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Autore: difficileignorarti    18/09/2014    3 recensioni
Lui non c’era più da quasi un anno; se n’era andato, così, dal nulla.
Questo le aveva lacerato l’anima e distrutto il cuore.
Ma le mancava, da morire; ma aveva comunque paura, perché ora che stava cominciando a vivere di nuovo, cercando, comunque, di lasciarlo da parte, lui sarebbe ricomparso, lei lo sapeva, se lo sentiva.
Quello che lei non sapeva, era che lui era tornato, e che la stava osservando da lontano.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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22.





 
«Christopher ti piace?» mormorò curioso Tom, leggendo attentamente il quadernino che la ragazza aveva scritto precedentemente e non appena la sentì sbuffare, capì che era un no. «Matthew?» continuò, lanciandole uno sguardo e poi sorrise, avvicinandosi a Emmeline.

Erano passati un paio di mesi dall’ultima discussione che avevano avuto, ed erano tornati ad essere quelli che erano: felici ed intoccabili, rinchiusi nella loro bolla d’amore puro e pulito.

La pancia della ragazza era ancora piuttosto piatta, ma di profilo si cominciava a vedere bene e lui ogni sera passava un sacco di tempo a baciare ogni lembo di pelle della pancia di Emmeline, beccandosi qualche libro in testa, che proprio la ragazza leggeva prima di dormire.

E poi voleva viziarla in ogni modo possibile, e lo faceva, e in futuro voleva soddisfare ogni sua voglia, anche a costo di alzarsi nel cuore della notte per cercare qualcosa d’introvabile.

«Mi piace, ma forse potremmo cercare qualcos’altro, potrebbe esserci di meglio» mormorò lei, concentrata a leggere un libro sulla maternità. «Ma forse dovresti cercare anche qualche nome per una bambina, anche se so che vuoi un maschio» alzò lo sguardo su di lui, e si sorrisero dolcemente.

Tom annuì: con due donne in casa sarebbe diventato pazzo, ne era sicuro, ma infondo lo era già, quindi non sarebbe cambiato molto.

«Con cosa dovrei girare? Mazze da baseball, bastoni?» chiese ironicamente, alzando un sopracciglio, facendola ridacchiare. «Già tu sei un bel problema, bella come sei attiri l’attenzione di tutti, provocando in me una gelosia incontenibile» mormorò, sfiorandole la mano dolcemente. «Pensa se avremo una bambina e sarà bella come te» brontolò, facendola ridere più forte.

«Tom!» ridacchiò, richiamandolo, non riuscendo a fermarsi: era così bello vederlo così. «Non possiamo pensare a questo il giorno in cui nascerà?» mormorò, infilando la mano tra i suoi capelli morbidi e lunghi, sorridendogli dolcemente. «Se continui a pensarci, mi diventerai vecchio precocemente e mi muori il giorno del parto, ed io non voglio questo» aggiunse e lo vide rilassarsi e poi le sorrise.

«Hai ragione, piccola, ma io voglio essere preparato» mormorò, e lei si addolcì. «Ho paura di diventare padre, sai? Ho paura di non esserne capace, di non riuscire a tenerlo in braccio e di non essere un buon padre, che non sa mettere regole…» sospirò e decise di lasciar stare, anche perché gli veniva da piangere. «Ho paura di diventare come mio padre e questo mi spaventa, da morire, Emmeline» spiegò e lei si avvicinò a lui, sedendosi sulle sue gambe.

Gli prese il viso tra le mani e gli asciugò quelle poche lacrime che stavano scendendo sulle sue guance: sapeva bene che il ricordo di suo padre era ancora grande, dopo tutto il male che gli aveva fatto, il modo in cui si è ucciso davanti ai suoi occhi, il modo in cui l’aveva traumatizzato, ne aveva ancora gli incubi.

Posò un bacio sulle sue labbra, prontamente ricambiato, e si sentì stringere forte.

