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Autore: Fannie Fiffi    13/09/2014    4 recensioni
[Bellarke; Modern!AU]
Clarke Griffin è una diciannovenne alla ricerca di se stessa, ma soprattutto alla ricerca di una verità ancora più grande di lei: quella riguardo la morte del padre.
Costretta a dover abbandonare le proprie ricerche per due anni, il suo mondo verrà nuovamente sconvolto quando conoscerà il suo nuovo vicino di casa, il giovane detective Bellamy Blake.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera dolcezze!
Eccomi qui ad aggiornare durante l’ultimo sabato sera di libertà prima dell’inferno. Un bocca al lupo a tutti quelli che, come me, torneranno a scuola questo lunedì, e un abbraccio a chi è già tornato. Ultimo anno, che la sfida abbia inizio.

Che dire, ringrazio con tutto il cuore chi c’è dall’inizio e chi si è unito a noi da poco, chi recensisce costantemente e chi legge silenziosamente.
Per me la vostra opinione è preziosa, perciò non siate timidi e non abbiate paura di esprimere il vostro parere, qualsiasi esso sia.

Bene, che dire… Allacciate le cinture per questo capitolo, ne vedrete delle belle.
Buona lettura!
 






Is It Any Wonder?

 
 
 
 
Per l’ennesima volta in un numero incredibilmente elevato di giorni, Clarke Griffin aveva pensato che fosse finita.
La ricerca, il 221B, i viaggi in macchina, le cene improvvisate.

È finita, si era detta quella notte, quando aveva voltato le spalle a Bellamy e aveva camminato lontano dalla sua casa.

Era rientrata, aveva salito le scale fino alla propria camera, si era spogliata velocemente e si era gettata di nuovo sul materasso.

Si era addormentata quasi senza accorgersene, mentre strofinava la guancia contro il cuscino, sdraiata a pancia in giù, e la mattina seguente si era risvegliata con un grande mal di testa. Quel giorno, dopo anni, aveva indossato gli occhiali da vista che suo padre le aveva regalato per il suo quattordicesimo compleanno.

Tutto le era sembrato sfilarle accanto con lentezza disarmante, come in naturale slow motion.

Quando qualcuno aveva bussato alla porta era stata quasi tentata di lasciarlo andare via, di non aprire e tornare a letto, ma alla fine si era alzata e aveva spalancato l’uscio con disinteresse.

Il maggiore dei Blake l’aveva guardata come si guarda un bambino che ha mangiato di nascosto il terzo biscotto prima di cena, poi si era abbassato i rayban neri sugli occhi.

Senza dire una parola, aveva fatto un cenno del capo verso la propria auto parcheggiata e le aveva dato le spalle.

Clarke era salita in macchina dieci minuti dopo.

Le uniche cose che si erano detti in quel minuscolo garage riguardavano tutti i dati che la giovane era stata in grado di raccogliere sull’Ark, ripromettendosi che, non appena Bellamy avesse ripreso il lavoro, avrebbero approfondito quell’aspetto della faccenda.

Quello strano gioco di silenzi e sguardi rubati era durato una settimana esatta, sette giorni in cui avevano parlato soltanto di turni di servizio, di appalti, documenti e liste di dipendenti, salutandosi all’ora di pranzo e rivedendosi solamente la mattina successiva.

La sera dell’ottavo giorno, quando tutti i pomeriggi avevano cominciato a svanire via in uno strano gioco di apparenze e mancanze, Clarke aveva deciso di non poter più sopportare quella situazione.

Aveva telefonato a Jasper, il cui umore si era stranamente risollevato dopo aver saputo dei suoi problemi con Bellamy, e gli aveva dato appuntamento al The 100.

Ora che Monroe era tornata e Monty aveva finalmente potuto trascorrere del tempo con la sua ragazza, i due giovani avevano proprio bisogno di una serata di bevute.

Perciò eccoli qui, seduti ad un tavolino vicino al bancone, lei con un Cuba Libre e lui con il buon vecchio Daiquiri Frozen davanti a sé, mentre osservavano le persone ballare e agitarsi al ritmo della musica, mentre le luci caleidoscopiche della pista da ballo si confondevano a quelle soffuse della zona bar.

« Sembrano anni. » Commentò dopo qualche tempo il giovane Jordan, guardandosi attorno e masticando distrattamente la cannuccia.

« Cosa? » Rispose Clarke con tono assente, lasciando lei stessa vagare lo sguardo nel locale.

« Sembrano passati anni dall’ultima volta che siamo stati qui », chiarì lui, « insieme. Solo io e te. »

Improvvisamente la bionda si voltò, un sorriso genuino stampato sulle labbra chiare, e gli sfiorò la mano che reggeva il bicchiere.

« Siamo qui ora. »

I due continuarono a scambiarsi chiacchiere fugaci e a sorseggiare i loro drink ancora per un po’, finché la bionda non sentì partire una canzone che le piaceva particolarmente e, aggrappandosi al braccio del suo migliore amico, urlò: « Andiamo a ballare! »

Jasper sapeva che oramai il rum del suo cocktail aveva fatto effetto, ed era principalmente per questo che doveva aver preso quella decisione, ma non poté fare a meno di sorriderle e farsi trascinare verso la pista da ballo.

C’era qualcosa di incredibilmente affascinante nell’osservarla ballare: forse era il fatto che lo faceva unicamente quando si sentiva già allegra, e che quindi potesse muoversi senza l’oppressione delle inibizioni, o forse era il modo in cui si abbandonava totalmente alla musica, lanciando le braccia in aria e lasciandole oscillare sopra la propria testa, chiudendo gli occhi e permettendo semplicemente che tutto le scorresse addosso.

A quanto pareva il suo, di rum, non aveva ancora fatto effetto, rendendolo più lucido di quanto volesse effettivamente ritrovarsi, quindi si limitò ad dondolare leggermente sul posto e ad osservare la sua migliore amica perdersi nella musica e nelle parole della voce che gli rimbombava nelle orecchie.

