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Autore: Shadow writer    18/09/2014    3 recensioni
Fuggo oltre il locale con la musica a palla, fuggo sulle strade buie, fuggo nel vento gelido della notte.
Fuggo dagli altri, dai loro giudizi, fuggo da me stessa e da ciò che provoco.
Corro, con le ali ai piedi, per le strade deserte.
Anzi, ai piedi, ho il vento. Vento che mi spinge, che mi solleva, che obbedisce ai miei ordini come se fossi la sua padrona assoluta.
Faccio un balzo e l'aria mi spinge in alto, oltre le cime degli alberi. M'innalzo contro il cielo nero bagnato di stelle.
Apro le braccia, stringo l'orizzonte tra le mani. Inspiro il freddo della notte e tutti i suoi sapori.
Potente, ecco quello che sono.
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Trasferirsi in un nuovo continente è di certo una cosa grandiosa, ma non mi sarei mai aspettata il genio ribelle, il vecchio misterioso, il giocatore di football, una ragazza che sarebbe diventata come una sorella per me, ma soprattuto qualcosa di molto, mollto più grande di me.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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«Dimmi che non stiamo attraversando a gattoni un labirinto alto neanche un metro nel buio più completo» dico.
Will ride, in un punto che credo sia davanti a me:
«Te lo direi, ma non corrisponderebbe alla verità»
«Anche se è buio preferirei che voi la smettesse di fare i piccioncini, considerando che potreste baciarvi senza che io ne abbia la minima idea» commenta Marcelo con il suo solito tono annoiato.
«L'idea è allettante...» replica il ragazzo divertito.
Mi sento avvampare.
«Non dovresti pensare a guidarci fuori da qui?» chiedo cercando di mascherare il mio imbarazzo.
Dalla risata del ragazzo mi rendo conto di aver fallito.
«Non so voi, ma io sento il pavimento freddo» commenta Marcelo.
Secondo Will, che a quanto pare ha passato parecchio tempo sdraiato sul pavimento della palestra, ci sono delle condutture calde che passano sotto il pavimento e basandosi sulla loro direzione lui ha detto di essere in grado di guidarci verso la porta, nella parete opposta rispetto a quella da cui siamo entrati.
«È tutto okay» risponde il ragazzo, davanti a me.
«Will Lennox?» sento una voce sconosciuta chiamare.
«Al vostro servizio» ride lui «Ma solo per modo di dire»
La voce appartiene a uno dei tanti controllori che girano per il labirinto per assicurarsi che non ci siano problemi e che i ragazzi non si imboschino al buio.
Anche questo ci lascia passare, come gli altri e dopo poco sentiamo le voci di un altro gruppo, che a quanto pare deve essersi perso.
«Non fate rumore» ci dice Will «C'è la possibilità che si tratti di forme di vita dotate di facoltà intellettive e potrebbero pensare di seguirci per arrivare alla fine»
Marcelo non risponde e io soffoco una risata.
Dopo circa dieci minuti raggiungiamo l'uscita.
«Signorina Leach, come vi sentite?» chiede il ragazzo aiutando a rimettermi in piedi.
«Come se avessi appena attraversato a gattoni un labirinto buio, guidata da una persona che dichiarava di saperci guidare verso l'uscita basandosi sul riscaldamento del pavimento» replico con un sorriso ironico.
«Mhh...» si finge pensieroso «Non penso esista un nome del genere per quel sentimento, ma potremmo sempre inventarlo»
Marcelo sbuffa sonoramente:
«Ehi voi due! Non abbiamo ancora vinto! Dopo avrete tutto il tempo che volete per flirtare tra di voi»
"Cerca almeno di nascondere che sei paonazza"
Oh, eccoti Voce, mi eri quasi mancata.
All'uscita del labirinto c'è un altro uomo che ci consegna una nuova busta.
Marcelo strappa voracemente la carte e legge ad alta voce, strizzando gli occhi:
 
Ci sono tre fratelli.
A volte sono brutti, mentre altre volte sono belli.
Il primo non c'è perché sta uscendo, il terzo non c'è perché sta arrivando, c'è poi il secondo che è il più piccolo dei tre, ma che quando manca fa mancare anche gli altri due.
 
«Will?» chiediamo io e Marcelo insieme.
