leggermente tondeggianti ma con un viso dall’espressione dolce, mi aspettava all’ingresso del palazzo con entrambi i bimbi in braccio.

“Bentornata senatrice” mi accolse con un sincero calore.

“Grazie Lavel” presi il piccolo Luke in braccio, accarezzandogli il visino addormentato “Sono stati bravi in mia assenza?”.

“Hanno dormito praticamente per tutto il tempo” mi tranquillizzò.

“Oh, ecco le due piccole stelle”.

Obi-Wan, lasciato indietro dalla mia fretta, ci raggiunse e prese in braccio Leila, la quale si svegliò strizzando gli occhietti, probabilmente infastidita dalle voci attorno a lei. Guardò il maestro Jedi inclinando la testa di lato e fece un piccolo sorriso, come se fosse felice di vederlo.

“Ciao piccolina, ti sono mancato?”

Osservai la tenera scena che mi si proponeva davanti e che mai avrei pensato di vedere. Obi-Wan Kenobi che vezzeggiava mia figlia. In quei tre giorni si era dimostrato una persona splendida e un amico insostituibile. Era stato lui a portarmi via dalla piattaforma di atterraggio dove giacevo a terra svenuta mentre Neimodia, il pianeta della Confederazione dei Mercanti, stava per esplodere. Mi aveva portata in ospedale e mi era stato vicino durante il parto, e da lì non mi aveva più lasciata sola. Sembrava si fosse preso l’impegno di curare me e i bambini e non avrei mai immaginato di vederlo così dolce nei confronti di due neonati. Mentre ero incinta, temevo che avrebbe disprezzato sia la gravidanza che i bambini sapendo chi fosse il padre. Erano nati da una relazione proibita, una relazione che forse era una delle cause di tutto ciò che era successo in quei giorni, eppure non una sola parola di rimprovero era uscita dalle labbra dello Jedi. Anzi, si era sempre dimostrato disponibile e comprensivo, come avrebbe potuto fare un fratello maggiore, e io non potevo essergliene più grata. Da sola non sarei mai stata capace di affrontare la nascita di quelle due creature e la caduta della Repubblica.

“Portali nella mia stanza Lavel, per favore. Vi raggiungo appena posso” promisi.

La donna annuì facendo ondeggiare i lisci capelli ramati e riprese in braccio entrambi i bambini, anche se glieli lasciai a malincuore. Avrei di gran lunga preferito portarli in camera e stare con loro, ma avevo delle questioni urgenti da svolgere che non potevo ignorare. Dopotutto, lo facevo anche per loro.

“Vuoi andare a vedere se qualcuno ha risposto al nostro appello?” mi chiese Obi-Wan, intuendo le mie intenzioni.

“Si, se hanno risposto possiamo iniziare ad aprire una comunicazione con nuovi alleati” dissi, dirigendomi verso la sala delle conferenze, attrezzata per le trasmissioni a lungo raggio.

Il palazzo che ci ospitava era di un amico di vecchia data di Obi-Wan, Taomar, reso ricco da fortuiti scambi commerciali con alcuni pianeti dell’Orlo Esterno. Da quello che mi aveva rivelato lo stesso Taomar, lo Jedi gli aveva salvato la vita anni addietro quando, dirigendosi verso un pianeta con cui doveva fare affari per la prima volta, aveva sbagliato rotta ed era finito dentro una scia di asteroidi. Obi-Wan aveva recepito l’S.O.S. che la sua nave aveva inviato e trovandosi a poco distanza era intervenuto in suo soccorso, salvandolo. Quando il Maestro Jedi si era rivolto a lui per chiedergli asilo, Taomar era stato più che felice di poter ricambiare il favore e ci aveva messo a disposizione la sua casa, un palazzo di tre piani costruito sulla sommità di uno strapiombo che dava su un lago, distante mezzo miglio da Oriunta, la città più vicina.

