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Autore: AlexEinfall    19/09/2014    3 recensioni
Quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità, quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di bontà, quando è il cacciatore a divenire preda, chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in solitudine.
Dal testo
Sangue. Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma? Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scintille


Il dubbio e l'orrore sconvolgono
i suoi pensieri turbati, e dal profondo in lui
si agita l'inferno, ché egli si porta l'inferno
dentro di sé ed attorno, e non si può staccare
dall'inferno o da sé di un solo passo, fuggire
mutando luogo.
John Milton



  Rossi è in piedi davanti al tabellone. Le foto significative delle scene del crimine sono state appese, corredate di didascalie sintetiche. Qualcuno ha scritto degli appunti, forse Morgan. Non riesce a staccare gli occhi da quei visi, dall'ingrandimento di quei segni sulla fronte, proprio al centro. Dovrebbero dirgli qualcosa, ma non ne è certo.
  «A cosa pensi, Rossi?» chiede Prentiss, fiancheggiandolo.
  L'italiano si volta verso i colleghi, che aspettano interrogativi. «Stavo riflettendo: e se i numeri fossero importanti per il SI? Guardate bene: il numero è stato inciso esattamente nel mezzo della fronte, con precisione.»
  «Possono essere solo un messaggio intimidatorio» ricorda JJ.
  «Ma perché proprio questo numero? Il tre, il sette e il nove possono essere collegati alla numerologia cristiana.» Rossi punta lo sguardo nel vuoto per un attimo, poi torna ai suoi colleghi. «Cosa rappresenta il cinque?»
  «I cinque sensi» ipotizza Prentiss. «Oppure i cinque elementi.»
  Rossi riflette e scuote la testa.
  Hotch solleva lo sguardo sul tabellone. «I cinque stadi del dolore.»
  La squadra si volta a guardarlo, annuendo implicitamente.
  «Avrebbe senso. Ritorce la sua sofferenza verso chi ne è sfuggito» dice Rossi. «È anche un modo per esorcizzarla: alla fine della sua opera, si attende di non soffrire più.»
  Prentiss si dirige all'uscita.
  «Dove vai?»
  La mora guarda l'orologio al polso. «Tra non molto arriveranno i genitori di Jordan, magari conoscono chi ha contattato la figlia.»
  «Porta JJ con te» dice Hotch.
  «Dovevo andarci con Morgan...Ma dov'è?»
  «Ha insistito per andare a trovare Reid.»
  Le ragazze si scambiano uno sguardo eloquente e annuiscono. Ultimamente hanno notato che tra i due agenti c'è qualcosa, come un non detto sospeso che ne sta incrinando i rapporti. Ma sono fiduciose che quei due testoni riusciranno a tornare gli amici improbabili che sono sempre stati.


