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Autore: beagle26    12/09/2014    8 recensioni
Elena: occhi sinceri, energia positiva e un’osservatrice acuta. Ha un passato complicato che ha cercato di affrontare e elaborare a modo suo.
Damon: esuberante, spiritoso, e' cresciuto all'ombra del fratello minore, più remissivo, ma in fondo non gli ha mai invidiato niente... Eccetto Elena.
Elena saprà leggere negli occhi di Damon ma avrà paura di guardarli troppo a fondo.
Damon si avvicinerà a lei, ma questo comporterà un confronto con sé stesso che forse non è pronto ad affrontare.
Due anime solitarie per motivi diversi, attratte una verso l'altra da un'intesa profonda che se da una parte li unisce, dall'altra li porta a respingersi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 16 – A RUSH OF BLOOD TO THE HEAD
 
I should know who I am by now
I walk, the record stands somehow
Thinking of winter
Your name is the splinter inside me while I wait…
The walk has all been cleared by now
Your voice is all I hear somehow
Calling out winter
Your voice is the splinter inside me while I wait…
And I don't have to stay this way
If only I would wake
I could've lost myself in rough blue waters in your eyes
And I miss you still
***
Ormai dovrei sapere chi sono
Cammino, il ricordo rimane in qualche modo
Pensando all'inverno
Il tuo nome è la scheggia dentro di me mentre aspetto…
Il sentiero è stato cancellato ormai
La tua voce è tutto quello che sento in qualche modo
Chiamando l'inverno
La tua voce è la scheggia dentro di me mentre aspetto…
E non devo stare in questo modo
Se solo mi svegliassi
Potrei aver perso me stessa nelle grezze acque blu dei tuoi occhi
E tuttavia mi manchi
 
Winter – Joshua Radin
 
 
“…dovresti sentirtelo dire…”
 
Damon
 
“Stagli alla larga, siamo intesi?”
 
Dopo aver chiuso per l’ultima volta le ante dell’armadio ormai vuoto, rivolgo l’attenzione a Stefan per assicurarmi che abbia ben assimilato le mie parole.
Gli ho appena raccontato a grandi linee del mio recente scambio di opinioni con Klaus, incluse le minacce non troppo velate nei suoi confronti, ma lui sembra non curarsene affatto.
È seduto sul mio letto, le mani poggiate sulle ginocchia, gli occhi vuoti incollati alla moquette da minuti che sembrano scorrere più lentamente del solito.
Un silenzio ingombrante è scivolato tra noi fin dal momento in cui è entrato in questa stanza, sorprendendomi a riempire un borsone con le poche cose che mi appartengono.
 
Può sembrare una fuga e forse lo è davvero.
Tolgo il disturbo, come avrei dovuto fare già da molto tempo, perché se stare qui dentro per me non è mai stato semplice con mio padre e tutto il resto, adesso è diventato impossibile.
Per dire la verità non mi sento a mio agio in nessun posto, ma per ora ho accettato l’offerta di Ric, che mi ha messo a disposizione una piccola mansarda sopra al locale dove potrò restare “Fino a che non si sistemeranno le cose.”
 
Una prospettiva che sembra sempre troppo distante.
 
La verità è che voglio per lo meno provare a cercarmi un altrove, un modo per ricominciare daccapo per quanto possibile.
Afferro un paio di magliette appoggiate sul copriletto a quadri, proprio a fianco a mio fratello, le lancio sopra al mucchio scuro dei miei vestiti, chiudo la zip.
 
“Fai sul serio. Te ne vai.”
 
I suoi occhi si sollevano nei miei, ma non sembrano in cerca di una risposta.
Me lo dicono le sue labbra, contratte in un’espressione amara e le sue dita che affondano un po’ più forte nel tessuto ruvido dei jeans.
 
“Non ha niente a che vedere con te, Stef.” lo rassicuro.
 
