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Autore: GabrielleWinchester    12/09/2014    12 recensioni
Secondo il linguaggio dei fiori, i chiodi di garofano significherebbero "Ti ho amato/a a tua insaputa". Ginevra è una donna di trentaquattro anni, madre di una bambina di nove anni, la quale un giorno riceve una notizia che le farà rimembrare i bei ricordi passati con l'unico uomo che lei abbia mai amato.
Un amore che ha interrotto sul nascere.
Buona lettura.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Buonasera a tutti,
ecco a voi "Chiodi di Garofano", la storia di Ginevra, una donna di trentaquattro anni, madre di una bambina di nove anni, la quale riceve la notizia che le cambierà la giornata, facendole rimembrare i bei momenti passati insieme alla persona che lei ha tanto amato, un amore che lei ha interrotto sul nascere. Ma non vi anticipo nulla. Sono stata ispirata dal significato che hanno i chiodi di garofano nel linguaggio dei fiori, "Ti ho amato a tua insaputa", un significato che sento profondamente mio. Questa storia è puramente di fantasia e ogni riferimento a persone reali è puramente casuale. Mi auguro che vi piaccia e vi emozioni e mi scuso per eventuali errori presenti all'interno del racconto. All'interno del testo c'è una strofa tratta dalla canzone "Hate it when you see me cry" degli Halestorm. Ringrazio tutti coloro che la leggono e la leggeranno, tutti coloro che la recensiscono e la recensiranno, tutti coloro che mettono e metteranno le mie storie nelle seguite, ricordate, preferite e da recensire e tutti coloro che mi hanno messo e mi metteranno come propria autrice preferita :-) Gabrielle :-)

Ps: Dainéil è Daniele nei nomi irlandesi maschili :-)
 
Chiodi di Garofano

Dicono che perdere una persona sia paragonabile a una stilettata al cuore.
Io non credo.
Credo solo che sia peggiore. Il dolore è paragonabile a un sole che si spegne lentamente e l’oblio comincia a cancellare ricordi che sembrano indelebili.
Ho pensato a questo, quando ho sentito la telefonata.
Era una giornata come tutte le altre, alla radio trasmettevano “Hero” di Nickelback, sul divano c’era un abito nero, quello che, di norma, utilizzavo per i colloqui di lavoro. Abbassai la cerniera e incominciai a mettermelo, lottando per gli ultimi centimetri della cerniera, quando il mio cellulare squillò sulle note di “Fire and Fury” degli Skillet. Fui sorpresa dal fatto che mi stessero chiamando a quell’ora, erano da poco passate le sette e mezza, e dopo schiacciai il tasto verde.
“Pronto?”
“Ciao Ginevra”
Sobbalzai alla sua voce. Era Dainéil, il barista di un pub irlandese, colui che mi aveva fatto conoscere la persona che mi avrebbe conquistato definitivamente il cuore. Anche quando mi ero allontanata.
“Ciao Dan. Tutto bene?”
Per un po’ lui non parlò ed io fui certa che stesse recuperando il coraggio di dirmi quello che io avevo paura di sentirmi dire. Mentre aspettavo che lui parlasse, io gironzolai per la stanza alla ricerca di un fazzoletto. Gli occhi mi si erano riempiti di lacrime, senza un motivo apparente, quasi come se la mia anima avesse captato l’amaro sentore della morte.
Le mie sensazioni furono confermate.
“Lui è morto”
Lo disse di getto, sperando che così avrei incassato il colpo. Allontanai il cellulare di scatto da me, mi imposi di calmarmi e domandai “Quando?”
