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Autore: fiorinatinelcemento    19/09/2014    1 recensioni
Riley Coleman è una ragazza inglese ritrovatasi in Australia all'inizio del 2013 a causa del lavoro del padre, psicologo in una clinica di recupero per persone drogate o alcolizzate. Qui, il padre intreccerà una relazione con una donna in cura, Jenna, che nella loro vita porterà il figlio adolescente, Ashton. Quando Jenna andrà via lasciando un vuoto nella vita del figlio e del compagno, Riley si ritroverà a mettere da parte il cinismo che la caratterizza e a provare ad essere da sostegno per i membri della sua inusuale famiglia. Ignara di come una cosa del genere, per la prima volta, scuota Ashton dalla sua perenne chiusura emotiva, si ritrova in qualcosa più grande di lei, mentre nella sua vita entrerà silenziosamente un'altro ragazzo, Luke.
Lei si ritroverà in mezzo ai due, ma questa storia non è una favola a lieto fine. Qui si racconta di diversi modi di amare, di sentimenti provati per la prima volta, di come si impari a lasciare andare, delle volte. E' così che si racconta la vita, è così che va, a volte.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 4.
Can you stay here tonight?                                                                 (13 Dicembre 2013)

Ashton’s point of view.


Nel momento in cui Riley era scesa mi ero alzato dal divano, rivolgendole un enorme sorriso. Vestita in quel modo era ancora più bella, quel pensiero nella mia mente mi sorprese terribilmente nonostante non fosse la prima volta che si faceva vivo.

“Stai benissimo.” Mi limitai a dire.
Lei arrossì di botto ma tentò di nascondere l’insolito colorito sulle sue guance. Riley Coleman che arrossiva? Quello sì che era un evento alquanto stravagante.
Il suo sorriso mi fece capire che mi stava tacitamente ringraziando. Anche lei, come il padre, non era una dai gesti troppo eclatanti.
“Andiamo.”
La mia mano si poggiò al centro della sua schiena, facendovi una leggera pressione per fare in modo che lei muovesse qualche passo avanti. Uscimmo di casa, incamminandoci verso la spiaggia.

Luke’s point of view.
Quella sera ci sarebbe stata una festa a Watson’s Bay. Lo sapevo perché tutta la scuola ne parlava, come in quegli squallidi film ambientati nei licei americani in cui le cheerleader a malapena si coprivano il sedere. La nostra scuola era uguale: sbruffoni pieni di steroidi, cheerleader coperte il minimo indispensabile. Ingiustizie e squallore ovunque.

Comunque, nonostante la mia evidente avversione a quell’ambiente, non mi sarei mai perso l’occasione di fare un po’ di casino. Tutti sapevano che il mio hobby preferito era attaccare briga con con quelle sottospecie di Barbie e Ken che popolavano la scuola, esseri inutili nati solo per portare avanti le generazioni d’èlite che rovinavano Watson’s Bay. Il posto più bello di Sydney rovinato dalla presenza di stupidi figli di papà, ad eccezione di qualcuno. Riley Coleman, ad esempio. Lei e suo fratello Ashton non sembravano appartenere a quel genere di persone, anzi. Pensare a quella ragazzina cocciuta mi fece sorridere, non la facevo una capace di fare a botte con uno più grande.

Uscito dalla doccia, andai in camera con solo un asciugamano in vita. I miei capelli biondi non erano più issati in su per via del gel, bensì bassi sulla fronte. Giocai con il labret mentre decidevo cosa mettere, optando poi per qualcosa di semplice. Prima infilai un paio di boxer neri, poi dei jeans scuri aderenti e per niente pesanti, infine una maglia dei Misfits con le maniche tagliate e che lasciava intravedere molta della pelle del mio petto lateralmente, oltre che le braccia. Infilai le converse bianche e aggiustai i capelli con il solo aiuto delle mani, senza gel o cera. Camminai velocemente attraverso la stanza e scesi giù, presi poi il telefono e le chiavi all’entrata e uscii.

La spiaggia di Watson’s Bay era decorata in modo stupefacente. Gli innumerevoli gazebo di paglia erano ornati da lampade di carta gialle, sotto questi vi erano i teli da mare delle persone che si erano già accomodate. Quei posti erano già stati occupati, andando ad un centinaio di metri da lì vi erano le zone falò intorno a cui si riunivano gruppi di giovani aspiranti cantanti. Al centro di quel tumulto di persone e luci, una grossa postazione DJ trasmetteva gli ultimi brani da discoteca dettati dalla playlist di iTunes. La cosa bella di Watson’s Bay era che organizzare una festa era tremendamente facile. Bastavano alcolici, qualcuno che portasse gli impianti stereo e il gioco era fatto.

Da lontano vidi la figura di qualcuno che conoscevo, la presenza di un’ulteriore figura maschile mi confermò che i capelli rosso fuoco appartenevano proprio alla persona a cui stavo pensando. Riley Coleman mi aveva sorpreso di nuovo: non avrei mai pensato che si sarebbe gettata in mezzo agli squali così. Li seguii brevemente con gli occhi, speravo che non si cacciasse di nuovo nei guai.


