Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: Giuls_breath    14/09/2014    0 recensioni
Elena Gilbert era una ragazza come le altre almeno fino a che la sua vita non si è incrociata a quella dei fratelli Salvatore.
Tratto dal secondo capitolo:
"Mamy" sussurra addormentata.
"Amore, torna a dormire" le rispondo con dolcezza "Fai tanti bei sogni, ti voglio bene".
"Secondo te anche il mio papà me ne vuole?"
Sento il mio cuore sbriciolarsi a quella domanda così innocente e una lacrima mi riga il volto.
"Ma certo che te ne vuole. E ora fa' la nanna".
Prima storia sulla mia coppia preferita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                               

 
Never Let Me Go 

Capitolo II


 

 
La pioggia picchia incessantemente contro i vetri, qualche lampo e i conseguenti tuoni cominciano a farsi sentire. Mi alzo abbandonando i miei bozzetti di moda e osservo il cielo, è un grigio cupo.
I temporali non mi sono mai piaciuti sin da bambina.
Per fortuna la mia cucciola è al momento impegnata a guardare i cartoni animati e quando li guarda può anche venire un uragano, ma nessuno la farebbe muovere.
Sorrido pensando a quel piccolo uragano che solo quando guarda “Peppa Pig” è tranquilla, meno male che ho lei sempre con me!

Purtroppo la mia sorellina è andata ad Atlanta con Klaus, lui è un noto avvocato penalista ed è un uomo molto serio e stimato, come amico è il massimo sa sempre come e cosa consigliarti.
Stefan invece è rimasto a Mystic Falls con April vorrebbero tanto un bambino, ma per ora non ci sono ancora riusciti. Lui è un professore e insegna scienze, lei invece è infermiera.

Come dicevo, sfortunatamente non posso contare su nessuno di loro in quanto – quando sono rimasta incinta – ho lasciato la mia casa natale, la mia città, le mie amicizie per trasferirmi a New Orleans.
Ho cambiato completamente vita.
Ho un lavoro abbastanza ben retribuito, godo della stima del capo Marcel Gerard e della sua ‘compagna’ Davina. Sono stimata professionalmente e questo ovviamente mi spinge a lavorare e a dare il massimo in quello che faccio.

Torno ai miei bozzetti, disegno un lungo vestito blu scuro, intenso…. i capelli neri. Scuoto la testa, il cuore batte incessantemente nel petto.
Accartoccio il foglio non appena mi rendo conto che la mia mente si è persa in quei giorni. Di nuovo. Recentemente mi succede spesso.
Troppo spesso.
Sospiro e mi alzo di nuovo dal tavolo sul quale avevo sparpagliato i fogli e le matite.

Prendo una tazza di caffè bollente versandolo nella mia tazzina gialla. Vado a controllare che mia figlia stia bene, la trovo seduta per terra con le manine a sostenersi il viso e un sorriso a illuminarle il visino. Mi avvicino a lei e Astrid mi sorride tuffandosi tra le mie braccia.
“Mamma, mi fai compagnia?”
“Hai paura del temporale?”
“Nooo.” dice con la sua vocina squillante che mi strappa un sorriso “Solo che voglio guardarlo con te!” mi fa quegli occhioni da cerbiatta ai quali non so resistere.
“E va bene, scricciolo.” le dico stringendola a ma e posando un bacio tra i capelli.

“Mamma” mi dice, poi improvvisamente non parla.
“Che c’è amore?”
“Pensi che papà che ci pensi?” abbasso lo sguardo cupa, ma lo rialzo subito sorridendole.
“Io penso che il tuo papà ci pensi, sì.” dico però con tono non convinto e lei vispa com’è se ne accorge e insiste sull’argomento.
“Perché allora non vive con noi?”
“Amore, il tuo papà viaggia tanto. Adesso è in Europa e sta aiutando gli animali, te l’ho detto, ricordi? Dai, adesso guardiamo cosa combinano Peppa e il suo fratellino.”
“Salva gli animali… perché non ci chiama?”
“Perché non può. E’ talmente occupato che non ha il tempo!”
“Sì, ma io sono la sua piccola!” dice incrociando le braccia e facendo il broncetto.
“Amore mio.” la chiamo destando la sua attenzione “Papà, non si è dimenticato di te, anzi. Sai, ti pensa tutti i giorni e ti vuole tanto, tanto bene.”
“Secondo me invece si è dimenticato di noi.”
Faccio di tutto per trattenere le lacrime e ricacciare quel nodo alla gola col quale sto convivendo da quasi cinque anni.
“No, piccola.”
“E allora perché spesso sei triste?”
Questa bambina è ancora più intelligente di quanto pensassi.
“Perché mi manca, manca anche a me.”
Ammetto.
 
