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Autore: FiammaBlu    15/09/2014    0 recensioni
Ho scritto questo romanzo molto tempo fa, si può dire sia stato il primo lavoro serio in cui mi sono cimentata. Ve lo propongo e spero vi divertirete anche voi a seguire i tre fratelli protagonisti della storia nelle loro avventure che li porteranno a crescere e a prendere in mano le redini della famiglia.
L'ambientazione è fantasy, inventata, ma segue le regole di D&D.
Sono 30 capitoli.
Il boia, che stava per tirare la leva della botola, si fermò guardandola. Sanie salì sulla piattaforma seguita da due soldati della Guardia Reale del Sultano. Indossava uno stupefacente abito bianco, quasi trasparente, che poco lasciava all'immaginazione. I capelli ricci e lunghi erano sciolti in una nuvola sulla schiena e indossava un paio di sandali bassi e ricamati.
Artiglio Rosso osservò ogni suo passo, la bramava e ammirava con lo sguardo e sorrideva della sua audacia. Sanie lo raggiunse, si asciugò le lacrime che scorrevano incessanti, lo fissò qualche istante, gli circondò il collo con le braccia sensuali e lo baciò profondamente.

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Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19. La spedizione e l'anello

 

- E questo è quanto ho appreso - Klod terminò il racconto della riunione dal Duca finendo la birra. L'aria asfissiante della taverna sapeva di fumo, sudore e stufato. Kathe fissava il fuoco e rigirava fra le mani un pendaglio d'oro a forma di quercia, le cui foglie erano formate da piccoli e brillanti smeraldi.

- Mi dispiace, Celia - aggiunse il fratello sussurrando stringendole una spalla.

- E' mio dovere - rispose Celia serafica che tutto sommato sembrava aver accettato la situazione. Due giorni dopo aver parlato con l'Alto Chierico aveva ricevuto la lettera di Klod ma ciò che aveva raccontato andava oltre il suo fidanzamento con il figlio del duca. C'era molto di più in gioco, qualcosa di pericoloso, una trama segreta che coinvolgeva il regno, l'Ordine, la Scuola di Magia, gli elfi e il Re di Aliati.

- Dovere o no, avrebbe dovuto parlartene - ribatté Klod appoggiando il boccale sul tavolo.

- Kathe, stai bene? - chiese Celia sedendosi accanto alla sorella che non aveva aperto bocca. Il pendaglio che rigirava fra le mani era il dono di Lewel che a quanto pare l'aveva scossa più di quanto credesse lei stessa.

- Sì, sto bene - sollevò gli occhi verso la sorella - Devi parlare con nostro padre, devi dirgli dei tuoi sentimenti per Mark, è il figlio dell'Alto Chierico, è vero non è il figlio del Duca ma... - Celia la interruppe.

- Kathe, non ti devi preoccupare, è tutto a posto. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi - le sorrise ma la sorella non si lasciò incantare da quel sorriso, in fondo agli occhi le leggeva rabbia, dolore e tristezza.

- Chissà come risolveranno la questione delle due spedizioni che dovranno intraprendere. Non è una situazione semplice - valutò Klod avvicinandosi a sua volta. La taverna era affollata, indossavano abiti da viaggio, nessuno li avrebbe riconosciuti.

- Non ci riguarda, tu devi diventare capitano, Kathe superare l'ultimo esame per diventare mago e io devo ottenere quella maledetta investitura prima che mi incatenino ad un matrimonio - rise Celia facendo voltare qualche avventore.

- Ma Celia, non puoi accettare questa costrizione così! Dov'è finito tutto il tuo spirito combattivo e il tuo orgoglio? - Kathe rigirava nervosamente il ciondolo.

- Li uso in battaglia Kathe, non contro mio padre - sorrise lei. Aveva già pianto il giorno in cui l'Alto Chierico gliel'aveva detto, perché avrebbe dovuto abbandonare l'Ordine, perché veniva costretta a fare qualcosa che non voleva, perché suo padre non le aveva parlato e aveva delegato qualcun altro, per ciò che celava sepolto in fondo al cuore.