« Party girls don’t get hurt, when will I learn? » Cantava lei, ondeggiando i fianchi al ritmo del remix e consentendo al suono di trascinarla via.

Voleva smettere di pensare a qualsiasi cosa non fosse quel momento, quel preciso e imperfetto momento.

« Vado a prendere altri drink, che ne dici? » Le suggerì all’orecchio Jasper dopo qualche istante, avvicinandosi e tentando di sovrastare il rumore che li circondava.

La bionda si limitò ad annuire e abbandonarsi ad una lieve risatina, voltandosi poi e continuando a ballare contro i corpi che la sfioravano selvaggiamente.

Quando, ad un tratto, due mani si aggrapparono ai suoi fianchi e percepì la propria schiena scontrarsi contro un petto indubbiamente maschile, la giovane Griffin continuò a muoversi per alcuni secondi, poi decise di voltarsi.

Un ragazzo alto, più o meno della sua stessa età, occhi chiari e capelli castani, la guardava attraverso le luci colorate e le sorrideva amichevolmente.

« Ciao! » Le urlò, avvicinandosi al suo volto per farsi sentire.

« Ehi! » Ricambiò, continuando a muoversi contro di lui e poggiando lievemente le mani sulle sue spalle.

« Sono Dax. » Disse lui dopo qualche minuto, mentre le sue dita si stringevano attorno alla sua vita e l’avvicinavano a sé.

« Clarke. »

Rimase a guardare il suo viso per un po’, chiedendosi se l’avesse mai visto o se lo conoscesse.

La sua faccia era essenzialmente anonima, non aveva particolarità che saltavano all’occhio, quindi la giovane decise che doveva trattarsi di qualcuno che non frequentava quel posto, o in alternativa che era troppo comune per essere ricordato.

Non sapeva perché stesse ancora ballando con quello sconosciuto – non era mai stata il tipo – e nemmeno perché lui avesse provato tanto interesse, dati i semplici shorts di jeans e la canotta nera che indossava, ma decise di non dargli troppo peso.

Se Bellamy Blake può andare a letto con qualcuna che conosce solo da due giorni, perché io non posso ballare con un ragazzo carino?

Beh, quello cominciava a non andare bene. Come poteva pensare a lui mentre era tra le braccia di qualcun altro, sulla buona strada per una grande sbronza e assai consapevole del fatto che non parlassero da una settimana?

Scuotendo leggermente la testa, come a voler scacciare via quel pensiero, Clarke tornò alla realtà, abbandonando la presa sulle spalle di Dax per agitare i capelli sudati che cominciavano ad appiccicarsi contro il proprio collo, poi ritorno a stringersi a lui.

Non stava facendo nulla di male, vero? In fondo, stava solo ballando con un ragazzo. Niente di grave.

E allora perché si sentiva come se stesse commettendo qualcosa di profondamente e radicalmente sbagliato?

Cos’era quella sensazione di fastidio al centro del petto?

Prima che potesse decidere di staccarsi e uscire a prendere un po’ d’aria fresca, il ragazzo davanti a sé si concentrò totalmente sul suo viso, guardandola negli occhi e ammiccando spudoratamente.

Cominciò a piegarsi verso di lei nello stesso momento in cui la bionda capì che era davvero arrivato il momento di andarsene, ma la giovane Griffin non riuscì a muoversi. Non sapeva dire se si trattasse di una temporanea perdita di qualsiasi facoltà motoria o se fosse colpa di un qualche tipo di panico che la stava facendo impazzire.

Mancavano oramai solamente pochi centimetri prima che le proprie labbra entrassero a contatto con quelle di un estraneo, e, quasi senza accorgersene, chiuse gli occhi, arrendendosi.

Fu con non poca sorpresa che percepì un sospiro incredibilmente simile a un ringhio, seguito subito dopo dalle mani di Dax che venivano quasi strappate via dai propri fianchi.

Quando aprì gli occhi, confusa, Clarke si ritrovò davanti ad un petto che si muoveva velocemente a causa del respiro affannato. Sollevando lo sguardo, incontrò le iridi profonde e oscure di niente di meno che Bellamy Blake, che la fissava con un’espressione indecifrabile sul volto.

In quel momento le sembrò che tutto sparisse: le persone che ballavano attorno a loro, la stanza scura, le luci, la musica alta. Non c’era più niente, solo i suoi occhi profondi e la sua espressione irritata.

Dopo qualche secondo tutto riprese a girare vorticosamente, percepì chiaramente il battito del cuore rimbombarle contro le tempie, il proprio respiro irregolare, la folla attorno a loro.

Provò a dire qualcosa, ma lui fu più veloce e si voltò di scatto verso il ragazzo che l’aveva stretta fino a qualche attimo prima: « Toglile le mani di dosso. »

L’altro lasciò vagare impetuosamente lo sguardo fra i due per pochi secondi, un’espressione impaurita dipinta sul volto.

« Scusa, amico, non sapevo che fosse la tua ragazza. »

Senza attendere oltre, il tipo sparì fra la folla, e la bionda parve risvegliarsi da un sonno profondo: « Non sono la sua ragazza! » Gli urlò dietro, prima di accorgersi che il maggiore dei Blake l’aveva sorpassata e si stava allontanando nella direzione opposta.

« Ehi! » Chiamò alle sue spalle, ma lui non sembrò nemmeno farci caso.

Alle sue instabili condizioni fisiche e mentali si aggiungevano anche le persone che si dimenavano attorno a lei e le impedivano di raggiungerlo, trascinandola spesso fra la folla e allontanandola da lui, ma Clarke continuò a camminare verso di lui finché non lo vide, di spalle, poco lontano dall’uscita.

La fresca brezza notturna la colpì e il sottile strato di sudore che si era formato sulla sua pelle la fece rabbrividire, ma lei ignorò la sensazione e marciò con determinazione verso di lui.