La sala delle conferenze era una spaziosa stanza circolare al cui centro, in mezzo a poltrone di velluto beige, c’era l’attrezzatura per trasmettere e ricevere messaggi e ologrammi. Ieri, Obi-Wan ed io avevo inviato un messaggio criptato rivolto a tutti i pianeti della Confederazione per vedere quanti tra gli Jedi erano sopravvissuti e quanti tra i senatori erano rimasti fedeli alla Repubblica con la richiesta di contattarci.

Lo Jedi si avvicinò al bordo nero del trasmettitore, le cui sembianze ricordavano un grande cilindro, e accese il monitor. Sulla superficie apparvero diverse frequenze e nell’angolo a destra la nostra richiesta d’aiuto trasmessa a ritmo continuo. Una schermata a sinistra si illuminò per ultima catturando la nostra attenzione. Era un messaggio da Dardwin!

Lanciai un’occhiata speranzosa a Obi-Wan, che si affrettò ad aprire il messaggio vocale e una voce autoritaria, maschile, si diffuse nella sala.

“Maestro Kenobi, senatrice Amidala, abbiamo ricevuto il vostro messaggio. Sappiate che avete l’appoggio del pianeta Dardwin per sconfiggere il Cancelliere. Se possibile, vi invieremo al più presto un nostro ambasciatore che farà da tramite tra noi e voi per coordinarci. Siamo con voi”.

Sorrisi rincuorata. La nostra richiesta d’aiuto aveva iniziato a dare i suoi frutti, era stata ascoltata. Voleva dire che i passi che stavamo muovendo erano nella direzione giusta, dovevamo solo portare pazienza e perseverare.

“Dardwin è uno dei pianeti dell’Orlo Esterno della Confederazione, giusto?” chiese Obi-Wan.

Annuii. “Ho conosciuto il suo rappresentante durante una riunione del senato, Mataal, un fervente sostenitore della Repubblica. È un uomo giusto, possiamo fidarci.” Assicurai.

“E soprattutto è un buon alleato. Se non  ricordo male ha un esercito che ci farebbe comodo” considerò l’uomo.

Dardwin era un pianeta ricco grazie alle risorse naturali del territorio e oltre a far prosperare economicamente i suoi abitanti, quelle ricchezze avevano permesso che avesse a disposizione una difesa ben armata. Per nostra fortuna.

“Vero, è un’alleanza preziosa. Dobbiamo mandargli le nostre coordinate e organizzare un incontro con il loro ambasciatore. Con lui, abbiamo già quattro pianeti dalla nostra parte, è un buon inizio”.

Kenobi mi sorrise, contagiato dal mio entusiasmo. Mi accarezzò il braccio dicendomi che se ne sarebbe occupato lui. “Vai dai tuoi figli ora, è giusto che tu stia un po’ con loro” mi consigliò.

“Credo seguirò la tua proposta. Ci vediamo a cena” acconsentii, con il cuore un po’ più leggero di quando ero arrivata.

Ero certa che Dardwin fosse solo il primo di una lunga lista di pianeti che avrebbe accolto il nostro appello. Nella mia carriera di senatrice, conoscevo diversi politici sinceramente attaccati agli ideali della Repubblica, non eravamo i soli pronti a lottare per essa. Dovevamo solo organizzarci e coordinarci tra noi. Una volta divenuti numerosi, saremmo stati in grado di contrattaccare Palpatine. L’Impero che stava nascendo avrebbe avuto vita breve.

Salii in ascensore e raggiunsi il terzo piano, dove si trovavano le nostre stanze private. Percorsi il corridoio dalle pareti bianche e azzurre dirigendomi verso la quarta porta a destra. Prima che l’aprissi, la voce di Lavel che canticchiava una filastrocca, mi raggiunse facendomi sorridere. Aprii e trovai la balia intenta a far divertire i piccoli accompagnando la sua voce al mimo delle mani, un piccolo spettacolo che Luke e Leila pareva apprezzassero molto, dati i loro visini rapiti mentre guardavano la donna.