“Ieri mattina, verso le cinque e un quarto. Se ne è andato sorridendo, il suo ultimo sorriso lo ha riservato a te”
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Sprofondai sul divano, l’aria nei polmoni rarefatta. Faceva caldo, ma io sentivo freddo, un freddo che trapanava le ossa e le distruggeva. Non seppi cosa dire e Dainéil  chiuse la telefonata dicendo “Te lo volevo solo dire. Il funerale sarà domani. Buona giornata”
Poi al mio orecchio udì il triste tu-tu-tu. Schiacciai il tasto rosso e scoppiai a piangere. Non ero tipa di lacrime, preferivo fare la faccia dura ma questa volta feci un’eccezione. Non ce l’aveva fatta. Tutte le mie speranze, tutti i miei desideri di vederlo uscire dal coma farmacologico, bè erano stati completamente vani. Sapevo che era in Irlanda per un meeting sul vino frizzante e lo scambio eno-culturale tra Irlanda e Italia, lo avevo saputo da Dainéil, il quale aveva sperato che ci mettessimo insieme, che mi sarei ravveduta della mia decisione. Qualche giorno prima era uscito a fare un giro in moto, era un provetto motociclista, quando all’improvviso da una strada secondaria era spuntato un tir, il quale lo aveva sbalzato fuori dalla sella. Aveva fatto un volo di circa sessanta metri ed era rimasto lì immobile, per circa mezz’ora, prima che si attivassero i soccorsi. Nonostante il casco utilizzato fosse tra i migliori in circolazione, non era servito a niente. Le condizioni erano già critiche.
“Non è giusto!”
“Cosa non è giusto, mamma?”
Mi asciugai le lacrime e mi voltai. Era appena spuntata in cucina la mia piccola Eirene, una bambina di circa nove anni, capelli castano biondo e il suo sorriso, quel sorriso che mi faceva mancare il fiato.
Era sua figlia.
Era sua figlia e lui non lo sapeva. Circa dieci anni prima ci eravamo conosciuti in un pub in Irlanda, io una novella laureanda in Letteratura Straniera con tesi sulle leggende irlandesi, lui appassionato di vini e di birre. Lo avevo visto nel bancone, che chiacchierava amabilmente con il barista, un ragazzo di circa venticinque anni, capelli rossi arruffati e occhi verdi. Aveva una camicia nera e un jeans blu scuro, un mix di vestiti che gli dava l’aria da sexy e trasandato.
Il mio principe azzurro con l’armatura di ossidiana. Il finto stronzo che era buono.
“Posso offrirle un boccale di ottima birra irlandese?”
“Mi dispiace, sono astemia”
Lui era scoppiato a ridere, seguito a ruota dal barista “Mi auguro che lei stia scherzando. Una turista non potrebbe mai rinunciare all’ottima birra di questo pub”
“Concordo con Ed” si intromise il barista, riempiendo un boccale di birra e posandolo di fronte a noi “Offre la casa”
“Lo sa che lei è un impertinente?” domandai io risentita, spostando leggermente il boccale verso di lui.
“Lei lo sa che è stupenda?” ribattè lui con un sorriso incantevole.
Il sorriso si estendeva agli occhi e faceva comparire delle buffe rughe vicino agli occhi. A occhio e croce potei ipotizzare che avesse circa ventisei anni, ma non mi facevo illusioni. Ero una vera schiappa a indovinare l’età delle persone.
“Scusami, sono un vero maleducato” esclamò battendosi una mano in fronte, mentre un gruppo di studenti esultava per un gol segnato dalla nazionale di calcio “Io mi chiamo Edward, ma per gli amici sono Ed”.
Rimase lì per mezz’ora con la mano a penzoloni e dopo gliela strinsi “Mi chiamo Ginevra”
La nostra stretta durò mezz’ora, una mezz’ora in cui mi scolpii dentro il cuore, il suo sorriso, la sua leggera barbetta e quegli occhi color azzurro scuro. Il barista si schiarì la voce ed annunciò “Vado a servire in saletta. Mi sento di troppo qui”
E detto questo prese un vassoio e andò a servire un gruppo di studenti abbastanza esuberanti. Rimasta sola, girai con il dito il bordo del boccale e lui mi fece sobbalzare “Non ti morde mica la birra”.
