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Autore: Artemis Holmes    13/09/2014    1 recensioni
John Watson sta per compiere cinquant'anni, quando, dopo aver passato una serata insieme all'amico Mike Stamford, si accorge di non aver concluso niente di veramente importante nella sua esistenza fino a quel momento. Così decide di ripescare la sua vecchia rubrica, nella quale trova, scritti su una pagina ingiallita, i nomi e i numeri di tutte quelle che erano state le sue ragazze in passato - più un undicesimo numero-, e un'idea tanto folle quanto brillante gli attraversa la mente: perché non tentare di nuovo? Perché non provare a dare nuovamente un senso alla sua vita?
Dal prologo:
"Tra poco più di due mesi sarebbe stato il suo compleanno e qual era il bilancio che avrebbe potuto fare allora? Un congedo anticipato dall’esercito, un lavoro part time all’ambulatorio, che gli fruttava una busta paga davvero troppo leggera, un piccolo appartamento in affitto e… nessuna relazione sentimentale."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Prima di procedere con questo capitolo, devo delle scuse a tutti voi: questo mese, tra vacanze e compiti, ho avuto davvero pochissimo tempo per dedicarmi alla scrittura, quindi chiedo umilmente scusa per non aver aggiornato e per non aver risposto alle recensioni. Spero che con il ritorno in carcere (e per "carcere" intendo "scuola") possa aggiornare più spesso di così.
In ogni caso, non voglio dilungarmi ulteriormente, SOOOO... buona lettura!







Capitolo uno





Era trascorsa soltanto una settimana dalla fatidica notte, durante la quale aveva ripescato la sua vecchia rubrica, e John Watson stava già facendo piani audaci e speranzosi riguardo al suo avvenire: si immaginava come sarebbe stata la sua vita con una moglie amorevole accanto e una bella casa, sempre che i suoi piani fossero andati a buon fine. Inoltre aveva deciso di mettere mano anche alla sua carriera, cominciando a mettere da parte un po’ del suo stipendio per aprire un ambulatorio tutto suo; certo, ci avrebbe messo anni con i pochi soldi che si ritrovava ogni mese nella sua busta paga, ma John si sentiva estremamente fiducioso in quei giorni, come non lo era da anni. E gli piaceva quella sensazione, lo faceva sentire di nuovo giovane, proprio come quando era ragazzo. Perché si sa: quando si è giovani si nutrono un sacco di speranze, si hanno grandi aspettative riguardo al proprio futuro; la testa si riempie di “quando sarò grande, farò…”, “quando sarò grande, diventerò…” e ci si emoziona per ogni traguardo che si raggiunge: anche piccole cose, come un compito perfetto o il riuscire a strappare uno sguardo dal tipo o dalla tipa che ci piace, ci fanno sentire più vicini alla nostra meta.
Ma non sempre le cose vanno come avevamo pianificato, talvolta per colpa nostra, altre per colpa di altre persone, e altre ancora a causa degli eventi, e John lo sapeva bene. Se qualcuno gli avesse chiesto, quando era adolescente, che cosa avrebbe voluto fare nella vita, egli avrebbe risposto che sarebbe entrato nell’esercito come medico militare, che si sarebbe sposato, che avrebbe avuto dei bambini e che avrebbe, poi, trascorso la sua vecchiaia in pace, magari andando a pesca o a giocare a tombola, come fanno la maggior parte degli anziani; eppure tutti quei buoni propositi non erano bastati, perché, di tutti gli obiettivi che si era fissato, il medico era riuscito a conseguirne soltanto uno, quello della carriera militare, che era comunque finita non nel migliore dei modi e in anticipo, rispetto ai suoi piani.
Nonostante ciò, John sentiva di non potersi arrendere di fronte alla disfatta delle sue aspettative e dei desideri di una vita: ci aveva messo degli anni per capirlo, e finalmente aveva realizzato, conscio, comunque, del fatto che ci volesse molto più coraggio adesso, a quasi cinquant’anni, nel fare una cosa del genere, che a diciotto o vent’anni. Ma egli aveva tutte le carte in regola, doveva averle per portare a termine questa missione e dare finalmente un senso alla sua esistenza.