«Tom» mormorò sulle sue labbra, aprendo gli occhi, perdendosi in quelli di Tom. «Ascoltami, tu non diventerai come lui, non lo sarai mai, anche perché io non te lo permetterò mai» lui le sorrise e le rubò un altro bacio. «Ci sarò io al tuo fianco, impareremo insieme e tuo figlio, nostro figlio, sarà orgoglioso dei suoi genitori, perché tu sei una persona fantastica e niente e nessuno potrà mai dire il contrario» mormorò la ragazza, sorridendogli nel modo più incoraggiante possibile. «Avrà tutto e starà benissimo, non preoccuparti, amore» sussurrò dolcemente e lui annuì, pensando che poteva provarci: poteva farlo, per Emmeline e per il loro bambino.

Le sfiorò piano la pancia e sorrise, prima di alzare nuovamente lo sguardo sulla donna che amava e la vide sorridergli: non poteva credere, a distanza di anni, di aver trovato una ragazza disposta ad amarlo per quello che era veramente, con tutti i difetti e il caratteraccio che aveva, e non per il suo aspetto fisico e per la sua bellezza, e non poteva credere che sarebbe diventato padre.

Gli veniva da piangere e non appena si appoggiò con la fronte alla spalla della ragazza, si lasciò andare in un pianto liberatorio, ma anche di gioia.

Emmeline lo strinse a se, lasciandolo sfogare, ne aveva bisogno e lei lo sapeva: ogni tanto doveva lasciarsi andare a quei crolli emotivi, era una persona ed era più che normale.


 
***


Se ne stava sul divano, intenta a guardare un film alla televisione: aveva il pomeriggio libero, ma si stava annoiando troppo in casa a non fare niente; lei voleva sempre avere le mani impegnate e qualcosa da fare.

Tom voleva vederla tranquilla, riposata, rilassata, non voleva vederla affaticata, non voleva che succedesse qualcosa al bambino: insomma, si preoccupava troppo.

Emmeline voleva andare in spiaggia, prendere il sole.

Emmeline voleva fare qualche cazzata, vista anche la giovane età: tipo quelle cose da adolescenti, infilarsi dentro ad un carrello e lasciarsi spingere da qualcuno, e ridere a crepapelle; voleva mettersi i pattini e infilarsi le cuffiette nelle orecchie e pattinare a Venice Beach, in mezzo alla gente, anche se Tom non voleva, aveva paura che si spiattellasse sulla strada; ma quella non era una cazzata.

Spense la tivù e si alzò dal divano con un balzo, posò una mano sulla sua pancia e sorrise teneramente: eh sì, avrebbe avuto a che fare con un padre iperansioso e iperprotettivo.

Decise di fare un giro, per dare un’occhiata ai negozi e, magari, comprare qualcosa, anche se avrebbe voluto che Tom fosse con lei, nel momento in cui avrebbe scelto le cose per il bambino o bambina.

Ma in realtà era contenta che avesse trovato un lavoro: si era accontentato di lavorare in un negozio di musica, gli piaceva e sembrava pagare bene; qualcuno gli aveva addirittura offerto lavoro come modello per qualche rivista.

Le veniva da ridere se ci pensava: Tom non era proprio il tipo da poter stare su una copertina; era bello, aveva stile da quando era a Los Angeles, ma, insomma, no, lei non ce lo vedeva proprio.

E poi avrebbe dovuto iniziare a girare lei con le mazze da baseball, per poter allontanare qualsiasi essere di genere femminile che potesse sbavargli dietro peggio di un cane.

A dir la verità aveva già discusso più volte con qualche ragazza che, nel bel mezzo di una cena o di una passeggiata, gli aveva chiesto il numero di telefono o altro: e li si era incazzata! Insomma, non era invisibile, e presto sarebbe diventata una mongolfiera, addirittura. Si era alzata e con poca galanteria le aveva detto di girare i tacchi e di tornarsene da dove era venuta. E poi lui non era nemmeno una star internazionale, un vip, era un ragazzo dei bassifondi di San Francisco, e si sentiva in imbarazzo ogni volta che capitava.