« Che diavolo… » Iniziò a mormorare, una volta abbastanza vicina da farsi sentire. Bellamy, che le dava le spalle, sussultò impercettibilmente al suono della sua voce, ma non si mosse.

« Si può sapere cos’era… quello? » La giovane Griffin quasi urlò, e un gruppo di persone che si apprestavano ad entrare nel locale si voltò verso di lei.

Bene, riusciva ad ottenere l’attenzione di estranei a metri di distanza e non riusciva a guardare negli occhi colui che stava a pochi centimetri. Stava quasi per sorpassarlo e piazzarglisi davanti, quando finalmente si voltò.

« Non lo conoscevi nemmeno! Ti stava per baciare, ti stava per baciare e tu glie lo stavi permettendo. Si può sapere a cosa stavi pensando? » Bellamy parlò con lo stesso tono di voce, un’espressione di rabbia e incredulità negli occhi furenti.

« Oh, Dio, non può essere vero… Tu. Proprio tu pensi di poter dire qualcosa su chi posso o non posso baciare? Sì, forse glie lo avrei permesso. E allora? L’ultima volta che ho controllato, tu sei andato a letto con Raven. »

« Sono due cose completamente diverse! » Sbottò lui, chiudendo gli occhi e passandosi una mano sul volto.

« Ah, davvero? E per quale motivo? »

Riportò lo sguardo su di lei. « Tu… Io… Insomma, Clarke. »

In quel momento tutta la rabbia sembrò semplicemente evaporare via dal suo viso, lasciando posto a un’espressione che la giovane non fu in grado di interpretare del tutto. Senso di colpa? Frustrazione, forse?

« Si può sapere cos’è che vuoi, Bellamy Blake? » Gli domandò arricciando il labbro superiore e alzando le braccia in aria.

L’altro si irrigidì sul posto, ma non rispose. Trascorsero alcuni secondi, durante i quali la giovane Griffin tentò di decifrare il suo atteggiamento e le sue parole, e il silenzio fu sufficiente.

« Tu sei davvero incredibile. » Mormorò lei, abbandonandosi ad un sorriso amaro e passandosi una mano fra i capelli.

« Aspetta… »

Ma lei gli aveva già voltato le spalle e stava già camminando lontano da lui.

« Principessa! » La richiamò ancora una volta, e si lasciò sfuggire un lieve sospiro quando la vide bloccarsi sul posto.

Non fece in tempo a compiere un passo avanti, però, perché la giovane Griffin aveva già ricominciato a dirigersi verso l’entrata del club con andatura spedita e determinata.
 
 
 
 
*


 
« Non saremmo mai dovuti venire qui. » Ringhiò il maggiore dei Blake, entrando in macchina e richiudendo violentemente la portiera.

« L’hai trovata? » La voce di sua sorella era delicata, come se sapesse di poterlo distruggere da un momento all’altro.

« Oh, sì », esclamò lui con sarcasmo, aggrappandosi con la mano destra al volante, « e stava per baciare un dannato coglione. Uno sconosciuto. Ti rendi conto? »

« Considerato che tu hai fatto sesso con l’ex del suo ex… » Commentò la più giovane, alzando gli occhi al cielo e voltandosi verso di lui. « E poi che è successo? »

« Gli ho detto di togliersi dalle palle, ovviamente. »

« E lei come ha reagito? »

« Si è arrabbiata. » Mormorò lui, mettendo in moto l’automobile e tirando il freno a mano.

« Tutto qui? Finisce così? »

« Non ho intenzione di parlarne ancora, Octavia. La questione è chiusa. »

Ben consapevole di non poter tirare troppo la corda, la brunetta si abbandonò contro il sedile e tirò giù il finestrino, lasciando che il fresco notturno le accarezzasse il viso.



 
*



Clarke si sedette al bancone del bar con un brontolio e non poco rumore, sbuffando pesantemente subito dopo.

Non ebbe nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, perché Jasper era già al suo fianco.

« Dove diavolo eri finita? » Domandò in tono lievemente isterico, spalancando gli occhi e sedendosi sullo sgabello vicino.

La bionda gli lanciò soltanto uno sguardo fugace, poi, adocchiando Alexander, che stava servendo due clienti poco più in là, lo guardò e alzò un dito in una silenziosa richiesta.

« Ero… Non importa. » Concluse qualche secondo dopo, voltandosi finalmente verso di lui e sorridendogli appena. « Ubriachiamoci. »

Quando il migliore amico del suo fratellastro si avvicinò e le fece l’occhiolino, non attese oltre: « Un Long Island pesante per me e un Mojito per Jasper. Fai del tuo meglio! »

« Woah, Clarke, sei sicura? »

La giovane sembrò rifletterci un po’, e si corresse subito dopo: « Hai ragione. Facciamo due Long Island e due Mojito. Ho la carta di credito di mia madre. »

Non appena il ragazzo davanti a lei scoppiò a ridere, ma accettò comunque l’ordinazione, lei tamburellò distrattamente le dita contro la superficie del bancone, quasi fischiettando.

« Sai che non rifiuto mai un drink, ma c’è decisamente qualcosa che non va. » La voce allarmata dell’amico non passò inosservata.

« E fai bene a non rifiutarlo, perché sto offrendo io. »

« E ora stai sviando il discorso. »

Sbuffando nuovamente, si voltò ancora una volta verso di lui e poggiò una mano sulla sua: « Sto bene. »

Scandì le parole con estrema lentezza, quasi come se stesse parlando ad un bambino, poi tornò a fissare un punto imprecisato davanti a sé.

Jasper non replicò.

L’ultimo pensiero che Clarke ricordava di aver formulato quella sera, prima di perdere totalmente conoscenza, era stato: “Non arriverò mai a casa con le mie gambe.”
 


E in effetti non era proprio in quel modo che erano andate le cose, perché la giovane Griffin si risvegliò su una delle panchine sul retro del The 100, le gambe lasciate a penzolare oltre il limite della tavola di legno e un leggero strato di saliva a colarle giù dalla bocca aperta.

