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Autore: Selhen    16/09/2014    2 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~~Il cielo era già tinto di violaceo quando giungemmo davanti a uno degli immensi accessi dell'Occhio di Tiamaranta. Ci eravamo lasciati alle spalle i fastidiosi fanghi e l'umido acquitrino pieno zeppo di insetti di ogni tipo per addentrarci tra la folta vegetazione. Ad un certo punto il terreno era divenuto scosceso e la gola dentro cui eravamo si era fatta più profonda. Un portone immenso chiudeva un'antica apertura della parete rocciosa.
"Eccoci qua" aveva annunciato Velkam pragmatico incrociando le braccia per contemplare l'entrata.
Alzai lo sguardo. Il portone era così alto e immenso che aprirlo in due sarebbe stato arduo, ma fortunatamente eravamo Daeva e quegli accessi per noi erano molto più pratici: bastava sussurrare una formula magica ed ecco che ci saremmo dissolti per ricomporci perfettamente integri dall'altra parte della spessa superficie. Eseguii, invocando in mio soccorso il nome di Aion e la forza del popolo asmodiano ed ecco che la scarsa luce di poco prima si era totalmente estinta per fare spazio ad un'oscurità quasi completa. Eravamo all'ingresso di una caverna umida e fredda, Velkam era comparso alle mie spalle e il suono cadenzato del suo respiro mi rassicurò. Gli lanciai un'occhiata che ricambiò, enigmatico, per poi passare avanti a me e fare strada.
Piccole gocce di condensa cadevano dalle pareti per accumularsi in pozzanghere, il suono dell'acqua riecheggiava sinistro nel luogo mentre le pareti spesse di roccia, e il semibuio, rendevano ogni suono quasi ovattato.
"Che posto inquietante", proferii in un brivido. Udii la mia voce rimbomabre nel vasto vano e trasalii perchè mi parve di aver fatto troppo rumore. Non mi era mai piaciuto addentrarmi da sola in quella parte selvaggia dell'occhio di Tiamaranta. Eravamo in una zona periferica e poco trafficata, e non seppi dire se per nostra fortuna o sfortuna.
Velkam si fermò davanti a me e mi rivolse un sorriso luminoso. "Pensavo fossi un'asmodiana più coraggiosa".
Mi accigliai.
Lui continuò. "E poi a voi asmodiani non piace il buio?".
Scossi la testa. "Al buio vediamo solo meglio di voi", lo canzonai. "Ma ciò non vuol dire che mi piacciono i luoghi umidi e che puzzano di acqua stantia, non sono un nasolungo di palude", borbottai.
Il rumore dei nostri passi era l'unica cosa di animato, poi ad un tratto, un boato ruppe il silenzio facendomi letteralmente sobbalzare. Erano urla.
Velkam balzò sull'attenti e tirò fuori dalla faretra una freccia. La incoccò fulmineo e guardingo ridusse il passo.
"Che cosa... che cosa è stato?", mormorai confusa.
"Il drago di Tiamat, non te l'hanno mai detto che una volta entrata da questo ingresso saresti stata in dolce compagnia?", scherzò lui. Sembrava essere divertito dalla mia espressione.
"Credevo che la mia unica dolce compagnia saresti stata tu", ironizzai.
Lui ridacchiò. "E' l'occhio di Tiamaranta, mica la mia pacifica Helian".
Inarcai entrambe le sopracciglia. "Beh, sono punti di vista. Per la sottoscritta Helian non sarebbe poi così tanto pacifica!".
Non disse più nulla, ma sempre col sorriso sulle labbra varcò un ampia fessura nella roccia dalla quale proveniva un'immensa luce di fuoco.
Oltrepassata la soglia ebbi una sensazione di smarrimento. Ci trovavamo in un antro immenso e proprio là, alla nostra sinistra, troneggiava alto un immenso drago. Uno dei guardiani di Tiamat.
Le mie labbra si spalancarano dallo stupore mentre Velkam tese l'arco minaccioso verso la bestia.
"Chi osa disturbare la quiete  del grande guardiano di Tiamat?", ruggì una voce. Il suono rintonò nell'enorme antro. Sollevai lo sguardo ma mi accorsi di non potere scorgere, tra i vapori, quale fosse la parte più estrema della roccia. Non c'era copertura in quel luogo. Solo mura e roccia alte, altissime, che sembravano non finire mai.
"Velkam, figlio di Kornelius, governor di Elysea".
Il drago storse da un lato la testa. I suoi occhi scintillanti luccicarono sinistri quando il suo sguardo rovente si soffermò sulla piccola figura del cacciatore elisiano che si era appena presentato.
"E cosa desidera un elisiano bruciato dal sole, da un guardiano come me?".
Velkam non parlò subito. Accennò qualche passo, l'arco sempre teso, pronto a dissolversi nell'aria come solo i cacciatori sapevano fare.
"Voglio delle risposte, drago". Annunciò.
Il drago grugnì e le sue narici sbuffarono due minacciose nuvole di fumo. "Il guardiano di Tiamat non da risposte".
