Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Eriok    21/09/2014    1 recensioni
Dopo un'anno circa dalla famosa "estate ghiacciata", Elsa ed Anna dovranno affrontare problemi molto più "scottanti" dell'inverno pungente di quest'anno.
Elsa, regina di Arendelle, incontrerà i nuovi emissari del neonato regno "Le Terre del Fuoco".
Con una sovrana dai poteri molto - troppo - simili a Elsa. Facendole nascere dubbi su di sé e sul mondo che l'ha circondata fino a quel giorno.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash | Personaggi: Anna, Elsa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 2

 

Elsa la guardava negli occhi, e non muoveva un solo muscolo. La pelle di lei era così calda...non aveva mai sentito qualcuno così bollente come lei. Nemmeno quando toccava Anna aveva mai sentito un calore simile. Era così in contrasto con lei, così fredda...così glaciale.

«Mia Regina, la cena è serv-» ma Gwenda si fermò a metà frase. Lo scatto che aveva fatto Elyce e Elsa per allontanarsi l’una dall’altra, alzandosi in contemporanea dalle sedie era risultato molto evidente alla vecchia serva, così come non si era fatto scappare quella stretta di mano e quello sguardo che stavano condividendo fino a pochi istanti fa. Erano entrambe rosse in volto, e le parole di Elsa furono leggermente balbettanti verso Gwenda, che con lei parlava come a una seconda madre. Si morse un labbro.

«S-Scusa, dicevi Gwenda?» domandò la regina, intrecciando le mani al ventre, stringendosi le mani. Era completamente in imbarazzo.

«La cena è servita, mia regina.» rispose l’anziana e poi guardò in giro per la stanza, ma non individuò né la principessa Anna né il fustacchione pettoruto che aveva visto alla passerella. Sbuffò leggermente, delusa. Gli piaceva quel bel maschione. Le ricordava il fisico di Kai – suo marito – ai tempi d’oro. Aveva quasi ceduto all’emozione, al porto. Non aveva mai sentito così caldo quel giorno come quando aveva le caldane per la menopausa.

«Arriviamo, Gwenda. Cerca Anna per il castello, è andata con il nostro ospite...» e li cadde, la mente le fece un brutto scherzo, fermando la frase a metà. Non ricordava il nome del ragazzo.

Elyce le venne incontro, avvicinandosi alla porta, il suo rossore si notava di meno, su quella pelle scura. Ma era indubbiamente imbarazzata. Non le era mai successo una cosa simile. Perdere il controllo delle proprie emozioni e delle proprie parole.

Aveva parlato così naturalmente con quella donna affianco a lei, come se fosse il destino a legarle.

«Enos. Mio fratello è uscito per una boccata d’aria, il viaggio lo aveva scombussolato e la principessa Anna lo ha cordialmente invitato a fare un giro turistico del castello.» completò la frase per Elsa, guardandola di sottecchi. La bionda annuì, e Gwenda si licenziò con l’ordine di cercare in giardino sotto consiglio della regina.

Quando le porte si chiusero di fronte alle due donne, ci fu una specie di sospiro condiviso. Avevano come rischiato di farsi vedere, e Elsa non capiva questa sua tensione. E soprattutto il respiro trattenuto fino all’uscita della serva.

«Mi scusi per prima regina, io-».

«Elsa...non chiamarmi regina, per favore...» mormorò, girandosi a guardarla. Elyce rimase a fissare i suoi occhi. Il suo cuore capitolò alla dolcezza della sua voce, e dai movimenti tranquilli delle sue labbra colorate di velato rossetto. Rimase incantata dalla sua bellezza, e dalla sferzata di potente inquietudine nel suo animo, facendole sentire le farfalle nello stomaco.

«Elsa, scusami...».

«È colpa mia, mi scusi signorina-» la interruppe la regina.

«Elyce...chiamami Elyce, per favore...» Elsa non riusciva a sostenere quello sguardo...era troppo caldo e bollente sulla sua pelle. Le scottava, e se ricambiava lo sguardo sentiva come qualcosa sciogliersi dentro. E spingere a fare azioni non consone. Come la mano scappata al controllo del suo corpo prima.