Perché lo conosco e so che è schiacciato dal senso di colpa per ciò che è successo ad Elena.
Ma sono io che mi sento soffocare se lo guardo, pensando a dove ci ha portati la nostra mancanza di sincerità, tutti i vuoti che hanno riempito i nostri silenzi e le bugie che ci siamo raccontati fino ad arrivare a questo punto.
Sarebbe così facile per me urlargli contro un disprezzo che di certo non merita, incolparlo di tutto e annientarlo prima a parole e poi con i fatti.
Forse ho desiderato farlo davvero, la prima volta che l’ho visto guardare il corpo incosciente di Elena su quel letto, al di là del vetro.
Ma la verità è che alla fine dei conti non credo mi farebbe stare meglio, né sarebbe giusto.
Prima di tutto perché quello che è successo non dipende da Stefan.
E poi per lei. Per essere migliore per lei. Per non fare niente che possa offenderla, ferirla o dimostrare ancora una volta a me stesso che starebbe molto meglio senza di me.
Non me ne è mai fregato niente, prima. Ma poi… la vita è così strana.
Ti porta regali inaspettati e te li toglie quando ormai è troppo tardi.
 
Per me ora è troppo tardi.
Niente sarà più come prima e io non posso più stare qui.
 
Non posso guardare mio fratello che sta male per Elena, non posso incrociarlo in giro per casa sapendo che nonostante tutto lui sa tutto di me, che può leggermi dentro e scoprirmi debole e disperato.
Non posso urlargli contro tutta la mia fottuta angoscia come ho fatto ieri con Ric, quando gli ho detto che non credo di essere in grado di andare avanti senza di lei.
Non posso perché, nel mio modo assurdo e distorto, a Stefan devo rispetto.
Non posso perché se ci fosse lui al posto di Elena, su quel maledetto letto d’ospedale, mi sentirei esattamente come mi sento adesso. Senza via d’uscita.
 
Perché sono passati due giorni ma Elena non è tornata.
Non per sua madre, che non l’ha mai abbandonata, né per Caroline che ha passato ore a raccontarle gli ultimi gossip di Berkeley e pettinarle i capelli, sforzandosi di ridere mentre le lacrime le gonfiavano gli occhi.
E non è tornata nemmeno per me.
 
Ieri sera la guardavo.
Era immobile, immersa nel bianco delle lenzuola e nel buio che non si decide a restituirmela.
I lividi che le coprivano il viso hanno iniziato a schiarirsi e vista così, nella penombra, sembrava stesse semplicemente dormendo. Le ho parlato sottovoce, per non spaventarla.
 
“Apri gli occhi Elena. Dimostrami che stai fingendo, che mi stai prendendo in giro come tutte le volte.”
 
Ho accarezzato la pelle tiepida della sua guancia con la punta delle dita.
 
“Sei sempre bellissima.”
 
Non so neanche io perché ma per un attimo mi sono tornati in mente altri momenti della mia vita, altre donne che ho sfiorato pensando a quanto fossero belle e quanto poco contassero per me.
 
Lo sai, dovresti proprio svegliarti Elena. Vorrei dirti qualcosa, qualcosa che non ho mai detto. Ma non sarò così egoista da farlo senza che tu possa rispondermi per le rime. Ho bisogno di dirtelo guardandoti negli occhi e tu dovresti sentirtelo dire. Quindi cosa ne pensi di darti una mossa?”
 
L’ho sfidata. Così, stupidamente. Volevo mi dimostrasse ancora una volta la sua cocciutaggine, che aprisse gli occhi e mi dicesse “Andiamo Damon, dì quello che devi dire e falla finita!”
 
L’ho aspettata a lungo, mentre la pallida luce al neon proveniente dal corridoio riempiva di ombre e riflessi il suo viso perfettamente immobile.
Il dolore è diventato assoluto, un senso di mancanza troppo intenso per poterlo sopportare.
Non saprei dire quanto tempo fosse passato quando poi mi sono deciso ad alzarmi.
Sulla porta mi sono girato ancora verso di lei.
Alla fine sono tornato qui, cedendo il posto a John.
 
 
“Non sentirai la mia mancanza Stef, verrò qui tutti i giorni. Sai, per nostra madre e… tu puoi venire da me, se… se hai bisogno. Cerca di fare come ti ho detto con Klaus siamo intesi?”
 