- Verrete con me nel Regno degli Elfi? - domandò Kathe dopo qualche attimo. Non era stato semplice prendere una decisione. L'iniziale moto di felicità si era interrotto quando aveva riflettuto bene su ciò che avrebbe comportato accettare il dono e andare a trovare Lewel.

- Hai deciso, quindi - constatò Klod pensando a quanto fosse elaborata e complessa la mente della sorella. Lei annuì arrossendo.

- Non posso ignorare questa cosa, e stiamo parlando di un Principe... - Kathe sorrise dolcemente stringendo il ciondolo prezioso.

- L'hai già detto a nostro padre? Non credo avrebbe qualcosa da obiettare... - chiese Celia, Lewel si era dimostrato un elfo coraggioso e affidabile, ed era chiaramente innamorato di lei e si stava parlando del Principe degli Elfi. Non avrebbe potuto volere niente di più.

- Non ancora, non è un incontro ufficiale fra le famiglie, ha invitato solo noi - disse Kathe in un sussurro.

- Ricordati che il padre di Lewel è il Re e potrebbe imporre il suo volere, sei umana, loro vivono più a lungo e non sei una principessa... - fece notare Celia con delicatezza.

- Ho pensato molto, Celia, so quali sono gli ostacoli ma vorrei davvero visitare il regno degli elfi e rivedere Lewel - la voce di Kathe era solo un sussurro, lieve come vento il vento di primavera che in quei giorni accarezzava le campagne.

- Non c'è altro allora che io possa dirti, rispondigli magari posticipando la visita all'estate, quando avremo finito i nostri esami - suggerì Celia abbracciandola.

Nonostante tutte le precauzioni che avevano preso, qualcuno aveva ascoltato ogni parola. Quando i tre fratelli uscirono dalla locanda delle Tre Lance il ladro si passò una mano fra i capelli corvini che mostravano già qualche filo bianco celando un amaro sorriso.



- Cosa stanno cercando di fare? L’Ordine vuole forse sabotare questa alleanza? - Fabris Hianick accartocciò la pergamena - E da quando gli interessa la politica! -

Erika osservò il marito furioso che passeggiava avanti e indietro. Era giunta da pochi minuti una missiva da parte dell’Alto Chierico di Fir Ze in persona. I loro tre figli erano stati inseriti nella spedizione nei Regni del sud alla ricerca della fantomatica sorgente di cui avevano parlato.

- Sono troppo giovani, non possono rischiare la vita così quando ci sono altri cavalieri e maghi disponibili! - la pergamena rotolò sul tappeto fino ai piedi di Erika che la raccolse. La calligrafia del Chierico Cavaliere Leon Gelithar era fluida ed estesa, poche righe per informare che erano stati decisi i due gruppi che avrebbero cercato di risolvere la situazione critica della Fratellanza di Sangue e che visti i meriti, la scaltrezza e l’abilità con cui i loro tre figli si erano introdotti nel covo ad Agrabaar, erano stati scelti per introdursi nei sotterranei delle Catacombe di Hilizia. Quando Erika lesse quel nome, un brivido freddo le attraversò la schiena.

- Devi importi, non puoi mandarli in quel posto di tenebra e sconforto! - gli disse con la voce rotta dal pianto. Le Catacombe di Hilizia erano conosciute in tutto il Regno. Decine di avventurieri avevano perduto la vita alla ricerca dei tesori inestimabili che si diceva l’antico Re Hilizia vi avesse sepolto insieme al suo intero popolo. Le anime perdute di quella povera gente infestavano le catacombe e nessuno sapeva cosa ci fosse sotto. La lettera spiegava che quell’entrata era stata scelta di comune accordo con l’arcimaga Eleanor della Scuola di Magia come la più probabile e diretta per accedere a ciò che il sottosuolo celava.

- Parlerò col Duca, faremo il fidanzamento ora, l’Ordine non oserà mandare a morte certa la mia primogenita promessa alla famiglia Arstid! Kathe è troppo giovane, non può andare e Klod… è il mio erede, vincolato all’Accademia della Guarnigione! - Fabris sembrava più voler convincere sé stesso, sapeva che l’Ordine, la Scuola di Magia e la Guarnigione potevano disporre dei suoi figli come volevano finché non terminavano i corsi, come avevano fatto con Celia negli ultimi anni. Picchiò un pugno sulla scrivania.