Lavel si accorse della mia presenza e mi sorrise gentile prima di accomiatarsi silenziosamente. Raggiunsi i piccoli sdraiati nei loro lettini posti al centro del grande tappeto azzurro che copriva gran parte del salottino della camera. Mi sedetti accanto a loro e presi un pupazzo a forma di Tee-muss, una creatura con le corna dal manto dorato addestrabile per essere cavalcata. Feci camminare il peluche davanti al faccino di Luke e poi di Leila e entrambi allungarono le manine per afferrarlo. Li presi entrambi in braccio e mi diressi verso il letto matrimoniale nella sala accanto, separata dal salottino da tre scalini in marmo. La camera era tutta giocata sulle sfumature del bianco e dell’azzurro. Le pareti erano candite, in contrasto con il tappeto e il baldacchino del grande letto posto al centro. I comodini ai lati del letto e l’armadio posto sulla sinistra erano di legno d’acero intarsiato, mentre gli infissi della porta-finestra che dava sul terrazzo erano di nuovo azzurri.

Mi sdraiai sul letto mettendomi i miei figli accanto. Erano entrambi felici che gli dessi le mie attenzioni e non mi feci pregare per continuare a vezzeggiarli. In quei tre giorni, i momenti migliori erano quelli che passavo con loro. Mentre guardavo le loro piccole labbra atteggiate ad un sorriso sereno, mentre accarezzavo i loro visini e prendevo le loro piccole mani morbide e lisce come pesche, riuscivo finalmente a trovare la pace. Quelle due creature riuscivano a regalarmi un angolo di paradiso nell’inferno in cui era precipitata la galassia.

Accarezzai la testolina di Leila che era già ricoperta da un leggero strato di peluria castano scuro, a differenza del fratello i cui pochi ciuffi rivelavano che sarebbe diventato biondo cenere. Come il padre.

Al suo pensiero, la morsa al petto divenuta ormai familiare mi prese.

Il loro padre. Mio marito. La causa della distruzione della Repubblica.

Anakin.

Sdraiandomi su un fianco, allungai un braccio per stringere con delicatezza entrambi i bambini a me, quasi fossero un talismano contro i brutti ricordi.

Anakin. Il mio Anakin.

Rivissi con la mente gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ricordai il suo volto preoccupato, la confusione che più di una volta gli avevo letto nello sguardo. I discorsi che mi aveva fatto, su come la sua fiducia nell’Ordine degli Jedi fosse stata scossa, su come si sentiva frustrato, indeciso sulle decisioni da prendere.

Mi sentivo terribilmente stupida e in colpa. I segni che era in pericolo, che stava per cadere su una via deviata c’erano stati tutti, ma non ero riuscita a vederli. Lo avevo ascoltato, ma non ero riuscita a comprendere quali sentimenti gli agitassero il cuore, quali preoccupazioni gli affollavano la mente al punto da offuscarne completamente il giudizio. Avrei dovuto essere in grado di consigliarlo, di tranquillizzarlo. Avrei dovuto farlo riflettere con calma sul da farsi. Invece ero stata cieca, lo avevo lasciato da solo a prendere decisioni in un momento di grande agitazione, non c’ero stata quando aveva avuto più bisogno di me e lui era caduto. Non avevo capito in che grande momento di debolezza di trovasse e lo avevo lasciato alla mercé della presenza insinuatrice di Palpatine. Il Cancelliere aveva invece intuito alla perfezione quali sentimenti si scontrassero in Anakin ed era stato incredibilmente abile a sfruttarli.

Ed ora Anakin era diventato un Sith. Darth Vader, un nome che mi metteva i brividi solo a pensarlo. Un nome che purtroppo ben si associava al volto trasfigurato dalla rabbia e dall’odio che gli avevo visto l’ultima volta che ci eravamo incontrati su Neimodia. Quel viso dai lineamenti contratti, quella asprezza nella voce, quegli occhi di brace… non appartenevano all’uomo dolce e altruista che avevo sposato. Era del Sith che era divenuto il braccio armato del Cancelliere, o meglio dell’Imperatore.

