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Autore: semideaa    13/09/2014    1 recensioni
TRIANGOLO, school!Ashton, school!Luke, jealous!Ashton, possessive!Ashton.
E lo abbraccio fino a non respirare più per questo, perché ha finalmente capito che non è un oggetto, che gli altri non sono un oggetto, che anche lui si merita qualcosa e che anche lui possiede delle emozioni, nonostante sia un giocattolo difettoso. Perché alla fine un po’ difettosi lo siamo tutti. Dobbiamo solo trovare il nostro riparatore [Ashton]
***
Arrivi ad un certo punto della tua vita nella quale preferisci farti del male da solo, che continuare a subirlo dagli altri [Luke]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Giocattoli difettosi

i dedicate this song to you
the one who never sees the truth


Note: Umh penso sia più comodo inserire i miei sproloqui all'inizio, così sapete subito quello che ho da dirvi e non vi rompo a fine capitolo. Cercherò di essere più puntuale nell'aggiornamento dei capitoli, non solo in questa ff, ma anche nelle altre due che ho ancora in corso (Paranormal love - Come scrivere il proprio destino in un mese). Inoltre ho in mente di pubblicare un cross-over con Luke Hemmings nel mondo di Percy Jackson, fatemi sapere con una recensione se vi può piacere questa cosa o se è meglio che sto ferma (ahah). Questo è più che altro un capitolo di passaggio, quindi scusatemi se è corto. In più, spero di avervi fatto capire bene il personaggio di Ashton.
Buona lettura, la vostra semidea ♦ ( 
Twitter ; Ask )




Guardo l’orologio con aria afflitta. Le quattro in punto.
Faccio appello a tutta la mia forza interiore, mi aggiusto una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio e do un’altra mano di detersivo sul tavolo che sto finendo di pulire.
Il pub ‘Sue’s’ era un posto tranquillo, se amavi guardare video musicali sconci e sentire i racconti molto cruenti di Sue urlati per il locale.
Ormai mi ero abituata alle parolacce che uscivano dalle bocche di tutti gli affezionati clienti, alle manate sul sedere quando capitava e agli sproni non poco volgari del mio capo, quasi sempre ubriaco.
Sue mi stava anche simpatica, nonostante tutto.
Arriva nella stanza traballando leggermente sui suoi ‘trampoli’, si aggiusta la gonna molto corta e mi biascica un ‘’non mi disturbare’’, prima di prendersi una bottiglia di birra e tornare nel suo salottino privato, chiudendo la porta a chiave.
Mi sta simpatica perché in un momento di difficoltà, nel quale avevo bisogno urgentemente di soldi, lei non solo mi aveva assunto, ma mi aveva pagato due stipendi in anticipo. Non si era fatta nessun problema, si fidava, per questo mi è sempre piaciuta. Non si fa problemi se nel suo locale si fumano canne, nemmeno quando entra la polizia per ispezionare, non si fa problemi nel parlare come uno scaricatore di porto, non si fa problemi nel mostrarsi per quello che è.
Però si trascura, fin troppo. Utilizza tutte le sue forze per il suo locale e si aspetta da me la stessa enfasi che mette lei ogni sera, dalle 22.00 alle 03.30. Essendo l’unica cameriera sono lì tutte le sere ad aiutarla.
Ripongo lo strofinaccio sul bancone con cura e passo ad asciugare tutti i boccali buttati nel lavello. Con la testa china, sento appena il rumore del campanello affisso sulla porta che sovrasta quello della musica proveniente dal salottino di Sue.
-Scusate, ma siamo chiusi.
I miei occhi incrociano quelli di un ragazzo semicosciente sulla porta, aggrappato alla maniglia, con i capelli biondo sporco che gli ricadono sulla fronte imperlata di sudore.
-Oh Dio Santo, Ashton.
Lascio cadere i boccali e mi precipito sulla porta, prendendo, per quanto mi sia possibile, Ashton tra le braccia prima che lui cada a terra.
Mentre lo trascino verso il tavolo più vicino, la voce roca di Sue impreca dall’altro lato della stanza, chiedendo chi cavolo fosse entrato a quest’ora.
Passo a gridare anche io, tranquillizzandola.
Corro nello sgabuzzino a prendere un po’ d’acqua fresca e una pezza e dopo un secondo sono accucciata vicino al biondo, che ora ha gli occhi chiusi e muove la bocca senza proferire parola.
Sviene un paio di volte, mentre io gli asciugo il sudore, poi quando sembra riprendere conoscenza lo faccio sedere comodamente e riesco a fargli bere un po’.
Non mi va di chiamare un’ambulanza o di portarlo in ospedale, Dio solo sa cosa ha combinato.
-Stai meglio?- gli sussurro.
Lui fa cenno di sì con la testa e chiude di nuovo gli occhi, appoggiandosi allo schienale.
Mi accingo a sistemare tutto e a chiudere in fretta il pub, così da poter riportare Ashton a casa sua. Il tempo di abbassare le sedie, spazzare a terra e appendere il grembiule che sono pronta ad uscire.
-Sei sempre così sexy quando pulisci?- la voce di Ash esce biascicata e roca. E’ ubriaco fradicio.
-Non dire così che poi finisco per crederci ..
Lui mi sente e sorride, tanto domani si sarà già dimenticato tutto.
Saluto Sue con un urlo, mi carico la borsa su una spalla e un braccio di Ash sull’altra e mi avvio verso casa sua. Con mia tristezza il mio caro amico è venuto a piedi, da qualsiasi parte lui sia venuto, quindi incomincio a muovere qualche passo con molta fatica, dato che Ash non sembra collaborare e si fa semplicemente trascinare.
Quando sto per cadere e buttarmi a terra dalla stanchezza vedo le luci dei lampioni del nostro quartiere.
Mi fermo giusto cinque secondi davanti casa mia per vedere le luci accese in camera da letto. Come al solito, i miei non hanno orari per litigare, per loro ogni minuto è buono.
Prendo dalla mia borsa le chiavi di casa Irwin e getto il suo unico abitante in quel momento sul divano. In quelle condizioni non ce la farei mai a portarlo di sopra.
Appena tocca la superficie morbida, Ashton si addormenta a pancia all’aria.
Russa.
Sarà una dura notte, penso sconsolata.
 
