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Autore: Dragon_Flame    19/09/2014    1 recensioni
Firenze, luglio 2013.
La vita di Lidia Draghi, adolescente alle prese con l'ultima estate prima degli esami e con la fine di una relazione sofferta, prende una svolta inaspettata nell'incontro con Ivan Castellucci, padre di Emma, che deve affrontare un difficile divorzio.
Una strana alchimia li lega e la certezza di aver trovato la propria metà si fa pian piano strada nei loro cuori. L'unico problema sta nella loro differenza d'età: vent'anni. Lidia ha diciott'anni, Ivan trentotto. Aggiungiamo poi una madre impicciona, un ex-ragazzo pedante, un fratello inopportuno e pseudo ninfomane, un'ex-moglie inacidita che cerca di strappare a Ivan la loro unica figlia e mixate il tutto.
Mille difficoltà ostacoleranno la relazione segreta fra i due protagonisti, ma il loro sentimento sarà più forte del destino che sembra contrario al loro amore?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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16.


 

Emma si sedette accanto a Lidia sul divano in pelle chiara, sorridendole. Era felice di rivederla dopo più di due settimane passate senza incontrarla.

"Mi sei mancata" mormorò, abbracciandola poi strettamente alla vita con entrambe le braccia.

La giovane fece uscire un braccio da sotto la coperta che le avvolgeva le spalle, stringendo fortemente a sé il corpicino della bambina.

"Come state tu e il papà?" le sussurrò all'orecchio, dandole poi una carezza sui capelli scuri e lisci, ereditati dal padre.

La piccola sospirò tristemente.

"La mamma è sempre fuori casa, in questi giorni. Anche stasera non tornerà fino alle undici. E' sempre fuori con Giacomo, l'uomo che la vuole portare via dal papà... lui mi sta antipatico. Non mi piace per niente: è basso, vecchio, è arrogante e non è gentile. Questo solamente perché è ricco e pensa di potersi comportare come gli pare. Ma a me non importa di lui, io voglio rimanere con il mio papà. La mamma però non è d'accordo, quando lo vede gli dice che mi porterà via, che il giudice mi affiderà a lei e che verrò a vivere con lei in Germania. Dice che non rivedrò più il mio papà. Ma io voglio restare con lui! Non voglio andare in Germania! Mi piace il tedesco, è una bella lingua, ma non voglio parlarlo sempre come se fosse l'italiano, la mia lingua di nascita! E voglio vedere il mio papà tutti i giorni, tutti!"

Il tono di voce di Emma era passato da malinconico a disperato, e la bambina era quasi sul punto di piangere. Lidia non sapeva come consolare la figlia di Ivan, perché la situazione era molto delicata e non voleva dire qualcosa di sbagliato. Continuò a tenerla stretta a sé, mormorandole parole confortanti, dicendole che il giudice non poteva essere così stupido da farla andare in Germania con sua madre e un uomo che non riusciva proprio a sopportare e contro la sua stessa volontà.

"I giudici si prendono del tempo, prima di emettere una sentenza. Vedrai che quello che si occuperà del divorzio dei tuoi genitori sarà ragionevole e ci penserà bene a come sistemare la faccenda nel migliore dei modi" le disse, dandole piccole pacche sulle spalle per confortarla, sorridendole in segno di incoraggiamento.

Ma nemmeno lei ci credeva completamente. Aveva paura che la bambina potesse essere affidata esclusivamente ad Alessia. Temeva di illuderla, di non vederla più. Era atterrita al pensiero che Ivan non potesse più crescerla, che lei non la potesse più sentir ridere e fare domande su tutto, con l'innocente curiosità peculiare dell'infanzia.

Emma sorrise di rimando, rincuorata.

"Sei l'unica persona oltre al papà che mi sta vicina. La mamma non lo fa... non lo ha mai fatto. Lei pensa sempre e solo a se stessa. Ma ci siete tu e papà, per fortuna. Ciò mi rende felice, lo sai? Ti voglio bene, Lidia" e abbracciò ancor più strettamente la ragazza.

Lidia starnutì nuovamente.

"Anche io ti voglio bene, Emma."

"Come mai eri con lo zio Luca?" indagò la bambina, cambiando argomento.

Nei suoi occhi la giovane lesse un'enorme curiosità.

"Ero uscita con i miei amici e c'era anche lui. Abbiamo un amico in comune. Poi ha cominciato a piovere e lui si è offerto di riaccompagnarmi, ma la sua macchina si è fermata poco lontano da qui. Allora ha pensato di venire qui per cercare riparo dalla pioggia" le spiegò.