«Elyce...» iniziò la bionda regina, ma non riuscì a continuare. La freddezza che di solito mostrava, quella compostezza così diversa dall’esuberanza della sorella, in quel momento l’abbandonò. Quel piccolo castello di cristallo che aveva costruito intorno a sé per evitare la vicinanza delle persone si stava letteralmente sciogliendo, cadevano torri di ghiaccio e gli scalini erano acqua. Irrorava calore, quella donna, e non aveva modo di fermarla. Era il sole. E Elsa si stava sciogliendo di fronte a lei.

«...È così bello, il mio nome, quando è la tua voce a pronunciarlo.».

Il punto di rottura venne superato e il rossore e l’emozione sgorgarono dalle sue mani come ghiaccio che veloce galoppava in ghirigori fantasiosi. Ma Elyce non si allontanò. Le afferrò le mani, stavolta con decisione e dolce fermezza, e i piccoli fiocchi di neve smisero di cadere.

Così Elsa fu due volte sorpresa e due volte emozionata. Come poteva, quella donna, fermare la sua magia inarrestabile? Che aveva rischiato di ghiacciare tutto il fiordo?

E perché le sue mani sembravano l’unico posto che ricercava come un assiderato ricerca il calore?

Le appoggiò un bacio di galanteria sul dorso della mano, e gli occhi sfrecciarono ai suoi. Era calore, era bellezza.

E Elsa si sentiva come una falena attratta dal calore del fuoco.

Ma la falena muore, a contatto con il fuoco.

Distaccò la mano con un sorriso cortese, ma Elyce lesse nei suoi occhi i tumulti che la muovevano e la sua paura. Si prefissò di non osare oltre. Anche se avrebbe voluto avvicinarla di più. Quella sverzata di fresco vento invernale la chiamava. Era ciò che non aveva mai provato, come una boccata d’aria fresca mai provata. Le distendeva i polmoni così come le stringeva il cuore. E capitolò di nuovo nella sua bellezza, osservandola in silenzio.

Aprì la porta con galanteria alla regina e, con poche parole formali, si diressero al salone dove avrebbero cenato.

Fu per coincidenza che videro Enos e Anna giocare, come due fanciulli, in mezzo alla neve.

Elyce ne fu felice, era da molto tempo che non vedeva suo fratello sorridere così ingenuamente.

Ma quasi si spaventò nel vedere che un pupazzo di neve da fermo quale era iniziò a muoversi di vita propria, lanciando anch’esse palle di neve, in mezzo a quel parco interno.

«Quella cosa...è viva?!» mugugnò, guardandola da lontano con sguardo spaventato. Era sbiancata.

Elsa sorrise in modo timido, la mano davanti alla bocca, e spiegò la natura di quel pupazzo di nome Olaf.

Fu difficile farla avvicinare, e ancor di più a credere alla sua anatomia. Era diffidente, e lo si vedeva in volto.

Anna la prese per mano, facendola avvicinare poco a poco. E le disse che non doveva aver paura di lui. Si strinsero la mano, in modo cortese, anche se Elyce ancora non capiva come potesse essere “vivo”.

Enos, d’altro canto lo accettò con noncuranza, come se fosse normale che un pupazzo fatto di neve si muovesse come mosso di vita propria e con pensieri propri.

Dopo la rimpatriata, il quartetto si avviò alla sala da pranzo mentre Olaf semplicemente svanì girando un angolo, la regina e la principessa facevano strada ai due dignitari stranieri, e Elyce guardò di sottecchi il fratello, con ancora il sorriso stampato in faccia.

«Allora...» iniziò la sorella, e Enos la guardò, curioso. Parlava abbastanza piano da non farsi sentire dalle due donne di fronte a loro «Vedo che hai legato molto bene con la principessa...» e il fratello esplose di vergogna, e le orecchie tesero al rosso. Sogghignò, quel segnale era insito nella natura del fratello. Lo conosceva troppo bene. Si grattò il retro del capo, scostando quel che rimaneva di qualche fiocco di neve sopravvissuto alla battaglia di prima.

«È simpatica, è intelligente, è divertente...è bella...» disse, guardandole le spalle, i suoi occhi a fissare il suo corpo – Anna stava parlando con Elsa della battaglia di neve, concitata – e i suoi occhi cadevano inesorabilmente verso il basso, dimentico del discorso ma non del tempo passato al parco.