Gli faccio la raccomandazione con un tono fintamente severo, puntandogli un dito contro come quando eravamo bambini. Solo che allora lui mi stava addirittura a sentire. Bei tempi, quelli.
 
“Lascia perdere Klaus. Non può fare niente. Piuttosto… volevo dirti che…”
 
Distoglie lo sguardo, ancora una volta. Lo conosco così bene che riesco quasi a percepire la sua lotta interiore. Lo so che vuole dirmi qualcosa e so anche che questo gli sta costando parecchia fatica, così come per me non è del tutto semplice ascoltarlo.
 
“Damon, io e te abbiamo passato molti brutti momenti, specie ultimamente e soprattutto per quello che è successo con Elena.”
 
“Oh beh… non ha più molta importanza.” lo interrompo, sollevando le spalle con fare indifferente. Sembra tutto così lontano, così assurdo e così stupido.
 
“Ne ha invece. Perché vorrei che tu sapessi…”
 
Le sue parole rimangono lì, sospese a mezz’aria fra di noi.
So che è venuto il momento di venirgli in aiuto.
 
“Lo so.”
 
Forse è poco.
Forse dovrei dire qualcos’altro, qualcosa di meglio o di più, ma in fondo lo so che basta così.
Che io e Stefan non abbiamo mai avuto bisogno di grandi discorsi per capirci.
Il cellulare mi vibra in tasca. Lo prendo più in fretta che posso e quando vedo il nome di Caroline sul display, come succede spesso negli ultimi giorni, non so cosa pensare.
Può voler dire tutto o niente, precipitare o ricominciare a vivere.
 
“Barbie…”
 
“Damon...Elena si è svegliata.”
 
 
Elena
 
La prima cosa che ricordo è una luce che mi colpisce il viso, forse un raggio di sole.
Poi un suono fastidioso e ripetuto nelle orecchie, l’agghiacciante consapevolezza dell’impossibilità di muovermi, la fatica per aprire anche di poco gli occhi.
E infine il volto di mia madre, le sue lacrime, la felicità più pura che si è trasformata in ansia quando ha notato i miei occhi terrorizzati dal non sapere dove mi trovassi e perché.
Allora si è accoccolata accanto a me, spiegandomi all’orecchio tutto quello che è successo. L’incidente, il suv, i soccorsi.
Piano piano ho ricordato tutto e allora anche io ho avuto voglia di piangere, abbracciarla e abbandonarmi a lei, alle sue carezze. Essere fragile, indifesa tra le sue braccia, figlia, come non mi sentivo da troppo tempo.
 
Poi i medici l’hanno portata via, sono iniziati i controlli, le domande per capire come sono, quanto del mio cervello si è salvato e quanto è rimasto incastrato tra i rottami della mia macchina.
Ho dovuto rispondere a mille quesiti uguali: come ti chiami, quando sei nata, in che mese siamo. Eppure pare che io sia estremamente fortunata. Che vada tutto bene, come prima.
È come se fossi entrata in una parentesi lunga troppe ore, nella quale ho semplicemente smesso di vivere la mia vita per un po’ per rinascere oggi.
In mezzo è tutto buio, un vuoto totale e anestetizzante che si è portato via i ricordi di questi due terribili giorni.
Eccetto uno. Tre parole che hanno sfidato l’incoscienza e mi si sono impigliate dentro.
Sono lì e mi martellano i pensieri, quasi come un sogno che fatica a svanire per lasciar spazio alla realtà.
 
Caroline entra dalla porta, l’hanno lasciata passare.
La guardo di sotto in su. Gli occhi cerchiati di scuro, la pelle arrossata e la maglia sgualcita, assolutamente non da lei.
Sembra volersi piegare istintivamente su di me per toccarmi, ma poi si trattiene come se fosse bloccata da una sorta di elastico invisibile.
 
“Elena. Quanto vorrei abbracciarti! Subito dopo averti schiaffeggiata, ovviamente. Quante volte te l’ho detto di andar piano quando guidi!” esclama, ridendo e piangendo insieme, facendomi sentire subito a casa.
 
