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Autore: Sara Scrive    12/09/2014    7 recensioni
Quante ragazze sognano di essere diverse dalle altre e fare grandi cose?
Chocolat sperava di riuscire a trovare qualcosa in lei che l'avrebbe resa felice e appagata, voleva avere un talento fuori dal comune ma...

‘L’unica cosa di cui ero certa, era che stavo riscrivendo il passato e facendo innamorare di me una futura superstar’
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5
 
’Okay – pensai- non sarà tanto difficile’ 
Jennifer mi aveva spiegato come dovevo fare: dovevo comportarmi come se fosse un videogioco. Potevo scegliere quando iniziare a vivere nel sogno, bastava solo che mi concentrassi, non ci avevo mai provato, ma immaginai che fosse come per le decorazioni della casa e il resto.
Avevo passato la serata a programmare come si sarebbero svolte le mie giornate in quei cavolo di sogni, in modo che tutto scorresse in maniera monotona e regolare ai fini di evitare troppi cambiamenti. Insomma, cercai di far assomigliare la mia vita a Holmes Chapel a quella che avevo a Bristol. Solo che non dovevo avere amici, neanche uno. 
Non potevo permettermi di frequentare Rose, chissà cosa sarebbe successo se le avessi concesso la mia amicizia, mi sarei ritrovata un’estranea dentro la mia vita e di sorprese ne avevo avute fin troppe in meno di una settimana.
La scuola? Non l’avrei frequentata, così tutti gli stress scolastici li avrebbe affrontati il mio corpo e, in pilota automatico, non credo che avrei fatto nuove amicizie.
Mi sarei svegliata esattamente appena finita la scuola, sarei corsa a casa e mi sarei messa a guardare le vecchie repliche delle serie Disney.
Una parte di me voleva mettersi a lavorare per trovare un piano per incontrare i Jonas Brothers visto che nel 2009 erano ancora nel fiore della loro carriera… peccato che fossi una pigra di prima categoria e tutto il lavoro che avrei dovuto svolgere, l’avrei dovuto attuare nel passato, in un paesino sperduto, con il 90% di possibilità di sconvolgere i miei piani di monotonia per evitare brutte sorprese nel mio presente.
‘Assolutamente no’ decretai.
Chiusi gli occhi e immaginai l’orologio del corridoio centrale della Holmes Chapel Comprensive School che segnava l’ora d’uscita dalla scuola.
Sbattei un attimo le palpebre infastidita, alternando l’immagine del corridoio della scuola con il buio della stanza…
E poi venni travolta dal suono improvviso della campanella.
«Eh… - disse qualcuno alle mie spalle – la verifica è andata una merda»
Stavo camminando verso l’uscita dell’edificio, il bidello teneva la porta aperta e riuscivo ad intravedere i nuvoloni grigi che minacciavano di far scoppiare un terribile temporale.
‘Ottimo’ pensai ironicamente.
Stranamente sentii un lieve torpore alle gambe e il secondo dopo il pilota automatico svanì automaticamente, lasciandomi il pieno controllo del mio corpo.
«Beh Chocolat – notai Rose al mio fianco che frugava nella cartella mentre mi lanciava occhiate distratte – non sei l’unica ad aver lasciato il foglio in bianco, vedrai che la prossima volta andrà bene»
‘Mpf… la prossima volta un corno, io non mi occupo di queste cose, ci sono già passata e per fortuna il liceo l’ho superato’.
«Già...» mi limitai a rispondere.
Speravo di lasciar cadere così il discorso, ma appena scesi le scalette per avviarmi verso casa Rose mi bussò leggermente sulla spalla: «Ehi Cher, ti va di venire da me? – sorrise leggermente – mi sono ricordata che mia nonna mi ha mandato i biscotti al cocco, quelli che ti piacciono tanto. Potremmo anche fare i compiti insieme»
‘Oh, biscotti al cocco…’ stavo per accettare, i biscotti al cocco erano una specie di esca-acchiappa-Chocolat, ma subito dopo mi ricordai del mio piano ‘vivi da zombie e niente casini’.
«Scusa Rose, mia madre oggi voleva che l’aiutassi a sistemare delle cose di papà, sai tipo per darle al mercatino dell’usato visto che noi non le usiamo…»