 

Enos aveva raggiunto un alberello nato vicino al rio della fontana li vicino.

Era cupo, era triste, era disperato. Si asciugò con forza le lacrime che non si fermavano dal cadere. Non aveva ancora elaborato il lutto di mamma e papà ed eccolo li a piangere davanti a due perfetti sconosciuti.

«Non dovresti tenere tutto dentro. Piangere fa bene.» mormorò una voce dietro di lei, femminile. Ma stavolta non era sua sorella, a dirglielo.

Si voltò, era la rossa, la principessa. Come si chiamava...?

«Io...non stavo piangendo.» biascicò, poco convincente. La voce era roca e dava tutti i segni di quello che era stato un pianto sussurrato, colto solo dalla luna lucente nel cielo.

«Io penso che piangere faccia bene. Ti svuota.» continuò, ignorando la banale scusa del ragazzo. «Solo...non si dovrebbe piangere da soli.» e rivide in lui se stessa, quando piangeva davanti a una porta che non si apriva, e che faceva sentire tutto il freddo che la sorella emanava.

«Io non stavo piangendo.» stavolta lo disse con più convinzione. «Sono adulto ormai, non sono più un bambino. Non posso più permettermi di piangere.» disse con tono altezzoso, guardandola cercando di traspirare forza. La sua schiena, così come le sue spalle si rizzarono, cercando di mostrare tutta la sua altezza.

«Ah, ok...allora...» si chinò, raccogliendo un poco di neve nelle mani «Sei troppo bambino per... QUESTO!» e la palla di neve collise con il volto dell’uomo, che non si aspettava un colpo del genere.

La ragazza sorrise, e scappò, pronta al contrattacco.

Enos si tolse la neve dal volto, ancora sconvolto da quell’azione poco diplomatica. Gliel’avrebbe fatta pagare.

“Oh, eccome che te la faccio pagare.” Pensò, per la prima volta, sorridendo.

Quella ragazza aveva fatto più di quanto pensasse. Gli aveva tolto di mente i pensieri cupi con una battaglia a palle di neve epica.

E ricordò il suo nome, stampandoselo nel cuore: Anna.

E sorrise, perché in quella fredda giornata di inverno, lei era il sole che lo rischiarava dalle cupe nubi del lutto, allontanando il peso della scure di ferro arrugginito che pesava sopra la sua testa.

 

«Ah...» Enos la guardò sottecchi, la vide sogghignare. «Beh, hai sempre avuto un debole per le rosse...» aggiunse Elyce, e vide un sorriso beffardo spuntare.

«Non ci provare nemmeno.» sentenziò, guardandola con occhi fulminanti «È già fidanzata.» disse, con tono serio e velatamente deluso.

«Io non ho detto niente, En...sei tu che te lo sei detto da solo.».

«Uhm...» mugugnò il ragazzo, cercando una risposta da dire alla sorella. Riusciva sempre a zittirlo, ad avere l’ultima parola in un discorso, e non riusciva mai a ribattere se non poche volte.

«Come se non vedessi gli sguardi che lanci alla regina.» Elyce si irrigidì, persa anche lei a guardare la schiena di Elsa che, con fare gentile e composto, ascoltava la sorella e di tanto in tanto sorrideva, con la mano che copriva quel sorriso che sarebbe stato capace di spaccare il ghiaccio in due. «Dopotutto ti sono sempre piaciute le bionde, no...?» i capelli di Elsa si spostarono e la dolce treccia cadde sulla schiena, rimbalzando morbidamente al movimento del passo.

«Già...» mugugnò, anche se gli occhi non badarono al fratello ma bensì ai movimenti di Elsa.

Il modo in cui camminava, così fiero, naturale, e allo stesso tempo così dannatamente...sexy.

«Ma almeno la mia non è fidanzata.».

Silenzio.

“Enos zero, Elyce uno.” Si annotò la ragazza, sogghignando, lo sguardo complice rivolto al ragazzo “bel tentativo fratellino, ci hai provato...almeno.”.

E con quello chiuse la conversazione, lasciando un En stizzito e una Elyce con un sogghigno sul volto per tutta la sera.