Non so con quale forza e coraggio asciugo con un asciugamano il corpo di Ashton, gli tolgo delicatamente la maglia e gliene infilo una pulita, gli prendo un cuscino e glielo appoggio sotto la testa e lo copro con una coperta.
L’orologio in cucina segna le cinque passate.
Per quello che mi rimane da dormire, mi accoccolo sul tappeto vicino al divano, poggiando i gomiti sui fianchi di Ash.
Lo guardo dormire, finalmente tranquillo e la mia curiosità non può fare a meno di salire a galla. Domani mattina gli chiederai tutto, replica il mio cervello.
Appoggio la testa sulle mie braccia e chiudo gli occhi.
Dietro le mie palpebre tutto si fa buio.
 
 
 
La luce del sole brucia sulle mie palpebre chiuse.
Non faccio nemmeno in tempo a svegliarmi che mi accorgo di un crampo al collo e di un dolore terribile alla schiena. Alzo piano la testa dal luogo caldo dove la sera prima mi era addormentata, apro con attenzione gli occhi e mi ritrovo il viso di Ashton, con gli occhietti ben svegli e la bocca tirata in un sorriso che mi guarda dall’altra parte del divano dove sta comodamente sdraiato, lui. Mi rendo conto del tappeto sul quale mi sono seduta e di quanto sia duro il pavimento.
-Cazzo ridi?
Ashton continua a guardarmi. Irritante.
Non voglio neanche sapere in che condizione sono i miei capelli e il mio viso. Dovrei essere pronta per girare una scena di Batman, penso.
Abbasso gli occhi sulle mie braccia addormentate e le ritrovo …
-Ti sei addormentata lì?- Ashton ride beato, dando molta enfasi all’ultima parola.
Velocemente le sposto e le faccio ricadere lungo i fianchi.
-Sempre a pensare male.
-Stavi comoda sul mio ..- ancora che ride.
-Sui tuoi fianchi? Scomodissima.
Mi alzo molto lentamente, cercando di sgranchire tutte le parti del corpo fortemente indolenzite.
-Ma quanto ho dormito?
-Sono le dieci passate.
-Oh, le dieci. Le dieci?
-Oggi si salta scuola- Ashton alza le spalle con noncuranza e si alza dal divano, avvicinandosi, sempre sorridendo. Ma solo io la mattina sono intrattabile?
-Ti faccio un caffè, ti va?
-Allungato con il latte, grazie.
-Al suo servizio, Signora Crew.
Si gira verso la cucina con molta nonchalance, non prima di avermi mostrato la lingua.
Salgo velocemente di sopra, nella camera degli ospiti.
Ormai dormire a casa Irwin è un’abitudine, una brutta abitudine che ho preso. Mia nonna non mi vede da settimane.
Apro l’armadio riservato a me e prendo al volo una maglia nera e un jeans quanto più normale possibile; entro in bagno, il tempo di una doccia veloce, mi cambio e lego i miei capelli che, come avevo presupposto, sono degni del pelo bagnato di un cane.
Tolgo con un po’ d’acqua la matita nera sbavata e prima di scendere mi avvolgo nella mia felpa grigia.
Solo quando arrivo giù alle scale mi accorgo di essere scalza.
Entro in cucina e trovo Ash con una maglietta attillata, di un giallo quasi fosforescente che la sera prima non avevo notato, seduto al tavolo tondo. Prendo posto di fronte a lui e incomincio a bere dalla tazza.
-Questa me l’hai messa tu?- scoppia a ridere.
Sorrido anche io. –Beh, ho preso la prima cosa che ho trovato!- mi scuso.
-Mi compiaccio per il fatto che tu sia ancora viva dopo la vista e il tocco, aggiungerei, dei miei splendidi addominali. Complimenti- modesto lui.
-Oh beh, è stato un privilegio per me- continuo a scherzare mentre dentro avvampo come una tredicenne in calore – spero di non far ingelosire Marilyn-
-Tanto ci siamo lasciati, sono tutto tuo- fa un sorriso tirato.
All’inizio non capisco se stia scherzando o meno, poi comprendo.
-Ieri sera, giusto?-
-Stava facendo l’amore con Carl mentre io mi ubriacavo al piano di sotto-