Che scusa idiota. Non sapevo neanche come era potuta venirmi in mente.
Rose schiuse la bocca, ma non disse nulla.
«Va bene – decretò infine – ci vediamo domani allora»
Serrai le labbra in una  specie di sorriso di circostanza, come per scusarmi tipo ‘Sono cose che capitano, non è colpa mia’ e la guardai mentre si voltava verso l’altra parte della strada.
Rimasi ferma per una manciata di secondi ad osservare imbambolata il fiume di studenti che usciva e si sbrigava a tornare a casa.
Ad un tratto,  dal portone della scuola uscì l’inconfondibile ragazzino cespuglio-scimmia-brufoletti: Harry Styles. Stava chiacchierando con dei ragazzi, che subito dopo identificai come miei compagni di scuola. Uno di loro credo si chiamasse William, era leggermente più alto di Harry, aveva i capelli alla leccata di vacca come Justin Bieber a quei tempi e non indossava nessun cappotto, girava solo con la divisa come se i nuvoloni sopra di noi non esistessero.
Per essere circondato da quel numero di ragazzi della sua età, che lo guardavano come se fosse il centro della conversazione, Harry doveva essere un tipo abbastanza interessante. Non lo vedevo aprire la bocca per parlare spesso, ma tutti si giravano verso di lui come se fosse di vitale importanza che lui ascoltasse ciò che avevano da dire.
Era abbastanza diverso dall’ambiente che regnava nel mio vecchio liceo: c’erano numerosi gruppetti, tutti pieni di etichette. Al massimo eri fortunato se avevi un amico, era una specie di gara fra studenti a chi riusciva a farsi notare e far parlare di se, dovevi essere ricco, di bell’aspetto e non avere problemi coi voti. Ma se sei di bell’aspetto entri facilmente nel giro di chi si sente sto cazzo e trovi chi ti fa i compiti o comunque chi ti passa commenti, esercizi già svolti e cose varie da copiare.
Io non avevo nessuna di queste caratteristiche, ero una ragazza normale, con una famiglia dal reddito normale e i voti sufficienti. 
Non importa se sei simpatico o meno, hai delle qualità particolari o altro, per quel che avevo vissuto io, la società della scuola andava avanti così.
Io rientravo nella categoria delle teenager normali e con una migliore amica.
Niente a che vedere ne con le troiette della mia ex scuola, o con le fangirl che avevano i soldi che gli uscivano dal culo e sbattevano sulle riviste o sui pochi social che c’erano allora, le loro mini avventure.
Harry era come me da quel che vedevo, rientrava nella categoria delle persone normali: aveva un aspetto normale, da quel che avevo letto su google,  prima di X Factor la sua era una vita normale in una famiglia normale.
Normale, comune, banale. Solo che nella sua semplicità, Harry sembrava essere felice e apprezzato dal prossimo.
Che fossero davvero fortunate le persone che conoscevano o avevano conosciuto Harry Styles?
Mentre scendeva i gradini, tutti gli studenti che parlavano nel suo gruppetto si voltarono e salutarono prima Harry e poi il resto degli amici. Nessuno aveva dimenticato di augurare al ragazzo normale-cespuglio-scimmietta-brufoletti una buona giornata. 
Neanche io.
«Ciao Harry, ci vediamo domani» esclamai quando mi passò davanti.
Non sapevo neanche perché l’avevo fatto, era stato istintivo far vedere che anche io conoscevo Harry. 
«Ehi Chocolat! – ricambiò con un sorriso – buona giornata anche a te»
Dopo aver lasciato alle spalle quel piccolo episodio, tornai in me e decisi di mettere in atto il programma zombie.
Tornai a casa, salutai mia madre e mi rimisi sul divano con un pacchetto di patatine al formaggio e una vecchia puntata di Sonny fra le stelle.
«Chocolat – mia madre sbucò in salone con il cesto dei vestiti sporchi – non devi fare niente?» chiese con quel solito tono stridulo che mi dava sui nervi.
Mi aveva interrotto proprio in un momento importante, in una rara occasione in cui Chad, dopo la sua grande scenata aveva fatto un gesto carino verso Sonny.
Mi limitai ad inarcare le sopracciglia.