- Questa situazione deve essere sistemata, gli investimenti del Duca ci servono - prese pergamena, penna e calamaio e scrisse una missiva.



Quando Celia ricevette la convocazione dall’Alto Chierico sperava fosse per affrontare una delle prime prove per accedere alla carica di Chierico Cavaliere. Il suo stupore genuino fece sorridere Adam Nateshwar e gli fece anche comprendere fino in fondo perché suo figlio si fosse innamorato di lei.

- Io… voglio dire noi, scenderemo nelle Catacombe di Hilizia? - Celia aveva la testa piena di pensieri dove capeggiava la possibilità di evitare il fidanzamento col figlio del Duca e anche di morire là sotto da qualche parte. L’Alto Chierico annuì.

- Anche i tuoi fratelli hanno ricevuto la convocazione ed è stata mandata una lettera a vostro padre - sembrava particolarmente compiaciuto. La missione era pericolosa ma confidava nel coraggio e nel buon senso dei tre fratelli che sarebbero stati affiancati da altri cavalieri e maghi.

- A mio padre? Non ci lascerà mai partire! - l’iniziale sorpresa lasciò immediatamente il passo allo sconforto.

- Celia, se devo proprio dire le cose come stanno vostro padre avrà poca voce in capitolo. Finché resterete degli studenti nelle nostre scuole potremo disporre di voi come più ci aggrada esattamente come abbiamo fatto con te in questi ultimi anni e nessuna protesta è giunta dal Conte per nessuna delle destinazioni in cui ti abbiamo mandato... - l'Alto Chierico non sorrideva ed era estremamente serio. Celia lo guardò sconcertata, appariva molto più simile ad una minaccia e l'anziano chierico aveva perduto ogni traccia di benevolenza e affetto.

- Maestro questa volta si tratta di qualcosa di molto delicato e diverso. Mio padre deve aver necessità per qualche ragione dell'alleanza con la famiglia degli Arstid e non rinuncerà facilmente ad un accordo che ha già ottenuto e che gli farà avere l'unica cosa che può portargli la sua primogenita femmina: un matrimonio vantaggioso... - per la prima volta in tanti anni Celia provò un moto di orgoglio e allo stesso tempo di odio per l'Ordine. Non sapeva perché avevano insistito per farli partecipare a questa missione ma non avevano il diritto di interferire con le decisioni di suo padre. Aveva dedicato tutti i suoi anni all'Ordine ma la fedeltà principale andava alla famiglia.

- Non preoccuparti di queste cose Celia, obbedisci agli ordini e tutto andrà a posto - rispose l'Alto Chierico con un tono che non aveva mai usato prima con lei e che le ricordò all'improvviso suo figlio. La giovane annuì.

- Partirete fra quattro giorni, qui dal Monastero e ti proibisco di uscire senza autorizzazione, sono stato chiaro? - aggiunse guardandola intensamente.

Quindi l'Alto Chierico sapeva delle sue uscite occasionali... si vergognò immensamente e abbassò la testa incapace di reggere lo sguardo indagatore.

- Sì, Maestro - disse in un sussurro.

- Puoi andare - la congedò l'Alto Chierico. Provava affetto per quella giovane coraggiosa e determinata e anche Mark, e gli sarebbe davvero dispiaciuto che lei lasciasse l'Ordine inoltre gli Arstid non gli erano mai stati molto simpatici e quando aveva ventilato a Leon Gelithar la possibilità di legare la famiglia Hianick alla sua e quindi all'Ordine, il vecchio amico aveva cambiato completamente idea in merito.



- Un'altra volta - disse Celia con voce roca ansimando.

- Non capisco perché ti punisca così - rise il maestro - Non ti reggi in piedi, vai da un Guaritore - le disse riponendo la spada di legno nella griglia.

- Non c'è nessuno che ha il coraggio di fronteggiarmi? - urlò ai presenti nella sala d'armi.

- Lasciate il quadrato allieva, è un ordine - disse il maestro di spada ma Celia lo ignorò, le sarebbe costato un'ammonizione davanti all'Alto Chierico, lo sapeva. Nessuno dei presenti si mosse e vide Rhienne con la coda dell'occhio che le faceva il gesto di avvicinarsi.