“Sono messa così male?” chiedo con un filo di voce, un po’ preoccupata dal suo modo di guardarmi.
In effetti non ho idea di quale sia il mio aspetto. So soltanto che a quanto pare ho un braccio rotto, che sono parecchio indolenzita e che al momento ho una specie di martello pneumatico nella testa. Una testa piuttosto dura a dire la verità, dato che sembra io abbia sfondato un parabrezza senza scalfirmi più di tanto.
 
“Non hai niente che un buon fondotinta non possa rimediare,” risponde, facendomi l’occhiolino  “anzi, a casa dovrei avene uno bello pesante che ho comprato per un terribile sfogo di acne… te lo presto, ma giura che non dirai a nessuno che sono stata io a dartelo.”
 
Poi ride, ed io con lei. Piano, con la paura di spaccare qualcos’altro nella mia faccia già piuttosto rovinata. Quando torno a guardarla sta piangendo di nuovo.
 
“Oh, Elena. Scusami è che mi hai fatto prendere così tanta paura.”
 
“Va tutto bene adesso. Sono qui.”
 
Mi prende la mano, sorride fra le lacrime. Mi scopro a pensare che il suo è un sorriso splendido, di quelli che scaldano dentro.
È così bello vederlo. È bello poterlo vedere.
Improvvisamente ho voglia di un pomeriggio spensierato insieme a lei, di abbracciarla, dirle che le voglio bene e farmi stordire dalle sue chiacchiere fino a rimpiangere il coma.
Ci sono cose che sai già, ma che riconosci davvero solo quando scopri di averle perse o dimenticate in qualche angolo della memoria.
 
“Care… dov’è Damon?” chiedo. Suona quasi come una supplica.
 
E forse sono ridicola, ma non riesco a nascondere questa mia fragilità, questo bisogno di vederlo che è rimasto uguale, intatto. Il desiderio di sapere che lui sta bene è l’unica cosa che è resistita, come un frammento incastrato nel cuore. Ha attraversato il buio e la mia incoscienza ed è ancora qui, con la stessa urgenza che mi ha mossa fino ad un secondo prima dell’incidente.
Cosa sarà successo mentre dormivo?
Ci penso da questa mattina. Penso a Damon e stupidamente, proprio come una ragazzina idiota, immagino che anche lui stia facendo lo stesso. Allora perché non è qui, con me?
La mia amica mi rivolge uno sguardo tenero e indulgente che scioglie in un istante il nodo che mi serra la  gola e, ancora una volta, mi fa pizzicare gli occhi.
 
“Arriverà fra poco. Non preoccuparti. Nel frattempo, c’è una persona che vorrebbe incontrarti Elena.”
 
 
Damon
 
Ho mandato avanti Stefan.
L’ho fatto perché mi serviva un momento con me stesso, uno di quelli che non sono ancora in grado di spartire con lui, forse perché faccio fatica a condividerlo perfino con me stesso.
Un momento per portarmi una mano al petto, per respirare di nuovo, mentre mille sentimenti fuori controllo mi si mescolano nello stomaco.
È come se qualcosa, quel qualcosa che mi soffocava, stesse scivolando via liberandomi da dentro.
Non so spiegarlo, ma ha il sapore di un ritorno alla vita.
Un’altra cosa che non so è quello che riuscirò a dirle.
Forse semplicemente andrò lì e mi incazzerò con lei per quanto è stata imprudente.
Forse improvviserò, lasciandomi invadere piano piano dalla sensazione dei suoi occhi addosso, nel sentire la sua voce che mi parla.
So solo che è tornata e tutto il resto si è appannato.
Che potrà avere di nuovo tutto quello che desidero per lei, indipendentemente da me. Nonostante me. Che solo questo importa, in fin dei conti.
 
Alzo gli occhi al cielo per un attimo.
A quanto pare qualcuno lassù ha ascoltato le mie preghiere ipocrite, quelle che saltano fuori solo nei momenti in cui si ha davvero bisogno di aggrapparsi a qualcosa, anche a quello in cui si è smesso di credere da un po’.
 