«Insomma… niente compiti? – si spostò la coda di cavallo dall’altra parte – non ti sei nemmeno levata la divisa» mi indicò.
«Ho studiato ieri- mentii – mentre eri al cinema con Jennifer»
Mia madre non disse nulla, si limitò a scuotere la testa e scomparire nel corridoio.
‘Finalmente’ pensai e mi stravaccai sul divano mentre mangiavo l’ennesima patatina.
Mi piaceva stare sdraiata a non far niente, rivedere quei vecchi episodi e tornare indietro nel tempo, quando Macy mi invitava a casa sua a guardare le puntate delle nostre serie preferite.
‘Che bella possibilità di merda però – pensai dopo cena – al posto di dormire e fare sogni senza senso come i comuni mortali, mi ritrovo a vivere una cosa del genere’
Aiutai mia madre del sogno a sparecchiare la cena e salii in camera per addormentarmi e tornare nel mondo reale.
Una giornata monotona.
Secondo i miei piani avrei dovuto passare un anno così, senza far niente tutto il giorno a guardare Disney Channel  o provare ad usare quel computer preistorico per fare qualcosa di alternativo e poi nel frattempo  mi sarei dedicata a trovare un lavoro nel presente.
Come pigiama avevo una camicia da notte blu, che mi affrettai subito a farla diventare rosa pallido, proprio come piaceva a me.
‘Buon risveglio’ mi dissi ironica e chiusi gli occhi.


Improvvisamente quando schiusi le palpebre sentii uno strano rumore che mi martellava in particolare l’orecchio destro.
Anzi, quel rumore lo conoscevo bene, e lo odiavo anche: era la mia sveglia-stronza che usavo quando andavo a scuola, una specie di quadrato con le lancette  alte uno sputo che riusciva a produrre una musichetta allucinante.
A tastoni provai a spegnerla senza alzarmi dal letto, col risultato che la feci cadere dal comodino  e mi dovetti sporgere per raccoglierla.
Odiavo quella sveglia. Un affare infernale!
Mi sporsi dal letto a malincuore e allungai le mani per afferrarla e spegnerla.
Segnava le sette di mattina.
‘Chi cazzo l’ha impostata a questo orario improponibile?!’
Nonostante avessi deciso io di svegliarmi, il mio corpo era stanco e aveva bisogno di riposare ancora, perciò come i bambini pigri, mi arrotolai nelle coperte e cercai di sonnecchiare.
Dopo neanche cinque minuti, mia madre entrò nella mia stanza urlando il mio nome svariate volte.
«Mamma – intervenni esasperata dopo il decimo richiamo – si può sapere cosa c’è?» avevo ancora la voce impastata dal sonno.
Mi rigirai nel letto cercando di ignorarla e riprendere a sonnecchiare, fino a quando mia madre disse tutto d’un fiato: «Ti vuoi preparare!?Sei in ritardo per la scuola»
Sembrava come nelle scene dei film, alzai la testa di scatto mandando a puttane tutti i tentativi di riprender sonno e la guardai allucinata.
Fortunatamente, prima di aprir bocca mi fermai a riflettere: SCUOLA? Io a Scuola? Che scuola era? Università forse? 
Sapevo benissimo che quella novità doveva avere per forza qualcosa a che fare con i sogni modifica-passato, meglio non andare a scuola e rimanere a casa per indagare.
«Mamma, oggi non me la sento di andare. Mi dovrebbe venire il ciclo e stanotte non ho chiuso occhio per i doloretti»
Nella mia vita non ho particolari doti, anzi come mi ripeto spesso sono una ragazza anonima e senza particolarità, ma se c’è una cosa che so fare alla grande è inventarmi scuse. Abbastanza realistiche per giunta.
Mia madre si limitò ad annuire e chiudere la porta. Non era da lei non riempirmi di domande e ripetermi centomila volte che magari se mi alzavo e mangiavo qualcosa trovavo le forze e riuscivo ad uscire di casa, ma prima che se ne andasse mi accorsi che era già vestita, pettinata e persino truccata! Questo voleva dire che sicuramente era presa da altro che farmi la predica. ‘Menomale…’
Non mi alzai dal letto. Ci rimasi finché non la sentii uscire di casa.
Fu solo quando mi avvicinai alla scrivania che notai il mio vecchio zainetto nero appoggiato sotto una gamba del tavolo. Che cosa ci faceva lì? 
Era la vecchia cartella scolastica che usavo quando andavo al liceo e nell’aprirla per esplorarne il contenuto in cerca di indizi, ignorai il brutto presentimento che mi stava sorgendo.
Trovai un’agenda e una pochette con delle penne dentro. 
Iniziai a sfogliare le pagine di quel diario per i compiti a velocità industriale finché non raggiunsi il mese di Giugno in cui una grande scritta rossa con il pennarello non mi fece cascare le braccia: diploma.
‘Ci dev’essere uno sbaglio’ pensai allarmata.
No, non potevo sbagliarmi. Su quella dannata agenda c’era scritto l’anno corrente.
«Questa NON è roba mia» mi dissi, buttando con disprezzo lo zaino per terra, ma in fondo neanche io credevo a quello che avevo appena detto.
Che razza di casino stava succedendo? Io odiavo letteralmente questi sogni maledetti che mi scombinavano la vita. Creavano solo macelli!
Dato che lamentarsi non avrebbe risolto la situazione, provai a chiamare quell’idiota del mio spirito guida.
«Joe» lo chiamai piano.
«Joe! Dove cazzo sei?!» urlai alla fine, quando avevo pronunciato il suo nome in giro per casa un milione di volte.
In quel momento mi ricordai che in alternativa a quel rockettaro fasullo, c’era Jennifer: provai a cercare il suo numero sia sul mio cellulare, che sulla rubrica vicino al telefono fisso di casa, ma niente. 
Per capire meglio dovevo per forza aspettare che tornasse mia madre e prepararmi le domande giuste da farle.
E ancora una volta ero rimasta a casa, come una nullafacente a rispolverare vecchi album delle foto, conversazioni vecchie su facebook per capire poi, che ero stata  bocciata ed ero indietro di un anno.
Quella sera, mentre aiutavo mia madre a lavare i piatti il suo commento sul mio andamento scolastico fu: «Sei abbastanza pigra, anzi quando eravamo ad Holmes Chapel il tuo rendimento era pari a zero. A casa non facevi nulla…- scosse la testa e tornò a insaponare un piatto senza guardarmi – Ah…se mi fossi imposta e avessi bruciato quella maledetta televisione non saresti in questa situazione…» aggiunse borbottando.
L’unica cosa che mi rincuorò fu rivedere il lato bisbetico e scassa palle di mia madre, quello che mi dava sempre sui nervi perché lei non poteva fare a meno di commentare le cose che mi riguardavano, in quel momento mi fece sorridere sotto i baffi. Almeno sapevo che mia madre non sarebbe cambiata del tutto.