Oh, questo era davvero un problema.

Alzandosi sui gomiti, si sentì come se la gravità avesse scaricato l’intero peso del mondo contro le proprie tempie, e ora il suo cervello stesse lentamente implodendo.

Riuscì senza non poche difficoltà a mettersi seduta, ripulendosi la bocca subito dopo con il dorso della mano, e guardandosi attorno in preda alla confusione.

Che ore erano? Perché il locale era ancora chiuso? Dov’era Jasper?

Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che qualcuno, probabilmente Alexander, avesse pensato bene di lasciarli riposare lontano da occhi indiscreti, e, gettando un’occhiata all’orologio da polso, si accorse che erano appena le sette del mattino.

Aveva dormito solamente tre ore. Ottimo.

Prima che potesse anche solo preoccuparsi per il suo migliore amico, adocchiò il cappuccio di una felpa verde vicino al bidone che il personale del club utilizzava per gettare i rifiuti delle sere precedenti.

« Jasper! » Chiamò, e la sua voce parve incredibilmente vicina a un mix tra un grugnito e il mugugno di una foca.

La testa scattò improvvisamente, guardandosi attorno, poi il ragazzo si voltò verso di lei.

Clarke trattenne a stento una risata, che però provocò un improvviso moto di nausea. « Non hai una bella cera. » Commentò dopo qualche istante.

L’amico, un occhio ancora chiuso e l’espressione di qualcuno che aveva fatto bungee jumping subito dopo aver fatto colazione, sorrise sarcasticamente e si passò una mano sul volto.

« Gr- grazie, gentilissima. »

« Che diavolo è successo stanotte? »

« Credo che siamo collassati sul bancone. Letteralmente collassati. » Il giovane Jordan si tirò su e si andò a sedere dall’altro lato della panchina su cui era stata sdraiata la sua migliore amica.

« Non abbiamo nemmeno bevuto così tanto. » Commentò lei con tono calmo e rilassato.

« Ho perso il conto al quarto Mojito della serata. Perché poi hai ordinato quello? Sai che reggo meglio il Daquiri. »

« Non fare la femminuccia, Jazz. » Scoppiò a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia dal ragazzo.

« Credo che tu sia ancora ubriaca. »

Lei si voltò verso di lui e aggrottò le sopracciglia, come a voler riflettere attentamente.

« Niente che una buona passeggiata a casa non possa risolvere. »

« Vuoi che ti accompagni? »

Clarke scosse la testa e si mise in piedi.


 
 
Camminò verso casa con non poche difficoltà, dato lo stato di subbuglio in cui si trovavano la sua testa e la sua pancia, ma la giovane Griffin fu in grado di arrivare sana e salva.

Solo quando inserì la chiave nella serratura, si ricordò che non aveva avvisato né Wells né sua madre del fatto che sarebbe rimasta fuori a dormire.

Ma per quanto Abby fosse una donna impegnata e devota al proprio lavoro, forse non si era nemmeno accorta della sua assenza. In fondo, era già successo prima.

Entrando finalmente in casa, attenta a non far rumore e non disturbare gli altri, Clarke si diresse con tutta l’energia che possedeva verso le scale, raggiungendo la propria stanza e crollando sul materasso, improvvisamente esausta.



 
*


 
« Ehi, amico. »

Atom entrò in cucina mentre il maggiore dei Blake sorseggiava una tazza di caffè, i capelli ancora umidi per la doccia che aveva fatto poco prima e l’espressione pensierosa.

Bellamy spinse verso di lui un’altra tazza e vi versò all’interno il contenuto della macchinetta vicino a loro.

« Mi dispiace che non ci fossi, ieri. »

L’amico si sedette al suo fianco e strinse le dita attorno al manico della scodella.

« Quel mal di testa mi stava seriamente distruggendo… » Lasciò cadere la frase a metà, guardandosi le mani.

« Tutto bene? »

« Sì, certo, certo.  Com’è andata? »

Il moro prese un altro sorso e aggrottò le sopracciglia. « Non come avevo sperato. »

« Vedrai che andrà tutto bene. » Il ragazzo dagli occhi verdi lo guardò per qualche altro istante, tirando fuori subito dopo una busta di carta dalla tasca anteriore dei jeans.

Quando Bellamy lo vide poggiarla davanti a sé, lo guardò con aria interrogativa.

« È la mia parte di affitto. » Spiegò l’altro.

« No. »

« Andiamo, Bell… »

« Non se ne parla. Sei mio ospite, non il mio coinquilino. »

« E allora lascia che sia il tuo coinquilino. Sai che devi accettarli. Insomma, sono qui ormai da un mese e… voglio contribuire. Non ho intenzione di aggrapparmi così. Non è giusto. »

Notando la sicurezza nel suo tono di voce e la determinazione nella sua espressione, non poté fare a meno che prendere la busta.

« Ma alla spesa ci penso io. » Ordinò subito dopo.

L’amico annuì e gli sorrise, alzandosi e dandogli una pacca sulla spalla.
 

 
*



 
Clarke riprese conoscenza e facoltà mentali alle sei del pomeriggio, quando si svegliò da un sonno durato undici ore e travagliato da crampi e mal di testa fortissimi.

Cercando di reprimere l’idea che quella fosse la peggior sbronza che avesse mai preso in diciannove anni di vita, la bionda afferrò della biancheria pulita dal comodino alla sua sinistra e si diresse verso il proprio bagno, chiudendosi a chiave.

Mentre lasciava riempire la vasca da bagno, versò dell’acqua fredda nel bicchiere vicino al lavandino e, dopo aver bevuto e averlo riempito per altre due volte, tirò fuori un paio di aspirine dall’armadietto dei medicinali. Non voleva prenderle, ma, se il bagno caldo non avesse funzionato, sarebbe stata costretta.