“Beh, grazie. Chiunque tu sia, sono in debito.” dico ad alta voce, accompagnando le parole con un’alzata di spalle.
 
Prendo il borsone, mi chiudo la porta dietro le spalle.
Scendo i gradini due per volta, ma quando spalanco il portone d’ingresso con la fretta dell’impazienza, mi trovo davanti l’ennesimo imprevisto.
 
Il contrattempo in questione è una bella donna, bionda, sulla quarantina.
Non esattamente il mio tipo, devo dire, comunque la conosco piuttosto bene.
Abbastanza da rivolgerle un sorriso storto e strafottente e ottenere in cambio un suo sbuffo spazientito.
 
“Sceriffo.”
 
“Damon. Come va?”
 
“Qual buon vento?”
 
“Non mi fai entrare?”
 
“Veramente vado di fretta.”
 
“Beh, qualunque sia il motivo dovrai aspettare. Sei nei guai, un’altra volta.”
 
 
Mezz’ora dopo siamo ancora in salotto, io con un bicchiere in mano che ho svuotato già troppe volte, lei con un’espressione dispiaciuta ma pur sempre severa, le mani intrecciate l’una nell’altra che non fanno che tormentarsi.
Cammino in su e in giù per la stanza. Apro una finestra per far passare l’aria.
Mi sembra che tutto sia tornato, di nuovo, fottutamente soffocante.
 
“Quando imparerai a non immischiarti più con quella famiglia?” mi rimprovera lei, con quel suo piglio da mamma chioccia che ogni tanto salta fuori prendendo il sopravvento sulla divisa.
 
“Non ho fatto niente Liz,” sbotto “come te lo devo dire? Ok, abbiamo avuto un… diverbio, chiamiamolo così. E si, avrei voluto farlo, ma non l’ho toccato. Se mi vedesse oggi, l’assistente sociale di Oakland stapperebbe una bottiglia di champagne e si sentirebbe così realizzata da chiedere il pensionamento anticipato. Devi credermi. Sai, per una volta ho provato ad essere migliore per… beh, lascia perdere.”
 
A che servirebbe spiegarle come è andata? La mia parola contro quella dei Mikaelson non è mai valsa più di tanto. Mi riempio un’altra volta il bicchiere per svuotarlo un secondo dopo.
Quando ho detto di essere in debito non immaginavo di dover espiare così in fretta, ma a quanto pare il karma si sta prendendo gioco di me. Un’altra cazzo di volta.
 
“Io ti credo Damon, ma Klaus sostiene che lo hai aggredito e minacciato. Si è presentato con tanto di certificato medico…”
 
“…falso.”
 
“Sarà anche falso, ma i lividi che aveva in faccia sembravano proprio veri.”
 
Liz alza la voce di un tono. So che sta dalla mia parte, ma ce l’ha con me perché si era fatta promettere che non mi sarei più messo nei casini. Doveva aspettarselo. Dopotutto, rovinarmi con le mie mani è sempre stato il mio sport preferito. Anche se stavolta non c’entro.
 
“Se li sarà fatti fare da uno dei suoi, quei bestioni che si porta in giro… lo sai com’è. Vuole farmela pagare, in più, come se non bastasse, ha un conto in sospeso con mio fratello.”
 
“Certo che lo so. E credimi, vorrei difenderti. Ma visti i tuoi precedenti credo di non poter fare niente questa volta e… nemmeno tuo padre.”
 
Quelle parole mi infastidiscono. Quasi quasi mi pento di non essere andato fino in fondo e non aver sfogato la mia frustrazione con Klaus. Inspiro, butto fuori un po’ d’aria dai polmoni e cerco di ragionare razionalmente. Ok, sono nei casini, di nuovo.
Troverò un modo per cavarmela, ma adesso le mie priorità sono altre.
 
“Ok. Ok. Si fotta anche Klaus. Mandami a casa il verbale Liz, vedrò come uscirne fuori. Se non ti dispiace adesso ho un impegno piuttosto importante che…”
 
La vedo scuotere la testa, sconsolata. Mi punta contro uno sguardo fin troppo grave, in fondo al quale mi sembra di scorgere un “mi dispiace” silenzioso.
Quella che sta per arrivare sembra qualcosa di più di una ramanzina. Qualcosa di peggio.
 
