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Autore: SaraLynn    17/09/2014    3 recensioni
Corre il 1977 ed Hogwarts non è più il posto più sicuro del mondo magico. Il Signore oscuro continua a mietere vittime e per i Malandrini è giunto il momento di agire. Per alcuni di loro la fine è vicina, per altri è solo l'inizio di un incubo. Lo scandire del tempo viene segnato da alcuni momenti che resteranno per sempre impressi nelle vite dei ragazzi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Paciock, I Malandrini, Marlene McKinnon, Mary MacDonald | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Una risata fragorosa riempì l’area circostante, Marlene doveva sempre farsi notare soprattutto nei momenti di noia a cui, di tanto in tanto, capitava di assistere in sala comune. Mentre la maggior parte degli studenti era intenta a leggere un libro o confabulare sugli ultimi pettegolezzi della giornata, lei si dilettava a vedere l’amica che stava miseramente perdendo a scacchi magici.

«MacDonald sei proprio una schiappa! Farti battere da un primino, vergognati!»

Parlava proprio lei che non sapeva neppure distinguere l’alfiere dalla regina, ad ogni modo era talmente tanto impegnata a deridere la sua migliore amica che non fece caso ai lamenti della Signora Grassa sui continui andirivieni degli altri Grifondoro. Dalla soglia del ritratto ,tra i vari studenti, fece capolino Remus. Era scuro in volto e palesemente agitato,era giunto nella Sala comune in veste di prefetto e si avvicinò alla bionda alla quale si rivolse con tono sommesso.

«McKinnon, la McGonagall vuole vederti con una certa urgenza.»

Gli occhi cerulei di Marlene scrutarono per un momento il ragazzo che sembrava sempre troppo stanco e malaticcio, era bianco come un cencio e non le si era mai rivolto chiamandola per cognome. La giovane Grifondoro percepì che dovesse trattarsi di qualcosa di serio e poi con uno sbuffo si alzò dal divano lanciando un’occhiata di intesa verso Mary per farle capire che si sarebbero viste più tardi.

Nel tragitto verso l’ufficio della vicepreside Lene iniziò ad ipotizzare i motivi per i quali fosse stata richiamata.Probabilmente i suoi continui ritardi a lezione e i voti, che stavano drasticamente calando per la sua condotta, erano di sicuro le cose di cui avrebbe voluto parlare la megera.

All’imbrunire , il manto nero della notte si dispose in una perfetta cornice attorno al castello e di Marlene ancora nessuna traccia.
Nessuno sapeva che in quello stesso momento, mentre tutti consumavano il consueto pasto serale, Marlene stava tornando nella sua stanza barcollante.

Il viso pallido, lo sguardo contrito e l’espressione assente della ragazza avrebbero messo in allarme tutte le sue amiche se fossero state lì per vederla in quel momento. Come un automa fece procedere le gambe in direzione delle scale a chiocciola che portavano al dormitorio femminile ed una volta nella sua stanza corse in bagno a vomitare. Restò lì accovacciata per un minuto, un ora, non seppe quantificare quanto tempo perché le sembrò di essere rimasta lì accovacciata a terra troppo a lungo.

Le aule erano deserte e tutti gli studenti si apprestavano a tornare nei rispettivi dormitori dopo aver cenato. Alice e Mary si scambiavano sguardi preoccupati non vedendo tornare l’amica. Speravano che fosse rimasta a scontare la sua punizione ma iniziavano a considerare la peggiore delle ipotesi: l’espulsione. Premurosamente le conservarono comunque un piatto con degli avanzi della cena e glielo portarono in camera poggiandolo sul suo letto a baldacchino.

Quando ebbe l’impressione che i suoi compagni di casata stavano rientrando dalla Sala Grande,la McKinnon fece perdere le sue tracce e sparì per qualche altra ora.

Era notte fonda quando la folta chioma bionda tornò a varcare la soglia della Sala Comune, sicura di non trovare nessuno sveglio.
Non avrebbe sopportato la presenza di qualcuno; voleva solo la solitudine a farle compagnia.
Raggiunse il divano sul quale, fino a qualche ora prima, era intenta a ridere e scherzare e che ora invece era testimone del suo lutto.
Si era ripromessa di non piangere ed era riuscita a trattenersi nonostante sentisse il dolore propagarsi indolenzendole ogni muscolo.
Nel suo cuore si era squarciata una ferita talmente tanto profonda che nemmeno il tempo sarebbe stato in grado di lenire.
La sensazione di vuoto che provava era paragonabile a quella che avvertiva durante le partite di Quidditch, quando si gettava in picchiata con la scopa per afferrare la pluffa.

Precipitava, affondava, annegava e sentiva che nessuna presa salda sarebbe stata in grado di salvarla da quel baratro.
Con quella notizia anche una parte di lei era morta.

L’eco della voce stridula della McGonagall risuonava ancora nella sua testa.

«Mi dispiace informarla che sua madre è stata vittima dell’attacco di alcuni mangiamorte che hanno posto fine alla sua vita.»