"Come dice papà in queste occasioni? ... 'Che strana circostanza', mi pare" disse fra sé la bambina, grattandosi la testolina con un dito e scatendando la risata spensierata e allegra di Lidia.

"Sì, dice proprio così" confermò, finendo di sorseggiare il suo té.

Dopo pochi minuti Ivan era tornato a casa. L'uomo si mise a sedere accanto a Lidia, assicurandosi che non avesse preso troppo freddo.

"Se vuoi farti una doccia calda, vai pure a fartela. Ho già avvisato tua madre che sei da me e lei è d'accordo a farti restare. Ti riaccompagno io, più tardi. Tu fa' pure come se fossi a casa tua" le suggerì.

La castana annuì.

"Grazie, Ivan, però non vorrei creare disturbo..."

"Nessuno disturbo, tranquilla. Anzi, è meglio se ti fai una doccia, almeno ti riscaldi e ti asciughi bene per evitare qualche malanno."

"Forse hai ragione" concesse la ragazza.

"Su, seguimi. Ti faccio vedere dove è il bagno."

"E con cosa mi cambio, poi?"

"Tu non pensarci, me ne occupo io. Alessia ha più o meno la tua stessa taglia ed altezza, eccetto delle cosce parecchio più... formose, per cui credo di riuscire a trovare qualcosa di suo che ti vada bene. Poi ti porto anche un mio pullover pesante, così stai al caldo."

"Grazie, Ivan... sei molto gentile" lo ringraziò lei, donandogli uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

La mano di lui si chiuse in una morsa ferrea sul suo polso sinistro, incitando la giovane a levarsi in piedi e a camminare con lui in direzione delle stanze della zona notte.

"Papà, a che ora si mangia?" s'intromise Emma, seguendoli per il corridoio.

"Ceniamo intorno alle otto, tesoro. Puoi andare ad apparecchiare la tavola, per favore?" replicò lui.

La bambina ubbidì prontamente, lasciandoli soli.

I due entrarono nella camera matrimoniale della coppia, ormai diventata solamente la stanza di Alessia. Lidia, volendosi mantenere al di fuori di quello spazio privato che le sembrava di violare irrispettosamente, se ne rimase alla porta, ma non per questo non curiosò dentro con lo sguardo. L'arredamento era semplice ed essenziale e, come valeva per il salotto, aveva le stesse tonalità fredde e asettiche del bianco, del grigio e del nero, ed era moderna, quasi futuristica, ma anche estremamente impersonale. La madre di Emma, evidentemente, andava proprio matta per la tecnologia. Alle pareti si potevano notare molti chiodi, ma le foto e i quadri appesivi erano stati rimossi. Sicuramente perché ritraevano la famiglia Castellucci al completo, quando ancora non c'erano problemi di coppia tra i due coniugi.

Ivan rovistò nell'armadio della moglie, senza curarsi di rimettere in ordine i capi di vestiario che tirava fuori con estrema noncuranza, cercando un paio di pantaloni o leggings adatti alla figura di Lidia. Alla fine non riuscì a trovare altro che una gonna color acquamarina a mezza coscia, porgendola imbarazzato alla ragazza, che era entrata ad un suo cenno di farsi avanti.

"So di averti detto che Alessia ha più o meno la tua stessa taglia, ma non immaginavo che le sue cosce fossero... come dire... grosse quattro volte le tue. Non degno Alessia nemmeno più di un'occhiata da non so quanto..." commentò.

A quelle parole la castana scoppiò a ridere.

"Ivan, non essere così offensivo! Ogni donna ha la propria forma delle gambe. L'importante è che i pantaloni stiano su, poi, se mi sono larghi, non importa."

"Tu non hai idea di quanto siano enormi. Le tue gambe sparirebbero nel nulla cosmico se dovessi infilare un paio di quei jeans."

"Sai che perdita... Ho anche le gambe storte. Almeno una parte così orrenda di me verrebbe cancellata."

L'uomo, a quella frase, squadrò con attenzione la silhouette della giovane che gli era davanti, ammirando il suo corpo atletico, longilineo e ben proporzionato. Lidia è una bella ragazza, pensò mentre la osservava con sguardo critico e attento, ma non è propriamente una bellezza fuori del comune. Il suo vero punto forte sono gli occhi. Quegli occhi azzurri, cangianti, ammaliatori. Sono semplicemente meravigliosi.