  «Reid, avanti, apri questa porta?»
  Morgan comincia davvero a spazientirsi. Un anziano vicino si affaccia curioso sul pianerottolo e, intimidito dalla stazza dell'agente, decide saggiamente di rientrare in casa borbottando.
  «Ragazzino, posso sfondare la porta» urla, dando un'altra poderosa manata al legno.
  Sta sul serio prendendo in considerazione l'idea di scardinare l'uscio, quando sente una chiave girare e la porta si apre di uno spiraglio. Ma il viso che compare non è certo ciò che si aspettava. Un ragazzo moro fa capolino e lo osserva con calma. Morgan si acciglia e spinge la porta, costringendo l'altro a indietreggiare e lasciarlo entrare. Si guarda attorno, ma non vede segni di lotta, o di Reid.
  «Chi diavolo sei?» sputa fuori.
  L'altro sorride e incrocia le braccia al petto, accennando alla mano dell'agente che si è istintivamente posata sul calcio della pistola. «Non sono io quello armato che ha fatto irruzione. Dovresti dirlo tu a me.»
  «Dov'è Reid?» ringhia l'agente.
  «Spencer? Uhm.» Finge di riflettere, grattandosi il mento puntigliato dei primi segni di barba incolta. «Spiacente, non è in casa al momento. Gli direi che sei passato, ma non ti sei presentato. Sai, dire è passato un tizio nero potrebbe risultare un po'...razzista.»
  Derek è sul punto di tirare fuori l'arma e mettersi a sparare, perché qualcosa nell'atteggiamento di quel ragazzo lo innervosisce. E poi chi diavolo è? E...quella camicia...
  «Hai indosso gli indumenti di Spencer» dice lentamente. «Se gli hai fatto del male..»
  «Buono, amico» dice il ragazzo, prendendo un biscotto e sedendosi sul tavolo. Prende a sgranocchiarlo, dondolando le gambe nel vuoto. «Io non gli ho fatto nulla.» Poi sorride in modo malizioso. «Nulla che lui non volesse.»
  A quel punto Morgan non ci vede più: estrae la pistola e gliela punta al cuore. L'altro non sembra minimamente turbato.
  «Lo sapevo!» esclama il ragazzo, battendo le mani. «Devi essere Derek Morgan. Spencer mi ha parlato di te, solo tu potresti reagire così.» Indica la pistola e si passa il dorso della mano sulle labbra, ripulendole. «Poi mi hai puntato la pistola al cuore, non alla testa. Perché è lì che ti senti ferito, o sbaglio?»
  Incosciamente, Derek abbassa la pistola fino a puntarla al suolo, i nervi tesi.
  «Comunque, io sono Daniel» dice il ragazzo, scendendo dal tavolo e porgendogli la mano. Quando l'altro non risponde al saluto, lui scrolla le spalle e si dirige alla porta, aprendola. «Ora, ti pregherei di andartene. Stai compiendo un'effrazione, senza considerare il tentanto...uhm...omicidio, o forse è solo minaccia. Bhe, non importa.»
  Derek lo fronteggia e non gli stacca un attimo gli occhi di dosso. Quelli di Daniel sono freddi come stalattiti e altrettanto pungenti. Non rispondono minimamente all'intimidazione. Morgan potrebbe giurare su sua madre che quel tipo non vincerebbe mai un premio per la sanità mentale.
  «Spencer è fuori per delle commissioni. È in farmacia a prendere delle compresse. Brutta febbre» dice senza mostrare esitazione. «Gli dirò che sei passato.»
  Derek esce e sull'uscio si volta, senza riuscire più a guardarlo dritto negli occhi. Ciò che sta per chiedergli lo ferisce troppo. «Tu sei suo amico?»
  Daniel sorride, tirando le labbra sottili e rosee. «Diciamo così.»
  Poi il suo volto scompare dietro la porta, che si richiude con un suono secco, lasciando Derek solo sul pianerottolo vuoto, con i suoi demoni e i suoi dubbi.
  Spencer, perché non me lo hai detto?

  Sale sul SUV e infila le chiavi, ma prima di girarle esita. Con le mani sul volante, guarda l'edificio dall'altra parte della strada. Passano venti minuti prima che Morgan cominci a pensare di star esagerando, che in fondo non sono affari suoi. In questi venti minuti cerca di convincersi che tutto vada bene. Spencer è malato e un suo amico lo sta aiutando.
  Amico...
  No, non è un amico. Quel Daniel è qualcosa di più. Derek lo sente, lo sa. Non riesce a capacitarsene. C'erano segni premonitori?
  Spencer omosessuale.
  Il solo pensiero del ragazzino intento in una relazione amorosa è bizzarro, ma addirittura con un uomo...per Derek è troppo. In fondo, però, ha sempre saputo che il dottore non è tipo da guardare a queste sottigliezze. Uomini e donne sono interessanti a pari passo con la loro mente, direbbe Spencer, drizzando la schiena e inarcando le sopracciglia.
  Volge lo sguardo oltre il finestrino e qualcosa attira la sua attenzione. Una figura, nel crepuscolo, cammina lievemente china, trascinando le gambe come fossero troppo pesanti. Sulla spalla la tracolla e in una mano una busta. Una strana sensazione pervade Derek, un calore intenso al petto e alla testa.
  Afferra il cellulare e compone il numero di Reid. Pochi istanti dopo, il dottore si ferma davanti al portone. China la testa verso la mano che stringe il telefono.
 Avanti, rispondi.
 «Hei.»
  Hei?!
 «Ragazzino, che fine hai fatto?» Deve sforzarsi per non perdere la calma.
 «Ehm...sono...» Tossisce rumorosamente. «Sono ancora abbastanza debole.»
 «Tutto bene? Se vuoi ti raggiungo e parliamo.»
  «No» dice troppo in fretta. Derek lo vede irrigidirsi. «Non serve. Va tutto bene.»
  Vorrebbe scendere dall'auto e corrergli dietro, prenderlo per la camicia e sbattergli in faccia la sua sfacciataggine, ma si limita a chiudere la chiamata. Spencer esita ancora sulla porta, poi entra e sparisce.
  Per Derek il caso è chiuso. Nella sua mente le parole dette ad Atlanta: non sono una tua responsabilità.