Riley’s point of view.

Erano già passate due ore. Alle dieci e mezza di venerdì sera si respiravano solo fumi stupefacenti e odore di alcol, misti al profumo della legna che bruciava nei falò. Ashton si era allontanato momentaneamente per riempire nuovamente i nostri bicchieri. Finora avevamo bevuto qualche birra a testa e fatto qualche tiro, sebbene non fossi completamente andata ero sicuramente più esuberante del solito.
 Un tipo mi si avvicinò all’apparenza timidamente, mentre alla console mandavano una qualche canzone straniera, spagnola presumo. Mi era venuta voglia di ballare, ma mi ci voleva ancora qualche bicchiere per sciogliermi davvero. Scoprii che era molto carino. Alto, occhi chiari ma di un colore che esattamente non distinguevo. I capelli erano castani con qualche ciuffo più chiaro dovuto al sole, la pelle era da tipico australiano, abbronzata. Si sedette senza troppi complimenti.

“Salve.”  Mi rivolse un sorriso amichevole.
“Ciao.” Cercai di essere cordiale, anche se non ero il tipo che dava subito confidenza.
“Balli con me?”
Mi voltai di scatto verso di lui, la mia bocca era una piccola ‘o’ per la sorpresa.
 
“Nemmeno ti conosco, potresti essere un serial killer.” Dissi io con poco imbarazzo.
L’alcol abbassava pericolosamente la mia soglia di razionalità. Dopo aver bevuto ero capace di dire in faccia ad una persona che non la sopportavo, o far cose peggiori.

Lui rise di gusto, intravidi la sua dentatura perfetta. In qualche modo quella risata contagiò anche me.
“Mi hai scoperto, rossa.” Assunse un’aria fintamente colpevole che mi fece scappare un sorriso. Mi ero imposta di rilassarmi almeno per una sera, lo avrei fatto e basta. Anche Ashton lo stava facendo, lo vidi mentre si era fermato a parlare con alcuni ragazzi poco più in là.
“Andiamo.” Afferrai la mano dello sconosciuto e mi alzai, trascinandolo con me. Il fatto che sapessi poco di lui mi affascinava, rendeva tutto più eccitante. Lui non obiettò, anzi rise quando ci trovammo  in un punto leggermente lontano dalla pista da ballo improvvisata, un punto meno illuminato e meno popolato, per così dire. Mi aveva dato l’impressione di avere un’aria familiare, ma poco importava, volevo solo non pensare troppo. Mi afferrò i fianchi e mi avvicinò di più a sè, un incentivo per farmi muovere di più. Seguii la musica, lasciandomi andare e ondeggiando contro di lui. Mi sentivo leggera, non feci quasi caso al fatto che il suo naso mi stesse sfiorando il collo in modo tutt’altro che innocente, mentre le sue dita premevano leggermente contro la vita alta dei miei pantaloncini. Il tocco presente sul mio collo cambiò improvvisamente, segno che sulla mia pelle si erano ora poggiate delle labbra. Lo sentii mordere leggermente la pelle proprio sotto il mio orecchio destro,lasciando che si formasse un grosso segno violaceo. L’alcol iniziava a farmi girare leggermente la testa e a rendermi iperattiva, poco padrona di me stessa, per cui non avevo la forza di fermarlo. Spostò il kimono dalla mia spalla e con dei baci percorse il mio collo mentre io continuavo a seguire la musica, persa nel mio mondo da persona incapace di decidere per sé, anche incosciente parlando adesso, da sobria. Solo riaprendo gli occhi mi accorsi che li avevo tenuti chiusi per tutto quel tempo, mentre le labbra dello sconosciuto si spostavano ora verso la scollatura della maglietta, non molto profonda. Non tardai a spostarmi, ma mi accorsi che in effetti ci eravamo allontanati parecchio dalla folla, mentre alcune casse seminate in giro la disperdevano le onde sonore fino ai limiti di quello che sembrava un cerchio.


“Me ne voglio andare.” Dissi io di malavoglia.
Il mio corpo iniziava a sentirsi stanco, assopito, volevo solo dormire. Lui mi afferrò con troppa forza, quasi mi lasciò le impronte delle sue dita sul braccio.
“Dove pensi di andare, micetta?” con un nuovo strattone mi avvicinò di nuovo a sè quando stavo per compiere un passo nella direzione opposta alla sua, facendo aderire il suo petto alla mia schiena. Quel contatto mi diede i brividi, ma non sapevo se fossero per la leggera aria fresca che tirava o per la paura. La sua mano mi spostò i capelli dalla spalla, tornando poi alla vita e stringendola mentre le sue labbra continuavano il giro di prima. Io volevo solo andarmene, andare a dormire o quantomeno stendermi. La sua mano salì e s’insinuò sotto le frange della maglia, arrivando ai miei seni e stringendone uno. Volevo urlare, ma l’altra sua mano era improvvisamente sulla mia bocca. Ero stata troppo lenta. Tentai comunque, ma quasi non prendevo aria visto come mi teneva stretta e mi diceva di star ferma. L’agitazione mi faceva vedere doppio mentre le lacrime mi annebbiavano quel poco di di vista che avevo. La musica era forte e sembravamo essere soli, a quel punto solo un miracolo avrebbe potuto togliermi da quella situazione.