Ivan avrebbe voluto dirle tutte quelle cose, e poi prenderla fra le braccia, distenderla sul letto matrimoniale, chiudere la porta e la luce e spogliarla lentamente, con solo il fruscio degli abiti che scivolavano a terra a fare da sottofondo a quel momento. E poi baciarla, accarezzarla in tutto il suo corpo morbido e candido, e denudarsi, unirsi a lei e fare l'amore così, sottovoce, senza luce, tra sospiri e sussurri e amore, bramosia. E passione, desiderio. Voleva sussurrarle all'orecchio di togliersi di mente quelle idee assurde, perché per lui lei aveva le gambe più belle di tutte, così come un corpo invidiabile, e un viso così dolce e degli occhi così azzurri e luminosi da ricordare un cielo estivo, puro e sgombro di nubi. Fare l'amore con lei era diventato un suo pensiero fisso. Lui la desiderava come l'uomo arso vivo dalla sete desidera l'acqua ristoratrice. E tuttavia non poteva averla, almeno non così presto.

"Io credo che tu sia veramente troppo autocritica. Non hai le gambe storte, né tanto meno un fisico tortuoso. Hai un bel corpo, con le curve al punto giusto, le gambe affusolate e lunghe, la pelle chiara. E' un corpo normale. Eppure sei bella anche per questo, per il tuo corpo proporzionato, la tua semplicità" asserì lui con serietà, avvicinandosi a lei per poi cingerle la vita e posarle un bacio a fior di labbra.

Lei gli lanciò un'occhiata dubbiosa.

"Lo dici solo per farmi contenta" e gli fece la linguaccia, rivolgendogli poi un sorriso fiero e lusingato, estremamente intrigante.

Dopotutto, si disse Ivan con un sorrisetto ironico, alla fine non credo proprio che si giudichi così negativamente.

Era incantato da quel sorriso così luminoso. Avvicinò di più il proprio volto al suo, schioccandole un bacio sulla tempia e poi uno sul collo, inspirando a fondo il leggero, aspro profumo selvatico della lavanda, la fragranza che profumava leggermente la sua pelle lattea.

"Se continui a guardarmi così, credo che potrei portarti a letto in questo stesso istante, sai? Ti desidero da morire" sussurrò contro il suo orecchio con voce lievemente arrochita, avvertendo il proprio membro inturgidirsi.

Lidia rabbrividì.

"Fino a che punto mi desideri, signor Castellucci?" lo provocò, passandogli le braccia dietro al collo per poterlo avere più vicino a sé.

In quell'istante dei passi svelti e irregolari percorsero il corridoio, prendendo la direzione delle camere. Ivan si ricordò che la figlia era in casa con loro. Non poteva rischiare tanto. Emma era ormai all'angolo e non sarebbe riuscito a trovare un modo di comportarsi abbastanza normale per evitare le sue domande. Lui e Lidia sarebbero stati scoperti. Perciò l'infermiere fece una delle cose che ogni tanto – ma solo ogni tanto - gli riuscivano perfettamente, cioé improvvisare.

Lasciò improvvisamente andare il corpo di Lidia, che con un grido di sorpresa capitombolò sul letto, proprio mentre la bambina irrompeva nella stanza. Assumendo un'espressione stupita, Ivan si scusò con la ragazza per averla fatta cadere per sbaglio sopra il talamo, porgendole poi le mani per aiutarla a risollevarsi in piedi. La ragazza, che aveva compreso le intenzioni del bruno, stette al gioco, chiedendo a sua volta scusa all'uomo per la propria presunta goffaggine. Così, Emma non capì cosa stavano facendo veramente i due.

"Papà, ho apparecchiato, adesso vieni con me in cucina che prepariamo la cena?" domandò al padre, osservando con curiosità Lidia che si rimetteva in piedi.

"Arrivo subito, ora devo procurarle un maglione pesante per coprirsi. Poi ti raggiungo" propose il padre della piccola, facendole cenno di andare.

"D'accordo! Vado" e corse via nuovamente, lasciando i due soli per un'altra volta.

Ivan tirò un sospiro di sollievo, mentre Lidia scoppiò a ridere ilarmente.

"Vieni, adesso ti trovo una maglia adatta. Credo che però dovrai accontentarti di quella gonna" disse l'uomo, sorridendole con espressione di scusa.

"Non fa nulla, Ivan... anzi, grazie ancora."

"Scusami tu per prima" replicò, chiudendo le ante dell'armadio dopo aver lanciato dentro di esso ogni capo d'abbigliamento tirato fuori nel più completo disordine.