  Derek entra nella sala riunioni con i pugni ancora serrati. Rossi solleva lo sguardo, attirato da quell'aria di negatività.
  «Come sta Reid?»
  L'agente apre il fascicolo e risponde noncurante. «Ancora malato.»
  «Uhm...» L'italiano poggia la schiena alla poltroncina e congiunge le mani sotto il mento.
  «Che c'è? Non è un bambino!»
  «Ascolta, Morgan, qualunque cosa sia successa dovreste-»
  «Chiarire, lo so. Mi è bastata la ramanzina di Hotch. Ora, per favore, vorrei tornare al caso e non perdere altro tempo.»
  Rossi scrolla le spalle e lancia al ragazzo un mazzo di fogli. «Sono gli ultimi messaggi telefonici delle due vittime, gentilmente hackerati da Penelope. Io ho Madison Lorenz, tu Jordan Norris. Bisogna leggerli tutti.»
  Morgan sfoglia velocemente il plico e solleva un sopracciglio.
  «Volevi lavorare, no?»


  «Senti questo» dice Morgan cerchiando uno scambio di messaggi. «Ore otto e ventidue, venti febbraio.»
  «Il giorno prima della partenza.»
  L'agente annuisce. «Julia scrive: Devi proprio andarci? E Jordan: Mi ha detto che è importante. Ancora Julia: Ancora O.? Dovresti dimenticarti di quel pazzo.»
  «Parla di Owen. Forse è così che il SI è riuscita a convincerla: in cambio di informazioni.»
  «È quello che credo anche io, in fondo Jordan era facilmente raggirabile.»
  «E il SI ha sfruttato questa sua debolezza.»
  «C'è un'altra cosa» dice Morgan, foglio alla mano. «Qualche messaggio dopo Jordan fa riferimento a un certo dottor R.»
  «Curioso» mormora Rossi, sfogliando le pagine alla ricerca di qualcosa che aveva visto, ma al quale non aveva dato importanza. «Anche Madison ne parla ad un'amica...eccolo: Il dottor R. mi sembra un tipo a posto, magari questo finanziamento va' bene. Ancora una volta il SI ha proposto alla vittima qualcosa di interessante.»
  «Jordan aveva un diario elettronico. Probabilmente avrà scritto di questo dottor R.»
  Morgan preme l'interfono, ma nessuno risponde. Dopo meno di due minuti, nella sala entra Penelope Garcia, imbracciando la sua apparecchiatura portatile e sistemandosi al tavolo rotondo, sotto gli occhi interrogativi dei colleghi.
  «Per una volta che ci capita un caso a Washigton, voglio entrare nella mischia, miei maschioni» dice accendendo il pc. «In cosa posso esservi utile.»
  Rossi guarda eloquente Morgan. «Hai il diario elettronico di Jordan Norris?»
  «Vergognosamente crackato e copiato nei miei file, signore.» Smanetta coi tasti. «Ancora non l'ho spulciato, ci vorrà un po'.»
  «Puoi cercare se cita un certo dottor R.?»
  Penelope si mette al lavoro e dopo poco ottiene un risultato. «Eccolo! Dunque...l'unica volta che ne parla dice: il dottor R ha insistito perché non rivelassi il suo nome a nessuno, proprio nessuno. Dice che ci sono persone in grado di rintracciarlo nei miei messaggi e col mio computer. Mi mette un po' paura essere spiata. Lui dice che ciò che ha da dirmi è della massima segretezza e che in molti non vogliono che si sappia. Dice che dell'FBI non ci si può fidare, che non hanno fatto il possibile per salvare Owen. Mi ha detto di chiamarlo dottor R e poi ha riso. Mi fido di lui perché so che poteva capire Owen.» Penelope si interrompe e fa una smorfia. «Agghiacciante.»
  «È il nostro uomo» dice Rossi guardando il collega.
  «Bambolina, cerca tutti i dottor R dell'area di Washigton, e incrocia i dati con i tesserati della biblioteca Arcana.»
  «Un po' vago, ma ci provo.»
  «Restringi il campo a uomini tra i venticinque e i trenta anni, e includi solo quelli con laurea in medicina» suggerisce Rossi.
  «Oh, siamo a...zero.»
  «Così non va» dice Morgan, scuotendo il capo. «Il nostro uomo non può essere un vero medico.»
  «Ma ha sicuramente studiato medicina o affini.»
  «Cerco tra gli studenti» si affretta Garcia.
  «Considera anche studenti espulsi. Concentrati su persone non sposate, che magari hanno avuto problemi disciplinari e reati minori in giovane età.»
  «Bingo: ho dieci nomi. Per vostra fortuna la biblioteca non è vicina al campus.»
  «Stampa la lista.» Morgan si alza di scatto. «Chiamo Hotch.»