Era dannatamente gelosa, nessuna donna poteva avvicinarsi, nessuna.

Solo lei.

Faceva caldo, anche se, in realtà, a Los Angeles faceva caldo tutto l’anno, praticamente; così raccolse i capelli in uno chignon morbido e si mise una canottiera del ragazzo e un paio di scarpe da ginnastica.

Sarebbe uscita, esattamente come aveva deciso, e la prima tappa sarebbe stata il negozio dove lavorava Tom: adorava interrompere le sue giornate lavorative e distrarlo.

Ridacchiò prima di uscire di casa.


 
***


Il negozio di musica dove lavorava quel gran pezzo d’uomo del suo ragazzo era uno dei più grandi della città; a Emmeline piaceva molto, e nel suo primo mese di permanenza a Los Angeles, ci avevo passato diverse ore, ad ascoltare musica, non solo moderna, ma anche classica, e le piacevano da morire i vinili: e, infatti, ne aveva portati a casa un paio.

Tom stava sistemando dei dischi e le venne da sorridere: il suo capo, Ty, le lanciò uno sguardo divertito e lei rispose con un gesto della mano, avvicinandosi al moro.

«Mi scusi, saprebbe dirmi dove posso trovare le novità?» mormorò spaventandolo.

Il ragazzo quando se la trovò di fronte sorrise, dopo aver ripreso fiato, dopo lo spavento, e le allacciò le braccia intorno alla vita, stringendola in un abbraccio amorevole.

«Devi risponderti o volevi semplicemente attirare la mia attenzione?» sussurrò, cercando le sue labbra e trovandole poco dopo: baciarla era sempre un piacere, le sue labbra erano una droga vera e proprio.

Emmeline ridacchiò, infilando le mani in entrambe le tasche posteriori dei pantaloni del ragazzo, potendo permetterselo.

«Non ce n’è bisogno» mormorò lei in risposta. «Sono uscita per fare shopping e volevo passare prima da te» disse, e lui le sorrise nel modo più dolce possibile. «Mi mancavi tanto, davvero tanto» ammise, e lui si ritrovò ad accarezzarle piano la schiena.

«Sono contento di sentirtelo dire, sai?» mormorò, abbassandosi di nuovo sulle sue labbra. «Anche tu mi mancavi, ma tu mi manchi sempre» le disse ed Emmeline sorrise, felice di sentirglielo dire. «Anzi, mi mancavate tanto» aggiunse, poggiando una mano sul pancino di Emmeline, lievemente gonfio.

La ragazza si riappese alle sue labbra, e lo sentì sorridere.

«Stai indossando una delle mie canottiere più scavate, sei mezza nuda, ti si vede tutto» borbottò geloso, osservandola attentamente, facendola ridacchiare.

«Lo so» ammise lei, alzando un sopracciglio. «Ma posso permettermelo, no?» mormorò piano e Tom roteò gli occhi al cielo.

«Non sto nemmeno a risponderti, Em» le disse.

«Solo per te» mormorò la ragazza, e lui si ritrovò ad annuire, completamente d’accordo. «Ci sono tante ragazze che ti stanno mangiando con gli occhi» brontolò, e questa volta fu lui a ridere. «Non ridere» mormorò lei, schiaffeggiandogli piano il braccio.

«Hai ragione, piccola, non c’è molto da ridere, ma i miei occhi cercano solo te, non stare a preoccuparti delle altre» le disse dolcemente. «Ci siete solo voi due per me» aggiunse.

Le veniva da piangere di gioia: come poteva non commuoversi con un ragazzo così?

Allacciò le braccia al suo collo, stringendolo in un caloroso abbraccio, che lui ricambiò, baciandole più volte la nuca.

Doveva lasciarlo tornare al suo lavoro e a malincuore sciolse quell’intreccio.

«Ci vediamo più tardi a casa?» mormorò Emmeline, sistemandogli la maglietta.

