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Autore: Anne Elliot    21/09/2014    9 recensioni
«Perché non provi Sherlock?...»
Lui aveva smesso di far rimbalzare la palla da squash e l’aveva guardata.
«Cosa?...»
Lei strofinò fra loro le mani. Sorrise verso un punto indefinito, lontano da lui.
«Con…Miss Adler, intendo…perché non provi Sherlock?»
Mi raccomando, criticate! ^^
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota autore: Rieccomi qui ^^ So che l’orario è improbabile per pubblicare la fine di questo racconto ma credo che in fondo sia la scelta migliore. Sono tornata a casa da poco e le mie alternative erano fare un dolce (alternativa impossibile dato l’orario!) e finire definitivamente questa storia; credo sia ovvio che ho scelto questa seconda opzione! ^^ Normalmente, prima di pubblicare, rileggo il capitolo completo moltissime volte per restare il più possibile fedele al personaggio e soprattutto evito di scrivere in orari improbabili come questo, che hanno effetti devastanti sulla mia logica e razionalità; tuttavia, data la complessità/improbabilità di questo capitolo (uno Sherlock “romantico”?! Ammettiamolo, è impossibile!) credo che ciò che mi serve sia proprio un po’ di irrazionalità…probabilmente, quando domani rileggerò questo capitolo mi maledirò per averlo pubblicato accusandomi di “essere una smielata del c***o!”. Tant’è, oramai la cosa è fatta!
Ovviamente, non pensiate sia follia pura, è comunque un capitolo scritto per il 99% in modalità “normale”…il fatto di finirlo e pubblicarlo ora, serve solo a bloccare i miei “istinti omicidi” verso quelle parti del capitolo che normalmente reputerei eccesive.
Comunque, come sempre, a voi l’ardua sentenza!
Prima di lasciarvi al capitolo, però, volevo dire solo due cosine: 1. Non sono convita di come ho “concluso” la faccenda Adler (leggendo capirete cosa intendo ^^) e, se vi va di scrivermelo, vorrei avere da voi un parere sulla scelta fatta da Sherlock, se per voi è più probabile quella che gli ho fatto prendere io o l’altra (forse questa domanda avrei dovuto metterla a fine capitolo xD) 2. Devo di nuovo ringraziare tutte/i voi per i bellissimi commenti e le riflessioni scambiate, per me valgono veramente tantissimo!!
Detto questo, alla prossima storia e come sempre….criticate, mi raccomando!! ^^
Anne
 
 
 
 
 
 
Oh dannazione, non era quello il momento di comportarsi come un’adolescente rifiutata! Lo supponeva, ne era praticamente certa e adesso, solo perché quell’odioso individuo aveva dissipato i suoi dubbi, doveva cedere?...Non l’avrebbe fatto, non quella volta!
Rialzò il volto con aria indifferente e puntò i suoi occhi in quelli dell’uomo di fronte a sé.
«Probabile Jim…» da dove le usciva quel Jim?!
In realtà, riflettendoci, lui si era rivolto a Sherlock ma lei sapeva perfettamente che quel colpo era riservato a lei.
Moriarty continuò a sorridere.
«E suppongo a te non interessi!»
La patologa alzò leggermente le spalle.
«Dovrebbe?»
Sherlock Holmes era ancora di spalle, come se la conversazione non lo riguardasse.
L’altro cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, la mano libera in tasca.
«No…no, certo. Voi siete solo, amici, giusto?»
Molly lo seguiva con gli occhi.
«Non direi!...Probabilmente sai più cose tu di me che lui»
Il detective si girò e la fissò. Una maschera inespressiva. Molly non capiva né cosa stesse pensando né cosa stesse provando. Fu quello, che la salvò dal crollare
Moriarty piegò leggermente le ginocchia e rise sonoramente.
«Si, credo proprio di si…ma del resto, mia cara, noi siamo stati amici…intimi…»
Il fatto che lui avesse caricato quella parola di ogni possibile significato non comportò alcuna reazione sul volto di Molly Hooper. Anche se lei avrebbe potuto giurare che, per una frazione di secondo, gli occhi di Sherlock si fossero fatti più scuri, più duri, più severi.
«Caffè?»
Il detective batté un paio di volte le palpebre e poi si girò verso l’uomo.
«Cosa?»
L’uomo sorrideva euforico, un bambino che sa tutte le risposte e vuole farlo sapere al mondo, un pazzo che vuole che gli altri lo ammirino e lo acclamino.
«Il caffè? Come prende il caffè Molly Hooper?»
Sherlock riportò lo sguardo sulla patologa che lo guardava rattristata. Si guardavano e continuarono a guardarsi anche quando il detective rispose “non lo so”, anche quando continuò a rispondere con le medesime tre parole alle schizofreniche domande di quell’uomo. “Colore preferito? Compleanno? Sorelle? Libro preferito? Film? Hobbies?”.
Più lui andava avanti più Molly tentava di controllare le lacrime che volevano uscire. Non sapeva perché le venisse da piangere: per la costatazione di quanto Sherlock non sapesse di lei? per il fatto che si sentisse così violata in ciò che era, da quell’essere con cui lei si era confidata? per lo sguardo vuoto che Sherlock le stava offrendo? Probabilmente era per tutte quelle cose, ed altre, insieme. Ma non pianse. Si impose di non farlo!
Quando la porta si spalancò violentemente ed uno sconvolto John Watson entrò nel salotto, Molly se ne accorse appena, tanto era rinchiusa in sé stessa.
Vide Moriarty alzare la pistola e puntarla su John; vide il dottore fare la medesima cosa e puntarla sull’uomo; vide Sherlock fare qualche passo in avanti con le mani protese in avanti a cercare di contenere la situazione.
Lei li guardava come se tutto quello non fosse reale e non stesse accadendo proprio lì di fronte a lei, in quel preciso momento. Poi il cellulare di Moriarty iniziò a squillare, con quella sua suoneria improbabile, e l’uomo, innervosito come un bambino, sbatté le mani lungo le cosce.
«Dannazione! Proprio sul più bello…suppongo di dovervi salutare!»
La voce sicura di John la riportò alla realtà.
«Oh, non credo proprio!»
Moriarty lo guardò con aria interrogativa.
«Suvvia dottore, non sia sciocco! Ci rivedremo presto, giusto il tempo di riorganizzarmi!...Io e Sherlock abbiamo una questione in sospeso.»
John Watson guardò di sfuggita il detective.
«Lascialo andare, John!»
Lo sguardo incredulo del dottore non comportò alcun movimento del suo corpo per alcuni istanti. Poi, improvvisamente e con aria nervosa, abbassò l’arma.
Jim Moriarty sorrise e con uno sguardo di sfida si avvicinò al dottore per poi uscire. John si morse le labbra quando sentì il portone di Baker Street chiudersi ed il rombo di un motore allontanarsi.
Aprì le labbra per redarguire il suo collega ma fu troppo lento.
«John, Mrs Hudson…è drogata ma suppongo non sia nulla di forte o che comunque non abbia già usato in precedenza!»
Prima di precipitarsi giù dalle scale, il dottore diede una rapida occhiata ai due superstiti di quella sottospecie di farsa.
Sherlock gli dava le spalle, l’attenzione ancora rivolta alla finestra da cui aveva osservato la fuga del suo antagonista.
Molly immobile, lo sguardo rivolto verso un punto imprecisato del muro…per lo meno non era ferita!
 