“Non è così che andrà, Damon. Devi venire con me… Klaus ti ha denunciato, sono costretta a chiederti di seguirmi. Devo farti delle domande e, insomma lo sai come funziona.”
 
 
Elena
 
“Dovevo schiantarmi contro un guardrail perché tu mi sorridessi ancora così.”
 
Stefan abbassa lo sguardo, come per schivare il mio, puntandolo sulle mani che continua a sfregarsi insistentemente sui jeans. Le sue labbra rimangono piegate all’insù in un’espressione dolce e serena che mi scioglie il cuore.
Voglio vederlo così e non lasciargli modo di umiliarsi ancora, dicendogli quanto gli dispiace e quanto si senta in colpa.
 
“Non è una critica Stefan. Sto così male per quello che è successo.” mi affretto a specificare, ora che ne ho l’opportunità. La mia voce è poco più di un bisbiglio sommesso.
 
“Invece hai ragione. Probabilmente se non fosse per… beh, lo sai. Non sarei qui Elena. Starei odiando te e mio fratello. E poi forse, fra un bel po’ di tempo, mi sarei svegliato accorgendomi di aver buttato via gli anni migliori della mia vita disprezzandovi.” considera lui, sollevando le ciglia per inchiodarmi nuovamente con uno sguardo che sento penetrarmi fin dentro le ossa, mentre, in preda all’imbarazzo, le mie guance si accendono poco a poco.
 
C’è qualcosa che voglio lui sappia. Qualcosa che non ho avuto il tempo – o il coraggio – di dirgli nel nostro ultimo, disastroso, scambio di opinioni. Qualcosa che è rimasto incastrato nella gola per troppo tempo e adesso preme per uscire.
 
“Lo so che può sembrare assurdo Stefan. Ma ti assicuro che ti voglio bene, e posso giurarti che anche Damon te ne vuole. E c’è di più. Io sono stata l’egoista fra i due. Io l’ho legato a me, forse senza volerlo consapevolmente, ma l’ho fatto. Sempre, da sempre. Anche quando pensavo che non fosse così.” gli dico, il tono incerto che diventa più sicuro poco a poco al pensiero di come Damon sia stato in grado di infiammarmi il cuore perfino quando non mi accorgevo – o non volevo accorgermi – che stesse accadendo.
 
Lui scuote la testa.
 
“Possiamo andare avanti quanto vuoi con questo discorso, ma sai che c’è? Ho capito qualcosa.
È vero, avrei dovuto prendermela con te e non solo con lui ma non ci sono riuscito. Perché io ti ho amata e forse ti amo ancora. E noi potevamo avere molto, moltissimo insieme. Ma tu e Damon potete avere di più. Tu lo ami di più. Lui non può fare a meno di te Elena, e per te è la stessa cosa. Ammetterlo è liberatorio, in un certo senso.”
 
Il modo pacato con cui pronuncia queste frasi, una dopo l’altra, mi ferisce e mi cura allo stesso tempo. Sento due lacrime pesanti rotolarmi sulle guance.
 
“Mi dispiace.” sussurro, un secondo prima che lui prenda la mia mano fra le sue.
 
“Dovresti riposare adesso.” sospira. Lo vedo esitare un attimo prima di andarsene, come se avesse ancora qualcosa da dire. Quando esce il cuore ricomincia a battere irregolare e un senso di irrequietezza si fa strada dentro di me, mi fa mancare il fiato e mi costringe a voltarmi per l’ennesima volta in direzione della finestra, con la stessa domanda a tormentarmi il cuore.
 