Quella sera sarebbe tornata a casa, con una licenza che contraddiceva l'ordine ricevuto dall'Alto Chierico stesso, e domani mattina avrebbe firmato l'accordo di fidanzamento con Alexei Arstid. Suo padre e il Duca in qualche modo erano riusciti ad ottenere il benestare, non dall'Alto Chierico di Fir Ze, ma presentando istanza al cancelliere del Patriarca dell'Ordine. Inizialmente aveva chiesto di togliere i figli dalla missione e quando questa richiesta era stata negata, aveva chiesto un matrimonio con le firme sui documenti, che sarebbe stato celebrato presso il tempio dell'Ordine e davanti agli dèi quando Celia fosse tornata. Ma questa volta era stato il Duca a negare il consenso, probabilmente non voleva che suo figlio rimanesse vedovo e aveva acconsentito solo alle carte di fidanzamento.

- Non costringetemi a prendere provvedimenti, fuori dal quadrato - ripeté il maestro di spada con tono severo e inflessibile. Rhienne le fece nuovamente cenno e lei la raggiunse.

- Vieni, andiamo a darci una lavata - disse l'amica e Celia annuì lentamente - Devi calmarti Celia, non riuscirai ad affrontare la missione e gli esami in questo stato - le sussurrò l'amica.

L'acqua tiepida ebbe un effetto calmante. Le dolevano tutti i muscoli, e le ferite aperte dalla spada di legno bruciavano per il sapone.

- Spero vivamente che le donne del futuro possano avere un maggiore controllo della propria vita... - disse Celia con voce appena udibile.

- Tuo padre non ti ha dato al primo che passava per strada, ti ha concesso al figlio del Duca! - le fece notare Rhienne borbottando mentre le lavava la schiena.

- Guarda come sei ridotta, devi andare dal Guaritore - aggiunse dopo qualche attimo. Celia indossò la sua divisa da Messo, salutò l'amica che la osservava con apprensione, andò dal Guaritore per sanare le sue ferite, poi si recò alle stalle e prese il cavallo che le avevano assegnato per tornare a casa.

Era pomeriggio ma il castello era silenzioso. Raggiunse la biblioteca camminando lentamente per i corridoi, sorridendo ai ricordi che riaffioravano quando coi suoi fratelli si rincorreva per le stanze. Bussò alla porta della biblioteca ed entrò.

- Padre, sono lieta di vedere che state bene - disse Celia e suo padre annuì sorridendole lievemente. Aveva creduto che in quell'occasione le avrebbe detto qualcosa ma non avvenne niente di tutto ciò. Poi si diresse verso sua madre e la baciò con affetto.

- Celia, ti trovo bene - le sorrise la madre con calore stringendole le mani.

- Madre, siete uno splendore - e la abbracciò con forza.

Cenarono e dormì nella sua vecchia camera, che aveva condiviso coi fratelli finché non era partita per il Monastero. La mattina seguente, venne lavata e vestita dall'ancella di sua madre che le acconciò i capelli, lasciandoli sciolti legati solo da una sottile coroncina e le aveva fatto indossare un abito lungo turchese. Quando Erika la vide, rimase stupefatta dall'insieme e le disse che avrebbe dovuto smetterla di indossare armature a favore di abiti eleganti che le stavano benissimo.

Si recarono presso la Segreteria del Re, ce ne era una in ogni città abbastanza grande e importante, dove venivano registrati tutti gli atti ufficiali. Quando entrarono nella sala, c'erano sei Guardie Reali, il Duca, sua moglie e Alexei. Per tutta la mattina sua madre le aveva spiegato praticamente ogni cosa di quella potente famiglia. Fortunatamente non era un rospo brutto e grasso. Era alto e biondo, con gli occhi azzurri e le sorrideva dolcemente. Ebbe l'impressione che non fosse a suo agio neppure lui.

- Celia, sei uno splendore - la Duchessa Irina le venne incontro e lei fece un lieve inchino arrossendo.

- Erika cara, quanto tempo! Non vedo l'ora che riapriate il vostro meraviglioso giardino! - e si strinsero le mani iniziando a parlottare sommessamente. Anche suo padre e il Duca si salutarono, lasciandoli in piedi immobili e in imbarazzo. Alexei fece qualche passo avanti e la raggiunse.

