Belfast
Una folata di vento gelido soffiò tra gli alti palazzi grigi e sospettosi di Belfast, Martin Fallon alzò il collo dell’impermeabile che si mimetizzava piuttosto bene con l’ambiente circostante e proseguì dritto, curandosi poco o nulla se un ragazzino moriva di overdose sul marciapiede o una prostituta veniva uccisa di botte in un sottoscala.
“E’ tutto così deliziosamente armonioso- pensò con un sospiro -il cielo grigio, il freddo, la morte, io…” E passò oltre infilandosi senza dare nell’occhio in un viottolo umido e buio, infilò la chiave nella toppa di una porta arrugginita ed entrò.
Quel locale assomigliava ben poco ad una casa, non era riscaldato, non c’erano finestre né alcun oggetto d’arredo, solo un letto malridotto, un fornello, un tavolo e due sedie. Martin si sfilò l’impermeabile gettandolo con noncuranza sul letto, si sedette su una sedia ed accese una sigaretta; allora aveva 29 anni, era alto, magro e come tanti irlandesi aveva capelli rossi e ondulati, insomma, a prima vista sembrava un tipo a posto, tranne per i suoi occhi, quegli occhi neri e insensibili che alle volte valevano più di qualsiasi altra arma, e di questo ne era ben consapevole.
Tirò fuori la Remington dalla tasca interna dell’impermeabile e si mise a pulirla; era stata la sua prima arma, gliel’aveva messa in mano suo cugino un sabato in cui una banda di protestanti s’era messa in testa di dar fuoco alle case dei cattolici in Falls Road, dicendogli semplicemente: “mira e spara”. Fu un vero shock per Martin scoprire che non mancava un colpo. Da quel giorno entrò nell’IRA e dopo appena due anni era tenente del Provisional, conosciuto come “il carnefice”, non ce n’era uno come lui nell’organizzazione con una pistola in mano ed eseguiva ogni missione con freddezza e sistematicità, avrebbe addirittura fatto fuori il papa se l’avesse ritenuto necessario.
I suoi occhi si incupirono di colpo, non pensava mai al passato e quei flashback erano piuttosto fastidiosi, rimontò in fretta la Remington, mise due colpi in canna e sparò al calendario appeso dall’altra parte della stanza bucando i primi due rettangoli del foglio, il rumore risuonò secco e deciso nella grande stanza semivuota e l’odore di polvere da sparo la pervase, Martin respirò a fondo, gli piaceva, gli piaceva terribilmente.
Stava per rimettere l’arma al suo posto quando sentì dei rumori provenienti da fuori, attraversò velocemente la stanza andando ad appostarsi dietro la porta, la Remington carica salda nella sinistra, ed attese in assoluto silenzio che qualcosa accadesse. Adorava quei momenti in cui sentiva la paura che si sprigionava e assorbiva ogni fibra del suo corpo, ma quella paura non gli offuscava la mente come accade a molti, no, lo rendeva lucido, concentrato e sentiva che l’istinto proprio degli animali predatori prendeva il posto della razionalità umana, era così che si sentiva: un animale che pregusta il sapore del sangue.
Il rumore di passi si fermò proprio davanti alla porta, ma non successe nulla, o per lo meno, nulla di cui valesse la pena di preoccuparsi, infatti sentì qualcuno bussare alla porta e dire: “apri Martin, sono io, Robert”.
Una folata di vento gelido soffiò tra gli alti palazzi grigi e sospettosi di Belfast, Martin Fallon alzò il collo dell’impermeabile che si mimetizzava piuttosto bene con l’ambiente circostante e proseguì dritto, curandosi poco o nulla se un ragazzino moriva di overdose sul marciapiede o una prostituta veniva uccisa di botte in un sottoscala.
“E’ tutto così deliziosamente armonioso- pensò con un sospiro -il cielo grigio, il freddo, la morte, io…” E passò oltre infilandosi senza dare nell’occhio in un viottolo umido e buio, infilò la chiave nella toppa di una porta arrugginita ed entrò.
Quel locale assomigliava ben poco ad una casa, non era riscaldato, non c’erano finestre né alcun oggetto d’arredo, solo un letto malridotto, un fornello, un tavolo e due sedie. Martin si sfilò l’impermeabile gettandolo con noncuranza sul letto, si sedette su una sedia ed accese una sigaretta; allora aveva 29 anni, era alto, magro e come tanti irlandesi aveva capelli rossi e ondulati, insomma, a prima vista sembrava un tipo a posto, tranne per i suoi occhi, quegli occhi neri e insensibili che alle volte valevano più di qualsiasi altra arma, e di questo ne era ben consapevole.
Tirò fuori la Remington dalla tasca interna dell’impermeabile e si mise a pulirla; era stata la sua prima arma, gliel’aveva messa in mano suo cugino un sabato in cui una banda di protestanti s’era messa in testa di dar fuoco alle case dei cattolici in Falls Road, dicendogli semplicemente: “mira e spara”. Fu un vero shock per Martin scoprire che non mancava un colpo. Da quel giorno entrò nell’IRA e dopo appena due anni era tenente del Provisional, conosciuto come “il carnefice”, non ce n’era uno come lui nell’organizzazione con una pistola in mano ed eseguiva ogni missione con freddezza e sistematicità, avrebbe addirittura fatto fuori il papa se l’avesse ritenuto necessario.
I suoi occhi si incupirono di colpo, non pensava mai al passato e quei flashback erano piuttosto fastidiosi, rimontò in fretta la Remington, mise due colpi in canna e sparò al calendario appeso dall’altra parte della stanza bucando i primi due rettangoli del foglio, il rumore risuonò secco e deciso nella grande stanza semivuota e l’odore di polvere da sparo la pervase, Martin respirò a fondo, gli piaceva, gli piaceva terribilmente.
Stava per rimettere l’arma al suo posto quando sentì dei rumori provenienti da fuori, attraversò velocemente la stanza andando ad appostarsi dietro la porta, la Remington carica salda nella sinistra, ed attese in assoluto silenzio che qualcosa accadesse. Adorava quei momenti in cui sentiva la paura che si sprigionava e assorbiva ogni fibra del suo corpo, ma quella paura non gli offuscava la mente come accade a molti, no, lo rendeva lucido, concentrato e sentiva che l’istinto proprio degli animali predatori prendeva il posto della razionalità umana, era così che si sentiva: un animale che pregusta il sapore del sangue.
Il rumore di passi si fermò proprio davanti alla porta, ma non successe nulla, o per lo meno, nulla di cui valesse la pena di preoccuparsi, infatti sentì qualcuno bussare alla porta e dire: “apri Martin, sono io, Robert”.