«Torno un po’ prima, possiamo fare qualcosa stasera, se vuoi» le propose, riprendendola tra le braccia e, solo allora, si accorse delle occhiate maliziose che gli lanciavano alcune delle ragazze che erano nel negozio.

Scosse la testa, concentrandosi nuovamente sulla sua dolce metà e le sorrise, baciandole teneramente la fronte.

«Proponi qualcosa?» chiese, ricambiando il sorriso. «Cenetta, cinema, altro?» mormorò curiosa e con un sorriso malizioso sulle labbra.

Tom ridacchiò.

«Sei insaziabile, Em, fattelo dire» mormorò, scuotendo la testa. «Drive In?» chiese e le si illuminarono gli occhi: ne avevano parlato nei giorni precedenti, ma non erano mai riusciti a trovare una serata per andarci, e forse quella poteva essere quella giusta.

«Ci sto!» annuì felice, baciandolo ripetutamente sulle labbra, facendolo ridere.

«Ciao ragazzi!» la voce di Ben fece rizzare i capelli ai due giovani.

Emmeline chiuse gli occhi, aggrappandosi alle braccia di Tom e sospirò.

Quel ragazzo in gran parte era molto simile a Liam e questo la preoccupava non poco, anche se rispettava la sua relazione con il moro, non smetteva di correrle dietro.

«Ben» sospirò piano Tom, come a volerlo salutare: il moro sapeva della situazione e sapeva che non smetteva di bombardarla di messaggini e Tom aveva dovuto, di nuovo, alzare la guardia.

Sperava non fosse come Liam, ci sperava davvero tanto, perché era stanco di dover combattere: voleva vivere sereno e felice e basta.

Emmeline si limitò a lanciargli uno sguardo e sorridendogli appena: aveva preso un po’ di distanze, anche al lavoro, ma non era servito; anche lei era stanca.

«Io vado, ci vediamo dopo a casa, okay?» mormorò la ragazza, prendendo Tom per la maglia e tirarlo verso di lei, baciandolo castamente.

«Ti faccio compagnia se vuoi» si propose Ben ed Emmeline si bloccò sul posto, cercando immediatamente lo sguardo del suo ragazzo. «Così da poter tener lontano qualsiasi malvivente in agguato» aggiunse e Tom sogghignò, scuotendo la testa.

Semmai avrebbe dovuto mandare lui qualcuno a controllare quel ragazzo.

Incrociò le braccia al petto, lanciando uno sguardo alla ragazza: era tesa come una corda di violino e aveva gli occhi semi sgranati.

«Mi raccomando, Ben» quasi ringhiò, puntandogli un dito contro e lui annuì semplicemente, raggiungendo Emmeline alla porta.

Sperava che quelle ore passassero velocemente e che Ben non allungasse le mani sulla sua donna.


 
***


Emmeline camminava silenziosamente, con le braccia strette intorno al corpo, come a voler proteggere lei e il bambino che portava in grembo da qualcosa di cattivo e di pericoloso.

Le era passata la voglia di fare shopping e, persino, di guardare le vetrine.

Voleva semplicemente andare a casa ad aspettare il ritorno di Tom; sarebbe dovuta rimanere in casa sul divano a guardare qualcosa d’inutile alla televisione.

«Emmeline» mormorò Ben, cercando di attirare la sua attenzione, e la ragazza si fermò, rivolgendogli uno sguardo scioccato. «Non capisco perché hai costruito questo muro tra di noi, cosa ho fatto?» chiese.

«E lo chiedi anche?» mormorò stupita. «Mi sembrava che Tom ti avesse detto di rispettare la nostra relazione, di comportarti da amico» sbottò, schiarendosi la voce subito dopo. «Hai detto che mi vuoi bene» lui annuì piano con la testa. «Se è davvero così, allora fai quello che hai promesso al mio ragazzo» gli ordinò seria.