-Molto coinvolgente come storia d’amore- lo guardo per capire cosa prova, non voglio ferirlo.
-Uhm- prende un sorso dalla sua tazza e non mi guarda per un po’.
Quando finisco di bere il mio caffelatte mi rivolge di nuovo la parola.
-Sam, per te sono abbastanza?-
Intercetta il mio sguardo accigliato e interdetto e continua a spiegare.
-Cioè, ti basto? Come amico, dico-
Non so cosa rispondergli e non so il perché di quella domanda.
-Sì, Ashton, nessuno mi ospiterebbe a casa sua tutte le settimane!- sdrammatizzo, ma lui attende ancora una risposta seria.
-Oh Dio Ash, ma cosa sono queste domande, certo che sì, mi basti! Non potrei chiedere di meglio, davvero-
Mi alzo per posare la tazza nel lavello e il ragazzo si alza, quasi nello stesso momento. Lascia andare sul tavolo la tazza e mi abbraccia, seppellendo il viso sulla mia spalla.
Non so cosa fare, né tantomeno cosa dire, per cui decido di ricambiare l’abbraccio.
Quasi mi alzo sulle punte per portare le mie braccia sulle sue spalle, così lui si china leggermente sulle ginocchia. Rimaniamo così avvinghiati per un po’, poi lui si stacca e vedo piccole macchie sulla spalla della mia felpa.
-Spero per te che non sia muco, è la mia felpa preferita questa!- gli do un pugno amichevole sul braccio e lui si asciuga gli occhi.
-Mi vuoi dire cosa ti è successo? Cosa ti sta succedendo?- continuo, sedendomi accanto a lui, che riprende posto al tavolo.
-Perché cambi continuamente ragazza? Perché non cerchi di approfondire i rapporti con qualcuna, invece di mollarla subito? Quella Rose non era male!-
Mi guarda con gli occhi spalancati.
-Ma se si è scopata mezza scuola!-
-Te compreso ..-
Lascio la frase in sospeso e lui mi guarda male.
-Ma allora perché te le scegli così, così, così … puttane?- sputo fuori l’ultima parola.
-Non merito di meglio.
-E questo chi lo dice, il signorino Ashton-sono-un-completo-stronzo-Irwin?
-Smettila Sam.
-No, non la smetto, perché non ho mai conosciuto persona più egocentrica, vanitosa e piena di sé di te, e ora quello con l’autostima bassa saresti tu? Sei un ragazzo perfetto, sei simpaticissimo, sai ascoltare e sei dannatamente bello, sei dolce e comprensibile con tutti e tu mi vorresti dire che meriti le puttane più bagasce della scuola?- sputo fuori le parole, poi mi rendo conto di avergli quasi fatto una dichiarazione e seppellisco il viso tra le mani.
-Quello che voglio dire- ricomincio, prima che lui possa rendersi conto di quello che ho detto –è che facendo così tu soffri, e non voglio che il mio migliore amico soffra.
Aspetto che questa volta sia lui a parlare.
-Non voglio impegni seri.
-Ma perché?
-Ho paura.
Attendo in silenzio.
-Paura di deludere, paura di non essere abbastanza, paura di non piacere e di essere scacciato. Solo con te mi sento al sicuro.
Quasi arrossisco, lui mi guarda con quel suo solito viso dolce.
-E’ per questo che ieri ti ho cercato. Ho cercato te.
-Beh avrei preferito che andassi a casa ..
Lui si alza e mi si avvicina, con il volto preoccupato.
-Ho detto qualcosa di sbagliato? Ieri, intendo. Ricordo solo di essere uscito da casa di Marilyn di corsa e di aver cercato la strada per il pub, sapevo che eri lì. Ma dopo essere svenuto non ricordo nulla. Ti ho trattato male?
Ripenso al Sei sempre così sexy quando pulisci? della sera prima e scuoto la testa.
-No, nulla Ash, non hai detto niente.
Lui sembra rassicurato e mi lascia un altro sorriso prima di uscire dalla cucina e andare a cambiarsi.
La vibrazione del mio cellulare mi riporta al presente.
Leggo velocemente un messaggio di Luke. E chi se l’aspettava.
 