Due giorni prima, aveva così cominciato il tortuoso cammino che lo avrebbe portato dritto al raggiungimento della sua meta, aprendo la sua rubrica alla pagina dei dieci numeri e digitando il primo della lista, sotto al nome di Cheryl Coleman, una sua vecchia compagna di liceo, nonché la sua prima cotta. John ricordava quella ragazza: capelli lunghi biondi e ricciuti, occhi grandi verde smeraldo, carnagione lattea e naso alla francese; era una cheerleader e anche una delle ragazze più ambite della scuola, che lui aveva saputo conquistare con i suoi modi gentili e il suo umorismo, al contrario di tutti gli altri, che la vedevano soltanto come un trofeo di cui far sfoggio con gli amici. Il medico rimase assolutamente sorpreso quando Cheryl, dall’altro capo del telefono, rispose con la sua voce squillante, poiché convinto del fatto che, dopo tutti quegli anni trascorsi da quando glielo aveva lasciato, il numero potesse non essere più lo stesso, e rimase ancora più sorpreso dal tono entusiasta nella voce della donna, non appena John le rivelò chi fosse. Così, dopo i soliti convenevoli, i due si erano dati appuntamento per quella sera.
Il medico ci aveva messo più del solito per prepararsi per quella cena, ma poteva dirsi soddisfatto del risultato: barba rasata, capelli in ordine e pieghe dei pantaloni al posto giusto. Aveva, poi, chiamato un taxi, facendosi portare di fronte al locale dove si era dato appuntamento con Cheryl, e con entusiasmo e anche il dovuto nervosismo la trovò che già lo attendeva davanti al ristorante. Allora scese velocemente dall’auto, pagando distrattamente il conducente e le andò incontro: voltata di spalle nell’abito rosso lungo fino alle caviglie, era proprio come se la ricordava, con i suoi boccoli biondi e una silhouette che sfiorava la perfezione, come se lo scorrere del tempo non l’avesse neanche sfiorata.
«Cheryl! Cheryl Coleman! » La chiamò John, agitando la mano in segno di saluto.
La donna si voltò verso il medico sorridendogli, e quello rimase negativamente colpito da ciò che vide: il volto di Cheryl era completamente diverso da come lo ricordava, così come il suo decolté, che sembrava essere lievitato dai tempi delle superiori. Il volto di John si contorse involontariamente in una smorfia contrariata, a cui la donna, fortunatamente, non fece caso.
«John Watson! Che piacere rivederti dopo tutti questi anni! » Esclamò la donna, tuffandosi poi addosso al medico, che rimase interdetto per la reazione eccessivamente affettuosa di quella.
Terminato il momento degli abbracci e dei baci, la coppia fece il suo ingresso nel locale, andandosi a sedere al tavolo indicatole dal cameriere e ordinarono alcune delle portate sul menù.
«Allora, Cheryl, come va? » Domandò John per rompere il ghiaccio, anche se la donna, in realtà, sembrava già perfettamente a suo agio, dato che si stava scolando un bicchiere di vino bianco, che il cameriere aveva sapientemente portato al tavolo poco prima.
«Alla grande! Tu invece? »
John deglutì, preparandosi mentalmente una risposta da dare: serviva qualcosa che non suonasse dannatamente lamentoso, ma non aveva neanche intenzione di mentirle spudoratamente, così optò per un semplice “bene”.
«Sei riuscito alla fine a entrare nell’esercito? »
«Oh, sì! E tu sei riuscita a diventare una modella? »
Cheryl sorrise, scuotendo la testa e versandosi altro vino nel bicchiere.
«Sì, ma soltanto per un paio di anni. E’ un mondo troppo spietato quello! Figurati che non volevano che facessi figli per paura che la gravidanza potesse rovinarmi i tessuti!- fece una pausa e bevve un altro sorso- Non che ne abbia fatti poi, però non si dicono certe cose alle persone! Insomma, faccio della mia vita quello che voglio, giusto John?! »
Il medico annuì poco convinto, restando in silenzio. Osservava la donna di fronte a sé, così diversa dalla ragazza semplice che aveva conosciuto molti anni prima, sia nei modi che nell’aspetto: John la ricordava essere estremamente timida ed educata, mentre adesso gli appariva così spartana e sguaiata, perfino nel tono di voce; il suo corpo, invece, doveva costare qualche migliaia di sterline, tanto doveva essere pieno di botox!
Il medico pensò che, a saperlo prima che era diventata così, non l’avrebbe neanche invitata a cena!