 

 

Elyce si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi ad essa. Il volto stanco, e la pancia satolla di quelle che erano state le pietanze più buone mai assaggiate. Dieci giorni di nave l’avevano provata, e il suo stomaco ora era contento di essere tornato a cibi più commestibili del pesce arrosto.

«Uff!» sbuffò, finalmente contenta di essere nelle sue stanze private, da sola, libera di potersi finalmente riposare e spogliare di quegli abiti pomposi e buttarsi nel grandissimo letto a baldacchino che le sussurrava dolci sogni. Si levò le vesti - troppo eleganti – e indossò il pigiama da viaggio, pantaloncini corti e, liberatasi da quella fascia che le costringeva il petto, indossò una canotta.

Stava per aprire le lenzuola perfettamente piegate ed entrare in quel tugurio di “morbidosità e relax” quando un bussare alla sua porta interruppe le sue fantasie di riposo.

Aprì la porta subito d’istinto, senza sapere chi fosse, stizzita.

Diventò viola alla vista di Elsa. Maledì la sua brutta abitudine di dimenticarsi in che luogo fosse.

«Ehm...» la regina aveva ancora la mano sospesa a metà, davanti alla porta. Alla vista dell’ospite in abiti da camera così “succinti” spense la miriade di pensieri che l’avevano affollata prima.

Elyce, d’altro canto, non parlò proprio. Era rimasta bloccata, completamente gelata dall’imbarazzo che la vedeva lì, in pigiama, di fronte al regnante di cui era ospite.

«Volevo...» iniziò a parlare Elsa, cercando di chiudere quel momento di imbarazzo velocemente. Gli occhi non si staccavano dalla scollatura di lei. Era veramente molto provocante. E profonda. Deglutì. «Volevo sapere se volevi aggiungerti alla festa in tuo onore.».

Elyce meditò a lungo, non per l’idea della festa – doveva obbligatoriamente andarci, visto che era in suo onore – ma bensì per lo sguardo della regina che non accennava ad allontanarsi o a spostarsi dal suo fisico. Si sentiva divampare. E per un secondo – molto vago – le sembrò di leggere negli occhi di lei il desiderio di possedere ciò che stava guardando.

«Ecco...io...non ho niente da mettermi.» confessò, sorridendo mestamente.

Elsa ritornò velocemente alla realtà, e portò lo sguardo ai suoi occhi. Il cuore a mille.

«Ma potrei farmi prestare qualcosa da mio fratello...» affermò, e il suo sorriso spense i tumulti del cuore della bionda.

Elsa si licenziò velocemente, percorrendo il corridoio con passi veloci. Lo sguardo di Elyce la seguì per tutto il corridoio, ammiccante. Vedendo come, da lontano, si malediva da sola per come si era comportata.

Il suo struggimento si poteva leggere lontano un miglio, e Elsa si avviò al salone. Ma il batticuore, così a come quel rimescolamento delle interiora e il tormentarsi il labbro non passò. La mente tornava sempre a quella scollatura – decisamente troppo profonda – che aveva fissato durante il dialogo con lei.

“Bel modo di comportarsi, Elsa.” Si rimproverò da sola “ma cosa ti salta in mente?!”. Ma i suoi pensieri si spensero quando vide Elyce entrare dalla porta, spegnendo il vociale della sala e dei dignitari delle terre vicine per concentrarsi alla sua entrata.

Indossava un completo da uomo – giustificato come abitudine strana del loro paese  – eppure era incantevole. I pantaloni stretti alle cosce, terminavano al ginocchio con un paio di stivaletti da cavallerizzo, la giacca richiamava i gradi più alti del suo paese e il colore predominante era il rosso fuoco.  I capelli, laccati, erano riportati all’indietro, e pareva un uomo in tutto e per tutto alla sala, che la confusero con suo fratello.

Venne letteralmente assalita dai dignitari, presentazioni su presentazioni, sorrisi, ammiccamenti e momenti imbarazzanti alla scoperta di come una bellissima donna in abiti militari stava facendo strage di belle donne in quel salone in cui la temperatura era salita di molti gradi.

Sorrideva a tutti, in modo indistinto, se non per qualche sguardo dolcemente infuso di lussuria a qualche donna che aveva il coraggio di civettare con lei. Le sue mani erano ricoperte da guanti bianchi, e i movimenti delle sue mani, così come le sue labbra, non sfuggivano ad attente signore che letteralmente scalpitavano per un ballo.