Da: Luke
Ti aspetto in sala prove a casa di Calum. Devo farti sentire una cosa. Cal vuole parlarti.
 
Breve e conciso.
Urlo per attirare l’attenzione di Ash e lui si precipita in soggiorno, solamente con i jeans.
Calma, Sam.
-Ash, Luke vorrebbe vedermi, devo andare a casa di Calum ..
Non mi fa nemmeno finire.
-Esci con Luke? Vi ho visti insieme l’altro giorno- il suo tono ha un non so ché di strano.
-Cosa? No, non esco con Luke, assolutamente. Vuole solo vedermi.
Gli faccio leggere il messaggio per tranquillizzarlo, anche se non so perché lui non è tranquillo ed esco di casa correndo per beccare il pullman che sta già partendo dall’altro lato della strada. Salgo su giusto in tempo e sorrido. Sorrido perché vedo Ashton salutarmi dalla soia della porta, quasi come un fratello maggiore, un padre in pensiero, o un fidanzato amorevole.
 
 
Arrivo davanti casa Hood nel momento in cui Michael mi precede dietro la porta.
Calum mi vede arrivare e lascia uno spiraglio aperto, per permettermi di entrare dentro.
Sono già stata una volta a casa di Calum ed è rimasta esattamente come la ricordavo: un ingresso spazioso e luminoso, in netto contrasto con il resto della casa che è piena di candele e illuminata solo da una luce soffusa.
Seguo i ragazzi, che dopo un veloce cenno di saluto, mi precedono verso il seminterrato, un luogo al quale ancora non avevo avuto accesso.
Quando arriviamo alla fine delle scale a chiocciola mi ritrovo in un piccolo loft illuminato da luci elettriche sul soffitto, ricoperto da panelli insonorizzati.
-Non sapevo avessi anche tu una sala prove!- esclamo ammirata verso Calum.
Calum accenna un sorriso e ci guida ad una postazione dove sono presenti tre microfoni e una batteria rotta e smontata.
-Sono solo all’inizio nell’arredarla- indica un po’ imbarazzato.
Luke si alza dalla cassa dove sta seduto con la sua chitarra in mano, la poggia a terra e mi viene incontro.
-Ciao- fa per avvicinarsi ma rimane a debita distanza.
-Ehm ciao- non so cosa fare.
-Vi dobbiamo lasciare soli?- chiede Michael ridendo. Che bastardo.
-No – per fortuna Luke interviene –è una cosa che devo far sentire anche a voi.
Mi fa cenno di sedermi e Cal e Mick mi seguono a ruota.
Luke caccia dalla sua tasca un foglietto tutto stropicciato, lo stira leggermente sulla sua gamba e lo appoggia di fronte a sé, prendendo la chitarra e incominciando ad accordarla.
Poi senza preavviso incomincia a cantare.
Due a zero per Luke. Non sapevo nemmeno che cantasse così bene.