Tutto quello di cui aveva bisogno ora era una Diet Cola, e si dava il caso che ne tenesse una scorta proprio in uno degli sportelli sotto al lavandino.

Chi tiene una cassa di bibite nel proprio bagno? Beh, Clarke Griffin, a quanto pareva. Esperta DOC in rimedi per sbornie colossali di cui ci si pente amaramente il giorno dopo.

Afferrò una delle bottigliette di plastica e, preparando il proprio accappatoio, entrò nella vasca ancora vuota per metà.

Mentre l’acqua bollente si infrangeva contro il suo corpo e la giovane poteva tirare un sospiro di sollievo, decise di prendere un sorso e acquietare per un po’ il mal di stomaco.

Per l’ennesima volta era stata tanto stupida da voler annegare i problemi in un bicchiere, pur essendo perfettamente consapevole di non potervi trovare alcuna risposta.

Una parte di sé sapeva bene che quello era un comportamento sbagliato e immaturo, e che non era di certo il modo di risolvere le cose. Era la stessa parte di lei che aveva tanto desiderato essere un dottore e conosceva bene le conseguenze di quegli atteggiamenti.

Un’altra parte, però, si sentiva quasi meglio. E non si trattava dell’aspetto fisico – ovviamente non stava meglio, data la nausea e il dolore alla testa – ma del fatto che forse tutto quello che voleva fare era distruggersi un po’. Vedere quali fossero i propri limiti. Provocare una reazione. Qualsiasi cosa.

Quando chiuse gli occhi, il volto di Bellamy si dipinse sul fondo buio delle sue palpebre, arrabbiato e furente come l’ultima volta che l’aveva visto, e la giovane rabbrividì nonostante l’acqua calda che ormai le arrivava al collo.

Li riaprì di scatto, velocemente, perché il rubinetto era ancora aperto e ogni scusa era buona per non permettersi di pensare a lui, al modo in cui l’aveva guardata, al modo in cui sembrava essere geloso di quel ragazzo con cui aveva ballato. Con quale diritto, poi?

Non era lei che era andata a letto con un altro.

No, non aveva la minima intenzione di permettergli di farla agitare proprio ora che tentava di rilassarsi, perciò richiuse gli occhi e si sforzò di abbandonarsi alla sensazione di calore che le forniva la vasca.
 
 
 

« Ciao, Clarke. »

La voce di sua madre le arrivò alle spalle, sorprendendola e non poco.

La giovane Griffin, occupata a sfogliare distrattamente il manuale di anatomia, alzò gli occhi al cielo e si voltò sulla poltrona girevole.

« Quale piacere, pensavo avessi affittato una stanza in ospedale. »

Abby decise di ignorare il sarcasmo di sua figlia, appoggiandosi con la spalla sinistra all'uscio della porta e accennando un sorriso che pareva unicamente di cortesia.

« Gradirei che questa sera tu restassi a casa. »

Clarke formò una piccola ‘o’ con le labbra e annuì. « Oh... Tu gradiresti che io restassi a casa. Che c'è, vuoi passare del tempo madre-figlia? È un po' troppo tardi per queste stronzate, non credi? »

Fu perfettamente in grado di notare il leggero scatto delle sue sopracciglia, mentre la sua espressione diveniva più seria e, se non l'avesse conosciuta bene, si poteva dire che sembrasse quasi offesa.

« Modera il linguaggio, signorina. Preferirei solo che evitassi, anche questa sera, di ubriacarti in quel locale da quattro soldi che ti ostini a frequentare. »

La più giovane aprì leggermente la bocca in segno di sorpresa e, richiudendola subito dopo e serrando la mascella, parlò fra i denti: « È di questo che volevi parlarmi, allora. Non c'era bisogno di tante storie. Hai forse paura che i tuoi colleghi scoprano che tua figlia è un'alcolizzata senza speranze di redenzione? »

La signora Jaha sbuffò dal naso e compì un passo avanti, evidentemente sconvolta: « Sai bene che non era questo che intendevo. Non mi interessa nulla del giudizio dei miei colleghi, mi preoccupo semplicemente per te. »

Il tono di sua madre si addolcì, e questo non fece altro che irritarla ancora di più.

« Sì? Ti preoccupi per me? Ti preoccupi per me da quando, mamma? » Voleva evitare di alzare il tono, ben consapevole che il suo atteggiamento non portasse altro che litigi senza fine e attacchi ingiusti, ma non ne fu in grado.

« Dal primo momento che ti ho tenuta fra le mie braccia, Clarke! Perché ti comporti in questo modo? »

Abby fece un altro passo avanti, e sua figlia la bloccò: « Non ti ho detto che potevi entrare. »

« Questa è casa mia, non pensare di poter usare quel tono sotto il mio tetto. »

« Oh, ora è il tuo tetto! » Esclamò lei, alzando la voce e mettendosi in piedi, « Sai cosa? Tu e il tuo maritino potete tenervelo tutto per voi, me ne andrò presto. »

Non appena pronunciò quelle parole, una parte di sé si pentì di aver tirato in ballo il suo patrigno.

Sapeva quanto affetto e amore nutrisse per lei e sua madre, ma la rabbia e la frustrazione avevano ormai preso il sopravvento.

« Pensi che dicendo queste cose tu possa realizzare il tuo bisogno di punirmi? » La donna più grande abbassò la voce, questa volta tentando di mantenere il discorso su un piano civile. Oh, quanto si sbagliava.

« Ah, sono così stanca di questa recita. É solo una farsa, non lo capisci? Puoi smettere di far finta che te ne importi qualcosa, sai? »

« Come puoi dire questo? » Il suo tono ora era sbalordito, incredulo, e Abigail compì un altro passo avanti.