Quando sentì il dottore scendere rapidamente i gradini, Molly Hooper sbatté le palpebre, fece un paio di passi per circumnavigare il tavolino e si sedette sul divano.
Con la schiena curva, le braccia poggiate sulle ginocchia, con le dita che si torturavano a vicenda, la patologa sentiva solo Sherlock camminare nervosamente per la stanza parlando di complici, rete di comunicazioni e informazioni riguardanti Moriarty.
Senza poter far nulla per fermarlo, il pianto che aveva bloccato fino a quel momento, esplose in singhiozzi e sussulti nonostante lei cercasse di fermarlo con le mani premute sulla bocca.
Sherlock Holmes si bloccò ad osservare quell’essere indifeso che era Molly Hooper in quel momento, senza sapere cosa fare. Fu salvato da un preoccupato e comprensivo John Watson che, tornato al piano di sopra attirato dal pianto, si era affrettato a sedersi accanto a lei ed a cingerla con le braccia, rassicurandola sul fatto che fosse solo una normale reazione all’adrenalina che il suo corpo aveva prodotto in quella snervante situazione.
Quando Sherlock vide lei accucciarsi e trovare conforto nell’abbraccio rassicurante del dottore e sentì il suo pianto scemare, la chiamò debolmente. La reazione della patologa quasi lo spaventò.
La vide liberarsi dall’abbraccio del dottore ed alzarsi improvvisamente. I capelli scomposti e inumiditi dalle lacrime, il volto arrossato, gli occhi gonfi per il pianto che lo guardavano con un odio che mai aveva visto o pensato che potesse provare la dolce Molly Hooper.
La voce afona di lei lo immobilizzò.
«Non rivolgermi mai più la parola, Sherlock Holmes! Mai più!»
Tentò di schiudere le labbra per replicare ma la patologa lo fermò.
«Devi tacere!...Sei una persona arida, meschina, indifferente al resto del mondo ed io non ho nessuna intenzione di rapportarmi con te, ti è chiaro?»
L’orgoglio dell’uomo lo fece reagire istintivamente.
«E’ per quelle sciocche domande, non è vero?! Tu non mi hai mai detto nulla, come potevo sapere che…»
Molly spalancò gli occhi e serrò la mascella prima di parlare.
«Non ero io a doverti dire qualcosa, Holmes…» pronunciò quelle 6 lettere a denti stretti «eri tu che dovevi chiedermele! Ma, a quanto pare, non era un tuo interesse ne chiederle ne ricordarle…Sono anni che bevo caffè in tua presenza, anni che parlo della mia famiglia, anni che ci conosciamo e tu, tu che sei l’uomo delle deduzioni e dalla memoria infallibile, tu non vuoi…NON VUOI…ricordarti nulla di me! Per cui…» inspirò, chiuse gli occhi, espirò e rialzò le palpebre «…per cui, ora sono io, che non voglio ricordarmi di te!»
Senza neanche dargli la possibilità di rispondere si girò, scese le scale e sbatté con violenza il portone.
 