‘Vado ancora a scuola…’
Secondo mia madre poi,  non sarei nemmeno riuscita a superare l’esame dell’ultimo anno.
A quanto pare nella nuova vita che doveva ‘migliorarmi’ quella in cui vivevo, stavano solo accadendo cose spiacevoli.
Quello stare là seduta sul letto, con la testa fra le mani senza una certezza, a pensare e strapensare alla stessa cosa, era una delle situazioni più deprimenti che mi ero ritrovata ad affrontare.
Avevo quella fastidiosa sensazione di avere la soluzione a portata di mano, o di conoscere quello che mi aspettava, che mi esasperava ancora di più.
‘Essere uno zombie non porta nulla di buono’ finalmente ammisi a malincuore a me stessa,  che dovevo alzare il culo e mettermi a studiare.

Non ero mai stata brava a gestire le cose, forse perché non mi ero mai cimentata sul serio, di conseguenza mi risultava impossibile riuscire a studiare tutte quelle materie scritte in bella grafia nella prima paginetta del mio diario.
Ero entrata nel sogno verso il pomeriggio, per tornare a casa e provare a ‘studiare’. Sia Joe che Jennifer non si erano fatti vivi, ma alla fine avevo capito da sola che se non volevo vivere un presente in cui ero ripetente e dovevo ottenere il diploma, mi toccava studiare nel passato…o comunque aprire almeno un libro e inserire nel mio corpo le informazioni necessarie.
Il problema era che l’enorme quantità di lavoro da svolgere di cui già tristemente ero a conoscenza, si era ingigantita ancora di più non appena mi ero seduta davanti alla scrivania della mia camera nel sogno.
Speravo che magari le mie conoscenze da ventenne potessero tornarmi utili e facilitarmi il ripasso di tutta quella roba, invece mi ero resa conto che non mi ricordavo nulla, che in matematica mi sembrava tutto un ammasso di numeri e lettere e persino in letteratura non ricordavo nemmeno il nome di un autore!
Che disastro! Ed io che ero partita con le migliori intenzioni…
Avevo assolutamente bisogno di una mano, soprattutto perché le parole ‘verifica di scienze’ cerchiate in rosso sulla pagina dei compiti per il giorno seguente mi allarmava un sacco.
Prima di mettermi a studiare poi, avevo fatto una specie di tabella con tutte le informazioni che riuscivo a reperire dalla mia agenda, in cui praticamente il voto più alto che avevo era la sufficienza ogni tre materie.
Lanciai il diario contro l’armadio dalla rabbia.
La mia vita da ventenne che consideravo da sfigati quando espressi il desiderio con Macy, in quel momento mi sembrava il paradiso.
Non volevo fare niente, non volevo immischiarmi in cose più grandi di me, volevo fare l’apatica e ignorare tutto e invece? Ero costretta ad infrangere il piano-zombie che mi ero fatta all’inizio di quella pazzia per evitare di peggiorare ancora di più la situazione.
Presi quel Nokia preistorico dal comodino e cercai il numero di Rose. Avrei chiesto a lei di aiutarmi.
Era da poco che la conoscevo, non sapevo come fosse il nostro rapporto, ma era l’unica persona che poteva aiutarmi. Non sapevo neanche se andava bene a scuola…
Rispose al terzo squillo.
«Pronto Cher!» era una voce così solare ed amichevole che quasi mi vergognai di chiederle di venire ad aiutarmi.
«Ehi, Rosie!» quanto ero squallida, riuscivo persino a recitare e imitare il suo tono allegro.
Ci fu un attimo di silenzio, sapevo che dovevo parlare io per spiegare il motivo della chiamata, ma non sapevo come dirglielo: un po’ perché mi vergognavo e un po’ perché temevo un rifiuto.
«Ti andrebbe di studiare insieme per la verifica di scienze?» dissi tutto d’un fiato.