« Tu sei mia figlia. Sei il mio sangue. Non potrei mai e poi mai dimenticarmi o smettere di preoccuparmi per te. »

« Sembra che da qualche anno a questa parte tu ci riesca molto bene, invece. »

« Ma cosa stai dicendo, Clarke? » La sua espressione era ferita, e la bionda non poté trattenersi dal sentirsi in colpa anche per quello. Era come se volesse ad ogni costo lottare contro di lei, ma nel frattempo stesse ferendo anche se stessa.

« Dico solo che da quando papà... Beh, la tua vita è andata piuttosto bene, no? »

« Tu non hai idea... Quando tuo padre... Quando Jake è morto, il dolore mi ha distrutta. In un modo che prego tu non possa mai provare. Ma cercavo di essere forte, di non avere paura, di essere una buona madre. » La donna si interruppe per qualche attimo, chiudendo gli occhi e riaprendoli subito dopo: «E poi tu... Te ne sei andata. Certo, vivevi ancora sotto il mio tetto, ma non c'eri più. Ti sei allontanata silenziosamente, proprio davanti ai miei occhi, e non c'era niente che potessi fare per tenerti con me. E ora non puoi dirmi che io non mi preoccupo per te, Clarke, perché è ingiusto e sbagliato. »

 Oh, non provare a dare la colpa a me! Tu avevi Thelonious, te ne andavi in giro e... » Era sull’orlo delle lacrime, e sentiva con chiarezza che la sua corazza si stesse lentamente e inesorabilmente sgretolando attorno a lei, ma doveva continuare, non riusciva a fermarsi.

« Io avevo solo bisogno di mia figlia! » Abby alzò improvvisamente la voce, perdendo in un attimo la compostezza che l'aveva sempre caratterizzata, poi prese un lungo respiro profondo e una pausa: « Ho fatto quello che dovevo fare per tenere in piedi questa famiglia. » Sussurrò.

Clarke si immobilizzò sul posto. Il respiro veloce e affannato, osservò sua madre ancora per qualche momento, poi si voltò e si precipitò fuori da quella casa, lontano da tutti.


« Non puoi continuare a scappare per sempre, Clarke Griffin! » Sentì la voce instabile di sua madre urlarle dietro, ma non le prestò alcuna attenzione.

Scese le scale quasi senza guardare i gradini, il più velocemente possibile.

Spazzando via con il dorso della mano le lacrime che avevano cominciato a sgorgarle dagli occhi, si richiuse la porta d’ingresso alle spalle con violenza e impeto, e diresse a passo svelto e determinato verso il portico di casa Blake.

Non poteva bussare e pretendere qualche tipo di attenzione, quindi si limitò a sedersi sul secondo scalino di legno e ad appoggiarsi al corrimano con la spalla sinistra, prendendosi il viso fra le mani e sprofondandovi, tentando con tutte le energie di non piangere.

Non riusciva e non voleva credere a quello che era appena successo, alla prima volta dopo anni in cui fosse finalmente riuscita a parlare con sua madre, nonostante non avessero fatto altro che ferirsi.

Rimase in quella posizione per un tempo che non fu in grado di determinare, quando poi percepì la porta alle sue spalle aprirsi e sollevò immediatamente lo sguardo.

« Clarke! » E avrebbe voluto odiarsi per quanto la fece stare bene quella voce.

« Che stai facendo? » Bellamy si avvicinò e si sedette al suo fianco, e solo a quel punto lei lo guardò.

Era sicuramente ancora arrabbiato, ma tutto ciò che la sua espressione le suggeriva era preoccupazione, ed era comunque lì. Non si sarebbe mai abituata a trovarlo ogni volta al suo fianco.

« Sono stanca, sono incazzata, ho litigato con mia madre e... Non avevo alcun diritto di bussare alla tua porta. » Tirò su col naso e si morse il labbro inferiore.

Il maggiore dei Blake sollevò un sopracciglio. « E credi che startene da sola sul mio portico avrebbe aiutato? »

« Sì. » Rispose immediatamente. « Cioè, no. Non lo so. »

« Avresti dovuto chiamarmi subito. » Suonò come un rimprovero, ma i suoi occhi si erano lentamente addolciti davanti al suo volto.

« Non posso correre da te ogni volta che qualcosa mi va male. »

« Perché? » Sussurrò lui, fissandola intensamente.

« Perché non è giusto, non... »

« Perché? » Ripeté lui con più convinzione.

« Non lo vuoi davvero. »

« Non puoi saperlo. »

« Teoricamente abbiamo litigato, ricordi? » Sebbene il suo umore non fosse esattamente dei migliori, la bionda si abbandonò ad una lievissima risata.

« Non mi importa. » Bellamy sorrise di quel suo sorriso che avrebbe fatto invidia al mondo, scrollando le spalle e continuando a guardarla.

« Portami da qualche parte. » Propose lei, ricambiando finalmente il sorriso.

« Dove vuoi andare, Principessa? »

« Non al club. Non lo so, lontano da qui. Saliamo in macchina e basta. »
 
 
Un quarto d’ora, tre canzoni alla radio e un silenzio piuttosto piacevole dopo, Clarke si voltò verso il sedile del guidatore, scrutando l’espressione concentrata di Bellamy.

«  Se ti ho dato l’impressione di non aver accettato il fatto che tu vada a letto con delle ragazze, mi dispiace. Sei libero di fare qualsiasi cosa tu voglia fare. Il fatto è che forse... Forse ho fatto troppo affidamento su di te in un modo in cui non avrei dovuto. Ti ho reso la mia via di fuga senza accorgermene e mi dispiace per questo. Non ho alcuna voce in capitolo nelle tue decisioni. Solo… Non dirmelo. Non voglio saperlo. »

Il moro non rispose subito, si limitò a gettarle un’occhiata fuggevole. « E perché no? » Chiese dopo qualche istante, riportando l’attenzione sulla strada, « Io so di te e Finn. »

Clarke si irrigidì. Quella era l’ultima cosa di cui volesse preoccuparsi al momento.

