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Autore: Clitemnestra    14/09/2014    0 recensioni
Anni fa il mondo è stato sconvolto dalla scoperta di creature alate denominate Hankara e dalla guerra che ne è stata scaturita. Una lunga e devastante guerra che ha visto sia Umani e Hankara combattersi e morire. Una guerra che dura per secoli e sembra senza fine. Ma anche un fiore, nonostante le devastazioni, riesce a sopravvivere
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 2 

Il mio corpo comincia a scaldarsi. Mi tasto la fronte : scotto paurosamente.
Cerco di aprire gli occhi, ma non ci riesco. Me li tocco, ma ritiro quasi subito la mano disgustata.
Le ciglia sono scomparse, le palpebre si sono unite agli zigomi formando uno strato di pelle molle. Inizio a urlare ma dalle mie labbra esce solo un flebile mormorio.
Mi alzo dal letto, a tentoni riesco a riconoscere il legno della mia cassettiera. Tiro un sospiro di sollievo. Improvvisamente il legno inizia a muoversi inizia a farsi rugoso.
Allontano le mani alla svelta.
E in quel momento il mobile inizia a sibilare ! Serpenti!
Urlo, urlo spaventata.
 Sento i serpenti attorcigliarsi intorno alle caviglie e alle braccia. Mi divincolo, ma mi tengono ferma. Sento la loro pelle viscida strisciare sulla pancia.
Poi un dolore lancinante,sotto l’ombelico, dove quell’orribile bubbone mi è spuntato.
Non riesco ad urlare, ho la gola piena di vomito. 
Il dolore continua,lo  sento lacerarmi le carni.
I serpenti nel frattempo continuano a scivolarmi sul corpo, sibilando e mi accarezzano la pelle con le loro lingue.
Vomito, sento il liquido caldo bagnarmi dalle labbra e finalmente riesco ad urlare.
Mi sveglio di soprassalto.
Le mie mani si toccano istintivamente gli occhi e constatano che sono sempre loro. 
Mi alzo la maglietta, il bubbone è ancora là, violaceo come ieri mattina.
Sbuffo e mi sposto una ciocca di capelli che mi ricadeva sugli occhi.
Mi ributto sul letto, la testa mi fa ancora male per la sbronza di ieri sera. Non mi sono mai ubriacata, ho sempre avuto paura di finire come mia madre, e poi ora ho scoperto che non mi piace.
Mi alzo, la fotografia di me e mio padre è ancora per terra, dove l’ho lanciata, e piccoli frammenti di vetro insanguinati la circondano.
Guardo l’orologio. Merda sono già le undici! Tra mezz’ora ci sarà il raduno in piazza per vedere i nostri giovani volontari.
Prendo dall’armadio un vestito che ho preso da mia madre qualche anno fa e che non le ho più ridato.
Mi faccio una semplice coda per tenere fermi i miei capelli un po’ ribelli. Un ricciolo mi sfugge e mi ricade sulla fronte , sfiorando il sopracciglio.
Mi guardo un attimo allo specchio. Ho un aspetto orribile. Ho due grossi cerchi neri intorno agli occhi, le labbra screpolate e le guancie mezze spellate.
Ma non il tempo nella voglia di curarmi del mio aspetto, così scendo le scale.
Nemmeno nelle miei migliori fantasie avrei potuto immaginare la scena che vedo davanti a me.
Mia madre con indosso un insolito vestito a fiori, uno di quelli che portava solo la domenica al mercato  e il viso truccata alla perfezione senza una sbavatura, mi aspetta nel salone con le braccia incrociate sul petto.
-Signorina, ti pare questa l’ora di scendere?- mi domanda borbottando 
Io sono troppo stupita per risponderle.
-E poi guarda, come ti sei conciata? Mio Dio, ma hai fatto a pugni stanotte?- continua indicando la mia faccia 
Io alzo le spalle –Se vuoi vado a cambiarmi … -
-No, non c’è tempo!- strilla –Vuoi che facciamo tardi? Già non siamo viste di buon occhio , più arriviamo in ritardo … -
Tu sei quella mal vista mamma, non io. Io sono solo la povera tua sfigata figlia. Eccola la mia sventura.
Non posso dirle ciò che penso perché so che si offenderebbe e forse ritornerebbe in depressione, perciò mi limito ad annuire.
Usciamo di casa, tenendoci per mano.
 La città è vuota, buia: nonostante sia mattina una fitta coltre di nubi copre il pallido sole invernale rendendola quasi spettrale. 
Non c’è nessuno, tutti quanti si sono già sbrigati per prendere i posti migliori davanti al palco.
Durante il nostro tragitto, indico a mia madre i vari negozi che sono cambiati nel corso degli anni e le elenco i nomi dei vari nuovi commercianti che sono entrati a far parte nella cerchia più stretta dei venditori.
Lei annuisce ogni tanto  e quando ho finito mi domanda –La guerra?-
Faccio una smorfia poi inizio a farle il resoconto degli ultimi due anni. Le dico le battaglie, le nostre vittorie e quelle degli Hankara, i luoghi dove si sono svolte e il  numero delle morti.
Il suo sguardo si rabbuia, evidentemente non si aspettava che fosse successo molto durante il suo periodo di assenza dal mondo .