La musica, in quel salone, era per la maggior parte d’accompagnamento, perché i balli iniziavano solo quando la regina – o chi in sua vece – iniziava a danzare con il personaggio più importante del salone.

La sala era sfarzosa, notò Elyce, colonne reggevano un soffitto a volta decorato di affreschi che richiamavano il paradiso, la musica piacevole, i camerieri servivano bicchieri pieni di un liquido caldo e dolceamaro chiamato idromele, e la donna ne aveva già bevuti abbastanza.

Si permise di lasciare la regina lì, sul trono, ad osservarla per qualche tempo. I suoi occhi non si staccavano da lei, e vedeva come ogni signora – di età giovane – quando le toccava le mani, o si avvicinava un po’ troppo al suo viso le causava una reazione palpabile nell’aria. I suoi occhi sprigionavano un’emozione che Elyce riconobbe subito, e ne fu lieta: la gelosia.

Era vestita in maniera elegante e straordinariamente sensuale, la regina, con quel vestito azzurro a cristalli così inverosimilmente uguali al ghiaccio, e la corona sulla sua testa la rendeva bella come una rara gemma di inestimabile valore. Portava un copri spalle fatto di pelliccia bianca, e gli occhi erano glaciali. Poteva sentire il freddo scivolare lungo la sua figura, e Elyce godette di ciò. Le piaceva, in modo in cui la desiderava, eppure non accennava ad alzarsi per raggiungerla. Altezzosa e intrigante. Bevve un sorso di idromele. Doveva contenersi solo un altro po’, e poi...

Si licenziò dolcemente dalla dama al suo fianco, e si avvicinò al trono, inchinandosi. La sala si fermò dal vociare una seconda volta, trattenendo il respiro. Tutti volevano sapere come la regina avrebbe reagito alla domanda più fatidica della sera.

«Mia regina, mi concede l’onore di questo ballo?» Elyce parlò, guardandola con quegli occhi caldi e sensuali a cui Elsa non  riusciva a resistere. Ella si alzò dal trono, lentamente, avvicinandosi passo dopo passo a lei, e Elyce assaporò ogni suo passo con dolce piacere. I suoi fianchi, le sue mani...era quasi febbricitante, tanto il desiderio che trasudava in lei di concedersi almeno un ballo con quella figura così alta e regale tanto straordinariamente affascinante.

I loro occhi non si staccarono, eppure Elsa godette – stranamente – di come si era concessa a lei – e soltanto a lei – di ballare. La desiderata tutta per sé e lei, che mai aveva avuto desideri egoistici, si sorprese di come si stava divertendo giocando con quel fattore. La mano sospesa della dignitaria toccò quella della regina, stringendosi in un’apoteosi di sensazioni.

Lei era il fuoco, la bruciante passione dei sensi, la scottante bellezza del proibito e concesso.

E riconobbe in se stessa il ghiaccio, l’inespugnabile fortezza di solide lastre di compostezza e raffinatezza. In sé così bella così come pericolosa. Elsa sapeva che, in cuor suo, poteva permettersi di ballare con lei solo per quel motivo. Si giustificò così, ignorando lo sguardo di Anna e della plateale espressione di sorpresa, conoscendo come la sorella mai aveva concesso un ballo a nessuno. Mai, fino a quel momento.

Elsa tremò leggermente, a contatto con le sue mani, ma il suo tocco – così familiare e caldo – la tranquillizzò con una stretta dolcemente decisa. In lei regnava ancora la recondita paura di ferire qualcuno con quelle emozioni che non riusciva a controllare.

«Sì.» disse, con poco fiato, sorridendo impercettibilmente.

Si diressero al centro della stanza, e gli occhi erano tutti a fissare quella coppia che, di primo acchito, mostrava tutti gli aspetti di un contrasto unico.

Il rosso con il blu.

Il castano con il biondo.

La femminilità in una e la bellezza androgina nell’altra.

Si avvicinarono, ormai perse in quel momento dove esistevano solo loro, al centro di quella stanza.

I loro occhi, così come le loro mani, assaporavano ogni momento di contatto che potevano avere.

E la musica partì.