- Siete raggiante come una stella milady e sono felice di incontrarvi - disse il giovane con quella frase di rito che aveva poco di spontaneo.

- Lo stesso vale per me, milord - e fece un lieve inchino abbassando lo sguardo.

- Somigliate molto a vostro fratello - le fece notare sorridendo. Celia annuì e notò che aveva mani lisce ma robuste, almeno sapeva usare le armi, un lieve accenno di barba e conosceva alla perfezione l'etichetta. Indossava un farsetto rosso e argento e pantaloni e stivali neri, era una vera meraviglia.

Parlarono per diversi minuti, in attesa del funzionario che avrebbe apposto il sigillo dopo le loro firme, convalidando l'accordo. Era molto istruito, le domandò dell'Ordine, della fede, della magia, di che tipo di corsi potevano frequentare, degli allenamenti nella sala d'armi. Lei gli chiese della vita di corte, dei cavalli che amava tanto, della sua collezione di archi. Tutte domande che le aveva preparato sua madre e che lei ripeté educatamente ascoltando le risposte fingendosi interessata.

Per fortuna il funzionario arrivò, ponendo fine a quella recita. Era un bravo ragazzo e si capiva che era stato educato perfettamente, era galante e gentile ma non si conoscevano e non provavano niente l'uno per l'altra. Erano lì solo perché le loro famiglie l'avevano voluto.

La lettura del contratto fu lunga, vennero apposte delle modifiche da suo padre e dal Duca, infine il funzionario, basso e calvo, gli chiese di apporre le loro firme. Alexei mise la sua e Celia esitò un istante prima di apporre la propria, poi la calligrafia tracciò il suo nome e quello della sua famiglia.

Il funzionario recitò tutte le frasi di rito, Alexei le mise un anello all'anulare sinistro, era quadrato con inciso lo stemma degli Arstid, un giglio stilizzato. La prese dolcemente per le mani e la baciò sulle labbra appoggiando appena le sue. Da ora in poi era sua proprietà.

- Vi prego di farmi la cortesia di tornare tutta intera dalla ricerca della sorgente - le sussurrò stupendola quando erano vicini e nessuno poteva udirli.

- Baderò ad avere cura della mia persona milord, non vedo l'ora di tornare e unirci in matrimonio - Celia ripeté la frase meccanicamente come le aveva detto di rispondere sua madre se fosse venuto fuori l'argomento. Alexei la fissò per un attimo e il suo sguardo fu così malinconico che lei rimase a bocca aperta. Si avvicinò ancor più ma lei rimase immobile.

- Sappiamo bene entrambi che non è vero - il suo tono era velato di malinconia e comprese all'istante che Alexei era innamorato di una donna, che non era quella che avrebbe sposato.

Celia arrossì e fece per giustificarsi ma lui sollevò una mano dicendole silenziosamente che non serviva dire altro.

Le due famiglie si salutarono, il Duca Romir e il Conte Fabris ridevano ed erano estremamente compiaciuti. Parlavano del matrimonio e dei grandi festeggiamenti che ci sarebbero stati. Sua madre e la duchessa confabulavano sottovoce e lei e Alexei camminavano fianco a fianco in silenzio.

Durante tutto il viaggio di ritorno in carrozza, Erika non fece che tessere le sue lodi, che era bellissima, che si era comportata bene e aveva dato tutte le riposte giuste, che era evidente come Alexei fosse rimasto impressionato. Celia rimase quasi sempre in silenzio, dando solo le risposte necessarie e guardava suo padre, inflessibile e integerrimo, che teneva lo sguardo fuori dal finestrino con il mento appoggiato ad una mano.

Al castello indossò nuovamente il suo abito grigio e allora si sentì veramente a suo agio. Era quella la vita che avrebbe voluto. Gliel'avevano concessa solo per breve tempo, adesso doveva pagare il suo debito con la famiglia e concedere a suo padre un matrimonio vantaggioso per tutta la Contea. Erika pianse almeno mezz'ora chiedendole di fare attenzione e di aiutare i suoi fratelli.