Seccata, incominciai a sorseggiarla lentamente e potei costatare che era buona. Ne bevvi un po’ e dopo gliela passai “Mi dispiace, non riesco a berne di più”.
“Non fa niente. Che cosa ci fai in Irlanda, Ginevra?”
Sbattei gli occhi, l’effetto dell’alcool che si faceva strada in me e dopo risposi “Sono in vacanza studio post laurea”
Lui continuò a bere e domandò curioso “In che cosa ti sei laureata?”
“Letteratura Straniera con tesi sulle leggende irlandesi”
“Una novella scrittrice, allora” esclamò lui tutto contento “Potresti scrivere canzoni per il nostro Dainéil. Sai è il bassista di una band molto in voga a Dublino”
“Non ho mai scritto una canz…”
Stavo per rispondere, quando lui si avvicinò e mi baciò teneramente sulle labbra. Non mi sarei aspettata una cosa del genere, almeno non subito. Inghiottì un po’ di saliva, non sapendo se essere arrabbiata, confusa o eccitata dalla cosa. Nel dubbio gli diedi uno schiaffo e ricambiai il bacio.
“Mi piacciono le ragazze dolci e forti nello stesso tempo”.
“Tu non sei normale”
“Lo so” confermò lui con un sorriso che mi fece mandare in visibilio “Ma neanche tu”.
Io stavo per rispondere, quando all’improvviso sentimmo dalla cucina dei rumori strani, come di piatti rotti e porte che sbattevano e qualcuno che piangeva. Vedemmo Dainéil puntare il dito contro una ragazza di poco più piccola di lui, capelli rossi e occhi castani e urlare “Esci fuori dalla mia vita, stronza”
“Dan, ti prego…” implorava la ragazza in lacrime “Ti prego, è stato un errore…”.
A quelle parole il barista avanzò a passo di marcia e a pochi passi da lei le urlò “Un errore? Un errore è stato mettermi con te! Ti sapevo che eri a Londra per un corso di arte e ora vengo a scoprire che eri a Parigi con Charles, il tuo ex fidanzato. Me lo dici a che cazzo servono la fiducia e la lealtà?”
“Io te lo volevo dire..”
“L’ho saputo tramite una notifica nel mio profilo Facebook” ululò il barista, facendo girare tutti gli avventori del locale “Mi capisci, una fottuta notifica! Ma che cazzo hai in testa?”
“Tu ti saresti arrabbiato così…” si giustificò la ragazza, tormentandosi le mani “Non è successo nulla”.
“Io non posso fidarmi di una che non ha il coraggio di dirmi la verità” decretò Dainéil in tono duro “Ho già sofferto abbastanza e fare sempre lo stronzo non paga”
La ragazza abbassò gli occhi, mortificata, lui spalancò la porta di ciliegio del locale ed esclamò furibondo “Fuori!”
Ella gli lanciò un’ultima occhiata e dopo non potè fare altro che uscire, le lacrime che uscivano a fiotti. Il barista uscì fuori e si accese una sigaretta per calmarsi,il fumo che saliva su nel cielo in volute irregolari. Io e Edward uscimmo fuori e lo vedemmo che si stava asciugando gli occhi con un fazzoletto. Era uno dei quei tipi che non voleva farsi vedere che stava male. Timorosa, mi avvicinai e gli chiesi, facendo appello a tutto il mio coraggio “Come stai?”
“Tutto bene” ringhiò lui, schiacciando il mozzicone sotto i piedi “Torno dentro a lavorare”.
E dopo sentimmo il tintinnare dello schiaccia sogni, la porta sbattuta con violenza, i cardini cigolanti. Lo sentimmo borbottare e dopo tutto venne sommerso dal chiacchiericcio degli avventori.
Ebbi la sensazione che stesse piangendo.