Il ragazzo abbozza un sorriso:
«Non ho mai detto di saper risolvere ogni indovinello! Ma ragioniamo.»
Rilegge un'altra volta il testo.
«Ovviamente non si tratta di tre fratelli, ma di tre...cose simili.»
Fissa la carta, come in preda a una tormenta di pensieri.
Cerco di dargli una mano:
«Brutti e belli non devono essere intesi esteticamente»
Annuisce più volte:
«E i verbi! Quei verbi di movimento indicano il passare del tempo...cosa c'è qui in questo carcere che...»
«Ci sono!» a sorpresa di entrambi, la voce è quella di Marcelo.
«Passato, presente e futuro!»
Lo guardo ancora più confusa. Ci sta, come significato, ma cosa dobbiamo cercare esattamente?
Marcelo schizza via di corsa prima che io possa fare domande.
Will sorride un po', mi guarda di sfuggita, poi mi fa cenno di seguirlo.
Credo che questo suo modo di fare significhi che è pensieroso.
Lo seguo attraverso un'altra serie infinita di corridoi che ci portano verso la sala principale.
Questa è poco affollata, solo qualche adulto e dei ragazzi che si sono ritirati dalla caccia al tesoro.
Will tira dritto verso un altro corridoio, ma svoltiamo subito in una stanza ampia, tappezzata di cartelloni con fotografie.
Al centro Brad ci guarda sorridendo con malinconia.
«Benvenuti nella stanza del presente, passato, futuro, dove conserviamo le immagini di chi c'è stato, di chi c'è e gli auguri per chi ci sarà»
«Il carcerati di ieri, i carcerati di oggi, i carcerati di domani» mi traduce Will con uno sguardo truce.
Brad lo guarda con aria di rimprovero:
«William, sai perfettamente che non gradiamo che questa stanza sia denominata con quel ridicolo soprannome»
Il ragazzo lo ignora e si guarda attorno.
«Allora?» chiede Marcelo impaziente.
Brad lo guarda sorpreso:
«Be', avete finito, questo è l'arrivo. Quei sacchetti di cioccolatini sono per i vincitori, anche se siete solo tre»
«Possiamo andare ora?» chiede Will come se all'improvviso fosse estremamente annoiato.
Brad scrolla le spalle:
«Gli altri non saranno qui prima di mezz'ora, quindi fate ciò che volete. Anzi, sarebbe meglio che vi toglieste quegli abiti ridicoli»
Marcelo e Will accettano più che volentieri e ritornano nei propri vestiti mentre io li aspetto fuori dalla stanza
Il ragazzo esce vivace, mi afferra per un polso e mi trascina lontano da lì.
«Cosa vuoi fare?» chiedo preoccupata.
"Annota: Will è lunatico, cambia umore in fretta"
Come se non l'avessi già fatto.
"Era solo un consiglio"
Non sono così stupida come credi.
"Ho i miei dubbi"
Chi ha vinto una borsa di studio?
Silenzio. Come al solito.
Will mi ha riportata nella sala principale, con Marcelo al seguito.
«Finché non c'è nessuno possiamo servirci al buffet, appena arriveranno tutti ci defiliamo» mi sussurra il ragazzo di risposta.
Ci avviciniamo al buffet. Non offre una grande vastità, ma il cibo sembra piuttosto buono.
La pizzetta che prendo conferma la mia teoria.
«Soddisfatta?» mi chiede il ragazzo.
«Molto» ammetto.
Ci sediamo su delle panche a bordo sala, mentre Marcelo si unisce ad alcuni amici con cui decide di assaltare il buffet.
«La mia domanda verteva su una soddisfazione più generale» precisa Will guardandomi in faccia.
Abbozzo un sorriso:
«Mi stai chiedendo se sono soddisfatta della mia vita? Se accetterei di morire ora sapendo che ho fatto tutto ciò che potevo fare?»
Ride:
«Si può raggiungere qualcosa del genere in una vita sola?»
Scrollo le spalle:
«Non credo, ma penso ci si possa limitare»
«Non proprio» mi corregge.
«Cosa intendi?» lo guardo incuriosita.
«Basta porsi un punto di arrivo e aumentarlo una volta raggiunto. Ci saranno così tante piccole soddisfazioni che porteranno ad un traguardo più ampio»
«Non ci avevo mai pensato» ammetto con un sorriso.