Una musica lenta, dolce, di valzer sussurrato, riempì le orecchie degli astanti, ammaliati dalle figure così perfettamente congiunte la centro della sala, le sole a danzare quel ballo tutto loro.

«Non pensavo che avresti accettato.» sussurrò Elyce all’orecchio della regina, nel mentre di una giravolta. La bionda voltò lo sguardo, il suo volto era così dannatamente vicino da poter vedere ogni singolo dettaglio: la pelle lucida e scura, gli occhi inebriati e profondi, le labbra fruste e sottili...

«È la prima volta che succede.» ammise, ritornando a concentrarsi sui passi. Ma non era abbastanza forte, come distrazione.

«Sono lusingata e onorata.» disse, non scostando lo sguardo da lei. Elsa poteva quasi percepire il calore del suo respiro sul suo collo scoperto dalla pelliccia. Era una cascata di piacevoli brividi.

«Siete intrigante e misteriosa, mia regina.» ammise, e gli occhi di lei tornarono ai suoi, curiosi. «Non ho mai incontrato qualcuno come te nella mia vita. Sei perfetta.» l’emozione della regina scaturì dalle sue mani ma, come se le avesse letto nel pensiero, Elyce riuscì a contenere – senza la minima fatica – l’esplosione di ghiaccio da lei.

«Come riuscite a fare questo...?» domandò Elsa in un sol fiato, conscia che quello che riusciva a fare non era nell’umana concezione.

«So fare questo e altro...» ammiccò, sorridendole in modo beffardo. Elsa divampò d’imbarazzo, scostando lo sguardo.

«Non sono perfetta come pensi, Elyce...» ammise la bionda, il volto cupo «Sono stata chiamata “strega”, per colpa di...questo.» e con lo sguardo indicò le mani. Ancora le bruciava quella brutta sensazione di inopportuno che le creava quelle parole.

«Lo siete...» e lo sguardo di Elsa scattò a lei, e Elyce vi lesse la rabbia, la delusione, per un barlume di un momento. Poi la sorpresa durante il caschè, portando i loro volti così vicini abbastanza da percepire le parole sussurrate «...perché mi avete stregato il cuore.».

L’azzurro cozzò con il castano, leggendo l’emozione e irrorando calore, e la mano sulla schiena era bollente e allo stesso tempo piacevolmente eccitante. I loro volti così impercettibilmente vicini al bacio, all’apoteosi dei sensi.

Un applauso spezzò la magia, riportando le due donne alla realtà. Si staccarono, i loro sorrisi che trasudavano imbarazzo e i volti rossi – emozione mascherata – mentre inchinandosi accettavano i complimenti dei presenti. I balli ricominciarono subito, e le due donne si videro separare da altre persone che volevano danzare con loro.

Elsa ammise un malumore e si licenziò dalla festa, la mano sul cuore che non smetteva di correre.

Quando si chiuse la porta dietro di sé, poté sentire ancora l’emozione di prima premere sul suo petto.

Ci era andata vicina. Molto vicina.

La falena non riusciva a staccarsi dal fuoco.

Appoggiò la testa allo stipite della porta, prossima alle lacrime.

“Cosa mi sta succedendo...?” fu quello che continuava a domandarsi, per tutta la notte, dormendo a fatica, sognando continuamente di essere in mezzo ad un incendio da cui non poteva scappare e, ormai prossima alla morte, venir salvata da Elyce, prendendola in braccio e stringendola in un bacio passionale da strapparle il fiato, risvegliandosi ogni volta col fiatone e tutta sudata.

Anche se non fu l’unica a passare una notte tormentandosi su cosa stesse realmente accadendo.

Elyce passò la notte tra sogni concitati e momenti di silenzio a fissare le stelle, rodendosi l’anima su come quella donna – appena conosciuta – fosse già entrata nel suo cuore. Aveva paura, tanta.

Ma quel nuovo mondo – dove la magia non causava motivo di nuove guerre e odio – l’aveva inebriata e ammaliata, portandola a fare cose che si era promessa di non fare più.

Si guardò le mani, e le strinse a pugno così forte da rendere le nocche bianche.

Che fosse un segno del destino, forse?

Gli dei le stavano concedendo una possibilità di remissione, con lei? Poter finalmente liberarsi di quel peso opprimente che portava da anni?

 

 

 

 

   
 
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