Attesi una risposta che non tardò ad arrivare.
«Oh, mi chiami giusto in tempo! Stavo per chiederti se potevo venire da te a studiare dato che a casa ci sono degli amici di mio padre che urlano al posto di parlare!»
‘Beh dai, allora non sono così cattiva quanto pensavo, anche a lei serve un posto per studiare’
«Allora è perfetto, vieni da me, ti aspetto…»
Davo per scontato che Rose conoscesse il mio indirizzo e che appena arrivata a casa mi sarei dovuta sforzare per trattarla come non fosse una totale estranea per me.
Passammo davvero molto tempo insieme a  ripetere, sottolineare e appuntarci i concetti principali su vari bigliettini che ci sarebbero tornati utili e alla fine si fece ora di cena.
Scoprii che Rose a differenza mia andava discretamente a scuola ed era una ragazza piena di risorse, sveglia e iperattiva – cosa che non mi andava molto a genio.
«Se vuoi puoi rimanere da noi» le disse mia madre che nel frattempo era rincasata e si era complimentata con me per aver deciso di fare qualcosa verso la scuola.
A quanto pareva, mia madre e Rose già si conoscevano.
La risposta al suo invito ovviamente fu un netto ‘Sì’ con un gran sorrisone, che ricambiai imbarazzata da tutta la sua felicità. Stranamente Rose non mi trovava antipatica come avrebbe potuto pensare benissimo una persona normale che si ritrovava a parlare con una ragazza che risponde a monosillabi, annuisce e fa sorrisetti di circostanza.
«Temo di rischiare la bocciatura» sbottai ad un tratto mentre eravamo tornate a studiare le ultime pagine.
«Sul serio?» chiese lei inarcando il sopracciglio e spalancando gli occhi.
«Sì – sospirai – ho fatto una breve analisi e con i voti che ho non credo di superare l’anno»
Continuava a guardarmi confusa, non so per quale motivo stavo tirando fuori quel discorso, anzi una parte di me sapeva che mi avrebbe fatto comodo usare Rose come appoggio per la scuola, ma in fondo era una persona reale, non potevo trattarla in quel modo.
«Inoltre – continuai lasciando che parlasse il mio egoismo – non sono davvero capace a studiare o mettermi in riga, da sola non ce la farei mai…» 
Ci fu silenzio: in un primo momento credetti che Rose aveva capito che ero una stronza e mi stava mandando a fanculo mentalmente e aveva volutamente ignorato di rispondermi, così non aggiunsi nulla e tornai a leggere il paragrafo di scienze.
«C’è uno dell’altra sezione – esordì improvvisamente – che va benissimo a scuola. E’ William Sweeny»
Inarcai il sopracciglio.
«Quello di cui straparla sempre la professoressa Bones…»
«Ahh – sospirai – quel secchione, sì, sì ho capito» la assecondai.
«Beh – si sedette sul mio letto affianco a me – potrei chiedergli se fa ripetizioni o se possiamo studiare con lui dato che fa il nostro stesso anno…»
«Dici?» le chiesi cercando di capire meglio come voleva organizzarsi.
«Sì – confermò – domani vado a parlargli»
«Va bene…» aggiunsi senza sapere cosa dire di preciso.
Alla fine, finimmo di studiare verso le dieci. Mi sentivo soddisfatta e sapevo che comunque potevo contare sulle parole chiave che avevo scritto su un bigliettino grande quanto l’unghia di un alluce.
Prima di andare e salire in macchina di sua madre, Rose mi guardò con una smorfia seria dicendo: «Chocolat, il massimo impegno»
«Il massimo impegno» ribadii cercando di mostrarmi convinta.
Ma dovevo farlo, non avevo altra scelta. Chissà quante volte ancora mi avrebbero bocciato? 
Dovevo seriamente studiare se non volevo ritrovarmi in un presente bocciata mille volte al secondo anno di liceo.