Ma come aveva potuto Anakin diventare un Sith? Come aveva potuto credergli e cedere al Lato Oscuro? Per quanto fosse debole in quel momento, come aveva potuto decidere di affidarsi a lui, a un Signore dei Sith, il simbolo di tutto quello che aveva giurato di distruggere, anziché cercare aiuto da me o Obi-Wan?

Ricordai l’ultimo discorso che mi aveva fatto. Lo avevo a stento riconosciuto. Aveva parlato di conquistare l’universo insieme, si era vantato di essere divenuto tanto potente da non doversi più nascondere. Quando era diventato tanto ambizioso? Possibile che il Lato Oscuro si fosse impadronito della sua mente da deviarla a tal punto?

Della sua mente forse, ma non del suo cuore.

Mi aggrappai a quel pensiero, la convinzione che mi faceva andare avanti. Forse il Cancelliere era stato tanto bravo da manovrare la percezione della realtà di Anakin al punto da fargli credere di essere dalla parte del giusto, ma sapevo che il Lato Oscuro non avevo ancora preso il suo cuore. Anakin era buono, non aveva un’indole malvagia, sapevo quanto si prodigava per gli altri, come cercasse sempre di fare la cosa più giusta. Se Palpatine era riuscito a portarlo dalla sua parte doveva essere perché lo aveva davvero convinto di agire per il bene. Non c’erano altre spiegazioni.

Strinsi più forte i bambini, tranquillizzata dalla loro presenza silenziosa.

Chiusi gli occhi e rievocai un’immagine di Anakin che ora mi sembrava lontana anni luce. Era un’immagine di noi due a Naboo, quando ci eravamo rifugiati per sfuggire agli assassini che attentavano alla mia vita. Rividi il suo sorriso, l’eco della sua risata spensierata, e giurai che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per riavere indietro il mio Anakin.

Se stavo facendo tutto quello, se avevo messo in piedi quel primo gruppo di Ribelli con Obi-Wan, non era solo per far tornare la Repubblica. Era per far tornare Anakin da me. Non sapevo ancora come, ma lo avrei salvato da se stesso, lo avrei salvato dal suo errore riportandolo sulla giusta via, accanto a me e ai bambini.

Avremmo dovuto sconfiggere l’Imperatore e smascherare le sue menzogne, ma ce l’avremmo fatta. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto, ma ero sicura del risultato. La parte buona di Anakin era lì, andava solo riportata alla luce oltre le falsità e le melliflue parole di Palpatine.

۩

 

“Una navicella di pattuglia è stata attaccata mentre era in servizio, mio signore.”

Lo sguardo di Lord Sidius si fece pensieroso mente rifletteva sull’informazione dell’ufficiale Kanvis, il giovane trentenne che dritto in un uniforme blu aspettava paziente e intensione il permesso di andarsene. Sogghignò un poco notando quanto stare alla sua presenza mettesse quel pover’uomo in agitazione. Poteva sentire la tensione che irradiava da ogni singolo poro anche a quella distanza, per non parlare della postura eccessivamente rigida e dal modo nervoso in cui i suoi occhi saettavano nella stanza, incapaci di sostenere e ricambiare il suo sguardo. Già quando era Cancelliere la sua posizione gli permetteva di porre in una certa soggezione dovuta al rispetto i suoi sottoposti, ma da quando aveva vinto quella guerra che portava silenziosamente avanti da anni e aveva potuto rivelare la sua vera identità, quella soggezione si era tramutata in un vero e proprio terrore. E il fatto non poteva che essergli più gradito. Si crogiolava nella paura che scorgeva negli sguardi dei soldati semplici o dei rappresentanti degli altri pianeti ogni volta che gli erano davanti. Sentiva un leggero balbettio traditore nella loro voce, vedeva il tremito delle loro mani che cercavano di nascondere. Era fantastico. Il terrore che incuteva agli altri era il giusto riconoscimento per il potere che aveva acquisito.

