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Autore: ehypieterse    18/09/2014    1 recensioni
Hayley Mellinsburg vive da sola con sua madre, fino a quando a quest'ultima non viene diagnoticata la depressione. Viene così scaraventata in un mondo che non le appartiene minimamente, viene portata in un collegio. Per quattro anni la sua vita è monotona, è chiusa in se stessa e non vuole e riesce a fare nessuna amicizia. La situazione cambia con l'arrivo di una nuova persona nel collegio, persona con la quale avrà un rapporto difficile, strano e a tratti "tossico".
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In my veins.


Prologo.



"3rd of December"



Il primo giorno che mia madre non si alzò dal letto per venire a svegliarmi fu un sabato mattina. Avevo forse tredici anni e mia madre era solita entrare in camera mia ogni sabato con un vassoio pieno di croissant. Ci rimasi malissimo ed ero infuriata con lei ma non avevo il coraggio di dirglielo. Pensavo che questo fosse un segnale da parte sua per dirmi che dovevo crescere e che dovevo togliermi quest'abitudine. Iniziai anche a dubitare che quel gesto fosse stato fatto per farmi capire che non mi voleva più bene. “Forse è andata a lavorare, o a sbrigare qualche commissione e tornerà. Forse è andata a comprarmi la colazione perchè pensava che non mi svegliassi così presto” continuavo a ripetermi nella testa. Così decisi di restare in camera mia, aspettando il suo fantomatico ritorno. Arrivarono le 12 e di mia madre nessuna traccia. Sgattaiolai fuori dalla camera, non volevo farmi sentire, e aprii la porta della stanza di mia madre. La camera era totalmente buia e puzzava di chiuso, e sul letto c'era un groviglio di coperte dal quale sbucava la testa di mia madre. Le uniche parole che riuscì a dirmi furono di tornarmene in camera mia perchè aveva preso un virus a lavoro non voleva che mi ammalassi. Rimasi tutto il giorno in camera mia, lei non entrò, io non entrai più nella sua stanza. Non mangiai per un giorno intero. Avevo un nodo allo stomaco e i sensi di colpa per aver dubitato dell'amore di mia madre nei miei confronti. La domenica seguente mia madre era di nuovo chiusa in camera, entrai un paio di volte per chiederle se aveva bisogno di qualcosa ma ogni volta mi cacciava dalla stanza. Mi richiusi in camera, e così finì un altro giorno. Ne passarono altri, circa sette, mi svegliavo la mattina e andavo a scuola e sulla strada del ritorno desideravo ardentemente che una volta girata la chiave nella toppa e aperta la porta avrei trovato mia madre in cucina che preparava uno dei suoi piatti squisiti. Chiudevo gli occhi ogni volta prima di entrare, per riaprirli e trovare tutto come prima. Ma ogni volta che spalancavo gli occhi avevo davanti una casa totalmente vuota e la sua porta della camera chiusa.

Furono sette lunghissimi giorni, l'uno la fotocopia dell'altro. Le insegnanti si accorsero che qualcosa non andava in me, ero sempre triste, iniziavo ad isolarmi, ero distratta e i compiti che svolgevo erano senza senso. Decisero di chiamare a casa, e così l'ottavo giorno mia madre si alzò dal letto per rispondere al telefono. Alla vista di mia madre che si alzava dal letto diventai felicissima, forse questa malattia non era così grave e sicuramente si stava riprendendo. Quando la vidi camminare capii che mi sbagliavo. Era pallida, dimagrita di almeno 4 kg e con gli occhi spenti e incavati circondati da pesanti occhiaie. Rispose con voce debole e una volta riagganciato il telefono scoppiò in un pianto. Non ne volle sapere di parlarmi e tornò in camera. Quella sera piansi anche io, finii tutte le mie lacrime. Se a 13 anni da poco compiuti vedi tua madre in queste condizioni ti crolla il mondo addosso. Non sai cosa fare, così cercai il numero di telefono del dottore mio e di mia madre sull'agenda in soggiorno. Gli dissi di venire a casa mia subito, che mia madre stava male e che era grave. Le lacrime scendevano rigandomi il viso mentre dicevo queste parole e quando il medico arrivò poco dopo continuavo a piangere in silenzio. Il dottore entrò in camera di mia madre e ne uscì dopo qualche minuto.