Edward prese il mozzicone per terra e lo buttò nel cestino “Potresti dire che è un bastardo, arrogante e senza cuore, ma sbaglieresti. Dan è un ragazzo troppo buono, ha troppo cuore e molto spesso la gente se ne approfitta di questo. Ma non è cattivo”
“Io non ho mai detto questo” dissi io seria e lessi lo stupore nei suoi occhi “Anzi, io sono come lui”
“Cioè una specie di Hulk che sbatte porte, punta il dito e sbraita?”
“Una specie” risposi e dopo rendendomi conto che mi aveva quasi offesa “Ehi, ma mi ritieni un mostro?”
Edward sorrise e poi mi disse “Senti, io non ho voglia di interrompere qui il nostro incontro. Ti andrebbe…?”
“Ma se mi conosci da poco più di cinque minuti!” mi schermii, passandomi una mano nei capelli ricci.
“Ti conosco da tutta la vita!”
Da quel giorno erano passati nove anni e l’indomani io avrei compiuto trentaquattro anni. Che compleanno di merda!
“Mamma, ci sei?” mi domandò mia figlia, strattonandomi la veste “Cosa non è giusto?”
Mi asciugai il viso e le sorrisi “Che l’estate stia finendo”.
Lei assunse un’espressione seria e cominciò a dire “Mamma, anche gli animali devono riposare”.
Fui intenerita dalla spiegazione di mia figlia. A volte essere bambini era stupendo, eri innocente e non eri vittima degli stupidi e inutili sotterfugi che essere adulti comportava. Più la guardavo, più avevo un tuffo al cuore, era identica a lui, stessi occhi, stesso viso, stesso naso strambo. Almeno quello che io chiamavo strambo naso.  Avevo saputo che aveva avuto tre figli da sua moglie, ma nessuno di loro aveva ereditato il suo sorriso, solo Eirene aveva avuto questo privilegio. Si era sposato pochi anni dopo il nostro incontro, io sparita definitivamente dalla sua vita. Infatti, dopo il nostro primo incontro, io ero uscita dal suo appartamento in silenzio e me ne ero andata, nelle labbra il suo sapore e nella pelle il suo profumo. Non mi ritenevo alla sua altezza. Non avrei potuto dimenticare il suo mezzo sorriso. Era stato Dan a dirmi del lieto evento.
“Oggi si è sposato!”
Io stavo sistemando lo zainetto di Eirene, pronta a mandarla a scuola materna e domandai “Era felice?”
“Era raggiante” mi assicurò lui, forse mentendomi, e dopo mi chiese “Perché te se nei andata? Mi ha domandato molto di te..”
Io non volli rispondere e svincolai il discorso “Come va con la tua ragazza?”
“Ho chiuso con lei. Ho conosciuto una persona nettamente migliore”
“Mamma, hai un moscerino negli occhi?”
“Cattivo moscerino che mi fa lacrimare” ridacchiai io, cercando di allontanare il disagio di quella telefonata “Amore mio, dobbiamo preparare le valigie. Andiamo a trovare una persona speciale per mamma”
“Andiamo a trovare papà?” mi chiese lei all’improvviso, facendo crollare le mie difese.
“Andiamo a trovare papà” risposi e lei corse a preparare la sua valigia.
Anche se non avevo mai detto la verità a mia figlia, alla fine lei aveva scoperto tutto. Presi la foto di Edward e di Dainéil che avevo sulla mensola del camino e la girai. Sul retro della foto c’era scritto “Mi manchi mio spirito bianco degli elfi”.
“Mi manchi tanto anche tu”
                                                                                 *
Il giorno in cui andammo a trovare il mio Edward era una giornata fredda e piovosa. Nonostante fosse l’undici agosto, a Dublino faceva freddo e aveva costretto me e mia figlia a indossare le giacche. Essendo siciliana e abituata a climi caldi, l’Irlanda non era proprio il mio habitat naturale. Eirene indicò le tombe e chiese “Mamma, ma stanno dormendo?”