 I dedicate this song to you
The one who never sees the truth
That i can take away your hurt
Heartbreak girl
Hold you tight straigth trough the daylight
I’m right here when you gonna realize
That i’m your cure?
Heartbreak girl

Non avevo mai sentito quella canzone. Cerco di ricordare se Mtv la passava o se mi era capitato di sentirla per radio, ma nulla. Non riesco nemmeno ad associarla ad un cantante o ad una band. Non che mi intenda delle nuove hit o dei nuovi usciti, quando io mi fisso con qualcuno o con un genere preciso di musica nessuno mi smuove più dalla mia scelta.
Guardo le facce dei miei amici e vedo anche i loro occhi allibiti e confusi, non saprei dire se dalla canzone o dalla voce di Luke, che devo ammettere, è davvero mozzafiato.
Luke posa la chitarra imbarazzato dalle nostre reazioni e ci chiede con fare innocente –Beh, che ne dite?
Michael sta per aprire la bocca quando io lo interrompo.
-Dico che non ho mai sentito questa canzone e non capisco se cercavi di lanciare una qualche frecciatina o cosa- mi era appena passato per la mente il significato della canzone, ma non so per quale motivo avevo associato tutto a me. Nel senso, non sono mai stata con Luke, come ho potuto spezzargli il cuore? E poi lui mi dedicava addirittura una canzone? Eppure quelle parole erano uscite.
Mi copro velocemente la bocca con le mani per non dire altre stronzate e Luke scoppia a ridere, mentre Calum mi guarda interrogativo.
-Non capisco come questa canzone sia riferita a te – continua a ridere.
-Allora perché ce l’hai fatta sentire?- domanda Calum.
-E’ per Bonny- sussurra e abbassa leggermente il viso.
Il mio cuore sta per piangere. Non credevo che Luke fosse un tipo del genere. Questo tipo. Un tipo che, quasi come una serenata, dedica una canzone alla ragazza che gli ha spezzato il cuore. Un tipo forte dopotutto.
-Smettila, Luke, o qui perdiamo Sammy- Michael da una pacca amichevole all’amico e mi indica con lo sguardo, facendo sorridere Hemmings.
-Io, no, sto bene- ma non è vero.
Tutti mi guardano con una faccia da prenderli a schiaffi uno ad uno.
-Sto bene!- urlo.
-Se ti ho fatto piangere dovrebbero darmi un premio- ironizza il biondo.
-Cretino- mi alzo scocciata dalla cassa e mi avvicino a lui.
-Non hai risposto alla domanda- continuo.
-Quale domanda?- fa lo gnorri.
-Perché ce l’hai fatta sentire se è per Bonny?-
-Ehm – lo vedo tentennare – l’ho scritta io. Volevo sapere che ne pensate-
Nemmeno il tempo di finire la frase che gli occhi di tutti si spalancano in modo quasi anormale.
A me viene ancora di più da piangere. Tre a zero, Hemmings Crew. Non solo canta e suona la chitarra, ma compone anche. E devo dire che non avrei mai pensato che quella fosse una sua canzone. Semplicemente perché era così intonata, coordinata, sensata e sì, anche bella che non avrei mai associato una cosa del genere ad un ragazzo di poco più quindici anni, depresso e asociale.
Gli sorrido contenta e lui quasi ha paura di condividere la mia occhiata.
Cal e Mick lo stanno riempiendo di complimenti, ma non li sto ascoltando. Sto pensando ancora al talento del ragazzo che ho di fronte a me.
Cal porta il suo braccio sulle mie spalle e si appoggia a me per salire in piedi sulla cassa opposta a quella dove Luke è ancora accucciato.
-Ragazzi ho un’idea magnifica ascoltatemi tutti!- urla, come riferendosi a un popolo e non a tre persone.
-Formiamo una band!- e allarga le braccia.
Rimango confusa dalla notizia, ma all’inizio non comprendo che quel suo allargare le braccia comprende anche me.
-Fermi, fermi!- catturo la loro attenzione, stoppandoli dai loro saltelli.
-Io non so suonare niente, a stento riesco a suonare Fra Martino Campanaro con il pianoforte, rendiamoci conto!-
Luke scoppia a ridere, come se lui ora fosse Vivaldi.
Gli scocco un’occhiataccia e lui ammutolisce. Bene così.
Michael propone di farmi cantare.
Rido cinque minuti, poi notando la faccia seria degli altri mi concentro un attimo.
-E voi dopo aver sentito questa voce benedetta – indico la bocca di Luke – volete far cantare me?-
Calum sembra rifletterci su.
-Beh, sarai la nostra organizzatrice- già va meglio. Non me la prendo nemmeno, so di essere completamente inutile.
Mi accuccio sulla cassa, di nuovo, e li vedo armeggiare con cavetti e fili, poi prendere in mano le loro chitarre, Calum il basso, e li sento provare la canzone senza-titolo cantata prima di Luke, inserendo, o almeno cercando di inserire, gli altri strumenti.
Luke mi sorride prima di spostare lo sguardo sul suo spartito.
Mi accorgo di aver ricambiato il sorriso e mi alzo silenziosamente per non disturbarli, uscendo di casa con tutta la calma del mondo, beandomi ancora della sua voce e del suono della sua chitarra, che ormai si sta spargendo per tutta la casa.
 