«Non ci riesco, Em» sussurrò lui, lasciandola scioccata; così abbassò la testa, osservandosi la punta delle scarpe. «Non ti ho mai visto solo come un’amica, lo sai» le disse ed Emmeline cominciò a rabbrividire. «Lo so che tu non senti quello che sento io, so che non ti interesso, ma questo non mi vieta di continuare a fare quello che faccio» mormorò e la ragazza scosse la testa.

Doveva dirglielo.

«Ben, ascoltami bene, perché non parlerò due volte, non amo ripetermi» cominciò e sentiva la rabbia invaderle le vene. «Io aspetto un figlio da Tom» sganciò la bomba e lui sgranò la bocca e gli occhi, preso in contro piede. «Questo è quello che volevamo da sempre, una famiglia nostra» disse. «Stiamo insieme da anni, abbiamo affrontato un sacco di ostacoli, compreso un’idiota da manicomio che ora è in prigione e non voglio avere a che fare, di nuovo, con un pazzo!» gli disse, puntandogli un dito contro, con cattiveria.

Lui continuava a fissarla, senza dire una parola, probabilmente pensando a qualcosa.

«Grazie del complimento» mormorò ironicamente. «Ma non mi interessa se sei incinta o meno, tu mi interessi veramente» le disse, di nuovo.

Emmeline sbuffò e batté un piede per terra: Dio, non lo sopportava più!

Non fece in tempo ad aggiungere altro, perché le labbra di Ben toccarono le sue, in un bacio a stampo.

La ragazza sgranò gli occhi e si oppose, respingendolo con violenza.

Si staccò da lei e le scoccò uno sguardo, prima di andarsene.

Le lacrime cominciarono a inondarle gli occhi: si sentiva un vero schifo e si vergognava da morire.

Si era lasciata baciare e Tom si sarebbe incazzato da morire: avrebbero discusso ancora.


 
***


Tom era felice: aveva preso la programmazione per il Drive In e aveva deciso che voleva passare una bella serata con l’amore della sua vita.

Non passavano un momento insieme da un sacco di tempo e non vedeva l’ora.

Entrò in casa e la prima cosa che vide fu Emmeline rannicchiata sul divano, le braccia strette intorno alle ginocchia, la testa nascosta tra le braccia e stava piangendo.

Non sapeva esattamente cosa pensare: o era successo qualcosa o era colpa degli ormoni o della gravidanza.

E in quel momento aveva paura di sapere.

Lasciò cadere le chiavi sul pavimento e si precipitò da lei, inginocchiandosi sul pavimento, preoccupato come non mai.

«Piccola» mormorò allarmato. «Cosa succede? Cos’hai? Stai bene? Il bambino?» fece tutte quelle domande, con l’ansia alle stelle e un nodo alla gola.

Emmeline continuava a piangere, dondolandosi, senza guardarlo negli occhi, ma poi decise di alzare lo sguardo, perché era inutile tenersi quel peso dentro.

Posò gli occhi su Tom e attraverso le lacrime vedeva la sua preoccupazione infinita e questo la fece sorridere teneramente, o almeno sperava di sorridere: quel sorriso assomigliava molto di più ad una smorfia indefinita.

Allungò una mano e accarezzò piano il viso di Tom, ma poi il ragazzo le prese la mano e la strinse, aspettando una risposta: si stava immaginando troppe cose negative e aveva bisogno di sapere cosa le stava succedendo.

«Io e il bambino stiamo bene, Tom» mormorò la ragazza tra un singhiozzo e l’altro e lo video tirare un sospiro di sollievo.

«E allora perché stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?» chiese in apprensione, e poi sembrò come illuminarsi e un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi. «Quel coglione ti ha fatto del male?» sbottò, digrignando i denti.

Emmeline deglutì e abbassò lo sguardo, ma Tom la costrinse a guardarlo di nuovo.

«Dimmi che cosa ti ha fatto» ringhiò nuovamente e la ragazza si spaventò, sbiancando come non mai, preoccupata.

«Mi ha baciata» mormorò piano e Tom rimase immobile, inspirando forte, accusando il colpo.