I due uscirono dalla camera di Alessia, per poi dirigersi in quella del moro. Stavolta la ragazza non si trattenne sulla soglia della porta, ma entrò dentro, chiudendosi l'uscio alle spalle e curiosando intorno. La stanza dell'infermiere era completamente diversa dagli altri locali della casa che aveva visto fino a quel momento: aveva una parvenza di disordine che la rendeva estremamente familiare, confortevole ed accogliente. A differenza delle altre, questa camera con il parquet di legno chiaro aveva mobili essenziali ma di un caldo castano aranciato, un letto con sopra una trapunta blu notte, varie foto di Emma ed Ivan insieme o di paesaggi luminosi ed ariosi appese alle pareti dipinte di azzurro chiaro e un tappeto intonato al colore dei mobili. Una scrivania in legno di mogano era posta davanti alla finestra che dava sul Lungarno, con tendine avana appese alle imposte dai vetri appannati per il contrasto tra il caldo secco degli interni con l'umidità esterna. Sul ripiano del tavolo stavano vari fogli, un computer portatile, un portapenne. E anche un portafoto a parete vuoto, senza vetro protettivo né foto. Un pouf di un bel rosso ciliegia se ne stava adagiata in un angolo della stanza. Sopra essa c'erano sistemati, nel più completo disordine, vari abiti maschili.

Ivan si affrettò a prendere un paio di boxer scuri tra essi e ficcarseli nell'ampia tasca dei comodi jeans larghi che indossava, con uno sguardo imbarazzato negli occhi nocciola.

"Perdonami il caos che regna nella stanza, ma non sono meticoloso e pignolo come Alessia" si scusò, frugando poi tra le maglie appese nel guardaroba dalle ante semiaperte.

"Non devi scusarti. Hai visto com'è la mia camera? E' anche più disordinata, di solito, per cui non credere che io sia abituata a tutto 'sto che di precisione" replicò Lidia con una risata leggera.

Ivan tirò fuori un maglione di cachemire color avorio, che poi porse alla ragazza mentre con una mano richiudeva le ante dell'armadio.

"Tieni. E' sottile, ma ti terrà al caldo. Ora vieni con me che ti mostro dove sta il bagno, così puoi farti la doccia."

Uscirono dalla camera e si diressero nel bagno, dove finalmente Ivan la lasciò sola, non prima di averle dato anche un ampio asciugamano e il phon. Una volta chiusa la porta a chiave, Lidia si guardò intorno alla ricerca del box doccia, tirando poi l'acqua per farla scaldare un pochino. Sentiva ancora freddo, perciò si affrettò a togliere tutti gli indumenti da sé, restando completamente nuda. Chiuse il getto della doccia ed entrò, insaponandosi con un docciaschiuma maschile, che sicuramente usava Ivan, e sciacquandosi sotto l'acqua tiepida, uscendo dopo cinque minuti. Si avvolse nell'asciugamano e prese il phon, asciugandosi subito i lunghi capelli mossi e poi l'intimo, che era ancora un po' bagnato e che lei doveva indossare nuovamente. Quindi si vestì con la gonna e il maglione, infilando i propri indumenti fradici dentro una busta di plastica. Si sentiva affondare nel pullover che le aveva prestato Ivan, era enorme. Eppure era anche felice di indossarlo, così poteva avvertire il suo profumo. Pulì il box doccia dei capelli che aveva perso mentre se li insaponava energicamente e rimise a posto ciò che aveva messo in disordine. Uscendo dal bagno, circa una mezz'oretta dopo, trovò davanti alla porta un paio di pantofole, che si infilò: le stavano piuttosto grandi. Guardandosi intorno, cercò la direzione della cucina, dove entrò.

Le si presentò una tenera scena domestica davanti agli occhi: Ivan, intento ad aiutare la figlia che cuoceva delle crêpes salate, teneva Emma al livello dei fornelli con un braccio mentre con l'altra mano le insegnava il modo di piegare il polso per dare una spinta decisa alla padella in modo da far saltare e riatterrare la crêpe dentro essa, cambiandole lato per cuocerla. Il suo intento riuscì e la bambina esclamò di gioia, ridacchiando divertita mentre si vantava di essere diventata una cuoca provetta.

In quel momento l'uomo, con un sorriso rilassato disegnato sulle labbra, alzò lo sguardo, accorgendosi che Lidia era entrata nella cucina e li osservava intenerita dal suo piccolo angolino. Le fece cenno di avvicinarsi, spegnendo poi il fornello e facendo scivolare la crêpe dalla padella in un piatto, dopo aver deposto a terra il corpicino della figlia. Gettò un'occhiata alla ragazza.

"Quella gonna ti dona molto, Lidia... s'intona con i tuoi occhi" osservò con semplicità, facendo arrossire la castana.

"E' vero! Ti sta benissimo!" affermò Emma correndo ad abbracciare la giovane, che la prese in braccio e le stampò un bacio di gratitudine sulla guancia paffuta.