---
 
Corro ridendo come una bambina, Damon mi insegue ridendo e afferrandomi per i fianchi. Mi abbraccia da dietro afferrandomi saldamente tra le sue braccia per poi darmi un bacio dietro l’orecchio.
“Ti amo, piccola.” dice in tono triste “Sei l’unica che riesce a cancellare lo schifo che mi circonda.”
Quella frase mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso, come una secchiata d’acqua gelida.
“Perché?” volto il viso verso di lui guardandolo confusa e un po’ triste per quelle parole.
Vedo la mascella contrarsi e i suoi lineamenti indurirsi.
“Perché ci sono cose del mio passato di cui non vado affatto fiero e che in un modo o in un altro continuano a influenzare la mia vita. I conti col passato non finiranno mai e quando meno te lo aspetti” sospira pesantemente “ti presenta il conto con gli interessi!”
Mi volto completamente verso di lui.
“Perché non mi parli mai di te? Del tuo passato? Mi piacerebbe conoscere anche il tuo passato, non solo quello che è il tuo presente.” dico accarezzandogli i capelli.
“Perché il passato è passato.” mi guarda e la sua espressione è lievemente meno dura “Devo cercare - per il tempo che mi è concesso - di vivere il presente, non di parlare del passato. Sei tu il mio presente, Elena Gilbert. Sei la cosa più bella che mi sia capitata nei miei 25 anni di vita su questa terra. Grazie per amarmi e per sopportarmi.”
Gli cingo il collo con entrambe le mani e gli sorrido “Io ti amo e ti amerò sempre. Non importa se non mi vuoi dire adesso di te, io voglio soltanto capirti.” scrollo le spalle e poso le mie labbra sulle sue. Quelle parole così intense mi fanno dimenticare la mia curiosità verso ciò che era prima di incontrarlo.
La pioggia comincia a picchiettare sulle nostre teste e così ci ridesta dai nostri baci e dalla mia nuvolina rosa. Ci allontaniamo e lui prendendomi per mano mi conduce, per ripararci, sotto una piccola tettoia sotto la quale vi è un tavolo, delle cassette, una sedia senza una gamba. Lo abbraccio stringendomi a lui ad ogni lampo.
“Ho paura.” sussurro contro il suo petto e stringendo nel pugno un lembo della sua maglia verde bottiglia.
Mi accarezza i capelli e mi dice: “Come avrebbe Jim Morrison: «Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime».”
Lo guardo con le labbra schiuse “Tu hai mai pianto con il volto rivolto verso la pioggia.” mi stringe a sé e mi accarezza piano la schiena senza rispondere.
 
---
 
Stringo mia figlia al mio petto, così come lui aveva fatto con me esattamente sei anni prima. Solo che io non la lascio andare e io non ho mai pianto sotto la pioggia, se non una volta, l’unica volta, quando realizzai che Damon mi aveva lasciata, che mi aveva abbandonata dimenticandosi di me, del nostro rapporto e dell’amore che diceva per provare per me.
Fu terribile, mi sentii come se qualcuno – Damon - mi stesse strappando il cuore dal petto e mi avesse lasciata , sull’asfalto, al freddo, da sola ad appassire.
“Mamma? Dobbiamo andare!” trilla la mia peperina “Dobbiamo andare da Hope!”
“Sì, amore eccomi!”
Le infilo il cappottino e poi infilo il mio, mi pettino passando un po’ le mani tra i capelli ed usciamo. La accompagno a casa di una sua amichetta con la quale ha subito fatto amicizia. Anche lei è senza il papà e forse questo le ha fatte sentire subito unite, ma anche sicuramente per i loro caratteri vivacissimi ed espansivi.