Soltanto una persona riusciva a sostenere senza minima difficoltà il suo sguardo con occhi fermi. Solo in lui non scorgeva la minima traccia di paura. Ma dopotutto era anche l’unico nell’intera galassia ad avere lui stesso un potere altrettanto grande da non tremare dinanzi a quello di Lord Sidius. Il suo nuovo apprendista, il Sith creato dalle ceneri di quello che avrebbe potuto essere un grande Jedi, Darth Vader.

Fu lui, in piedi alla sua destra, con le braccia conserte e la schiena dritta, presenza silenziosa ma possente, a interrogare l’ufficiale.

“Dove è avvenuto?” chiese, una domanda semplice ma con il tono imperioso di un ordine.

Kanvis sobbalzò impercettibilmente sentendosi interrogare da colui che era stato soprannominato il “braccio armato” del Lord. Azzardò un’occhiata. Era la prima volta che lo vedeva dal vivo e nonostante la paura, nutriva una certa curiosità per la persona il cui nome era sulla bocca dell’intero universo. Tutti sapevano chi fosse e soprattutto chi era stato, il potente Jedi Anakin Skywalker che per anni si era battuto per la Repubblica e che improvvisamente aveva cambiato parte, diventando una figura sinistra attorno al quale aleggiavano mistero e terrore. Aveva una veste interamente nera, l’unico tocco di colore era l’argento del manico della spada laser che teneva legata alla cintura. Incrociò accidentalmente il suo sguardo, truce e penetrante. Sentii un brivido percorrergli la spina dorsale e si affrettò a rispondere, colto dall’improvviso desiderio di allontanarsi.

“Vicino alla costellazione Knish” balbettò.

“Quando è successo?”

“Due…due ore fa, signore”.

Darth Vader annuì e si rivolse al suo maestro. “Suggerisco di mandare delle navicelle a controllare i pianeti nei dintorni ma chiunque fosse dubito che sia ancora nei paraggi. A quest’ora potrebbe essere ben oltre l’Orlo Esterno”.

Lord Sidius concordò con il giovane Sith e congedò Kanvis, dandogli l’ordine di perlustrare la zona, poi mise le mani sotto il mento, sospirando. “Possibile che ci sia ancora qualcuno capace di ribellarsi? Che non abbia ancora capito che ormai la guerra è finita?” si lamentò, non comprendendo come qualcuno potesse ancora avere la sfrontatezza di mettere in dubbio la sua posizione.

Anakin avanzò di un passo. “Con tutto il rispetto, signore, finché il Maestro Yoda e il Maestro Kenobi non saranno trovati, questi focolai di ribellione non si estingueranno” osservò, duro. “Conoscendoli, staranno raggruppando tutti i Jedi sopravvissuti”.

L’Imperatore annuì e si appoggiò all’alto schienale bianco, quasi fosse stanco per il peso di quella seccatura.

“Allora sarà meglio porre la loro cattura tra le priorità assolute. Affido a te l’incarico di trovare loro e i loro alleati. Ogni Jedi rimasto è un nemico, ricordalo Darth Vader.”

Skywalker raccolse l’ordine e si inchinò con una mano sul petto per congedarsi.  

Si diresse a passo veloce verso la sala degli ufficiali, posta poco distante dalla sala di controllo dove si trovava poco prima. Appena entrò nell’ala adibita agli ufficiali in comando, lo sguardo di tutti i presenti si puntò su di lui. Percepì con chiarezza la tensione che si propagò rapida per la stanza, come se l’aria stessa sfrigolasse. Gli ufficiali si alzarono immediatamente in piedi e accennarono a un inchino.

“Cordét” chiamò. Nonostante la voce bassa, l’ordine fu udito benissimo dal quarantenne che si affrettò ad avvicinarsi a Lord Vader.

“Si, mio signore”.