"Grazie per il complimento, a tutti e due" rispose lei, avvicinandosi con la bambina ancora tra le braccia.

"E' pronta la cena" annunciò poi l'uomo quando ebbe terminato di preparare le crêpes salate.

Una volta seduti al tavolo del soggiorno, i tre mangiarono in un'atmosfera allegra e conviviale, ridendo e scherzando. Emma era felice: le sembrava di vivere in una famiglia ideale, un po' come quella della vecchia pubblicità della Mulino Bianco, anche se tecnicamente la sua vera madre era Alessia e non Lidia. Ma la ragazza con lei era gentile e premurosa e la bambina, di rimando, provava un affetto sincero nei suoi confronti, sapendo di aver trovato una persona in cui riporre la massima fiducia. Era felice dell'evidente amicizia che legava suo padre alla ragazza, perché ciò le permetteva di frequentarla assiduamente e di passare tempo con lei. La considerava un'amica.

La piccola morettina, dopo aver chiacchierato per tutta la cena con padre e ospite, cominciò a sbadigliare già intorno alle otto e mezza, dando segni di stanchezza subito prima di aver mangiato la sua porzione di macedonia. Crollò in un sonno beato e infrangibile prima che l'orologio avesse scoccato le nove.

"Poverina, oggi è stata una giornata movimentata. Ha bisogno di riposarsi" sussurrò Ivan a Lidia, prendendo in braccio la figlia per poi trasportarla nella sua cameretta, accompagnato dalla ragazza.

Lei se ne stava in silenzio per non svegliare Emma.

Una volta che la bambina fu sistemata sotto le coperte, che il padre le ebbe posato un bacio sulla fronte e rimboccato le coperte per bene, l'uomo spense la luce e chiuse la porta, tornando da Lidia, che l'aveva atteso all'ingresso della stanza. Lei gli rivolse un sorriso ironico che lui non riuscì a comprendere.

"Ti ricordi cosa mi avevi detto a Breuil-Cervinia, quella sera? 'Si dovrebbe lavare i denti, prima di andare a dormire'" lo imitò, ridacchiando. "Dov'è finita la tua ossessione per l'igiene?"

Anche il bruno si unì alla sua lieta risata.

"'Non succede nulla per una sera, l'importante è che domani mattina se li lavi'" recitò a memoria la sua replica, strappandole un sorriso. "Non sono l'unico ad essere fissato, evidentemente."

"Forse hai ragione" concesse lei, cingendogli il collo mentre l'uomo la legava a sé stringendole la vita.

Con un movimento improvviso la prese tra le braccia, sollevandola da terra e facendole lanciare un gridolino spaventato. Fu così che ritornarono nel salotto. Lui la adagiò su uno dei due divani in pelle chiara, sedendosi poi accanto a lei. Chiacchieravano tranquillamente fra loro, mentre le cingeva le spalle con un braccio per tenerla vicino a sé.

"Sai cosa mi ha detto mio fratello mentre lo riaccompagnavo a casa sua?" chiese ad un certo punto l'uomo, proponendo a Lidia di indovinare.

"Mmh, non so... cosa?" replicò la giovane, lasciandosi sprofondare ancor di più tra le braccia del bruno.

Teneva la testa posata sul suo petto, ascoltando il battito regolare e potente del suo cuore sano e forte. Inspirò con le narici il profumo della sua pelle, notando che nell'ultima doccia che si era fatto aveva usato lo stesso docciaschiuma di cui lei si era servita.

"Mi ha rimproverato di non avergli lasciato la macchina per riaccompagnarti a casa. Gli ho chiesto perché e lui mi ha risposto: 'Non sono affari tuoi!'. E allora gli ho detto che questa faccenda mi riguardava, dato che lui mi aveva redarguito così aspramente. Gianluca mi ha confessato che lo attrai. Mi ha anche detto come vi siete conosciuti. E poi mi ha spiegato che voleva accompagnarti a casa per poter conoscere il tuo indirizzo."

"Tuo fratello è un maniaco!" protestò animatamente la giovane, facendo una smorfia di ribrezzo. "Io non voglio neanche più vederlo e gliel'ho già detto che deve starmi alla larga, ma lui non si arrende proprio!"

"Mi ha confidato anche dei tuoi garbati rifiuti" sghignazzò l'uomo per pungolarla.

Le iridi azzurre di Lidia si ridussero a due sottili fessure da cui trasudava una collera malrepressa e turbolenta.

"Te l'ha detto che ha provato a mettermi le mani addosso, questo pomeriggio?"

Ivan, a quelle parole, cambiò radicalmente atteggiamento. Smise di ridere di colpo, assumendo un'espressione prima incredula e poi seria. Era accigliato.