Lasciò la sua mano e si alzò, mettendosi le mani nei capelli e cominciando a camminare avanti e indietro per il salotto, sotto lo sguardo attento, impaurito della ragazza.

Non l’aveva mai visto così incazzato, e si stava pentendo di averglielo detto, ma non poteva vivere con quel peso sullo stomaco, avrebbe sofferto il doppio, o forse il triplo.

Non voleva avere segreti con l’uomo che amava, anche se questo costava solo sofferenza e dolore.

«Tom» mormorò lei, cercando di attirare la sua attenzione.

«Perché glielo hai permesso?» sbottò, voltandosi verso di lei, spaventandola ulteriormente. «Se lui ti ha baciata un motivo ci sarà sicuramente, Emmeline!» disse con rabbia.

Si sentì piccola in quel momento: se Ben l’aveva baciata era colpa sua? Funzionava davvero così?

«La colpa sarebbe mia, quindi?» chiese lei, asciugandosi le lacrime: forse era esagerato piangere per un bacio. «Io non ho fatto niente di male, non gli ho dato nessun motivo di farlo, non l’ho incoraggiato se è questo che intendi!» si arrabbiò lei, imbronciandosi.

Tom le lanciò uno sguardo torvo, incrociando le braccia al petto.

«Ogni volta va a finire sempre così!» aggiunse, abbassando lo sguardo sulle sue gambe nude. «Succede qualcosa che non ti va a genio e la colpa è mia!» continuò.  «Io non gli ho detto di baciarmi, non l’ho incoraggiato, gli stavo esattamente dicendo il contrario!» raccontò, cercando di difendersi, come se fosse veramente colpa sua, ma poi scosse la testa. «Sono stanca di discutere sempre per le stesse cose, Tom, lui mi ha baciata, subito dopo che gli ho detto che aspetto un figlio dall’uomo che amo, e che non mi interessa nulla di lui» sorrise tristemente, e scosse nuovamente la testa. «Non dici niente?» chiese, alzandosi e cercando di avvicinarsi a lui.

Lui la guardò dal basso, ancora arrabbiato: ma non ce l’aveva con lei, sapeva che non era colpa sua, era l’ira a farlo parlare, ad averla attaccata a darle la colpa.

Doveva parlare con Ben, e doveva dirgli come stavano le cose una volta per tutte: non doveva avvicinarsi più alla sua donna.

Spostò lo sguardo sul ventre della ragazza e trattenne un sorriso.

«Non ce l’ho con te, scusami, Emmeline» abbassò il tono della voce e le carezzò piano una guancia. «Parliamo dopo, uhm?» le lasciò un bacio sulla fronte, raccolse le chiavi e uscì dalla loro casa.

Emmeline non sapeva cosa pensare, era piuttosto scossa dal repentino cambiamento di umore del suo ragazzo, e decise di lasciar perdere, era un enigma troppo complicato per lei.

Peggio del cubo di Kubrick e lei aveva proprio lasciato perdere, era troppo difficile.


 
***


Avrebbe aspettato tutta la sera e la notte e gran parte del giorno dopo se fosse servito.

Era postato sotto casa di Ben, chiuso in macchina: lo stava aspettando, voleva proprio fargli un bel discorsetto.

Non poteva credere che aveva osato baciare la sua ragazza, incinta di suo figlio.

A dir la verità non poteva credere nemmeno che le mandasse tutti quei messaggi ogni giorno, le mandava addirittura dei fiori, e quello non poteva assolutamente accettarlo!

Proprio come non poteva accettare il bacio: Emmeline era sua, nessuno poteva toccarla, avvicinarsi; il genere maschile gli faceva schifo e lui ne faceva parte, sapeva cosa pensavano, come ragionavano e spesso se ne fregavano addirittura delle relazioni che le ragazze avevano.

Ben lo aveva preso per il culo quando gli aveva detto che rispettava la loro storia, che non era quel genere di uomo e lui c’aveva pure creduto! Che stupido che era stato!