Era riuscita ad apparire telegrafica come suo solito.
Tra lo spiegare una lezione di Trasfigurazione e quella notizia non si sarebbe potuta percepire alcuna differenza nell’intonazione e nella postura che la donna aveva assunto.

Al ricordo, il nodo allo stomaco tornò impellente ma si impose di rimandare giù il conato di vomito che le stava soffocando la gola. Elaborare un lutto richiedeva sempre diverse fare e il suo corpo si trovava in quella del rifiuto. Non credeva che una cosa simile fosse successa proprio a lei e alla sua famiglia.

Immaginò il corpo freddo ed inerme di sua madre riverso sul pavimento.
Non l’avrebbe mai più rivista, non avrebbe mai avuto la possibilità di dirle addio o di stringerla tra le braccia un’ultima volta.

Si abbandonò sul soffice cuscino del divano portando le gambe al petto mentre le lacrime iniziavano a rigare il suo viso.
Un pianto silenzioso, sommesso e disperato.

«Lene…»

Una voce si elevò dalla lugubre oscurità della stanza.
Quella voce roca e profonda lei la conosceva bene.

«Sirius?»
Scrutò nel buio per individuare la sua figura e poi scorse il bagliore delle sue iridi che, nonostante fossero scure, spiccarono come due lanterne nel bel mezzo della stanza.

«Sei qui da molto?»

La voce della ragazza era ancora rotta dal pianto e spinta dall'orgoglio di non volersi far vedere in quello stato da lui, si asciugò in fretta le lacrime anche se il crepuscolo le consentiva di nascondere i suoi occhi che altrimenti l'avrebbero comunque tradita.

«Sono qui da abbastanza… ho saputo di tua madre… mi dispiace tanto.»

La voce addolcita di lui fece quasi mancare un battito a Marlene che non lo aveva mai sentito parlare in quel modo nei suoi confronti.
I due ragazzi si divertivano ormai da anni a rimbeccarsi e stuzzicarsi in continuazione, ma entrambi sembravano non voler continuare quel giochino, non quella notte.

Tutto era diverso, surreale, paradossale.

«Oh, perfetto! Immagino lo sappia già tutto il castello.»

Sospirò rassegnata. Sapeva bene che le notizie di quel genere si diffondevano velocemente e che l'indomani avrebbe dovuto affrontare una marea di persone. Se c'era una cosa che odiava era ricevere la compassione della gente. Non era un tipo che amava piangersi addosso e dover sentire frasi scontate dette da perfetti sconosciuti l'avrebbe di sicuro mandata in tilt.

Evitò di pensare al giorno infernale che l’attendeva e si concentrò di nuovo a guardare in direzione del ragazzo i cui lineamenti ora si intravedevano nella penombra. Sirius si morse il labbro inferiore non sapendo mai esattamente cosa dire o come comportarsi in certe circostanze.

«Pron..voglio dire Potter è corso subito in guferia per avvisare i suoi… credo siano già con tuo padre e i tuoi fratelli.»

Annuisce ancora incredula.

«E tu come mai eri qui? Problemi di insonnia?»

Azzardò cercando di cambiare discorso per un momento e deviare l’attenzione su di lui.

«Non proprio. Oggi ho avuto un incontro ravvicinato con mio fratello. »

Il sangue della ragazza si raggelò nuovamente.

Regulus Black era il degno erede della famiglia di cui ormai il moro, che le stava di fronte, non faceva più parte.
Il Serpeverde appena sedicente aveva scelto di seguire il signore oscuro e diventare un mangiamorte nonostante la giovane età.
Per quanto ne sapeva lei, poteva anche essere stato lui stess a mettere fine alla vita della madre.
Quel pensiero le fece rialzare lo sguardo sull’altro Black e per un attimo capì come doveva sentirsi il ragazzo di fronte a lei in quel momento.
Si sentiva vicina alla sua inquietudine, vedeva il baratro su cui entrambi si affacciavano e si sentiva inutile.

Senza neppure rendersene conto, in un gesto automatico e del tutto spontaneo, Sirius si spostò dalla poltrona sulla quale era seduto per avvicinarsi al divano e sedersi accanto a lei.Marlene lo aveva sempre visto come un ragazzo egocentrico ed arrogante.
Quella sera, però, per qualche strano scherzo del destino si trovarono a concedersi una tregua mutamente accordata da entrambi.
Lui portò un braccio attorno alla spalla di lei e contro ogni aspettativa la ragazza invece di allontanarlo si accostò col viso alla suo petto.
Forse quello era ciò di cui aveva bisogno in quel momento, forse lui si era trovato nel posto giusto al momento giusto o semplicemente lei aveva deciso di abbassare le sue difese dando modo al ragazzo di avvicinarsi.

Restarono lì, mentre lui le accarezzava i capelli e lei piangeva tutte le sue lacrime, lasciando il silenzio a parlare per loro.

® ℓуии
   
 
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