 
Damon
 
Quando riesco a raggiungere l’ospedale si è ormai fatto buio.
Non so cosa ho detto per convincere Liz, so solo che sono riuscito a strapparle i dieci minuti di cui ho bisogno.
A quanto pare questo è il massimo potere decisionale che mi resta sulla mia vita e sul mio futuro. A quanto pare sono ingiustificabile, indifendibile.
Mi sento del tutto incapace di fare passi avanti, di scrollarmi di dosso il peso di quella scia di sbagli del passato di cui non riesco a liberarmi, che continua a ricacciarmi indietro, verso un destino che ero convinto di potermi lasciare alle spalle.
Forse tutto questo mi sta succedendo perché, in fondo, non mi sono mai pentito veramente di quello che è successo e se tornassi indietro rifarei ogni cosa.
Perché la mia natura è questa, io sono così e probabilmente dovrò pagarne il prezzo.
Il mio futuro nel migliore dei casi è tra le mura di uno squallido ospedale psichiatrico di Oakland a fare da balia a quattro tizi messi peggio di me.
Stavolta potrebbe addirittura andarmi peggio.
 
In una circostanza normale, il senso di frustrazione sarebbe così forte da far scomparire il resto. Eppure in questo momento non mi importa niente, di niente.
Riesco solo a focalizzarmi su Elena, e quell’ondata che mi attraversa quando sono con lei si porta via tutto il resto. Ne ho bisogno ancora, una volta soltanto.
Ho bisogno che lei sappia che l’ho sempre aspettata e che l’aspetterei per sempre.
 
In sala d’attesa mi accorgo di Stefan e Caroline che parlano sommessamente davanti alla macchina del caffè.
Allungo il passo affondando un po’ di più nel bavero della giacca. Lo so che è sbagliato, ancora, ma in questo momento non sono in grado di affrontare nuove spiegazioni. Ci sarà tempo per quelle. Ora come ora ogni secondo è importante.
 
Quando entro nella stanza di Elena, lei è lì, come l’avevo lasciata.
Il viso è in penombra, non so dire se stia dormendo. Fino a che una voce piccola e terribilmente debole rompe gli indugi.
 
“Ti stavo aspettando. Temevo non venissi più.”
 
Faccio un passo verso di lei, una sagoma pallida e esile fra le lenzuola.
Ma vedere le sue labbra che accennano un sorriso e i suoi occhi, di nuovo vivi, rubare i riflessi della luce al neon che entra debole dal corridoio, è così bello da farmi male al cuore.
 
Ho la testa piena di gesti smisurati, ma non mi viene in mente niente di meglio da dire di un come ti senti, mezzo biascicato per via di quella strana emozione che mi si arrampica dentro fino a riempire la gola.
 
“Come se fossi passata sotto un treno.”
 
“Esagerata. Era solo un suv.”
 
Le rivolgo un sorriso ammiccante che si specchia in una sua risatina sommessa.
Perfino quel gesto sembra costarle troppa fatica.
Mi avvicino al suo letto sedendomi sul bordo con cautela.
È così fragile che temo di romperla avvicinandomi troppo.
Ma poi lei abbassa lo sguardo, corrucciando le labbra in un’espressione timida e dannatamente adorabile.
 
“Mi sei mancato. Anche se, in un certo senso, ero un po’ imbarazzata all’idea che tu mi vedessi… così.”
 
E allora non posso fare a meno di abbassarmi su di lei, sfiorarle le labbra con le mie come se fosse di cristallo, per dirle che è meravigliosa sempre, che la sceglierei sempre fra un miliardo di altre. Così come l’ho scelta il primo giorno che l’ho vista.
L’immagine dell’Elena di allora, così spensierata, si sovrappone a quella che mi guarda adesso con gli occhi gonfi di lacrime, ferendomi dannatamente, più di quanto sia in grado di sopportare.
 
Inspiro il suo profumo, ancora persistente nonostante l’odore acre dei medicinali tenti di coprirlo.
Appoggio le labbra delicatamente lungo la piega della sua guancia, sfiorandole delicatamente l’altra col pollice. Mi riapproprio di lei, della sua consistenza così nuova, così familiare.
Cerco di immagazzinare tutto ciò che riesco e, nel frattempo, di raccogliere la forza per dirle quello vorrei. Che dovrei. Dannazione diventa ogni secondo più difficile.
 