- Madre, sapete che lo facciamo sempre, ci aiutiamo - le disse sorridendo e cercando di rassicurarla.

- Lo so Celia, ma Kathe è così dolce e gracile... - e pianse di nuovo. Probabilmente non si era accorta di come era cambiata la sorella in quegli anni. Forse avrebbe dovuto chiederle di farle vedere una palla di fuoco…

- Non preoccupatevi troppo, avrete presto nostre notizie - la rassicurò un'ultima volta. Salì a cavallo e tornò al Monastero nel crepuscolo della sera. Suo padre non era nemmeno sceso a salutarla.



Quando rientrò era buio, consegnò il cavallo alle stalle e si diresse in camera. Rhienne aveva già mangiato e la stava aspettando.

- Allora? Fammi vedere! - disse schizzando fuori dal letto. Celia arrossì lievemente e mostrò la mano.

- Non ci posso credere! Sei davvero fidanzata con Alexei Arstid! E' così bello come dicono? Capelli come grano dorato, occhi come il cielo e due spalle ampie e robuste... - disse Rhienne alzando gli occhi al cielo con sguardo sognatore.

- Sì, è davvero un bel ragazzo, educato, sensibile, colto, addestrato, sarà un ottimo Duca ma ama una donna, ne sono sicura, e non sono io -

- Come fai a saperlo? - chiese Rhienne spalancando gli occhi.

- Perché è stato costretto da suo padre come me ma non è me che vorrebbe - Celia sorrise mestamente.

- E tu cosa vorresti? - l'amica le prese il volto fra le mani ma Celia si rabbuiò.

- Diventare un Chierico Cavaliere, restare nel Monastero e un giorno magari poterne gestire uno, non importa dove... ma non avrò niente di tutto ciò - sussurrò lei distogliendo lo sguardo. Rhienne sospirò e la lasciò andare.

- Hai fame? - le domandò sedendosi sul letto e fissando l'anello al suo dito.

- No, vado a leggere in biblioteca - le dette un bacio sulla fronte e uscì.

La biblioteca era buia ma l'attendente aveva lasciato il camino acceso. Prese alcuni libri sui draghi e si sedette vicino al fuoco spostando la poltrona, così avrebbe avuto luce e calore.

Doveva essere una magia molto potente se la Fratellanza avrebbe potuto comandare addirittura i draghi. Le leggende dicevano chiaramente che i draghi non esistevano più, estinti o nascosti, confutate dal fatto che non ne erano stati avvistati negli ultimi secoli. Trovò anche qualcosa relativo ad una sorgente magica. Sembrava essere nelle Terre del Fuoco, sepolta in profondità. Era una fonte arcana, quasi tutti i testi erano concordi, di magia allo stato primordiale, per questo così potente. Era la stessa di cui aveva raccontato Klod e che aveva citato l'arcimaga Eleanor durante la riunione dal Duca.

Il collegamento le fece ricordare Alexei. Chissà chi era la donna di cui era innamorato. Molte spose di matrimoni combinati accettavano le amanti dei mariti e loro stesse si portavano a letto gli uomini che desideravano. L'importante era dare degli eredi. Non sapeva se si sarebbe adeguata ad una simile vita. Posò il libro sui ginocchi e sospirò. Si tolse l'anello rigirandolo fra le dita e osservandolo attentamente.

Mark era andato alla biblioteca, sapendo che l'avrebbe trovata lì. Era rimasto piacevolmente sorpreso quando aveva ricevuto la convocazione dall'Alto Chierico di Fir Ze per partecipare alla ricerca di quella fonte arcana che tanto interessava alla Fratellanza. Doveva presentarsi al Monastero di Torap per raccogliere altri membri che avrebbero partecipato e poi andare a Fir Ze. Lui aveva eseguito gli ordini ma quando era arrivato quella sera, suo padre aveva voluto parlare con lui e così ora sapeva ogni cosa.