Lui stringe le spalle:
«Se vogliamo essere ottimisti, quando sei chiuso in carcere hai parecchio tempo per riflettere sulla vita e tutti i problemi esistenziali»
Di tutta la sua frase, tutto quello che mi rimane in testa mi porta chiedere:
«Tu sei ottimista?»
Stringe ancora le spalle:
«Nessuno di noi è veramente del tutto pessimista, altrimenti non uscirebbe neanche di casa. Ho cercato di sviluppare un certo livello di ottimismo per poter essere fiducioso nelle mie capacità»
Dopo qualche istante un altro gruppo irrompe esultante della sala e poco alla volta questa si riempie sempre di più fino ad essere gremita di ragazzi che si accalcano verso il buffet.
Will mi afferra per un polso e mi porta con sé all'esterno.
«Troppa gente» commenta quando siamo soli in un corridoio.
«Dove stiamo andando?» domando incuriosita.
"Non dovresti fidarti di lui"
Ma cosa pensi possa fare chiuso qui dentro?
"Io ti ho avvisata"
Il ragazzo mi conduce nei bagni e chiude la porta a chiave, il che non mi rassicura molto.
«Tranquilla» dice con un sorriso disteso «Non ti toccherò neanche se hai paura di me»
Per dimostrarlo mi lascia il polso e solleva le mani pulite.
Continuo a fissarlo, ma non dico nulla.
Lui si avvia verso il fondo della lunga stanza, dove ci sono le docce.
Si accuccia per terra e maneggia con una mattonella del pavimento vicino al muro.
La solleva e ne estrae un pacchetto.
Quando vede mia faccia scandalizzata scoppia a ridere.
«Tranquilla» ripete ancora «Non è droga, cioè non nel senso che intendi tu. Fumi?»
Scuoto leggermente il capo.
Lui, con il pacchetto sotto braccio entra in uno dei box doccia e apre l'acqua, poi lo chiude e riesce.
Indica una ventola sulla parete.
«Serve ad aspirare il vapore e...» apre il pacchetto «Il fumo.»
Contiene un accendino e del tabacco.
Mi rilasso leggermente, anche se sono comunque preoccupata.
«Cosa vuoi fare?» chiedo con voce flebile.
Lui mi guarda come se volesse capire se sto scherzando, poi scoppia a ridere:
«Sei seria? Farmi una sigaretta, non mi sembra niente di così spaventoso»
Incrocio le braccia al petto, con un accenno di broncio sul viso:
«La tua aria molto losca non mi ha rassicurato molto, sai?»
Ride tra sé e sé.
«Ovviamente è vietato fumare e chi ha questa brutta abitudine come me deve ingegnarsi» 
Lo guardo mentre si prepara la sigaretta: le sue mani scorrono abili e veloci, come se lo facesse da tanto tempo.
Quando ha finito se la porta alla bocca e l'accende.
Sono così vicina che il suo primo respiro mi colpisce come uno schiaffo.
Arretro tossicchiando.
Will accenna un sorriso:
«Non hai mai fatto un tiro in vita tua?»
Scuoto il capo:
«Nella vita non aspiro ad avere un cancro ai polmoni, grazie»
Ride:
«Sono delle scelte»
Ritengo sia meglio non fare altre domande e me ne resto in silenzio, a debita distanza, guardandolo fumare.
È piuttosto tranquillo e a suo agio.
L'unico rumore che scorre fra noi è quello dell'acqua della doccia e della ventola che aspira vapore e fumo.
«Quanti anni hai?» mi chiede Will.
«Sedici» rispondo.
«Io diciotto» replica «Avevo sedici anni quando sono entrato qui la prima volta. Poi sono stato libero per qualche mese, per buona condotta, ma ho di nuovo attaccato mio zio e anche se non ne avevano le prove mi hanno sbattuto nuovamente in carcere»
«Mi stai confessando i tuoi crimini? Spero che il prossimo passo non sia uccidermi» commento nervosa.
Ride:
«Tutti sanno quali siano le mie colpe, ma non hanno mai trovato me sul posto»
Resto in silenzio, tormentando una ciocca di capelli.