"Questo lo vedremo", proferì Velkam con un'apparente calma che mi lasciò quasi sbalordita.
Mi ero tenuta in disparte. Un po' spaventata. Benchè fossi una guerriera asmodiana non nutrivo molta passione per l'azione e quelle operazioni scomode un po' mi contrariavano.
Trasalii quando gli occhi ignei del drago si soffermarono su di me. "Da quando un elisiano e un'asmodiana si trovano nel medesimo luogo e non cercano di darsi la morte l'un l'atra?", chiese il drago sporgendo il possente collo nella mia direzione.
Quel gesto fece spostare fulmineo Velkam dalla mia parte quando io sobbalzai all'indietro colta di sorpresa. Mi ero ritrovata a pochi metri dall'immenso faccione del mostro e il cuore aveva iniziato a balzarmi nel petto.
"Questo non ti riguarda", sibilò il cacciatore elisiano senza batter ciglio.
"Oh, un cacciatore elisiano che difende il suo nemico... è curioso". La voce gutturale che fuoriusciva dalla gola del drago assunse un'inclinazione divertita.
"Sei tu, drago, il responsabile delle maledizioni di chi si addentra in questo luogo?", ricominciò Velkam ignorando le sue ultime parole.
L'attenzione del drago parve essere tutta rubata da quella domanda. I suoi occhi scintillarono nuovamente come guizzanti fiammelle.
La bestia mostruosa non parlò subito, ma un altro sbuffo di fumo fu sintomo di una sua reazione. "Anche se fosse, cos'è che mi faresti, elisiano?". Il tono divertito della voce era divenuto fin troppo inquietante.
"Potrebbero esser e i tuoi ultimi giorni, guardiano di Tiamat...", rispose Velkam con un ghigno spavaldo. "Ho una legione ad elysea, e un certo potere che mi consente di comandarla. Sono un Daeva immortale, ho il dio Aion dalla mia parte...", rise, "tu invece, cos'hai ad attenderti se non l'ubbidienza e la morte?".
Il drago ruggì, e l'antro rintonò della sua risata malefica. "Sciocco elisiano. La tua razza sarà schiacciata dalla sua stessa arroganza, certe volte un buon numero non basta, se manca l'astuzia". Il drago voltò il capo verso di me e rimase a osservarmi.
"Bada a offendere la mia razza!", alzò la voce Velkam con la freccia pronta a scoccare.
"E tu bada a come ti rivolgi a me, stupido cacciatore", il testone del drago si levò verso l'alto e una vampata scarlatta fuoriuscì dalle sue narici.
"Non saprai nulla da me", disse il mostro compiaciuto. "Non ho alcun debito con gli elisiani...", voltò la testa, "nè tantomeno con voi sporchi asmodiani".
Mi accigliai. Non era bello sentir dare degli sporchi a quelli della propria razza. Tirai fuori i revolver e i miei occhi si accesero della stessa furia minacciosa che illuminava quelli del mostro. Metà angeli, metà demoni. Era questo che eravamo noi asmodiani.
Notai Velkam che mi osservava affascinato, in posizione d'attacco.
"Andatevene, e potrete dirvi fortunati", ringhiò la bestia soffiando una vampata che quasi non mi sfiorò il giubbino in pelle.
A quel passo falso del drago, la freccia di Velkam scoccò centrando in pieno il suo grande occhio scarlatto. L'urlo disumano della bestia sembrò far tremare le fondamenta di quel luogo deserto e una nuova fiammata per poco non mi investì.
"Scappa", disse Velkam prendendomi per mano. Non esitai e con lui mi diedi alla fuga, diretta in una corsa mozzafiato verso l'uscita.
Sparai alla cieca mentre arretravo e quando fummo coperti dalle pareti dell'immensa fessura da cui eravamo arrivati una fiammata più decisa ci seguì e andò a investire la parete opposta.
Rimasi appoggiata alla parete rocciosa col fiatone. Le gambe mi tremavano e la testa mi ronzava.
"Dobbiamo uscire", mi stava urlando Velkam. L'atroce suono dei ruggiti mi impediva di percepire le sue parole ma lo avevo visto estrarre una pergamena del ritorno e usarla.
"Sarpan", fu l'ultima cosa che mi disse.
Lo imitai ed estrassi il foglietto dalla bisaccia, col sangue che mi pulsava nelle vene e l'adrenalina della corsa.
Ritornai. E presto i raccapriccianti strepiti del drago furono inghiottiti dal silenzio. Non avevamo scoperto niente, ma per lo meno, eravamo usciti da quel posto orrendo sani e salvi.

Quando mi ricomposi davanti all'obelisco di una delle piazzette della fortezza di Kamar, Velkam era già seduto in uno dei gradini. Mi concessi qualche secondo per ricompormi e riprendere fiato, poi piano piano la sensazione di tensione e paura si allentò, lasciando spazio ad una latente stanchezza.
"E' stato un completo insuccesso", mi lagnai, mantenendomi comunque a debita distanza da lui ed evitando di farmi sentire da qualcun altro.