Quando ero piccola mia madre per darmi le brutte notizie mi chiedeva prima se le volevo sentire in modo chiaro e veloce oppure girandoci intorno. Il dottore non si preoccupò minimamente di utilizzare alcun tatto. Appena uscito mi disse che mia madre era depressa, che l'indomani mattina sarebbe tornato a controllare lo stato di mia madre e che mi avrebbe aiutato in ogni modo, poi uscì di casa. Quella parola continuava a girarmi nel cervello, fino a quando perse totalmente un significato per me. Cercai sul dizionario. “La depressione, è una patologia, un disturbo dell’umore, caratterizzata da un insieme di sintomi, che alterano il funzionamento vitale della persona che ne soffre, compromettendo anche la sua vita sociale.” Iniziarono a non avere senso nemmeno quelle parole. Mi risuonavano nella testa e rimbalzavano nel mio cervello. Dal nono al ventiquattresimo giorno non andai più a scuola. Rimanevo chiusa in casa con mia madre nell'altra stanza. Ogni tanto entravo e mi accucciavo accanto a lei, le portavo da mangiare, aspettavo il medico, la lasciavo in camera con il dottore, le portavo da mangiare. Il dottore il venticinquesimo giorno disse che era una forma di depressione grave. Che avrebbe avuto bisogno di un aiuto maggiore e che non era così competente nel campo. Così il ventisettesimo giorno a suonare la porta non fu il medico, ma un signore e una signore vestiti eleganti e con due grandi sorrisi. Profumavano entrambi di lavanda e con lo stesso sorriso che avevano sfoggiato non appena aprii la porta mi dissero di preparare le mie cose. Dovevo andarmene. Mia madre sarebbe stata seguita a casa da uno psicologo che l'avrebbe “rimessa in sesto” quanto prima, ma per farlo doveva rimanere da sola. Non doveva vedermi non andare a scuola o triste. “E' per poco tempo” mi dissero praticamente all'unisono, e dopo circa un'ora ero a bordo di una macchina che puzzava terribilmente di nuovo in viaggio verso non so dove. Fu così che il ventottesimo giorno mi ritrovai in un edificio color pesca e pieno di scritte su ogni fiancata, una specie di collegio, una scuola.

Un orfanotrofio? No.

I giorni non avevano più un nome per me. Non sapevo più che mese fosse. Contavo le giornate a partire dal giorno in cui mia madre non mi aveva svegliato portandomi sorridente dei cornetti appena sfornati. Quel maledetto 3 dicembre fu il primo giorno d'inferno per me.

Finii la scuola media e iniziai i primi tre anni di liceo. In primo liceo mi diagnosticarono un disturbo ossessivo compulsivo, quello di contare i giorni e mi proibirono di farlo quindi ho perso il conto. Ma ogni tanto prendo carta e penna e ricomincio a contare, per capire da quanti giorni sto affrontando tutto questo e quanti giorni sono passati dalla frase degli assistenti sociali “E' per poco tempo”. Altre quattro parole che nella mia mente rimbalzano senza significato.

Ora ho 17 anni e sono ancora chiusa in un edificio color pesca, non ho fatto amicizia con nessuno in classe e nel dormitorio sto per cavoli miei. Ho imparato a mentire bene allo psicologo da quando mi hanno vietato di contare i giorni.

Nel cortile tutti gli altri ragazzi giocano a pallone oppure prendono il sole. C'è chi è più fortunato e ha ricevuto un invito a casa della nonna o della zia a passare le vacanze estive, ma la maggior parte è già rientrata in vista del ritorno a scuola dopo il week-end. Io invece non ho notizie di mia madre dal ventottesimo giorno, non mi dicono nulla, l'ultima volta che ho chiesto qualcosa mi hanno detto che mia madre è ancora fragile e non puo' sentirmi.

Quindi mi sono rassegnata e abbandonata a me stessa. Appoggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi. “Magari quando riapro mi ritrovo a casa mia, con mamma che cucina qualcosa di buono”, e mi addormento.









Hey.
Mi presento, mi chiamo Serena. Tra un mese compio diciassette anni e non so nemmeno perchè scrivo queste cose dato che secondo me nessuno leggerà. Fa nulla, ho scritto questo prologo perchè era da tanto che volevo scrivere su efp, per sfogarmi, per me. Quindi oggi avevo un po' di tempo e ho buttato giù questo.
E' la mia prima storia seria (prima pubblicavo su un altro account accuratamente cancellato) e so che non è il massimo. In ogni caso se state leggendo, o anche se avete letto poche righe e poi vi ha fatto schifo e vi ha annoiato ditemelo con una recensione. Mi interessa molto il parere della gente, poichè mi aiuta a migliorarmi.
Insomma, sono un po' una frana e ho perso totalmente la mano con efp, ma spero che comunque vi piaccia questo prologo.
Un bacio.
-S

 

   
 
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