Anakin percepì l’ansia dell’uomo e l’evidente atto di coraggio che gli costava rivolgersi a lui senza tremare, ma ciò lo lasciò indifferente. Era abituato agli sguardi di ammirazione o soddisfazione di senatori e politici quando in passato tornava dalle missioni per il Consiglio degli Jedi, sguardi che ripagavano la sua vanità dalle fatiche fatte, ma il terrore che scorgeva ora negli occhi di chi lo guardava gli era nuovo. Ma sapeva di esserselo meritato. Era uno sguardo che giudicava le ultime azioni che aveva compiuto, però la cosa lo lasciava indifferente. Non spettava certo a loro giudicarlo.

Semmai, spettava a un altro paio di dolci occhi castani…

Scacciò via quel pensiero prima di completarlo. Non era luogo per lasciarsi andare a certe considerazioni.

“Voglio una squadra di cloni pronta a partire all’hangar due tra un’ora. Preparate le provviste, ci aspetta una missione di ricerca” ordinò secco.

Cordét scattò sull’attenti, la mascella quadrata visibilmente tirata.

“Sarà fatto, mio signore”.

Skywalker annuì e senza aggiungere altro si allontanò dalla sala, portandosi dietro il freddo che la sua presenza innestava. Si diresse nelle sue stanze, collocate all’ultimo piano del palazzo sede del Consiglio dell’Impero Galattico. Ogni volta che attraversava i corridoi di quel palazzo non poteva fare a meno di pensare che c’era decisamente troppo bianco. Era tutto interamente bianco, non una rifinitura, non uno stipite, non un singolo mobile era di colore diverso, un bianco accecante che quasi stordiva e rendeva tutto uguale, monocorde. Fortunatamente, presto lasciò il corridoio e si rifugiò nelle sue stanze. La tappezzeria rossa e nera dell’interno e la penombra eterna in cui lasciava la stanza erano una piacevole alternativa al bianco totalizzante che regnava là fuori. Chissà poi perché era stato scelto quel colore. Il Sith non poteva fare a meno di pensare che era la tonalità che meno poteva rispecchiare chi vi abitava. Al momento, se si guardava allo specchio, l’unico colore che poteva vedersi addosso era il nero. Nero, come il Lato Oscuro da cui attingevano il loro potere. Nero, come il colore con cui aveva deciso di tingere la sua anima il giorno in cui aveva ucciso il Maestro Windu e si era votato ai Sith. Nero, come il velo che sembrava aver ricoperto tutto il suo mondo…da quando lei se ne era andata.

Attraversò l’anticamera per raggiungere il letto. Si accasciò sul bordo del materasso e stiracchiò la gamba sinistra. Il movimento gli procurò una smorfia. Si massaggiò il punto di congiunzione tra la sua gamba e l’innesto artificiale, di poco sopra il ginocchio. La perdita della gamba sinistra era il ricordo perenne che Obi-Wan gli aveva lasciato della sua ingloriosa sconfitta. Il pensiero della sua disfatta era un tasto dolente. Era stato talmente sicuro di vincere che ancora non si capacitava di come potesse aver perso e averci rimesso addirittura un arto. Ricordava gli occhi di rimprovero e rimorso del Maestro Jedi che lo guardava dall’alto, la sua boria quando aveva deciso di fare quel salto per mettersi in una posizione vantaggiosa che gli avrebbe assicurato la vittoria… e il male che aveva provato quando la spada laser dello Jedi gli aveva tranciato via di netto la gamba sinistra. Il dolore era stato immenso, tanto da farlo precipitare a terra stordito e incapace di reagire, ma ancora più grande era stato il senso di umiliazione per la sconfitta subita. Come gli aveva detto Dooku una volta, “a doppia superbia, doppia caduta”, e lui era precipitato dall’alto di un grattacielo. Se si era salvato era solo perché il tempestivo arrivo di Lord Sidius aveva indotto Obi-Wan alla fuga, impedendogli di ucciderlo.

La aggiungerò all’elenco di cose di cui devo vendicarmi.