Non sentire più quella stretta soffocante su di me fu un grosso sollievo. Non sapevo come fosse successo, ma mi ero mentalmente preparata a fare i conti con delle scene che la mia mente avrebbe rimosso molto volentieri. Quando qualcuno mi tirò via con forza dalle braccia del ragazzo, la sua mano mi stappò leggermente la maglietta e fece sì che si vedesse leggermente il reggiseno, persi anche l’equilibrio e caddi sulla sabbia come fossi un sacco di patate. Non sapevo se fossi più scossa da alcol, adrenalina o paura.

“Riley! Riley..” una voce familiare mi riportò alla realtà con violenza, sbattei le palpebre per mettere a fuoco e la prima cosa che vidi fu Ashton. Gli gettai le braccia al collo e lui mi strinse istintivamente a sè. Non era solo, con lui c’era qualcuno che avevo avuto l’occasione di conoscere la mattina prima.

“Portala a casa.” Il biondo si rivolse al mio fratellastro mentre  guardava il ragazzo che aveva tentato di abusare di me. Mi aveva tolta dai guai due volte nel giro di due giorni,a quel punto dovevo essere io ad avere qualcosa che non andava.
“N-no, lui..” cercai di dissuaderlo e convincerlo a non fare nulla contro quel bastardo, ma non avevo la forza di parlare per via del mio stato di leggero shock.
“A lui ci penso io.” Un ghigno quasi di goduria gli si dipinse sul volto mentre tentavo di mettere a fuoco il suo viso nonostante la pochissima luce a mia disposizione. In quel momento avrei voluto avere gli occhi di un gatto. Ashton, dal canto suo, non mi diede neanche il tempo di protestare. Mise un braccio sotto le mie ginocchia e mi sollevò di colpo, innescando in me il riflesso di mettergli le braccia al collo. Quando iniziò a camminare, il biondo si girò nuovamente e guardò il molestatore atterrato poco prima da lui. Gli disse qualcosa che non potei distinguere bene, ma da come l'altro gli si era scagliato contro dedussi che fosse un qualche tipo di provocazione. Non ce la facevo a guardare quella scena, quindi mi rannicchiai contro il petto di Ashton e caddi nel sonno.

Quando sentii la coperta avvolgermi, i miei occhi si spalancarono di botto. Mi ritrovai con la mia solita T-shirt che usavo come pigiama addosso, Ashton stava per uscire dalla stanza.

“Non te ne andare.” Dissi quelle parole sottovoce e d’istinto, probabilmente perché non ero in me.
Lui si voltò, il suo viso era indurito dalla rabbia e da qualcos’altro, ma comunque non avrebbe dato il via ad un’accesa discussione proprio in quel momento. Era stronzo solo per autodifesa, ma con me non provava più a difendersi da un po’.
Si sedette accanto a me, sul letto, senza parlare per qualche secondo. Fu la prima volta in cui desiderai davvero di non rimanere sola in camera mia, al buio. Mi misi a sedere anche io, la coperta mi scivolò sulle gambe. Lui mi accarezzò una guancia, stavolta soffermandosi di più, io mi protesi in avanti per poggiare la testa contro la sua spalla. La mano di Ash si infilò fra i miei capelli, mi sembrò che fosse fatta apposta per stare lì, o forse ero troppo andata per non fare pensieri stupidi.

“Cosa ti è saltato in mente?” la sua voce era poco più di un sussurro, ma ero abbastanza vicina da poterla sentire. Un’ondata assurda di imbarazzo mi impedì di rispondere.
“Dormi con me?” la domanda mi uscì spontanea, così come il rossore che velocemente prese possesso del mio viso.
 “Per favore.” Aggiunsi.
Lui non disse nulla, ma lo sentii sfilarsi le scarpe. A quel punto sollevai la testa e gli sorrisi, mentre lui si sfilava il beanie e lo poggiava sul mobiletto accanto al letto. Tolse anche la maglia, rimanendo con i bermuda addosso, poi mi spostai leggermente per lasciarlo accomodarsi sulla porzione di letto ancora libera. Mi rannicchiai con il viso rivolto verso di lui, tirando le coperte su entrambi. La mia mano scivolò sul materasso e per casualità incontrò la sua. Lui la strinse, la paura si stava già alleviando.
“Grazie.” Dissi debolmente.
Lui strinse di più la presa fra le mie dita, ci addormentammo così.

Bene, eccoci qui! Che dire, mi fa sempre molto piacere vedere in quanti leggete, vedere i commenti e cosa ne pensate. Questo capitolo, in qualche modo, fa incontrare i tre personaggi focali di questa storia, mentre nel prossimo penso ci sarà un vero e proprio confronto verbale, sta a voi indovinare fra chi. Spero vi sia piaciuto nonostante sia decisamente più lungo, fatemi sapere che ne pensate!

   
 
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