Aveva abbassato la guardia, le permetteva di uscire con lui, di lavorare a stretto contatto con lui, perché, nonostante la gelosia e la diffidenza, quel ragazzo gli era sembrato sincero e, invece, lo aveva pugnalato alle spalle.

Si accese una sigaretta e si appoggiò meglio allo schienale della sua Mustang, tenendo l’occhio puntato sulla porta di casa di Ben: chi lo vedeva poteva benissimo pensare che fosse uno stalker.

Ridacchiò al sol pensiero e poi gettò uno sguardo al suo orologio.

Sì, era vero, aveva detto che avrebbe aspettato anche tutta la notte, ma, a dir la verità, non vedeva l’ora di tornare a casa da Emmeline, parlare e mettere in chiaro alcune cose, ma, soprattutto, iniziare a pensare e progettare qualcosa per l’arrivo del loro primo bambino.

Voleva promettere a Emmeline che non si sarebbe più arrabbiato con lei, che avrebbe continuato a fidarsi, che avrebbe smesso di dubitare di lei e del suo amore per lui.

E poi stava cominciando a pensare alla proposta di matrimonio che presto le avrebbe fatto: aveva già qualcosa in mente, doveva solo organizzarsi e, probabilmente, avrebbe chiesto aiuto a Georg e a Ellen, ma anche ai genitori di Emmeline, che la conoscevano davvero bene.

Sorrise teneramente pensandoci, ma poi vide uscire Ben da casa e quel sorriso si cancellò dalla sua faccia.

Scesa dalla macchina e spense la sigaretta, avvicinandosi velocemente al ragazzo che, non appena lo vide, cominciò a deglutire.

Tom era quello che era: era cambiato, sì, ma il ragazzaccio, quello che veniva sempre alle mani, con tanta rabbia dentro, quello era rimasto, era ancora intrappolato in quel corpo che stava crescendo; non lo avrebbe mai abbandonato.

Non ci pensò due volte e gli tirò un pugno in pieno viso, facendolo accasciare a terra, con una mano sul volto e gli occhi sgranati, sotto lo sguardo curioso e impaurito di qualche amico di Ben.

«Che cazzo fai? Ti sei bevuto il cervello?» sbraitò Ben, incredulo, guardandolo dal basso.

Tom si abbassò su di lui, con tanta, tantissima rabbia negli occhi.

«Se provi ad avvicinarti di nuovo a Emmeline, a parlarle, a pensare a lei, a guardarla in un modo che non mi piace, giuro che non mi farò problemi a procurarmi una pistola e farti un buco in testa» sibilò, con calma, tanta calma, facendo sbiancare Ben.

Eh già, Emmeline glielo aveva raccontato.

«Ehi, amico, era una cosa innocente!» provò a rimediare.

Tom alzò un sopracciglio, falsamente divertito.

«Innocente, dici? Tu non sai cosa voglia dire innocente!» sbottò. «Mi avevi detto di rispettare la nostra relazione, ma vedo che hai continuato con le tue avances, con tutti quei messaggini stupidi e insignificanti, con tutti quei fiori che, tra parentesi, Emmeline odia» ridacchiò in modo cattivo. «Sei ridicolo, Ben» gli sputò in faccia quelle parole, non preoccupandosi di avere a che fare con un ragazzo più grande di lui. «Te lo ridico, Emmeline è incinta del sottoscritto, le chiederò di sposarmi, ha una storia con me, perciò, per lei, tu vali meno di zero» continuò. «Non avvicinarti più a lei, sono stato abbastanza chiaro?» chiese, fissandolo negli occhi.

Ben a quel punto si ritrovò ad annuire, non poteva competere con Tom, lo sapeva bene.

Tom ritornò in piedi e si voltò per tornare alla sua auto: quel ragazzo ora era un problema in meno e se doveva succedere qualcos’altro, sperava di non dover ricorrere alle maniere forti, come aveva detto.


 
***


Emmeline stava cucinando ed era preoccupata per Tom: era fuori da un paio di ore e non era ancora tornato, non le aveva nemmeno mandato un messaggio o una chiamata, ma niente.