“Diciamo di sì” risposi sovrappensiero “Comunque non si punta il dito”.
Lei si tormentò l’orlo della sua maglietta e mi chiese “Come era papà?”
“Tu gli assomigli tanto” affermai e il suo sorriso si allargò “Ed era molto buono e molto bello”.
“Una specie di principe azzurro?”
Non avrei immaginato Edward come un principe azzurro, lui era il mio cavaliere bastardo, ma non volli rompere i sogni di mia figlia e annuì “Sì, un vero principe”.
Arrivammo alla sua tomba, una tomba di marmo bianco, ricoperta da molti fiori, alcuni freschi e altri no. Mi soffermai sull’epitaffio e mi misi una mano sulla bocca, era un pezzo della canzone “Hate it when you see me cry” degli Halestorm. La mia canzone preferita.
Oh, oh I… I’m your rock n’ roll joan of arc
The queen of broken hearts
I’m here to save the world,
but who will save super girl?
What if I’m weak
and I need you tonight?
I hate it… I hate it when you see me cry
yeah yeah…

 Alla mia principessa elfica, con l’augurio di vederci presto!
Non mi aveva dimenticato! Nonostante si fosse sposato, nonostante avessimo scelto strade diverse, lui non mi aveva dimenticato. Notai sua moglie con i suoi tre bambini posare un bouquet di fiori e farsi il segno della croce. Era una bella donna, di poco più grande di me, capelli biondi e occhi nascosti dietro un paio di occhiali scuri.
“Anche lei ha perso un marito?”
“No” risposi sincera e indicai la tomba di Ed “Sono venuta a trovare Edward”.
“Lo conosceva?”
“Ero una sua amica” mi schermii e strinsi la mano a mia figlia “Ma abbiamo scelto strade diverse. È stato Dainéil ad avvertirmi della sua morte”.
Lei annuì e dopo si girò verso di me, la tristezza insita nelle parole “Ho lottato per molti anni con il fantasma di una donna che lui chiamava la mia principessa. Non mi ha mai detto il suo nome. Mi sono sentita un rimpiazzo, la seconda scelta. Mi piacerebbe conoscere quella donna e chiederle di darmi un briciolo del mio Ed spensierato”
Mi sentii in colpa, ella era stata una moglie fedele, mentre il cuore e la mente di Edward erano ancora rivolti verso di me. Quella donna meritava un uomo che le dedicasse tutta la sua attenzione, non un uomo con il corpo da una parte e la mente dall’altra. Mia figlia mi strattonò la veste, riportandomi alla realtà “Mamma?”
Sobbalzai e mi avvicinai alla tomba e feci cadere dei chiodi di garofano. Sua moglie rimase stupefatta del mio gesto e mi chiese “I chiodi di garofano. Cosa significano?”
“Significano riposa in pace” mentii, afferrando la mano di mia figlia “Condoglianze, signora”.
Non appena uscì fuori dal cimitero, mi voltai verso la tomba di Edward e sussurrai “Io ti ho amato a tua insaputa”
Non gli avevo mai detto che lo amavo e adesso lo sapeva. Lui me lo aveva detto durante la notte in cui avevamo concepito Eirene, io avevo tentennato un po’, ancora incerta dei miei sentimenti. Aprii la portiera del taxi e feci salire mia figlia. Feci un cenno di saluto a Dainéil, il quale stava aspettando una persona.
Lo vedi sorridere a cuore pieno, un sorriso che non aveva, quando era fidanzato con Morgana, la ragazza dai capelli ricci e gli occhiali gli arruffò i capelli e dopo il rombo del motore ruppe il silenzio. Ed io ritornai a casa.
“Addio Edward. Addio mio cavaliere nero”
Dopo chiusi la portiera, diretta a casa. Nell’etere sentì un “Grazie”, il quale non lo avrei mai dimenticato.

 

 
  
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