Avrebbe voluto parlare con lei, condividere i pensieri oscuri che gli attraversavano la mente e che doveva avere anche lei: essere costretta a lasciare il Monastero e sposarsi era una combinazione che avrebbe distrutto chiunque. Ma quando la vide vicino al fuoco rimase celato nelle tenebre della stanza e ogni proposito svanì. Cosa avrebbe potuto dirle? Quell'anello d'oro con lo stemma degli Arstid diceva ogni cosa, parlava di un futuro che non avrebbero più condiviso e lo costringeva a fare i conti con una realtà che aveva allontanato per tanto tempo e che lei gli aveva indicato tre anni prima. Sapeva che lo amava, anche per lui che era un uomo certi suoi atteggiamenti erano chiari e ciò che era accaduto quella notte, ciò che si erano detti, non era un sentimento che potevi cancellare a comando, era solo stata più furba di lui, allontanandolo immediatamente, concentrandosi sul suo obiettivo senza distrazioni.

Celia si rinfilò lentamente l'anello, chiudendo gli occhi. Fino a quel momento non si era resa veramente conto di ciò che stava perdendo. Non tanto la libertà di decidere, come aveva creduto all'inizio e che tanto l'aveva fatta infuriare, non il dolore di non poter più partecipare alla vita del Monastero, non il fatto che suo padre l'avesse ignorata tanto da farle dare la notizia dall'Alto Chierico, ma stava perdendo Mark.

Lo aveva allontanato per così tanto tempo che credeva di aver chiuso la questione, di poterla gestire ma ora si sentiva svuotata e smarrita e una straziante tristezza prese il sopravvento. Una singola lacrima scese mentre fissava l'anello.

Lei piangeva incessantemente e Mark avrebbe voluto raggiungerla e stringerla ma non lo fece. Celia appoggiò la testa al bracciolo, il pianto divenne singhiozzi e infine si placò.

Mark la osservò con i denti serrati. Non c'era soluzione a meno che i due padri non decidessero di recidere il contratto ma lui non poteva permettere che qualcuno la toccasse, non poteva proprio. Si voltò stringendo i pugni e tornò ai suoi alloggi.



L'indomani mattina all'alba, quando Celia uscì in cortile pronta per la partenza, vide i suoi fratelli. Klod le venne incontro seguito da Kathe che teneva su il vestito per evitare che si sporcasse col fango. Le fecero mille domande sul fidanzamento, Kathe volle vedere subito l'anello e si mostrò profondamente offesa per non aver potuto partecipare.

- Sai chi farà parte del gruppo? - le chiese Klod sistemando la sella del suo cavallo. Provenivano dalle scuderie del loro padre, ed erano tutti animali splendidi e resistenti.

- No - rispose la sorella scuotendo la testa - Ancora non mi sembra vero che abbiano scelto proprio noi - aggiunse lasciando cadere la frase in un sussurro mentre osservava un gruppo di cavalieri vicino agli altri cavalli.

- Sir Mark Nateshwar, era ovvio che l'Alto Chierico di Torap ci infilasse suo figlio, si parla di gloria, fama e probabilmente tanti soldi... - Klod strinse la cinghia della sella con un grugnito.

Kathe guardò Celia per un attimo e la vide sbiancare. Così non andava proprio bene. La prese per un braccio e ricominciò a chiacchierare, raccontandole degli ultimi incantesimi che aveva imparato e che sarebbero stati molto utili in questa avventura. Celia fu costretta e impegnare la mente per seguire l'incessante racconto della sorella ma il fatto che Mark fosse lì, che indossasse l'armatura di cuoio nero dei cavalieri ordinati, che il suo cavallo fosse pronto indicava una sola cosa: faceva parte del gruppo che avrebbe cercato la sorgente. Per un fugace momento ebbe la sensazione che la dèa le stesse mettendo alla prova facendoglielo avere sempre fra i piedi.

Per fortuna non fu costretta a rivolgergli la parola e portava i guanti che celavano l'anello. Bastava un mantello per viaggiare ormai e comunque erano diretti al porto di Rovilon per prendere la nave che li avrebbe portati a sud, verso la loro destinazione e il caldo. I cavalli avevano due bisacce a testa molto capienti e piene di provviste e attrezzature come corde, ganci, chiodi, candele, borracce, una coperta a testa, un'accetta e una pala o un piccone martello e punteruoli.

Per strada avrebbero accolto altri due partecipanti ma non gli era stato detto chi erano. Celia si augurava solamente di non doversi confrontare con lui.


   
 
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