"Che intendi dire? Che cosa ha fatto di preciso?" chiese con una voce di tono neutro, ma da cui trapelava tensione.

E anche un pizzico di gelosia. E molta, molta ira.

"Io sentivo freddo, mi ero bagnata tutta sotto la pioggia. Mi sono lasciata sfuggire un lamento su quanto mi sentissi gelare e lui ha capito che volevo che mi abbracciasse e che poi andasse oltre. Pensava ci stessi provando con lui. Allora ha mi ha posato una mano sulla gamba, ma l'ho respinto. Gli ho dato un ceffone, gli ho detto che era un depravato e poi me ne sono andata fuori. Avevo deciso di tornarmene a casa a piedi sotto la pioggia, ma lui mi ha raggiunta con l'ombrello e mi ha condotta a casa tua. Davvero non te l'ha detto?"

Lidia era incredula. Ivan sospirò, scuotendo la testa con rassegnazione.

"Gianluca è un ninfomane... in tre anni si sarà portato a letto metà delle ragazze del suo corso universitario. E anche un paio di allieve infermiere dell'ospedale presso cui lavoro" aggiunse con uno sbuffo di disapprovazione. "E' fatto così, non cambierà mai. Sicuramente avrà preso la tua frase per un invito a farsi avanti e ci ha provato. Lui vede doppisensi e inviti sessuali dappertutto."

L'uomo si portò entrambe le mani al volto, massaggiandosi le tempie.

"Ma non è tanto normale" replicò Lidia, lanciandogli uno sguardo scettico.

"Lo so, ma gente così ce n'è. E lui ha la fortuna di saper esercitare un certo fascino sul genere femminile... cadono tutte tra le sue braccia. A parte te. Devi essere un po' anormale se hai scelto me invece che lui" la punzecchiò, facendola scoppiare a ridere.

"Be', a giudicare bene, credo di aver preso il meno stravagante tra voi due. E il meno fissato col sesso."

"Tu dici?" le domandò Ivan, gettandole un'occhiata eloquente e arcuando un sopracciglio. "Non sai proprio cosa mi passa per la testa durante tutto il tempo che trascorro con te..."

"Almeno non lo esterni, come invece fa quel ninfomane di tuo fratello. Sei già più normale" ribatté la ragazza con un sorriso sarcastico.

L'uomo continuò a contemplare il suo volto, così radioso e così allegro. Lidia aveva un sorriso bellissimo.

"Comunque, dobbiamo trovare il modo di tenercelo alla larga, perché potrebbe portarci non pochi guai se dovesse scoprire qualcosa."

"Hai ragione, tesoro. Tuttavia, credo che mio fratello lo farà di sua spontanea volontà. Lui è un tipo che ci sa fare con le donne, ma, quando fallisce nel corteggiare una ragazza, le sta lontano come se fosse appestata, perché vederla, per lui, rappresenta il ricordo di una conquista non riuscita, troppo bruciante ed umiliante per il suo ego smisurato. Forse è per questo che non mi ha accennato a ciò che ha provato a fare con te" disse il moro con tono di voce così basso da parer quasi stare riflettendo da sé. "Comunque, Gianluca non ti si avvicinerà più in alcun modo, perché, se non sarà il suo orgoglio a trattenerlo, sarò io a riuscirci. Dopotutto, tu sei la figlia di una mia collega e mi sarà facile convincerlo a desistere dal provarci nuovamente con te, perché se dovesse farlo ancora potrei dargli una bella lezione per fargli capire l'antifona. Sara sa che, se ce ne vogliono, due schiaffi non li risparmio a nessuno. O anche due pugni. E sono suo fratello maggiore, quindi ho il dovere di rimetterlo in riga quando combina qualcosa che non dovrebbe."

"Oh, che cavaliere coraggioso, che paladino della giustizia, che protettore del gentil sesso!" lo prese in giro la ragazza, adottando un tono di voce enfatico e una gestualità molto teatrale.

"Hai finito di sfottere?" ribatté l'uomo, levando un sopracciglio con aria seccata.

"Vabbé, scherzavo" si difese lei ridacchiando.

"Ti sta bene quel colore" disse ad un tratto Ivan, lasciando spiazzata la ragazza.

"Di che cavolo parli?"

"Della maglia che indossi. Ti... ti dona molto. L'avorio fa risaltare il colore roseo e delicato della tua pelle. Sembri una pesca."

"Grazie, vuoi dire che sono tonda come quel frutto?"

"No! No... volevo dire, cioé... Be', la tua carnagione ha la tonalità chiara e sfumata della superficie di una pesca. E anche quella morbidezza" aggiuse successivamente, carezzandole con le dita uno zigomo.