Will finisce la sua sigaretta, poi rimette tutto sotto la mattonella, chiude la doccia e asciuga il box.
«Andiamo signorina Leach?» 
È ritornato allegro e divertito come prima.
Mi offre un braccio, che accetto poco convinta, poi mi accompagna fuori.
Ritorniamo nella sala dei compiti, dove Brad sta parlando in piedi su dei tavoli, con un microfono in mano.
«Eccovi, Will, Luna!» esclama appena ci vede entrare. «Il magico trio di William, Luna e Marcelo ha vinto questa caccia al tesoro, al secondo posto si è piazzata la squadra di Lynn e al terzo...»
Smetto di ascoltare l'uomo quando Marcelo si precipita da noi, con la bocca piena di patatine.
«Avete sentito?!» esclama contento mentre tenta di deglutire «Ci ha chiamati il magico trio! Perché lo siamo stati davvero, magici intendo!»
La sua gioia è contagiosa e mi ritrovo a sorridere piacevolmente.
 
Quando torno a casa il sole sta già tramontando e il cielo è tinto di rosso.
Raggiungo la mia piccola casa con ancora addosso l'allegria che ho lasciato al Centro Orwell.
Vicino alla siepe di rose trovo Jim.
«Buona sera» saluto educata.
Lui alza lo sguardo limpido su di me. Non sembra sorpreso.
«Ti stavo proprio aspettando, Luna. In casa tua c'è un tecnico per controllare che tutto funzioni, dovrai attendere qualche minuto.»
Si guarda alle spalle, poi mi sorride:
«Che ne dici di venire a bere un tè da me? Tra poco farà freddo e non è bello aspettare qui fuori»
Dopo il primo rifiuto di cortesia, sono costretta ad accettare e seguire l'uomo verso la sua graziosa dimora.
Da lontano non mi ero accorta di quanto fossero ben curate le piante sui davanzali e lungo viottolo che conduce all'ingresso.
L'interno è arredato in modo semplice, ma molto intimo, con soprammobili di famiglia come tazze e statuette.
Mi accorgo che però non ci sono fotografie.
Jim mi conduce nel piccolo salotto dove sono disposte due poltrone, una di fronte all'altra, separate da un tavolino.
Mi fa sedere su una di esse, poi prende un bollitore dal mobile.
Lo mette direttamente sul piccolo fuoco che arde nel camino e mi porta dei piccoli barattoli.
Ognuno contiene delle foglie secche.
«Annusali e dimmi quello che ti piace di più»
Obbedisco e restituisco quello dall'odore più dolce.
«Tè nero con arancia e cannella» dice «Ottima scelta»
Prende alcune foglie e le mette in un piccolo filtro, che poi lascia cadere nel bollitore.
«Mi piacciono i sapori puri» confessa mentre prende posto davanti a me.
«A dir la verità, sei la prima persona che incontro che beve il tè come faccio io. Non riesco a sopportare quello preconfezionato delle buste e compro sempre quello più puro che trovo» gli dico.
Fa uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici. Mi rendo conto che nonostante i suoi occhi siano splendenti, il suo viso è solcato da numerose rughe.
«Come stai Luna?»
«Bene, tu?» rispondo quasi in automatico.
Sorride placido:
«Intendo seriamente, cosa provi?»
Sospiro e faccio scorrere lo sguardo per la stanza, pensierosa.
«Sensazioni contrastanti» rispondo «Sono contenta di trovarmi qui e ho trovato qualcosa di interessante. Probabilmente non è quello che mi aspettavo»
Jim mi scruta:
«Nulla sarà come ti aspettavi»
Annuisco tra me e me.
«Non hai percepito nulla di strano?»
Scrollo lo spalle:
«No, o almeno non me ne sono resa conto» 
Jim mi fissa pensieroso.
Non riesco più a trattenermi ed esclamo:
«Perché tutte queste domande?»
L'uomo rimane tranquillo, tende leggermente le labbra verso l'alto, fa uno strano cenno col capo.
«Mi stavo semplicemente preoccupando per te.»
Resto in silenzio un istante, poi commento sottovoce:
«Scusa, forse non sono abituata a queste cose»
Lui sorride ancora, serafico.
Poi si alza in piedi per prendere il tè.
Me lo serve in una tazza scura e il calore si propaga immediatamente dai palmi in tutto il corpo.