Ma ormai era lì e doveva trovare in fretta un argomento, perché Cheryl lo stava guardando già da qualche istante, aspettandosi che dicesse qualcosa.
«Allora… sei sposata? Fidanzata? » Chiese John.
«Sposata, sì. »
«E chi è il fortunato? »
La donna sfoggiò un ghigno, che a John parve non troppo rassicurante.
«Un certo magnate russo… un uomo anziano…» Rispose vaga.
Il medico spalancò gli occhi, mentre le sue labbra si dischiusero leggermente, dando vita a un’espressione decisamente stupita; Cheryl scoppiò in una fragorosa risata.
«Chiudi la bocca, Watson, o ci entreranno le mosche!- Esclamò, per poi ricomporsi, facendosi più vicina all’uomo- Lo vuoi sapere un segreto, John? »
Il medico annuì, curioso.
«In realtà questo è un matrimonio di convenienza. Ti spiego: io sono sposata con lui, che mi garantisce migliaia di sterline da spendere come voglio e dove voglio ogni giorno, e, allo stesso tempo, mi porto a letto chiunque voglio. Anche perché non sono certo una che può essere soddisfatta da un settantenne! »
John si allontanò istantaneamente dalla donna, come le sue parole lo avessero bruciato, e la guardò schifato. Come si potevano dire o anche solo lentamente pensare cose del genere? Se ciò che Cheryl aveva appena detto fosse stato vero o meno a John non importava, perché il suo discorso era già stato abbastanza ripugnante per lui. Quella non era decisamente più la ragazza che era stata fidanzata con lui quando aveva diciassette anni, quella non era la Cheryl Coleman che conosceva un tempo e che avrebbe rivisto volentieri quella sera.
Così scattò in piedi, pronto ad andarsene, quando la donna parlò nuovamente.
«Che cosa stai facendo? Dobbiamo ancora iniziare a mangiare! Non puoi aver già bisogno del bagno! »
John afferrò la giacca, che aveva appoggiato sullo schienale della sedia quando erano arrivati.
«Non sto andando in bagno infatti; sto andando via. » Disse, tentando di trattenere tutta la rabbia e il disgusto che stavano per sormontarlo; Cheryl lo guardò confusa.
«Che significa che stai andando via? »
«Significa che non ho intenzione di rimanere in questo ristorante neanche per un minuto di più! »
«Hai cambiato idea sul locale?- La donna si leccò il labbro superiore, ammiccando al medico- Se vuoi, possiamo andare in un posticino che conosco: fanno dell’ottimo salmone e poi… al dessert ci penso io. »
John la osservò per qualche momento, totalmente sconcertato. Adesso era troppo, decisamente troppo da sopportare: tutta quell’insolenza e quella sfacciataggine gli stavano facendo salire la bile dallo stomaco e, se non fosse uscito al più presto dal ristorante, avrebbe fatto una scenata, se lo sentiva.
Si voltò, allora, di spalle, incamminandosi a grandi passi verso l’uscita, mentre Cheryl lo chiamava ad alta voce da dietro, attirando l’attenzione degli altri commensali.
«John Watson, ti ordino di tornare qui immediatamente! »
John scosse la testa, prima di uscire, e, non appena fu sul marciapiede, fermò un taxi, salendovi sopra. Comunicò il suo indirizzo all’autista e poi si tuffò sui sedili posteriori, non curandosi di avervi sbattuto violentemente la schiena. Portò la mano destra sugli occhi, sospirando pesantemente, nel tentativo di dissimulare tutta l’ira e tutto il disgusto che aveva provato soltanto pochi minuti prima per quella donna- senza contare una piccola punta di compassione per suo marito, che, seppur milionario, si ritrovava a essere tradito continuamente-.
Non appena sentì scemare tutte quelle emozioni dal suo corpo, immerse la mano sinistra nella tasca della giacca, estraendone la rubrica; andò alla pagina dei numeri e con una penna, che si era premurato di inserire nel piccolo librettino, cancellò il nome e il numero di Cheryl, passandovi sopra più volte, finché non vi rimase soltanto una grossa macchia di inchiostro.
Il suo primo tentativo di migliorare la sua vita era stato un completo fallimento, ma aveva ancora nove possibilità. Più una. 







 
   
 
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