“Ciao, amore mio.” dico salutandola nell’ingresso della casa abbassandomi fino ad avere il volto al suo livello “Divertiti, fai la brava e sii educata, mi raccomando. Dici sempre ‘per favore’, okay?”
“Mamma, sì lo so, non sono più una bambina!” dice dondolandosi e non posso fare a meno di sorridere e dirle che ha ragione e che lei per me rimarrà sempre una bambina.
“Ciao, mammina. Buonanotte.” mi da’ un bacio sulla guancia e poi scappa con Hope nella sua stanza.

“Grazie.” dico alla mamma della bambina, Hayley Williams, poco più grande di me.
“Non preoccuparti. Vuoi bere un caffè? C’è un tempaccio e non è molto prudente guidare con questa pioggia.”
“Lo so, ma” guardo fuori e lampi continuano a illuminare il cielo “e va bene.” sorrido “Grazie.”
Mi sorride dolce. Hayley l’ho conosciuta l’anno scorso durante un concorso d’infermieristica, io non ce l’avevo fatta, lei sì. Non mi era dispiaciuto non entrare, in fondo il mio sogno era altro, ma pur di guadagnare e far vivere degnamente mia figlia avrei fatto qualunque lavoro. Hayley si presentò inizialmente come giovane studentessa, ma poi quando le confessai di avere una figlia e di essere stata abbandonata, lei cambiò completamente espressione e ammise che anche lei aveva una figlia, ma lei era stata sposata e dopo due anni di matrimonio, il padre di sua figlia era morto a causa di un incidente sul lavoro.
Mi rattristai profondamente e da allora ci stemmo vicine e le nostre figlie stanno crescendo insieme.
“Allora a che punto sei con i bozzetti?” mi chiede sorseggiando il caffè.
“Sono ancora a zero. Non riesco a concentrarmi. In pratica ho solo disegnato le sagome e lunedì dovrei presentare almeno una decina di lavori con idee complete.” dico posando il viso sconsolata sul palmo della mano.
“Senti e… come va con la tua piccola?”
“Beh, bene. Mi fa lavorare tanto, ma se non avessi lei…” taccio “Beh, sarebbe tutta un’altra storia.” concludo semplicemente. Abbasso lo sguardo e sospiro.
“Stai pensando a Damon?” annuisco guardandola. “Lo hai più sentito?”
“No.” dico abbassando il tono della voce.
“E Astrid cosa sa, cosa le hai detto?”
“Io…”
“Hayley!” sento trillare mia figlia che compare sulla porta, un’espressione sorpresa le spunta sul viso “Mamma, sei ancora qui!”
“Me ne devo andare?”
“No, ma non dovresti essere già a lavorare?”
“Sì, Grande Capo!” dico sorridendo teneramente alla mia amica.
“Hayley, guarda il mio disegno!” le dice correndo verso di lei. Hayley le prende il foglio bianco tra le mani e lei sorride “Chi sono?”
“Questi sono cani, gatti, i pesci e lui è il mio papà.” sbianco irrigendendomi.
Hayley alza lo sguardo serio verso di me e dice: “Che bello! Perché non fai un altro disegno di te e la tua mamma?”
“Sì.” dice poi correndo via.
Mi alzo stringendomi nelle spalle.
Il cuore martella dolorosamente nel petto.
“E’ davvero dolce quello che le hai fatto credere, ma come credi che reagirà se sapesse la verità?”
“Hay, è solo una bambina!” esclamo guardandola di scatto “Quando sarà grande le dirò la verità.” dico guardando l’oscurità illuminata a intervalli regolari dai fulmini.
“Ora devo andare!” esclamo ridestandomi da quei pensieri “Grazie.” dico baciando le guance della mia amica e poi dopo aver salutato la mia piccolina, scappo.
 