  Spencer misura la stanza a grossi passi, stropicciandosi il viso e i capelli.
  «Perché ti agiti tanto?» gli chiede Daniel, portandosi la bottiglia di birra alle labbra.
  Il dottore si ferma in mezzo alla stanza e apre le braccia. «Perché? Tu non lo conosci, Derek potrebbe scoprire tutto. Lui-»
  «Scoprire tutto?» Daniel solleva un sopracciglio. «Tutto cosa? Che sei un assassino? Probabile. Sai che a me non importa e sai che non è colpa tua.»
  Spencer si blocca come attraversato da una potente scarica. «Non è colpa mia? Ho ucciso due donne. La dissociazione non è una scusante valida, tanto meno in tribunale.»
  «Non mentire a te stesso. Tu non temi il tribunale, tranne quello della tua mente.» lo rimprovera Daniel, accigliandosi. « E poi ci sono loro, la squadra» aggiunge sarcastico.
  Ma il ragazzo non sembra dargli retta. Si ferma davanti al salotto, passando in rassegna con lo sguardo i suoi amati libri.
  «Dobbiamo andarcene.» La sua voce è calma e distaccata, improvvisamente stanca. «Dobbiamo fuggire.»
  Non si rende realmente conto della portata di ciò che sta dicendo, o della situazione. Sente solo l'impellente e istintuale bisogno di combattere o fuggire. Scappare lontano, lasciarsi tutto alle spalle. Derek, il BAU, gli omicidi. Spera che i suoi demoni restino alle spalle, insieme al suo cuore.
  «So io cosa ti serve» mormora Daniel alle sue spalle. Gli cinge la vita e gli respira sulla nuca, provocandogli un lungo brivido. Non sa come sia possibile, ma in quel ragazzo e nella sua mente c'è qualcosa di unico, eccezionale e non quantificabile che ha il potere di sciogliere le sue resistenze.
  «Solo un'altra volta» dice Spencer, mentre davanti agli occhi lampeggia l'immagine della boccetta trasparente e dell'ago sottilissimo.
  «Bravo. L'ultima scintilla prima della fine.»

 Sono tutti intenti a sfogliare la lista dei nomi forniti da Garcia e a indagare nelle vite di quei dieci ragazzi, quando sotto le mani di Morgan capita un fascicolo che lo raggela. Dalle labbra scivola un grugnito soffocato, un'esclamazione molto simile al rantolio di sofferenza di un animale colpito a morte, che cerca ancora di mordere e uccidere. La squadra si volta a guardarlo interrogativa, mentre l'intuizione diviene certezza nella mente dell'agente. Salta dalla sedia e urla: «È lui, diamine, è lui!»
  «Morgan, di chi parli?» chiede Prentiss, preoccupata più che incuriosita.
  «Quel fottuto bastardo, ce l'avevo sotto le ma-» Poi la rabbia lascia il posto al terrore. «Dobbiamo andare da Reid, subito.»
  «Morgan, calmati» gli impone Hotch, alzandosi. «Spiegati.»
  Le parole scivolano via veloci. «Penelope, hai una foto di Daniel Roland?»
  Garcia resta un attimo inebetita, poi carica la foto sullo schermo della sala. Morgan impallidisce, prima che il calore gli si diffonda ovunque, bruciandolo.
  «Quando sono andato da Reid, lui era lì» urla indicando lo schermo. «Quello...stronzo era lì e si prendeva gioco di me!»
  «Aspetta un attimo» lo interrompe JJ, la voce incrinata. «Reid stava bene? Lo hai visto?»
  «No. Cioè sì, più o meno. L'ho visto rientrare a casa.»
  «Garcia, l'indirizzo. Subito» ringhia Hotch, mentre Penelope digita furiosamente. «JJ e Rossi, alla casa del sospettato. Morgan, Prentiss, noi andiamo da Reid. Chiamate rinforzi e non perdete la calma.»
  Ma tutti, nella sala, schizzando via dalle sedie, sanno che calma è la parola meno appropriata alla situazione. Reid è in pericolo e nessuno di loro vuole tornare a casa senza di lui, sano e salvo.





Note: Ragazze che mi seguite, non finirò mai di ringraziarvi.
Alla prossima.
Ax.
  
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