“Dovresti sentirtelo dire…”
 
Quelle parole mi arrivano prima all’orecchio. Poi, lentamente, anche la mente riesce a farle proprie e analizzarle. Mi sollevo di qualche centimetro per poterla guardare negli occhi.
Elena continua, sollevando una mano sottile fino a portarla delicatamente fra i miei capelli, alla base del collo.
 
“Non so se sia stato un sogno… ma da quando mi sono svegliata ho questa frase in testa. È l’unica cosa che ricordo dopo… beh sai. Dopo l’incidente.”
 
Il sangue mi scorre nelle vene a una velocità imbarazzante, cancella qualsiasi pensiero coerente per lasciar spazio a qualcos’altro. E forse è proprio questa la felicità.
 
“Allora era vero che fingevi.” le bisbiglio sulle labbra.
 
Non riesco a fare a meno di sorridere, adesso, nonostante tutto.
I suoi occhi, quasi neri per via della penombra, sono attraversati da una scintilla piena di luce.
Sembrano in cerca di una risposta.
 
“Fallo adesso Damon. Parlami. Cos’è che dovrei sentirmi dire?”
 
 
…And stand here beside me baby,
watch the orange glow.
Someone laughed, some
just sit and cry.
She just sit down there and you wonder why.
 
So I'm gonna buy a gun and start a war,
if you can tell me something worth fighting for.
and I'm gonna buy this place is what i said.
Blame it upon a rush of blood to the head, up to the head.
 
Honey, all the movements have started to make,
see me crumble and fall on my face,
And I know the mistakes that i've made,
See it all disappear without trace.
And they call us, they beckon you on,
they say start as you need to go on.
***
…Resta qui accanto a me
E osserva il bagliore arancione
Qualcuno riderà e qualcun altro
Se ne starà seduto a piangere
Ma tu te ne stai seduta lì e ti chiedi il perché.
 
E allora comprerò una pistola e darò il via a una guerra
Se puoi dirmi qualcosa per cui vale la pena combattere
Sì, comprerò questo posto è quello che ho detto
Dai la colpa a un flusso di sangue alla testa
 
Tesoro, tutti i movimenti che hai iniziato a fare
Mi guardano mentre mi sbriciolo e cado sulla mia stessa faccia
Conosco gli sbagli che ho fatto
Li guardo sparire senza lasciare traccia
E mi chiamano come se mi stessero salutando
E incominciano a farlo
Non appena inizi ad andare avanti
 
A Rush Of Blood To The Head – Coldplay
 
**********
Ragazze!
Sono come al solito in ritardo.
Tante idee confuse scribacchiate qua e là per non dimenticarle, poco tempo per metterle su carta come volevo… purtroppo invece di scrivere mi è toccato lavorare! Ora ho anche il corso per panzone eh, mica pizza e fichi!! ;P
E poi, non lo nego, un po’ di ansia. Più che altro paura. Si, paura di deludere le vostre aspettative dopo il capitolo precedente, che molte di voi mi hanno detto essere il preferito della storia!! Non me lo aspettavo.
Non mi sto lamentando, anzi! Il vostro affetto e le vostre parole mi hanno riempita di gioia e di voglia di continuare al meglio delle mie possibilità questa storia.
Quindi tanti cuoricini e amore per voi <3 <3 <3 grazie ragazze.
Passiamo a questo capitolo. Siete contente che Elena sta meglio? Il resto è un po’ un disastro come sempre.
Non so se voi fate mai caso ai miei suggerimenti musicali (non che siate obbligate, anzi!!) ma se si, la canzone iniziale ci sta bene vero? L’ho scelta perché mi sembrava una metafora della situazione di Elena e poi perché il tema dell’attesa è diventato ricorrente in questa storia e fra questi due personaggi. In realtà non conosco per niente questo autore, ma ricordavo di averla sentita in un episodio cruciale di Shameless che è un altro telefilm per cui stravedo. Qualcuna di voi lo guarda??? Potrei amarvi per questo.
Come sempre rischio di diventare logorroica, perciò scompaio prima di annoiarvi ancora!
Un bacio grande.
Chiara
 
PS
Il prossimo capitolo… so già che farò fatica a scriverlo quindi vogliatemi bene e aspettatemi.
  
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