La pioggia è scrosciante, non si ferma.
Metto in moto, diretta verso casa. Mentre guido ripenso a quel disegnino fatto dalla mia bambina, alle bugie che le ho costruito intorno per proteggerla da quella verità, quella verità terribile che non riesco a seppellire dentro di me.

Le lacrime mi appannano la vista e allora accosto, non posso guidare così.
Scendo e prima che me ne ricordi, piango sotto la pioggia.
Singhiozzo.

In questi anni, quando dormo ho sempre – non so bene il perché – posato la mia mano sul cuscino vuoto, su quello spazio sempre vuoto e freddo.
Sono passati i giorni, poi mesi e infine gli anni.
Ho immaginato un percorso insieme fatto di risate, di momenti difficili, ma che avremmo affrontato sempre insieme. Quei giorni hanno solo lasciato un grande vuoto, un grande dolore e tanti lividi.
Mi avevi detto che ero l’unica cosa bella di te, che facevo parte di te… e ora dove sono le tue belle parole e le tue promesse?
E’ tutto finito, tu non ci sei mai stato.
Vorrei che le avesse fermate lui queste maledette lacrime, che mi avesse asciugato i miei occhi umidi con un bacio, di quelli che anche se sei tremendamente triste e ti senti crollare il mondo addosso, ti fanno sorridere e ti fanno ritrovare la speranza e la voglia di continuare, di reagire.
E invece no.
Sono sola sotto questa pioggia, ho freddo, ma non è colpa dei vestiti ormai zuppi.
E’ colpa tua e dell’amore, del mio amore per te.
Quando apro gli occhi mi rendo conto di essere per terra con i vestiti incollati al corpo e con un gran mal di testa. Sbatto le palpebre più volte come per cercare di riprendermi da quello stato di trance, di dolore, di confusione totale.
 
Negli ultimi anni non mi era più successo, erano passati cinque anni da quando scappai di casa per tre notti e tre giorni vagando per le strade di Mystic Falls totalmente confusa, camminavo, ma senza capire dove andassi, con la testa totalmente tra le nuvole, con gli occhi gonfi e senza essere più in grado di piangere, gridare o fare altro.
 
Mi alzo da terra e mi guardo intorno.
Sembra che la pioggia stia diminuendo – finalmente – mi alzo, barcollo leggermente. Sono un totale disastro, mi dispiace per la macchina, ma non posso restare ancora qui, così in questo stato pietoso. Non posso né devo auto commiserarmi.
“Basta, Elena, reagisci.” mi dico tra me e me.
Mi asciugo le mani e il viso, poi metto in moto e mi dirigo verso casa.
Sono quasi le dieci di sera, i pali della luce – per mia sfortuna – sono tutti spenti così aziono i fari abbaglianti per vedere qualche metro in più rispetto ai fari della mia macchina. Non vedo niente e una strana angoscia mi assale.