«È buonissimo» dico sorseggiandolo.
«Immaginavo ti sarebbe piaciuto»
"Sembra che ti conosca"
Me ne sono accorta.
"Allora perché non dici nulla?"
Cosa dovrei chiedere? Vediamo come si evolve la situazione.
"Contenta tu"
Voce sparisce.
Jim sussulta, poi si alza in piedi e sparisce in quella che credo sia la cucina.
«Quasi dimenticavo» dice quando torna «Il postino mi ha consegnato questo in ritardissimo. Ricevo io la posta di tutti gli studenti e poi la faccio avere ai legittimi proprietari. Questa è tua»
Mi consegna una busta sigillata.
La guardo, incuriosita. C'è scritto semplicemente il mio nome sul retro.
«Aprila pure» m'incoraggia Jim riprendendo la sua tazza.
«Posso farlo anche dopo» replico senza però troppa convinzione.
«Anzi» aggiungo lanciando uno sguardo fugace verso la la finestra «Ormai penso abbiano finito e non credo sia il caso di disturbare oltre. Grazie mille per il tè»
L'uomo fa un sorriso imperturbabile:
«Non preoccuparti, sappi che per qualsiasi necessità io ci sono.»
«Grazie ancora» ciò mentre mi avvio verso la porta d'uscita.
Jim mi accompagna.
È più basso di me di una buona spanna, ma qualcosa in lui ti impone di rispettarlo senza alcun particolare motivo.
È intrigante.
Mi allontano lungo il violetto di ciottoli con il buon sapore del tè in bocca e una busta stretta tra le dita.
Raggiungo la casa mia, che nel frattempo si è svuotata dai tecnici.
Appena entro non resisto alla tentazione di aprire immediatamente la lettera.
Strappo la carta e divoro avidamente il contenuto del foglio.
Mentre i miei occhi scorrono il mio cuore accelera e la mascella mi cede.
L'unica cosa che riesco a commentare alla fine è:
«Merda!»
"Concordo pienamente" acconsente Voce.
 
Sento suonare al campanello mentre sto rovistando nella valigia alla ricerca di un paio di scarpe decenti.
Ho il fiato corto e cerco di non pensare al mio aspetto.
Arranco scalza verso la porta e quando apro mi trovo davanti un uomo elegantemente vestito.
«Buona sera» mi saluta educato.
Il suo sguardo corre poi sui miei piedi nudi e assume un'aria di disappunto.
«'sera» ansimo «Ho ricevuto trenta minuti fa l'invito, potrebbe aspettare ancora qualche secondo?»
Lui guarda l'orologio che porta al polso mentre io tento di stabilizzare il mio respiro.
«Siamo già in ritardo signorina Leach»
Sospiro:
«Lo so, ma come può capire se lo avessi saputo mi sarei fatta trovare puntuale e pronta»
"Ne dubito considerando il tuo solito ritardo"
Oh, sta zitta, per favore!
«Ed, essendo anche io una donna, trenta minuti sono troppo pochi per assumere un aspetto presentabile...»
«Non importa, non perda tempo a parlare. Ha due minuti signorina»
«Grazie mille» mi esce in un unico sospiro, poi gli sbatto la porta in faccia.
Cinque minuti più tardi seguo imbarazzata l'uomo verso un'auto scura dall'aria molto costosa.
Considerando la mia avversione verso tacchi e abiti eccessivamente eleganti, nonostante i numerosi tentativi, la mia valigia non ne contiene nessuno.
Di conseguenza l'abbinamento più elegante che ho trovato è stato un tubino e degli stivaletti di pelle, il tutto nero.
"Sembrerai fuori luogo in mezzo a tutta quella gente ben vestita" mi informa Voce mentre l'auto sfreccia fuori dal campus.
Se lo avessi saputo prima avrei comprato qualcosa più elegante, replico piccata.
"Così non sembrerai molto grata al tuo benefattore se non ti prendi neanche la cura di vestirti bene per lui"
Sbuffo tra me e me.
«C'è qualche problema signorina Leach?» chiede l'autista.
«No, no, nessuno problema, a volte...quanto impiegheremo ad arrivare alla villa?»
Cambio in fretta argomento, imbarazzata.