Lidia arrossì, spostando lo sguardo sul tavolino, piacevolmente lusingata da quel complimento balbettante.

"Grazie" mormorò semplicemente, posando la testa nell'incavo del suo collo.

Contro la fronte avvertiva la pressione leggera del suo pomo d'Adamo.

"E di cosa... è vero."

Ivan posò un bacio tra i suoi capelli, inspirandone il profumo. Cambiò espressione drasticamente, strabuzzando gli occhi per la meraviglia e lo sconcerto.

"Ma tu hai... hai usato il mio docciaschiuma?" farfugliò confuso.

La ragazza annuì tranquilla.

"Il tuo profumo mi piace tanto" sussurrò contro la sua pelle ruvida e pungente per i peli del petto. "Mi regali questa tua maglia che indosso ora? Riesco a sentire la tua essenza, se la annuso a fondo. E' un po' come averti sempre accanto a me, anche se fisicamente non sei lì. Posso?" lo pregò, levando su di lui un dolce sguardo supplichevole.

"Ma certo" concesse lui con un sorriso. "E poi questo colore ti sta bene, per cui sono felice di vedertelo indosso."

Quell'atmosfera rilassata e così dolcemente intima fu bruscamente interrotta dalla suoneria metallara di un telefono, che li catapultò nuovamente nella triste realtà in cui loro due erano amanti, costretti a vivere insieme solo qualche momento fugace rubato al tempo. Lidia sobbalzò visibilmente, poi si alzò dal sofà sospirando, per andare a prendere il suo Samsung e rispondere alla chiamata.

Ivan sentì solo poche parole, ma gli bastarono per capire che i genitori della giovane si stavano ormai chiedendo perché lei non fosse ancora a casa.

"Emma ha insistito perché io restassi con lei un altro po'... è da tanto che non mi rivedeva e voleva trascorrere più tempo possibile con me. Sì, ok, mi faccio riaccompagnare. Che ore sono? ...Le dieci e un quarto?! Ok, arrivo. Ciao, mamma! A fra poco, ciao."

Lidia gettò il cellulare con violenza dentro la borsa, sbuffando inviperita e rattristata. Si voltò, dirigendosi verso il sofà su cui era seduto Ivan e buttandosi a peso morto su di esso, incurante di appoggiarsi pure sulle gambe dell'uomo. Affondò il volto tra le braccia allungate sul tessuto in pelle del divano.

"Non voglio tornare a casa!" gemette con tono di protesta e di delusione.

"Ma devi. Su, ti accompagno" decretò l'infermiere con rassegnazione.

"Ma io voglio stare qui" insistette lei infantilmente.

Allora Ivan allungò la mano verso il suo posteriore, che gravava sulle sue cosce, dandole una scherzosa pacca non troppo delicata sui suoi glutei. A quel contatto Lidia sussultò per la sorpresa.

Voltò di scatto la testa, posando su di lui due occhi lampeggianti di disappunto.

"Ivan!"

"Dài, muoviamoci!" la incitò con una risata che malcelava la tristezza nella sua voce.

"Ok" concesse infine la ragazza, levandosi in piedi e afferrando la sua tracolla e la busta di plastica in cui aveva sistemato i suoi vestiti bagnati dall'acquazzone.

Si rimise le scarpe, che ormai erano asciutte, mettendo a posto le ciabatte che le erano state prestate, scoprendo che appartenevano ad Ivan. L'uomo aveva un quarantacinque di scarpe.

"Sei una specie di Big Foot" lo prese in giro lei.

"Più o meno. Ma neanche tu non scherzi, eh. Avrai sì e no un quaranta."

"Un quarantuno, per la precisione."

"Wow, che fette di piedi."

"Ma va a quel bel paese laggiù! Tu che dovresti dire, allora, dei tuoi piedi?" e la ragazza rise.

Una volta usciti fuori della casa, i due si accorsero che aveva smesso di piovere da poco. L'aria era fredda e densa di umidità gelida, ma Lidia non poteva lamentarsi perché il maglione che Ivan le aveva regalato la teneva al caldo. Notò l'auto nuova di Ivan, una Fiat 500 nuova di zecca color azzurro plumbeo.

"Tu, oltre che con l'igiene e le riflessioni sul sesso, sei fissato pure con le Fiat!" commentò la castana, facendo scoppiare a ridere l'uomo che entrava nella vettura.

"Che fai, Lidia, ti metti a contare le mie ossessioni?"

"Diciamo che ci sto lavorando su."