Accosto di nuovo e chiamo Stefan, è la prima persona che mi viene in mente.
Risponde al secondo squillo, la voce è sempre la stessa tranquilla: “Elena, ciao!”
“Ciao, Stefan. Scusami se ti ho chiamato, so che è tardi, ma sono qui diretta verso casa mia, ma non funziona la luce, ho un po’ di paura e volevo sentire una voce amica che mi tranquillizzasse un po’.”
“Vuoi che ti raggiunga?”
“No, no, non preoccuparti. E’ solo che volevo avere un po’ di coraggio, ecco. Tutto bene?” chiedo cercando di non apparire come una totale codarda.
“Io bene, tu? Hai la voce strana. Sicura che va tutto bene?”
“Sì. Sì, te l’ho detto.”
“E la mia nipotina come sta?”
“Astrid… bene, bene. L’ho portata a dormire da un’amichetta, era da tanto che mi chiedeva questo brivido e perciò l’ho portata e ora sto tornando.”
“Bene, bene.” fa una brevissima pausa “Sicura che non vuoi che venga a prenderti? Guarda che posso, April ha il turno di notte e guardare un film horror con i vampiri non è il massimo!”
“Stefan, no, grazie. So che lo faresti, ma sarebbero diverse miglia e tu conoscendoti sei già in pigiama e pantofole, non fa niente.”
“Mi rivesto! Per te lo faccio, lo sai che ci tengo a te!”
Respiro pesantemente “Lo so, lo so. Tu sei sempre stato così buono con me.” dico con forse troppa enfasi con quel tu.
“Pensi a lui ogni tanto?”
“No!” dico bruscamente mentendo “No, mai. Sto bene, mia figlia è sana, ho un lavoro con cui viviamo decentemente, ho diversi amici e parenti che mi vogliono bene, perché dovrei pensare a lui? E’ stato solo un codardo.”
Stefan non aggiunge nulla per più di un minuto tanto che temo sia caduta la linea, ma così non è e infatti lo richiamo e lui dice: “Elena, ehm… magari ci sono altre spiegazioni!”
“E quali, Stefan? Ho cercato di giustificarlo per le prime settimane, ma poi me ne sono fatta una ragione della sua codardia e totale inaffidabilità.”
“Non pensi di stare esagerando adesso!”
“Stefan, mi spieghi che ti succede? Per anni lo abbiamo condannato, criticato e ora, improvvisamente lo difendi! Perché?”
Sospira. “Scusa. E’ solo che nonostante tutto è mio fratello.”
“Sì” dico in tono più dolce “è vero, capisco. Non sei proprio la persona più affidabile per criticare Damon.”
“Prova con Klaus o con Caroline! Loro ti darebbero tutto il manforte possibile sul definirlo… beh, insomma come sai tu e sanno loro.”
“Stefan, ora vado e cerco di tornare a casa sana e salva, c’è tanto fango per strada e devo guidare piano. Grazie per aver chiacchierato un po’ con me.”
“Prego, vienimi a trovare. Mi farebbe veramente piacere.”
“Va bene. Pensavo di venire domenica così porto anche la monella.”
“Fantastico! Vi aspettiamo! Appena arrivi a casa dammi uno squillo così posso addormentarmi tranquillo.”
“Grazie Stefan, sei un angelo, ti voglio bene e a domenica.” concludo terminando la telefonata.

Stefan è totalmente diverso dal fratello.
E’ sempre stato un bravo ragazzo, viso angelico, buono. Il suo viso mostra chiaramente ciò che prova, infatti quando è felice ha gli occhi che brillano, quando è triste o arrabbiato o teso gli si forma una spessa ruga sulla fronte. Sa sempre dare buoni consigli e quando può – soprattutto se riguarda il fratello – cerca di non dare mai commenti.

Stasera non ho ben capito perché abbia difeso quello stronzo del fratello, perché si è gettato così in sua difesa. Stefan mi nasconde qualcosa e tra un paio di giorni scoprirò questo segreto. La mia mente è così persa nei pensieri su Stefan e sulle differenze tra lui e Damon che non mi sono neanche resa conto di essere arrivata davanti casa.

Traggo un sospiro di sollievo ed entro a casa.
Mi chiudo dentro, inserisco il codice di sicurezza per l’allarme, chiudo gli infissi e poi mi preparo per andare a dormire. Mi corico, lato finestra – lascio solo l’infisso della camera da letto aperta - e chiudo la luce.
 
Mi sono appena svegliata, la luce filtra leggermente dalle persiane ancora abbassate, gli infissi sono chiusi. Odio essere svegliata dal venticello fresco di Mystic Falls o dai penetranti raggi solari. Fisso il soffitto da un po’ e ripenso a quegli occhi azzurri così intensi, anche freddi, ma terribilmente magnetici.
Sulle mie labbra si forma un sorriso.
“Buongiorno.” dice la mia sorellina entrando con un vassoio, quando mi vede sveglia sul suo viso si dipinge un’espressione stupita e le sue labbra formano una o quasi perfetta. “Credevo dormissi ancora.”
Mi metto seduta e le sorrido dicendole: “Buongiorno Care, dormito bene?”
“Io…sì e tu?” mi chiede posando il vassoio sulla nostra scrivania.
Mi alzo e annuso il caffè caldo.
Amo l’odore del caffè, è così intenso.
 
