Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Cygnus_X1    13/09/2014    2 recensioni
[SOSPESA]
Zrythe non ha mai avuto una vita facile.
Quando aveva tre anni il suo pianeta è stato invaso e lei rapita e venduta come schiava dai razziatori. Per quindici anni questa è stata la sua esistenza, ma non si è mai spento in lei il desiderio di rivalsa. Ha giurato che sarebbe fuggita e si sarebbe vendicata, e sta solo aspettando la sua occasione, alimentando in segreto quegli strani poteri che si è resa conto di possedere.
Quindi, quando Ryan, un ragazzo con dei poteri simili ai suoi, le propone di portarla con sé, Zrythe accetta senza pensarci due volte. Presto però si trova al centro di un gioco pericoloso, un gioco in cui le pedine in campo sono molte più che lei e la sua vendetta...
[Soft Sci-Fi/Space Opera]
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 photo rift_zpsbw1tjprc.jpg
 


 


 
——[La missione]——




 

T



utto è andato bene finché la torcia che ho estratto per ricontrollare la mappa non ha avuto la malaugurata idea di cadermi dalle mani.
Maledizione.
L’intero condotto rimbomba del rumore. Spero soltanto che quegli idioti non se ne accorgano.
Recupero quella dannata torcia a tentoni, imprecando sottovoce, e do un’occhiata alla mappa. Non è questo granché: qualche segno sbiadito impresso su un pezzo di fotocarta strappato e stropicciato. I Serket non usano fotocarta, solo ologrammi; io non potevo certo girare con un oloproiettore, quindi Ryan ha recuperato quel foglio e ha stampato la mappa meglio che poteva. Devo sforzarmi per leggerla, però, perché il foglio di fotocarta era quasi esaurito e i segni sono sbiaditi.
Distinguo faticosamente la curva del condotto che ho appena superato, faccio due conti e mi accorgo che ho ancora da superare due grate, una strettoia e un campo di forza.
Mi affretto, cercando di essere silenziosa. Sbircio di sotto attraverso una delle grate: il corridoio è deserto. Mi ritorna la speranza che non si siano accorti di niente.
Oltrepasso la prima grata senza problemi, ma ci sto mettendo troppo: entro due minuti e quarantatré secondi dovrei essere sotto la colonna, pronta a salire.
È proprio la fretta che quasi mi fa scoprire.
Guardo velocemente oltre una grata e la attraverso. Ma non mi accorgo che in quel momento un soldato aveva sollevato gli occhi al soffitto.
«Ehi, tu!» grida. Io mi immobilizzo, il cuore che batte a mille. Prendo a sciorinare nella mia testa tutte le imprecazioni che conosco in Shadra.
Passi che si avvicinano. Trattengo il respiro.
«Che diamine succede, ancora?» sbuffa un secondo Serket.
«Niente, mi sembrava...» I passi ora si allontanano.
«Dannazione, Rob. Prima i suoni fantasma, ora le allucinazioni. Sniffati meno Fata, la prossima volta.»
Il primo soldato borbotta qualcosa di incomprensibile, io riprendo a respirare. Spreco quattro secondi del mio prezioso tempo per aspettare che i due Serket si allontanino abbastanza.
Il mio cuore batte come impazzito mentre riprendo a strisciare sulle mani e sulle ginocchia. Indosso la tuta nera che ho visto nella stanza di Ryan, a cui ho fatto due tagli sulla schiena per le ali. Certo, non so più volare, ma in combattimento sono molto più agile. Poi, per questa missione, ho preteso un’arma, e Ryan mi ha affidato una pistola laser con la canna lunga quanto il mio avambraccio e una potenza di fuoco di livello 7, che ora se ne sta nella fondina appesa alla cintura, a pesarmi sul fianco.
Naturalmente punto tutto sui miei poteri di Rift per nascondermi da loro, ma in caso di evenienza mi posso difendere.
Raggiungo la base della colonna. Questo è il punto più difficile.
Il mio obbiettivo si trova due piani sopra rispetto al distretto di residenza dove vivono i Serket e dove è ospitato Ryan (e anche io, attualmente, non riesco ad abituarmi all'idea). Per cui, devo risalire il condotto verticale che passa a fianco della colonna dell’ascensore.
È una faticaccia. Solo a metà del primo piano grondo sudore, e in quello spazio ristrettissimo le ali non mi sono d’aiuto. Raggiungo stremata la diramazione con il primo piano. Abbiamo previsto una pausa a questo punto, ma sono in ritardo sulla tabella di marcia, per cui posso solo riprendere fiato per qualche secondo, e poi riparto. Le lisce pareti verticali sono senza appigli, devo sfruttare i guanti e gli stivali ad alta presa della tuta per avanzare.