Dopo dieci minuti di macchina, essa fu parcheggiata ad un centinaio di metri dalla casa della famiglia Draghi. I due si scambiarono un bacio appassionato e pieno di amarezza, dovendosi separare di lì a poco.

"Vorrei poterti dare il bacio della buonanotte senza doverci nascondere da certa gente" borbottò Lidia.

Era infelice per quella situazione.

"Ci sarebbe una soluzione, ma so che non l'accetteresti mai" propose Ivan.

"Alt. Non pensarlo neanche. Sai che sono contraria. Parlare con i miei genitori della nostra relazione sarebbe la cosa peggiore che potresti fare. Ci proibirebbero di vederci, tu ed io rovineremmo i rapporti con quegli scassapalle di mamma e papà e l'intera faccenda ti procurerà soltanto un sacco di grane. E' meglio lasciare la situazione invariata, così com'è."

"Hai ragione" concordò l'uomo senza eccessiva convinzione. "Però il problema resta."

"Troveremo una soluzione alternativa, Ivan. Lascia passare il tempo... forse questa ci pervenirà in questo modo."

"D'accordo. Buonanotte, tesoro."

E Ivan baciò la ragazza per un'ultima volta, prima di riaccendere il motore della Fiat 500 e accostare il veicolo vicino al marciapiede davanti all'abitazione di Lidia, facendola uscire dall'abitacolo. Salutò con un cenno la figura di Sara che attendeva la figlia sulla soglia dell'ingresso, incerto di essere visto, poi ripartì, tornandosene alla propria casa che ora gli sembrava più triste e vuota che mai.

 

***
 

"Lidia! Come è andata a casa di Ivan e Alessia? Non hai disturbato troppo, spero!" la assalì subito la madre, prima ancora di essere effettivamente entrata nella propria casa.

La figlia della donna annuì distrattamente, seguendo con lo sguardo l'auto di Ivan che si allontanava. Un moto di tristezza le attanagliò il cuore nella sua morsa crudele, minacciandola di farle salire le lacrime agli occhi. Tuttavia la ragazza vinse la sua breve lotta interiore con le sue emozioni, fingendosi imperturbata.

"Perché indossi una gonna, figliola?" domandò suo padre, squadrandola da capo a piedi con occhio attento. "E anche una maglia di Ivan, o sbaglio?"

"Sì, papà... me l'ha prestata perché sentivo freddo e i miei abiti erano completamente bagnati. Alessia mi ha prestato una sua gonna, invece. Glieli restituisco appena possibile, tranquillo" rispose al momento, inventandosi il dettaglio della presenza della moglie dell'infermiere a casa sua.

Avrebbe comunicato con un sms più tardi all'uomo che era stata costretta a mentire per non rivelare che quella fottutissima gonna gliel'aveva data lui e non Alessia. Altrimenti Domenico avrebbe potuto anche sospettare qualcosa e porle domande invadenti.

"Vado in camera mia" aggiunse poi la ragazza, entrando con la madre nella casa e chiudendosi il portone alle spalle.

Salendo le scale, riuscì a captare una frase del padre rivolta alla moglie. Una frase che non le piacque per niente.

"Lidia trascorre decisamente troppo tempo con Ivan, ultimamente. Dobbiamo cominciare a limitare tutti questi incontri, Sara. Non vorrei che il tuo collega possa stabilire un legame troppo amichevole od intimo con mia figlia."

La castana non udì la risposta della madre, ma s'immaginò che sarebbe stata accondiscendente come al solito. Si sentì montare una collera impotente per quel nuovo ostacolo alla sua relazione segreta con l'infermiere, ma si promise con ferrea determinazione che non avrebbe permesso a niente e nessuno di impedire loro di frequentarsi. Anche a costo di farsi scoprire.

Giunta in camera, Lidia salutò frettolosamente la sorella Eva, che ne se stava seduta alla scrivania a chattare su Facebook per mezzo del suo pc. Gettando busta di plastica e tracolla sul tappeto, la diciottenne si lanciò sul proprio letto, rannicchiandosi in posizione fetale per sonnecchiare un po', tant'era esausta. L'ultima cosa che fece prima di addormentarsi fu di inspirare a fondo l'odore di Ivan di cui la maglia di cachemire che indossava profumava intensamente.
 

***


N.d.A.
Salve a tutti! :D
Ecco, non ho molto da dire, a parte sperare che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi intrighi ancora così come all'inizio!
Poi, vorrei ringraziare chi ha recensito, ossia controcorrente, hi_guys e Daisy90! Grazie mille anche a chi legge e segue la storia!
Comunque, ora mi dileguo, perché altrimenti farò tardi a scuola!
Alla prossima, e buona giornata ;D


Flame
  
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