Per tutta risposta Velkam balzò in piedi. Lo vidi sparire oltre l'uscita della fortezza e supposi che stesse andando nel posto in cui ci eravamo visti la notte prima.
La piazza era già immersa nel buio. Si era svuotata e in quel momento la maggior parte dei Daeva, sia elisiani che asmodiani, erano tornati alla propria città. Tuttavia era presto, e qualche anima vagava ancora per le mura della fortezza.
Attesi qualche secondo perchè sparisse dalla mia vista e lo seguii. Poi, una volta guardatami intorno e accortami di essere al sicuro, scostai le fronde degli alberi ed entrai in quell'angolo di verde tutto nostro.
Come avevo ben supposto Velkam era là, e sedeva su un masso pensieroso.
"A che pensi?", gli domandai intimidita.
Velkam scosse il capo. "Lui non c'entra nulla, è sicuro".
Mi inginocchiai di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi. "Perchè lo hai attaccato?", gli chiesi all'improvviso.
Velkam parve sorpreso da quella domanda, ma rispose sinceramente. "Temevo che avesse potuto farti del male".
"Forse lo avrebbe fatto, nell'intervallo di qualche secondo, se non fossi intervenuto tu", gli dissi.
Il cacciatore elisiano mi rivolse un sorriso.
"Grazie Velkam, non smetterò mai di dirtelo".
La sua mano si tese a sfiorarmi una guancia, poi il mento, e infine risalì ai capelli sulla mia fronte. "Lo faccio solo per te".
Sorrisi e poggiai una mano insicura sul suo ginocchio, quasi a sorreggermi. Quell'elisiano riusciva a farmi girare la testa con poco.
"Non ho voglia di tornare a casa, e passare la notte consapevole che non siamo nemmeno nello stesso lato di Atreia", mi lagnai.
Lui sorrise luminoso e si strinse nel piumino rosso. Con la sera era calato anche un certo freddo pungente.
"Anche da Elian, asmodiana, il mio pensiero va a te", strizzò l'occhio con aria furba e con un dito sotto il mento mi sollevò la testa chinandosi a suggellare le mie labbra con un bacio dolce.
Era quello, solo quello che stava finalmente dando senso alla mia giornata. Adesso, forse, sarei potuta ritornare a Pernon sentendomi almeno per un po' completa.
"Sappi che sarà lo stesso per me", sussurrai sulle sue labbra respirando volutamente il profumo del suo respiro.
Velkam scorse il suo pollice sul mio mento liscio e marmoreo, mentre i suoi occhi sembravano scavare nei miei.
"Voglio portarti in un bel posto domani. Ma carica le pistole, non si sa mai". Ridacchiò.
Lo guardai curiosa. Era un'altra sorta di appuntamento?
"Do... domani? Vuoi tornare all'occhio?"
Il cacciatore scosse il capo con aria furba. "Oh no, asmodiana. Voglio solo ritagliare un momento per noi due. Dopotutto non riuscirei a stare troppo tempo senza incontrarti. Finirei per morire di astinenza". Ridacchiò. E io gli feci eco.
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi. Lui ricambiò, rassicurante, e rimanemmo così per qualche minuto. nell'ascolto l'uno dei respiri dell'altro.
"A domani, asmodiana", mi sussurrò infine all'orecchio lasciandomi un ultimo bacio sul capo.
Sciolsi l'abbraccio per guardarlo e sorrisi. "A domani, elisiano baciato dal sole".
Cavò fuori dalla tasca una pergamena e immaginai che fosse diretto a Sanctum. La capitale di Elysea. Provai ad immaginarlo in giro per quei luoghi a me sconosciuti. Mi chiesi come fossero, e poi sorrisi. Il bello di essere così diversi era anche il mistero di quello che di diverso avevamo.
"Katalam Nord, al tramonto.. dove mi curasti le ferite", mi disse, poi, con un ultimo occhiolino svanì lasciandomi da sola.
Sospirai. Il classico sospiro da innamorata. Perfetto... andavamo bene.
Quanto sei sciocca, Selhen? Ronzò la mia coscienza.
Eppure non avevo voglia di niente. Non avevo voglia di sentirmi in colpa, nè di pensare a come sarebbe stato il mio futuro con o senza di lui, di preoccuparmi. Avevo solo voglia di rivederlo. Ancora, e ancora, avevo voglia di stringerlo. Avevo voglia di gettarmi tra le braccia di un nemico ed essere consapevole che quelle, dopotutto, erano il mio porto sicuro.

[Causa esami universitari sto pubblicando questo capitolo in ritardissimo. Chiedo umilmente perdono. Adesso cercherò certamente di rifarmi. Non vi prometto nulla sui tempi ma una cosa ve la garantisco: quando inizio una cosa io la porto sempre a termine, quindi questa fic avrà una fine. Spero di poter scrivere al più presto il nuovo capitolo E per chi anche fosse di passaggio nella lettura, beh, una recensione non è mai sgradita :) Love you alls <3 ]

  
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