«Un quarto d'ora. La cena, invece, inizierà tra quarantacinque minuti»
«Grazie mille»
Per il resto del viaggio l'autista si mostra molto loquace.
Scopro che si chiama Victor ed è di origine russa, ma appena trasferì in America trovò lavoro presso il mio benefattore, che lui chiama con ammirazione quasi infantile "l'egregio signor Benedict".
Quando raggiungiamo la villa resto a bocca spalancata.
È enorme, in stile vittoriano, con colonne bianche che la sorreggono dandole un aria imponente e maestosa.
«È bellissima, vero?» chiede retorico Victor.
Riesco solo ad annuire estasiata.
"Forse sarebbe meglio se chiudessi la bocca"
Mi riscuoto all'improvviso quando l'uomo mi apre galantemente la portiera.
«Prego» m'invita a scendere con un cenno.
«Grazie»
Avanzo, impacciata verso la villa.
A malapena mi rendo conto che Victor è ripartito e io sono rimasta sola nel piazzale.
Metto un piede davanti all'altro tenendo la testa all'insù fino a doverle piegare indietro per poter continuare ad ammirare l'edificio nella sua interezza.
«Signorina?»
Altri due uomini in giacca a cravatta sono fermi davanti alla porta.
«Oh, salve, sono un po' ritardo» biascico nervosa.
«Giusto di qualche minuto. Qual è il vostro nome?»
«Luna Leach?»
Quello che ha parlato controlla su un apparecchio elettronico, poi mi fa un sorriso estremamente gentile.
«Prego,sempre dritta fino alla sala principale, impossibile sbagliare»
Chissà come però io sbaglio e mi ritrovo nei bagni delle donne.
«Ciao!» mi saluta un'allegra voce femminile.
Appartiene ad una ragazza alta e robusta. Ha dei corti capelli biondi raccolti indietro.
«Ehm...ciao!» replico.
«Tu sei Luna, no?»
«Come fai a saperlo?» chiedo confusa.
I suoi occhi verdi mi sorridono:
«Ti hanno assegnato il posto vicino a me ed eri l'unica assente, quindi ho dedotto che fossi tu»
Sorrido, rassicurata.
«E tu come ti chiami?»
«Karin! Immagino tu ti sia persa, quindi andiamo a tavola?»
Annuisco e la seguo di buon grado.
Mentre ci avviamo verso la sala Karin ripete per circa una ventina di volte "quindi", ma per il resto sembra socievole e simpatica, anche se parecchio logorroica.
«Eccoci qui, io sono seduta qui, quindi tu al mio fianco»
La sala è a dir poco mozzafiato.
Il soffitto, altissimo, è riccamente affrescato, le pareti sorreggono lampadari elaborati e quadri travolgenti.
Nell'ampia stanza sono sistemati due lunghi tavoli, davanti ai quali è posto un piccolo palco con un leggio e un microfono.
La visione mi ricorda quello che è successo in Inghilterra, all'assegnazione delle borse di studio.
Barcollo indietro.
"Pensavo l'avessi dimenticato"
Non puoi dimenticare in poco tempo che qualcuno ti ha puntato una pistola alla testa, anche se non voleva ucciderti.
«Attenzione» dice una voce gentile alle mie spalle, posandomi una mano sula schiena per sorreggermi.
Nel barcollare indietro stavo per perdere l'equilibrio.
Ruoto in fretta su me stessa, fino a che trovo chi ha parlato.
È un uomo sulla sessantina d'anni, alto e magro, con i capelli scuri macchiati di grigio e dei profondi occhi blu.
«Mi scusi» dico impacciata.
«Non preoccuparti. Tu sei Luna, non è vero?»
Lo guardo con gli occhi sbarrati, stranita.
Voce di prego aiutami.
"È il tuo benefattore" risponde lei scocciata.
Non so da cosa tu possa capire l'umore della tua voce interiore, ma lei è decisamente scocciata.
«Oh, lei è il signor...»
«Benedict, chiamami Benedict»
Grazie al cielo, perché non ricordavo il suo nome.
"Io sì"
Tu sei me!
Voce non replica.
«Come trovi questo posto?» mi chiede lui.
«Estremamente...» cerco le parole giuste «...affascinante» concludo semplicemente.