Era un elenco che si allungava ogni giorno di più. Sapeva che non poteva attribuire tutte le cause della sua motivata rabbia al suo vecchio maestro, però nella sua mente era ormai il simbolo delle bugie che gli Jedi gli avevano intessuto attorno per anni e delle ingiustizie subite. Inoltre poteva giustamente accusarlo di averlo tenuto con il guinzaglio stretto per anni, probabilmente invidioso e timoroso del potere che scorgeva in lui. Ma l’accusa più grande che gli rivolgeva era un’altra. Gli aveva portato via Padmé.

Al solo pensiero, sentiva la rabbia pervadergli il petto, una fiammata che lo incendiava da dentro distruggendo ogni altro pensiero, ogni freno. La lampada sul comò accanto al letto iniziò a tremare e Anakin dovette fare una grande sforzo di volontà per calmarsi. Sentiva il potere della Forza scorrergli nelle vene, pompato proprio da quell’ira che gli ruggiva nel cuore. Era come se fosse pronto a esplodere e quei pensieri accendevano la miccia che già normalmente faticava a tenere spenta. 

Padmé, la sua bellissima moglie. La moglie che lo aveva guardato negli occhi allontanandosi da lui, dicendogli che non poteva più seguirlo a causa delle sue scelte, che non lo riconosceva più. La moglie che aveva condotto Obi-Wan da lui e poi era stata capace di accusarlo di avergli spezzato il cuore!

Come poteva aver osato dirgli una cosa del genere, quando era stata lei a fare a pezzi il suo? Tutto quello che aveva fatto da che la conosceva era stato proteggerla e amarla, era per lei che aveva intrapreso quella strada, che era andato contro gli Jedi! E mentre lui aveva messo in gioco la sua vita e tutto ciò in cui aveva creduto, Padmé lo aveva tradito e si era allontanata da lui.

Era un dolore insopportabile, alienante. Si rendeva conto che non riusciva a pensare ad altro che alla sua mancanza notte e giorno. Si, perché nonostante il tradimento, nonostante ciò che gli aveva detto, lui l’amava ancora. L’aveva sempre amata, da quando era apparsa simile ad un angelo nella sua piccola casa a Tatooine, e l’avrebbe amata per sempre, incurante di qualsiasi cosa lei potesse fare.

Ecco perché la sua priorità assoluta, nonostante ciò che aveva ordinato l’Imperatore, era di ritrovarla. Era certo che Obi-Wan la tenesse nascosta da qualche parte, ma lui l’avrebbe trovata anche nei confini più remoti della Galassia, avesse dovuto setacciare i pianeti uno ad uno! Sperava solo che lo Jedi non le riempisse la testa di false insinuazioni su di lui nel frattempo. Una volta ritrovata, le avrebbe spiegato con calma i motivi che c’erano dietro le sue scelte ed era certo che lei lo avrebbe capito e lo avrebbe appoggiato. Avrebbe compreso che tutto ciò che aveva fatto era stato per assicurarsi la sua salvezza e per vivere finalmente alla luce del sole, senza più il timore di essere scoperti; che era più che giusto che lui, dopo tutti quegli anni passati nell’ombra degli altri, ottenesse le giuste ricompense per la sua bravura e che vedesse realizzate le sue ambizioni.

Dopotutto, avevano superato ogni sfida che il destino gli aveva posto davanti fino ad ora, avrebbero superato anche questa.

Prese un profondo respiro e si avvicinò all’armadio incassato dentro il muro. Aperta la porta metallica, prese un borsone dal fondo dell’armadio e iniziò a mettere dentro l’essenziale per la missione che lo attendeva. Puntando la concentrazione su ciò che stava facendo, cercò di alienarsi dai suoi stessi pensieri, dalle sue emozioni. Gli era quasi impossibile, ma era l’unico modo per mantenere la compostezza e la fermezza di cui aveva bisogno ora. L’unico modo per tenere a bada quella rabbia che esigeva di essere sfogata. Non era ancora il momento. Quando avrebbe trovato Obi-Wan, avrebbe finalmente avuto la vendetta che agognava. E trovato lui, era certo che avrebbe trovato anche la sua Padmé.

   
 
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