« E cosa ci sarebbe da sapere su me e Finn? »

« Siete tornati insieme, giusto? »

La mascella le sarebbe potuta cadere a terra per la sorpresa. Che diavolo? Come poteva anche solo immaginare che, dopo tutto quello che avevano dovuto affrontare, potesse tornare con lui?

« Cosa te lo fa pensare? » C’erano improvvisamente scetticismo e una certa acidità nella sua voce.

« Vi ho visti il giorno in cui siete partiti. Eravate così… vicini. »

« Mi aveva chiesto un favore riguardo una questione molto delicata. Ero dispiaciuta per lui, nonostante tutto. »

« Siete davvero solo amici? » Il tono del maggiore dei Blake era chiaramente pregno di dubbio e sospetto, e la bionda notò l’accentuarsi della sua stretta contro il volante.

« Che cosa stai cercando di dire esattamente, Bellamy? »

« Non lo so, forse il fatto che io vada a letto con delle ragazze non è più importante del fatto che tu provi chiaramente ancora qualcosa per lui. »

« Oh, Dio… Non lo capisci proprio, vero? »

« Cosa? » Erano fermi ad un semaforo, quindi poté voltarsi verso di lei. Clarke fu in grado di sorreggere lo sguardo, nonostante la sua potenza e intensità, e si morse inconsapevolmente il labbro inferiore.

Il moro continuò a guardarla in attesa di una risposta, mentre i suoi occhi esaminavano attentamente ogni centimetro del suo viso. C’era una certa scintilla nelle sue iridi scure, come se ci fosse un peso che doveva sopportare e lui non riuscisse a controllarlo.

La giovane Griffin aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dal suono di un clacson alle loro spalle.

Era verde.

« Niente. Non c’è niente fra me e Finn, non provo più niente per lui. » Sussurrò infine.

« E io non sono più andato a letto con nessun’altra. » Confessò l’altro dopo qualche istante.

Se la situazione si era raffreddata velocemente, con la stessa rapidità si riaggiustò. Ora che avevano messo in chiaro le cose, entrambi si sentivano molto più sollevati e leggeri.

« Bellamy? » Lo chiamò dopo qualche altro istante, tenendo lo sguardo fisso sulla strada illuminata dai lampioni.

« Sì? »

« Vuoi sentire una canzone? »

Clarke lo vide annuire con la coda dell’occhio, quindi tirò fuori il cellulare e le cuffiette dalla tasca della felpa e glie ne porse una.

Il maggiore dei Blake l’accettò e si avvicinò l’auricolare all’orecchio, attendendo pazientemente l’attacco della melodia.



 
 
Take me out tonight,
where there’s music and there’s people

 and they’re young and alive
Driving in your car,
I never never want to go home
because I haven’t got one anymore



Bellamy la conosceva.

Quando sentì il ritmo ben cadenzato e la triste dolcezza della sua voce, la riconobbe.

Sua madre era solita passare le domeniche mattina a curare il piccolo orto che avevano nel giardino posteriore della loro piccola casa nell’Oregon, e spesso si faceva accompagnare da quel gruppo. The Smiths, ecco.

Sorrise e si voltò fugacemente verso Clarke, che nel frattempo si era rannicchiata sul sedile nella sua direzione.

« … Because it’s not my home, it’s their home and I’m welcome no more… » Sussurrò lei, sprofondando la guancia contro il proprio palmo.


 
Take me out tonight,
Take me anywhere,
I don’t care, I don’t care, I don’t care





« Proprio ovunque? » Domandò il maggiore dei Blake dopo qualche attimo, mentre la bionda si perdeva nella canzone e non prestava la minima attenzione al tragitto che stavano percorrendo.

« Sì. » Mormorò.

Continuarono ad ascoltare quella melodia ancora e ancora, dandole ogni volta un significato diverso, ripetendosi quei pochi minuti nella testa di nuovo, sempre di nuovo, sentendo il sentimento di libertà bruciargli nel petto e fargli dimenticare tutto il resto.

Quando Bellamy parcheggiò e spense la macchina, Clarke, un’espressione di sorpresa dipinta sul volto, si raddrizzò dalla posizione accovacciata che aveva assunto e spalancò gli occhi.

Il mare.

L’auto era ferma davanti a un muretto, oltre il quale la spiaggia buia e l’oceano scuro si estendevano liberamente.

« Oh… »

« Andiamo, su. »

I due scesero dalla macchina velocemente, e la prima cosa che la giovane Griffin percepì con ogni parte di sé fu il profumo del mare, l’odore della salsedine e il rumore lento e costante delle onde che si infrangevano contro la spiaggia.

Il moro si sporse verso di lei e la prese per mano, incoraggiandola con un sorriso.

Camminarono fino al muretto e, scavalcandolo, entrarono in contatto con la sabbia fredda. Entrambi si tolsero le scarpe, beandosi della sensazione rasserenante.

Una cinquantina di metri alla loro sinistra, un gruppo di ragazzi si stringeva attorno ad un falò, cantando canzoni accompagnate da chitarre classiche e bottiglie di birra.

Bellamy e Clarke passeggiarono fino al centro della spiaggia, dove tutto era più buio e quieto, e si sedettero.

Il silenzio fra loro non era mai stato più genuino, perciò nessuno dei due si sentì in dovere di dire qualcosa.

Rimasero a fissare le onde fluttuare sempre più vicino a loro e poi inaspettatamente e selvaggiamente ritirarsi il più lontano possibile.

« È  bellissimo… » Sospirò la bionda, gettandosi all’indietro e percependo la morbidezza dei granelli di sabbia accogliere la propria schiena.

Il maggiore dei Blake osservò l’oceano per qualche altro istante, poi si sdraiò al suo fianco. Le loro spalle si sfioravano.

« Vuoi dirmi cos’è successo stasera? » Sussurrò dopo qualche attimo, voltandosi verso di lei.