Ride leggermente:
«Posso facilmente comprenderlo. Ti piace la cittadina in cui tu trovi?»
Annuisco con enfasi:
«Assolutamente. Non può capire quanto le sarò per sempre grata per quello che ha fatto per me»
«Non preoccuparti, si può dire che lo faccia anche per interesse personale, voglio lasciare il mondo nelle mani migliori e posso contribuire a questo solo per mezzo delle borse di studio che aiutano i ragazzi molto dotati»
Mi sento arrossire per quell'elogio, ma l'uomo non mi lascia il tempo di aggiungere altro perché dice:
«Sarà meglio che dia inizio alla cena ora, i miei invitati scalpitano. È stato un piacere Luna, cercherò di raggiungerti più tardi se mi sarà possibile»
Detto ciò si gira e si allontana con passo deciso.
«Che uomo ammaliante» commenta Karin quando restiamo sole.
«Già, i suoi modi sono molto curati e composti» concordo.
«Molto curati» aggiunge lei.
In quel momento Benedict da inizio alla cena dal palco e i camerieri cominciano a sfilare per i corridoi con le pietanze squisite.
 
«Non ho mai mangiato così bene!» esclama Karin quando arriva il secondo dolce.
Mi sento scoppiare, ma non posso far altro che essere d'accordo con lei.
«Neanche da mia nonna ho assaggiato mai questa ambrosia divina!»
Rido con lei.
Durante la serata ho scoperto che lei è per metà tedesca e per metà americana, ma ha sempre vissuto in Europa. E durante le tre ore della cena ho avuto modo di approfondire la mia conoscenza nella cucina tedesca grazie alle descrizioni dei piatti di sua nonna.
«Convinceremo Benedict ad invitarci più spesso nelle sue "umili dimore"» commento io e questa volta è il mio turno di farla ridere.
A proposito del mio benefattore, egli sale ora sul palco e saluta tutti con gentilezza.
«Un saluto particolare è diretto ai ragazzi che si trovano nel nostro paese per una vacanza-studio. Voglio invitare i giovani a fare tesoro di questa esperienza, perché ciò che apprenderanno qui e ora sarà fondamentale per il loro futuro. Spero che potremo unire le forze per completare il progetto della mia società che mira ad un mondo migliore non utopistico. È proprio per passare da utopia a realtà, che questi ragazzi si trovano vicini a me, dove forse rimarranno stabilmente in futuro, come miei soci.»
La folla si scioglie in un applauso scrosciante.
Karin mi rivolge uno sguardo estasiata e anche io non posso far a meno di sorridere, con il cuore pieno di orgoglio.
 
 
L'irritato suoneria predefinita del cellulare mi sveglia all'improvviso il giorno successivo.
Sollevo scocciata il capo, con le palpebre ancora pesanti per il sonno.
Mi alzo a stento e barcollo verso la cassettiera dove si trova il telefono.
Lo afferro e accetto la chiamata senza neanche guardare chi sia il mittente.
«Pronto?» chiedo con voce impastata mentre arranco alla ricerca dei miei occhiali sul comodino.
«Luna! Sono Karin!»
«Karin? Ma che ore sono?» chiedo inforcando gli occhiali.
La visuale si fa immediatamente più nitida.
«Non so, le dieci credo...non dirmi che stavi dormendo a quest'ora!»
«È domenica» borbotto e mi lascio ricadere sul letto.
Lei ride tra sé e sé:
«Comunque volevo sapere come stai»
«Mi chiami alle dieci di domenica mattina per sapere come sto?» farfugliò confusa.
«Mi piace chiacchierare con le persone! Quindi, dato che ci siamo scambiate il numero di cellulare, pensavo sarebbe stato carino parlarti»
Apro la bocca, la richiudo, poi finalmente parlo:
«Non fraintendermi Karin, sei molto simpatica, ma non mi sembra normale telefonarmi...»
«Quindi non hai capito!» mi interrompe la sua voce squillante dall'altro capo.
Resto muta.
«Non ti ho chiamata solo per fare due chiacchiere. Volevo anche chiederti di raggiungermi al centro commerciale questo pomeriggio.»
«Io...cosa?» biascico.
Lei ride:
«Io frequento uno scuola  diversa dalla tua, ma sono comunque vicina. Quindi potremmo vederci quando vogliamo!»