Non era arrabbiata con lui, aveva capito la sua reazione e sapeva che non ce l’aveva con lei, ma aveva paura di sapere cosa aveva fatto a Ben: insomma, era sempre il suo cattivo ragazzo.

Era vero, Ben era stato sfacciato con lei, le aveva mancato di rispetto, e non solo a lei, anche a Tom e al bambino che portava in grembo, e questo l’aveva fatta incazzare, e anche parecchio.

Non appena sentì due mani forti afferrarle i fianchi, sobbalzò, spaventata: sapeva bene che era Tom, e non appena sentì le sue labbra morbide sfiorarle il collo, sorrise.

Non lo aveva sentito entrare, talmente era immersa nei suoi pensieri.

«Sei arrabbiata con me?» mormorò, stringendola teneramente, posando entrambe le mani sulla pancia della ragazza.

«No» rispose tranquillamente lei, sfiorando le mani del ragazzo.

Lo sentì sorridere sulla sua pelle e, poi, le posò un bacio sulla spalla, sospirando.

«Cosa gli hai fatto?» chiese Emmeline curiosa, guardandolo con la coda dell’occhio.

«Gli ho detto chiaramente di non avvicinarsi mai più a te, e altre duemila cose simili» la ragazza alzò gli occhi al cielo, reprimendo una risatina. «E gli ho dato un pugno» quella volta sgranò gli occhi, voltandosi tra le braccia del ragazzo. «Quella è stata la prima cosa che ho fatto, a dir la verità» le sorrise beffardo, sfiorandole una guancia con un dito affusolato. «È meglio che non ti dico di cosa l’ho minacciato» sussurrò e la ragazza rabbrividì, per niente curiosa di sapere.

Non aveva nessun’altra parola da aggiungere, così lo baciò, aggrappandosi al suo collo e appendendosi alle sue labbra.

«Mi dispiace» mormorò Tom sulle labbra della giovane, ancora intenta a godersi il bacio. «Per tutto, per averti accusata di averlo incoraggiato e per averci rovinato la serata» Emmeline sorrise, e aprì gli occhi, guardandolo affettuosamente.

Era così dannatamente bello: avrebbe potuto guardarlo per ore senza mai stancarsi.

«Rimedieremo» alzò le spalle lei, ancora tra le sue braccia.

Tom si allungò per spegnere i fornelli e poi le sorrise maliziosamente, prendendola in braccio, facendola strillare sorpresa e divertita.

«Mangeremo più tardi, okay?» le propose, voltandosi. «Ora voglio semplicemente amarti» sussurrò, rubandole un bacio e poi un altro ancora.




 
*******

Okay, bella gente, sono ufficialmente tornata! I'M BACK!

Voglio annunciarvi che alla fine di questa storia mancano più o meno due, o al massimo 3, capitoli. Sto anche pensando ad un'eventuale sequel, anche perchè ho intenzione di finirlo in un modo particolare, una sorta di punto interrogativo gigante, e quindi il sequel è quasi d'obbligo. 
Ma non voglio svelarvi di più ;)

Non la volevo finire frettolosamente come ho fatto con Soli (assieme), volevo e voglio dedicarmi appieno a questa storia.

Poi poi poi, volevo dire GRAZIE a tutte quelle persone che recensiscono, che mi fanno sempre sorridere a 3000 denti, che mi riempiono di complimenti, che credo di non meritare.
Dico GRAZIE anche a tutte quelle persone che la leggono, che sono davvero tante, non lo avrei mai immaginato: ogni volta è uno stupore sempre maggiore!

Allora, cosa ne pensate di Run, Run, Run? E di Girl Got A Gun? L'avete sentita? u.u -me curiosa eh-

Comunque, bando alle ciance, sicuramente stavate aspettando questo capitolo e spero vi sia piaciuto, anche in minima parte.
Come sempre aspetto le vostre recensioni!

Un bacione grandegrande e un abbraccio,
difficileignorarti.


 
 
   
 
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