Arriviamo, e come mi aspettavo la piazza è gremita di gente. Sgomito un po’ per avere una buona visione del palco , senza riuscirci, sono troppo piccola. Mia madre mi viene dietro, gli occhi bassi e le mani incrociate sul petto.
Riesco a vedere a malapena il sipario rosso e il pavimento in legno.
Cerco tra la folla Anna , ma inutilmente, ci sono troppe teste bionde e non saprei qual è quella giusta.
I tamburi cominciano a rullare, per fortuna siamo arrivate in tempo, altrimenti ci avrebbero fatto cinquanta soldi di multa, e data la nostra situazione economica, non è il caso.
Il sindaco sale sul palco: è un omino piccolo, la gobba che gli spunta dalle scapole lo fa apparire ancora più gracile di quanto non lo sia in realtà, la pelle giallognola risalta sotto la luce artificiale delle lampade mentre i capelli neri, impomatati per l’occasione scintillano di bagliori argentei.
-Buongiorno a tutti!- la sua voce nasale amplificata al microfono mi rimbalza nelle orecchie – Com’ è andata la nottata? Avete dormito? Ma certo che no! Sarete tutti eccitati per oggi! – si sfrega le mani –Bene allora cominciamo!- 
Improvvisamente diventa serio, si batte tre volte la mano destra sul cuore poi comincia a cantare l’inno. Tutti noi lo imitiamo, solo mia madre non lo fa. Se siamo fortunati nessuno la vedrà.
Mentre le ultime note della musica si propagano nell’aria, un corteo di prigionieri, accompagnati dalle guardie si avvicina. Sono gli Hankara e le spie catturate.  Sei anni fa tra loro sfilava anche mio padre.
Camminano in mezzo alla folla, gli occhi spenti e smorti, le ferite sul viso ancora aperte. Una bambina solleva la testa, ha gli occhi color del mare in inverno, freddi e glaciali, frugano tra la folla come alla ricerca di qualcuno poi mi trovano. Il suo sguardo mi colpisce come uno schiaffo. E’ così carico di odio e di paura che mi fa venire voglia di urlare.
-Che diritto avete voi? Che cavolo di diritto avete voi per privarmi della libertà? Io sono nato libero e come tale devo morire!-  
Le parole di mio padre urlate mentre lo arrestavano mi rimbombano nella testa. Sono le stesse parole che urlano gli occhi della bambina. Improvvisamente ritorno indietro nel tempo, sono nascosta nella bassa siepe che circonda le prigioni.  Mi sono appostata vicino alla cella di mio padre così da poter sentire il suo respiro.
Ma invece sento le sue urla e il rumore delle sue carni che vengono lacerate e le sue ossa che vengono rotte. Voci concitate di uomini gli ordinano di parlare, ma lui continua a gridare solamente. Comincio a strillare pure io, urletti acuti, niente in confronto ai suoi. 
La scena cambia, rivedo il mio genitore, mentre sfilava fiero davanti a loro, il mento alzato e gli occhi sprezzanti. Mia madre che gli si getta addosso implorandolo di dichiararsi innocente e che viene respinta con forza  dalla guardia, mentre io stringo MR Buggy, il mio orsacchiotto di peluche.
Risento gli spari ,le urla di mia madre e la folla che urla soddisfatta. Lascio cadere MR Buggy nel fango. Non lo riprenderò mai più.
Sbatto le ciglia intontita , come se mi avessero svegliata in malo modo. La bambina è scomparsa, si è mischiata agli altri prigionieri ammassati ai lati del palco.
La gente intorno a noi urla, vomita bestemmie di tutti i tipi, qualcuno lancia anche dei pomodori andati a male. 
Ma un cenno imperioso del sindaco fa tornare il silenzio. Quando tutti, anche i più infervorati, si sono calmati allarga le braccia indicando tutti gli Hankara presenti.
 -Vedete questi? Questi essere immondi che si trovano qua accanto a noi? Sono loro il cancro del mondo, il seme velenoso della terra, la maledizione del popolo! Queste creature con queste ridicole ali!- Si avvicina ad una Hankara donna con le ali aperte e strappa una piuma. Lei urla, ma il bastone di una guardia la colpisce sul mento facendola azzittire.  Il primo cittadine ,dalle tasche del panciotto, tira fuori un accendino e gli da fuoco. La piuma inizia ad accartocciarsi su se stessa e a scurirsi. La puzza è talmente nauseante che sono costretta a tapparmi il naso con una manica del vestito. La piuma diventa polvere e si disperde nell’aria
-Ed è per sconfiggere queste creature che cinquanta dei nostri più valenti giovani devono abbandonare le loro famiglie, la loro casa e i loro affetti, per andare a combattere contro questi esseri!- continua il sindaco.
Una donna vestita con un fiammeggiante abito rosso tira una cordicella e il sipario si apre.
Cinquanta ragazzi dai  quattordici ai diciotto anni , stretti nei loro abiti eleganti e dal viso tirato, siedono su  poltroncine di velluto blu. Sfoderano i loro migliori sorrisi ma tutti sanno che sono solo una montatura per nascondere la paura di non tornare.
Li scruto uno ad uno, finchè non arrivo all’ultimo. Il più mingherlino, con meno muscoli degli altri.
Il mio mondo mi crolla addosso.
L’ultimo ragazzo è David.

  
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