 
Torno a casa di Ashton per salutarlo e poter andare a trovare mia nonna.
Appena apro la porta, Ash mi corre incontro e mi abbraccia. Mi stritola, sarebbe più corretto.
-Irwin, cosa ti succede?- sciolgo l’abbraccio ed entro nel salone, guardandolo stranita.
Non che non mi piacciano queste effusioni di affetto, sia chiaro.
-Ti ho mandato qualche messaggio, non mi rispondevi e mi sono preoccupato-
Gli lascio un sorriso, prima di cercare il mio Nokia modernissimo e molto avanzato, sbloccandolo. Ero ironica, comunque.
-Per te qualche sono 15 messaggi?- esclamo sbalordita –sai che non sono capace ad usare questo coso- lo getto malamente sul divano.
-Ho dimenticato la tua “unicità” rispetto agli altri normali sedicenni-
-Non è colpa mia se nessuno mi ha mai insegnato ad usare un telefono cellulare, signorino- lo guardò con cipiglio arrabbiato, come farebbe una maestra con il suo alunno più sfaticato, poi scoppio a ridere e lui sorride, come al solito.
-Ho risolto con Marilyn- se ne esce, tutto d’un fiato.
-Ho risolto per te vuol dire “Sono tornato insieme a lei” o “L’ho finalmente lasciata facendo la cosa giusta”?-
-La seconda- mormora, abbassando la testa.
-Ash sei serio?- controllo e freno l’entusiasmo.
Lui annuisce mugugnando come un bambino e io gli salto addosso abbracciandolo. Sì, ok, stritolandolo va meglio.
-Ash sei mitico lo sapevo lo sapevo che avresti reagito finalmente non ci credo ci sei riuscito!-
Ashton non ha mai lasciato una sua ragazza. Le prendeva e le usava sempre come giocattoli. Pensava che, essendo lui un giocattolo difettoso, avesse solo bisogno di compagnia, ogni tanto. E così le abbandonava, si dimenticava di loro fin quando quei giocattoli testardi non lo ricercavano, ovviamente anche loro solo per compagnia, e riallacciavano i rapporti, passando una o due sere insieme. E il giro si ripeteva.
Non era la prima volta che Ash veniva tradito da uno di questi giocattoli. In realtà non si era mai sentito tradito, semplicemente perché a lui non importava di queste sue compagne, e si sentiva libero di tradire a sua volta. Non si era mai soffermato ad approfondire i rapporti con qualcuna, a legare di più, a far nascere un vero rapporto di condivisione e passione. Per lui era tutto e soltanto un gioco.
Questo suo passo in avanti mi fa capire che anche lui si è stufato di questo. Non sono l’unica che si era annoiata, ed arrabbiata aggiungerei, di vederlo passare da ragazza a ragazza, da letto a letto, quasi come una prostituta. E lo abbraccio fino a non respirare più per questo, perché ha finalmente capito che non è un oggetto, che gli altri non sono un oggetto, che anche lui si merita qualcosa e che anche lui possiede delle emozioni, nonostante sia un giocattolo difettoso. Perché alla fine un po’ difettosi lo siamo tutti. Dobbiamo solo trovare il nostro riparatore.
-Perché?- mi chiede, ancora stretto nel mio abbraccio.
-Perché cosa?
-Perché questo?- lo sento sorridere sulla mia spalla.
-Perché non sei più un giocattolo difettoso- sussurro, ma lui mi sente.
-Perché?- continua, ridendo, quasi come un bambino.
-Perché hai trovato il tuo riparatore- mi stacco da lui e gli sorrido.
O almeno spero che lui l’abbia trovato. Io sì.
 
  
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