Quando arrivo in cima ho tutti i muscoli che mi fanno male e il respiro corto. Non sono abituata a queste cose.
L’archivio è più protetto di una cassaforte. Ho ben tre campi di forza da attraversare, e sono molto più forti di quelli del distretto di reclusione. Appaiono davanti a me uno dopo l’altro a breve distanza.
Il primo lo oltrepasso facilmente, ma arrivo all’obbiettivo esausta. Mi gira la testa. Vedo puntini neri danzare attorno a me, e devo aspettare due maledettamente preziosi minuti prima di poter proseguire.
Faccio un respiro profondo.
Ora arriva la parte difficile.
Estraggo un coltellino laser che mi ha dato Ryan e apro la grata di fronte a me. Secondo i nostri calcoli, dovrebbe condurre all’anticamera dell’archivio. Nella stanza vera e propria non ci sono grate dai condotti: l’aria passa attraverso tubi grossi quanto il mio braccio.
Atterro cercando di non fare rumore, come ormai ho imparato a fare. Il problema è restare concentrata sulla barriera che sto ergendo intorno a me per risultare invisibile.
Ce la posso fare.
Avanzo in silenzio. L’ambiente qui è molto diverso sia dal distretto di reclusione sia dal distretto di residenza: se nella zona delle schiave le pareti erano metalliche, con i bulloni sporgenti e le luci al neon spesso scariche, e nella zona dei Serket prevalevano tappeti sottili e intonaco bianco, qui le pareti sono lucide, lisce, grigie, forti lampade illuminano l’intera zona. Da qualche parte, telecamere nascoste.
Procedo in fretta: l’orologio che ho sul polso indica che ho quindici minuti per entrare nell’archivio, trovare i file, uscire senza che nessuno se ne accorga e nascondermi nuovamente nel condotto per raggiungere Ryan all’hangar.
La porta dell’archivio è blindata, resistente ai laser, protetta da una combinazione e da una serratura a impronte digitali. A me non interessa: ho il giusto programma installato sul palmare al polso.
In trentadue secondi la porta si apre e io sono dentro.
È stato tutto fin troppo facile, non possono essere così idioti...
Non finisco nemmeno di formulare il pensiero. Il silenzio è spezzato da un’assordante sirena d’allarme.
Impreco in Shadra.
Calma, devo stare calma, come mi ha insegnato Eileen.
L’unica soluzione a quel disastro è recuperare quei maledetti file e tagliare la corda.
Corro. L’archivio è labirintico, ma ordinato. Scaffali su scaffali pieni di chissà cosa: computer, cristalli olografici, hard disk.
Io mi fiondo sull’unico monitor della stanza, addossato alla parete di fondo. Tutto sembra collegato lì.
Non sono molto brava a leggere il Galattico comune: il Serket l’ho imparato a forza di rubare rapporti, libri, qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani che potesse farmi una cultura, lo Shadra lo so da sempre, visto che me l’hanno impiantato nella memoria quando ancora ero ad Adiannon, ma il Galattico comune me l’ha insegnato Eileen, e sono anni che non lo uso.
Mi sforzo: devo scappare in fretta. Batto qualche parola incerta sulla tastiera, cercando di ricordarmi il codice che Ryan mi ha fatto imparare a memoria. Certo che questa sirena non aiuta, dannazione.
Ricostruisco l’esatta sequenza e avvio la ricerca. Afferro da una tasca l’hard disk di Ryan e senza pensare a cosa sto facendo sposto tutti i file che sono risultati là dentro. Non so niente di computer,  e non ho tempo di leggere se sono quello che Ryan cerca o no. Se ne occuperà lui.
Sono arrivati. Stanno aprendo la porta. Io però non ho finito: digito l’ultimo codice. Premo Invio e si spegne tutto.
La sirena si zittisce, la stanza piomba nel buio.
Sfruttando l’oscurità, riesco a evitare la pattuglia di Serket che si è distribuita per la stanza a cercarmi. La porta è davanti a me, incustodita.
Come prima, attivo il programma dal palmare.
Ma la porta non si apre.
Riprovo, ancora e ancora, sempre più disperata. Niente.
Devo allontanarmi quando un soldato passa a poca distanza da me e rischierebbe di sbattermi addosso. Mi rintano in un angolo.
Vorrei gridare.
Sono in trappola come una stupida.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Cygnus_X1