« Ricordi quando ti ho detto che non mi interessano le aspettative di mia madre? » Gli domandò dopo qualche istante e, quando lo vide annuire, continuò: « Beh, forse dovrebbero cominciare ad interessarmi. È solo che… ci sono così tante cose che non sono state dette. »

« Dovreste affrontarlo. Sai, il fatto che la vostra vita non sia più quella di una volta. Dovreste andare avanti. »

« Già… » Clarke prese un respiro profondo e lasciò vagare lo sguardo verso il cielo stellato sopra di lei.

In quella particolare zona, dove le luci della città erano per poco lasciate fuori, le stelle erano molto più visibili del solito e la luna splendeva alta, illuminando d’argento i loro volti.

All’improvviso, come un’idea che nasce inattesa, realizzò una cosa: non avrebbe voluto condividere quel momento con nessun altro che non fosse Bellamy.

Fu per quel motivo, forse, che si girò su un fianco e osservò il suo profilo rilassato. Vide chiaramente il suo pomo d’Adamo muoversi su e giù, prima che lui voltasse solo il capo verso di lei.

« Perché hai reagito in quel modo quando mi hai vista ballare con quel ragazzo? » Domandò poi, sperando di non discutere nuovamente per quella questione. Non gliel’aveva chiesto perché voleva litigare, magari aveva solo bisogno di una conferma.

Dopo che la bionda si portò le mani giunte sotto la guancia, il più grande spezzò finalmente il silenzio.

« Lo sai perché. » Bisbigliò.

La giovane Griffin aprì leggermente la bocca, sorpresa. Non del fatto in sé, quanto del modo in cui ormai le cose fossero talmente evidenti tra loro.

« Vuoi sapere cosa voglio? Vorrei sapere cosa c'è nella tua testa. Voglio – il suo tono di voce calcò sull'imperativo, come era sua orribile vizio fare – conoscere ogni pensiero che ti passa per la mente quando sei in silenzio e fissi il vuoto con la tua aria distratta. Voglio sapere cosa vedi quando mi guardi. »

Quasi non se ne accorse, quando si mosse e si avvicinò di poco, sfiorando con il gomito il suo petto.
Non sapeva cosa dire. Nel profondo del proprio cuore conosceva la risposta, ma darla ad alta voce le pareva quasi un tradimento.

Perciò si limitarono a guardarsi: Clarke voltata completamente verso di lui, il corpo disteso su un fianco, e Bellamy con le spalle piantate nella sabbia, lo sguardo perso nel suo.

Passarono diversi minuti, probabilmente, trascorsi soltanto a parlarsi senza aprire bocca, a raccontarsi con gli occhi tutti i loro segreti.

E se fosse stato qualcun altro probabilmente lei lo avrebbe insultato, gli avrebbe intimato di smettere di fissarla, ma non c’era “qualcun altro” con lei, in quel momento. C’era lui. E i suoi occhi guardavano proprio attraverso ogni suo muro, ma non faceva male.

« Devi assolutamente fermarmi ora, se non vuoi che ti baci. » La sua voce era profonda, un sussurro dedicato solo a loro due, e la bionda quasi sentì vibrarla nel proprio petto.

Sostenne il suo sguardo e non disse niente.

Quando i suoi occhi le accarezzarono le labbra, lei non disse niente.

Il maggiore dei Blake si sporse in avanti e i loro nasi si sfiorarono, ma lei continuò a non dire niente.

Le loro palpebre correvano velocemente, così come i loro respiri, ed entrambi le socchiusero.
Clarke sollevò una mano, la poggiò al centro pulsante del suo collo, percependo immediatamente il suo battito accelerato, e chiuse la distanza.

Nello stesso momento in cui posò la bocca sulla sua, la mano sinistra di Bellamy strinse quella che lei teneva ancora contro la sua carotide, e si scoprirono senza fretta.

Fu lento e lei fu in grado di percepire ogni piccolo dettaglio che la circondasse. L’odore salato del mare mischiato a quello aromatico del moro – qualcosa che doveva avere a che fare con la cannella –, le sue mani che la accarezzavano con una lentezza che faceva quasi male, il modo in cui i propri pensieri non potessero dedicarsi ad altro che non fosse l’emozione che stava provando in quel momento.

Clarke si sentì cadere in picchiata, abbandonarsi  e mischiarsi ad un calore che le era stato negato per fin troppo tempo.

Non appena si staccò da lui e sprofondò il volto contro la sua spalla, baciando pigramente il tessuto della sua camicia a quadri, tutto parve immobilizzarsi, congelarsi sul posto.

« Te. Quando ti guardo vedo il vero te. »


 

 
*


 
« Si può sapere che cazzo ti è saltato in mente? » Sbottò Dax, entrando nella macchina parcheggiata e aggrottando le sopracciglia.

Non si voltò verso il guidatore, ma riuscì quasi ad immaginare la sua espressione.

« Calmati. »

« Calmarmi? » L’altro alzò la voce, girandosi verso la propria sinistra, « stavo per farcela con Clarke. Un paio di drink, un passaggio a casa e l’avrei presa. Ma no, tu hai dovuto lasciare libero il tuo amichetto. »

« Stavo scannerizzando il suo portatile e aggirando il firewall sul suo telefono. Lo sai che il Dipartimento ha un certo livello di protezione, no? Come avremmo fatto altrimenti a conoscere i loro spostamenti? Non potevo occuparmi anche di lui. »

« È il tuo compito, dannazione! Vieni pagato per questo. Ora dovrò trovare un’altra occasione. » Il ragazzo seduto sul sedile del passeggero tirò su col naso e si passò il dorso della mano davanti alla bocca.

« E allora trovala. Io penserò a Bellamy. »

« Sarà meglio per te, Atom. » E, dopo averlo avvertito, scese dall’auto.
 
 
 






 

Curiosità:

# La canzone che canta Clarke al locale è Chandelier, di Sia.

# Quella che invece ascoltano lei e Bellamy in macchina è There Is A Light That Never Goes Out, dei The Smiths.
  
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