“Che c’è?” mi chiede con un piccolo sorriso curioso che – a mano a mano che vede la mia espressione felice – si ingigantisce e le sue domande si intensificano fino a che non trae la giusta conclusione “Posso riassumere la tua felicità con un solo piccolo nome, Damon.”
“SI.” dico saltandole quasi addosso.
Non so perché mi comporti così, non sono mai stata una tipa frivola o espansiva, soprattutto in questione ragazzi. Anzi, io ero quella prudente e schiva e Caroline la ragazza tutto pepe, espansiva e che attirava sempre tutti i ragazzi.
Beh oggi le parti erano invertite.
 
So che sognando e ricordando al tempo stesso, vorrei svegliare e smettere di ricordare, ma non ci riesco.
 
“Elena? Elena?”
E’ Stefan.
Sento la sua voce così lontana.
 
Cammino, anzi mi trascino i piedi l’uno dietro l’altro, lo sguardo totalmente perso nel vuoto. Mi ferma per le spalle e mi scuote con forza, mi fa voltare e quando vede la mia espressione vuota si spaventa, mi guarda intensamente e mi obbliga a guardarlo, a concentrarmi sul suo viso, sui suoi occhi verdi scuri, sulla sua espressione seriamente preoccupata e cupa.
 
“Elena?” mi chiama ancora.
“Stefan.” sussurro così piano che non sono neanche certa che mi abbia sentita.
Mi accarezza il profilo del viso delicatamente.
“Stefan” ripeto con voce spenta “mi ha lasciata.” guardo oltre la sua figura, vedo la sua macchina, i tergicristalli in azione, la pioggia cade su di noi. Mi guardo le mani sono infangate e c’è anche un po’ di sangue, riguardo Stefan, poi mi osservo e mi accarezzo il ventre “Sono incinta.”
 
Mi sveglio di soprassalto.
Ho un nodo alla gola, mi guardo intorno spaesata.
Passo le mani tra i capelli e me li tiro appena.
Scuoto la testa.
 
Fino ad ora ci ero riuscita: non pensavo a Damon.
Avevo accettato il modo in cui vivevamo.
Accettavo di essere una mamma single e che mia figlia crescesse senza il padre, ma ora… questi ricordi sono diventati pesanti come un macigno.
 
Mi alzo e vado a bere un bicchiere d’acqua.
Mi rendo conto di avere lasciato il telefonino acceso e ci sono due messaggi:
uno è da parte di Bonnie, una mia collega che mi avvisa che i lavori sono urgenti e questo mi agita moltissimo;
secondo è un messaggio in segreteria telefonica di Caroline, lo ha lasciato cinque minuti fa.
 
Controllo l’orologio che segna le 2:35 del mattino.
Mia sorella è matta!
Magari mi deve solo raccontare il suo ennesimo casino a lavoro.
L’altra volta mi svegliò all’alba per raccontarmi di come aveva fatto un dispetto ad una certa Collins NonSoChe e di come avesse questo episodio influito sul suo lavoro.
Mia sorella è un totale casino, ma l’adoro ugualmente.
 
Ascolto il messaggio che mi ha lasciato:
“Elena, mettiti seduta, stesa, ma mettiti comoda!” aveva una voce concitata, la voce di chi ha una notizia bomba e che stenta a non dire “Stefan, mi ha detto che domenica tu e Astrid andrete a Mystic Falls, beh… io ci sarò. Klaus non può, ma io sarò lì.
Non ti lascio sola, okay?”
Il messaggio finì lì.
Che intendeva dire?



****

Note:


Buonanotte/Buongiorno, insomma se non lo avete ancora capito io sono una notturna! XD
Ci lavoro la notte ai capitoli e beh escono fuori questi deliri.

Seriamente, vi volevo solo chiarire che ovviamente il corsivo indica il passato di Elena, i ricordi di lei e Damon.
Poi cosa vorrà dire Stefan ad Elena? E Caroline?
Mumble, mumble... si accettano scommesse.

 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: Giuls_breath