Quando mi svegliai, mi alzai in fretta e furia per controllare se la sveglia ci fosse, se il mio passato fosse ulteriormente cambiato. 
Cercai lo zaino che avevo lasciato ai piedi della scrivania ma…era tutto sparito.
La prima cosa che feci, dopo aver fatto normalmente colazione, fu chiedere a mia madre come me l’ero cavata al liceo.
«Non eri un granché. Passavi l’anno con la sufficienza. Non ti stupire se non hai superato gli esami d’ammissione»
La guardai stranita, ma ovviamente il suo immancabile commento da stronza acida di prima categoria non poteva mancare: «E tu che speravi in una borsa di studio! A calci in culo la danno a quelle come te»
Non finii neanche di mangiare l’ultimo biscotto, che era rimasto solo nel piattino di ceramica al centro del tavolo. Quando faceva così mia madre era insopportabile, l’unico rimedio per evitare che le tirassi il tavolo addosso era quello di andarmene.
‘Okay – dissi una volta entrata in camera  mia – se non voglio essere bocciata devo studiare, almeno un minimo. In modo da avere i miei soliti voti’
In pratica, se avevo capito bene, quando non avevo studiato, avevo lasciato che il mio corpo svolgesse in modalità zombie la verifica e avevo deciso che avrei applicato questo metodo da nullafacente, lo spazio-tempo era cambiato adattandosi ad una me che per davvero guardava solo la copertina dei libri di testo e di conseguenza era stata bocciata…ma nel momento in cui ero rientrata nel passato il giorno seguente e avevo deciso che mi sarei impegnata un minimo e avevo fatto i compiti con Rose, lo spazio tempo si era nuovamente modificato tornando a vivere un presente in cui avevo i voti appena sufficienti ma che non bastavano per l’ammissione all’università.
‘Che cosa contorta…’
Mi toccava impegnarmi un minimo, magari avrei chiesto a Rose di darmi una mano qualche volta invece di coinvolgere anche quel William Sweeny.
Dopo tutto non avevo intenzione di trovarmi nuove sorprese, meno amici avevo, meglio era.

 
#Dattebayo
Voglio solo ringraziare tutti voi che state leggendo questa storia e Miriam che mi ha aiutata con questo capitolo.
Scusate ma non so cosa aggiungere, mio nonno è morto martedì e già è tanto se sto postando il capitolo.
Ringrazio in anticipo chi recensirà, se avete dei dubbi chiedete pure e risponderò nelle recensioni. 
Purtroppo non riesco a pensare molto e non riesco a commentare come mio solito questo capitolo.
Scusatemi tutti

Ah, sì, vi avviso che dal prossimo capitolo Chocolat inizierà a fare quello che tutti speravano. Compresa me.
 
   
 
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