"Che bello"
Tu stanne fuori, che sono già abbastanza intontita.
«Ehm...okay. Che ne dici se porto anche una mia...compagna di scuola?» chiedo.
"Intendi Clare?"
Hai qualche problema, Voce?
"Pensavo ti stesse antipatica tanto è musona".
Spero che lei e Karin si compensino.
«Perfetto! Ci vediamo alle tre! Sai ho sentito dire che il nostro centro commerciale è sempre pieno di ragazzi! Il che è un bene per una single come me- tranquilla ricordo che anche tu sei single»
Il suo fiume di parole mi travolge, ma la lascio fare, troppo assonnata.
«In realtà» continua «Il mio ragazzo ideale sarebbe la versione più giovane del signor Lennox»
Spalanco gli occhi.
«Cosa hai detto?» esclamo balzando in piedi.
La sento interdetta, ma risponde veloce:
«Voglio dire lui è affascinante, intelligente e anche ricco...»
«No. No, frena. Ripeti di chi stai parlando»
«Benedict Lennox, quello che tu chiami "il mio benefattore"»
La mascella mi cede, il braccio ricade sul letto.
Mi giunge la voce lontana di Karin, ma non capisco, viene distorta dal cellulare.
I pensieri turbinano nella mia mente.
«Ci sentiamo dopo» riesco solo a dire.
Poi mi risveglio di colpo e mi vesto come una furia.
Qualche minuto più tardi sto scattando sulla strada con una bicicletta che ho rubato sul viale del campus.
L'aria è gelida e mi sferza il viso.
Nella fretta non mi sono messa le lenti a contatto e gli occhiali ballano sul naso.
Non so bene in che modo e soprattuto dopo quanto tempo, ma raggiungo il Centro Orwell.
Abbandono il mio mezzo nel giardino anteriore in malo modo e corro verso l'ingresso.
Entro con il fiato corto.
«Buon giorno, cosa ci fai qui?» mi chiede la donna dietro al bancone.
È Marina.
«Devo...» sto ansimando «Devo vedere una persona»
«Bene» dice «L'orario delle visite termina alle cinque di pomeriggio, penso tu abbia tempo a sufficienza»
Mi catapulto nel corridoio, poi corro fino alla sala principale.
È piuttosto affollata, tra ospiti e ragazzi, ma con un'occhiata veloce mi rendo conto che chi sto cercando non si trova più.
Ritorno nei corridoi e li percorro a grandi passi, freneticamente.
Non so se vanno più veloci le mie gambe o i miei pensieri.
«Sospettavo portassi le lenti a contatto» commenta una voce alle mie spalle.
Mi volto di scatto.
Will mi guarda, con la schiena appoggiata al muro e il suo solito sorriso divertito.
«William Lennox» mi esce in un sibilo.
I suoi occhi blu sembrano mandare un bagliore, ma il suo volto non cambia espressione.
«Ehi, amico» sento una voce maschile dietro a Will «Tutto okay?»
Alle sue spalle compare un ragazzo poco più grande di me, dalla pelle mulatta e gli occhi neri.
Mi sfugge un gemito soffocato.
In un attimo quel ragazzo è al mio fianco e mi tira verso Will.
Quest'ultimo sta sorridendo sempre più divertito.
«Interessante» 
La testa mi gira, ho la nausea eppure riesco a sentirlo.
Il ragazzo che mi tiene per il polso emana un inconfondibile profumo di miele.



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Ciao a tutti! Avevo intenzione di aggiornare in un arco di tempo equamente esteso, ma non cè l'ho fatta perché la tentazione di aggiungere un nuovo capitolo era troppo forte, quindi eccomi qui....
Questo capitolo è piuttosto denso e posso solo anticipare che anche il successivo non sarà da meno.
Come al solito mi scuso per eventuali errori e vi prego di lasciare una piccolissima recensione, perché è davvero l'unico modo attraverso il quale io possa migliorare e inoltre posso sapere se vale la pena di continuare questa storia. Se siete arrivati fin qui vi ringrazio tantissimo!
Lux

P.S. È probabile che cambierò  il titolo della storia, consiglio a chi non ce  l'ha nelle seguite/da ricordare di aggiungerla. 
   
 
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