John Watson rivolse il suo sguardo esterrefatto al detective che immobile, le mani ancora in tasca, segno di una manifesta indifferenza oramai scomparsa, fissava la porta da cui era uscita Molly Hooper.
 
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Era immobile di fronte a portone a fissare il batacchio da almeno un quarto d’ora. Era stanca, completamente zuppa per via del diluvio che ancora imperversava su di lei e soprattutto era senza chiavi. Post-it mentale, Molly Hooper, quando fai delle scenate isteriche e giuri di non vedere mai più qualcuno, evita di dimenticare la tua sciarpa, il tuo cappotto e la tua borsa con dentro le chiavi, a casa sua!!
Si sedette sul gradino di fronte al portone, le gambe rannicchiate, le braccia incrociate su di esse ed il volto affondato nel loro incavo. Avrebbe potuto citofonare a qualche vicino, probabilmente l’avrebbe ospitata fino all’arrivo dei pompieri…certo, se avesse avuto un cellulare li avrebbe già chiamati…comunque, il punto non era quello: la verità è che non aveva voglia di relazionarsi con nessuno e che stava bene rannicchiata lì per terra, pioggia a parte!
 
Un leggero tintinnio di fronte a lei le fece alzare il viso. Quelle erano le sue chiavi ed attaccate ad esse c’era un fradicio quanto lei, Sherlock Holmes.
«Possono essere utili?»
Allungò improvvisamente la mano per prenderle ma l’uomo fu più veloce, facendole tornare sul suo palmo e nascondendole nel pugno.
«Dammi le chiavi, Sherlock!»
«Quindi, ora, sono di nuovo Sherlock!»
Molly si alzò di scatto e lo guardò con aria di sfida.
«Ridammele!»
L’uomo rispose col medesimo sguardo.
«Prima parliamo!»
«Non ne ho alcuna intenzione! Dammi quelle dannate chiavi!»
«E’ mio diritto poter rispondere a tutto quello di cui mi hai accusato!»
«Tu non hai più alcun diritto, per quanto mi riguarda!»
Il detective aggrottò le sopracciglia.
«Si può sapere che cosa ti è preso? Perché ti sei arrabbiata in quel modo?»
La patologa boccheggiò.
«PERCHE’?....Ma possibile che non ti rendi conto del…»
«Ma certo che me ne rendo conto! Ma non capisco perché tu ti stupisca di una cosa del genere. Sono così, sono sempre stato così, sarò sempre così! Non puoi accusarmi di essere ciò che sono, Molly Hooper.»
La voce dell’uomo era calma e razionale come sempre.
Lei lo guardò con aria triste e scosse la testa.
«No…no, tu sei cambiato! Io lo so, io c’ero quando eri così e ci sono adesso che non lo sei più. Tu non sei più così, adesso decidi di ricordare non solo ciò che è importante per te ma anche ciò che è importante e che riguarda le persone a cui tieni…»
Lui non capiva.
«Molly, non è…»
«Come prende il caffè, John?»
L’uomo scosse la testa e si allontanò di qualche passo.
«Non farò questo gioco assurdo…»
Molly fece due passi avanti per riavvicinarsi a lui.
«Avanti, come prende il caffè John?»
«Molly, smettila!»
La patologa alzò la voce.
«Come-prende-il-caffè-John?»
L’uomo la fissò, gli occhi seri e le labbra tese. Iniziò a guardarsi in giro prima di rispondere.
«…nero…»
«La canzone natalizia preferita di Mrs Hudson?»
Il detective incrociò le braccia dietro la schiena.
«Questa cosa non ha senso!»
Lei lo incalzò.
«Avanti, la canzone…Jingle Bells? We wish you a Merry Christmas? Santa Claus is…»
Lui sbuffò.
«Va bene, va bene!...La seconda.»
«Il nome di Lestrade?»
«Greg»
Molly inspirò, chiuse gli occhi e li riaprì.
«Il colore preferito di Miss Adler?»
Sherlock smise di guardare altrove e con occhi vuoti la fissò.
«Non puoi sapere se la risposta è giusta!»
«Capisco quando menti»
Lui continuò a fissarla, impassibile.
«Non lo so»
«Ti ho detto: capisco quando menti!»
«…rosso…»
«Il mio libro preferito…»
L’uomo abbassò lo sguardo, espirò e poi tornò a guardarla.
«Non lo so»
Molly sorrise e tese una mano.
«Le chiavi, per favore…»
Lui sciolse le braccia ma solo per infilare le mani nelle tasche.
«Pensi veramente che il sapere queste cose delle persone sia il metro adatto per giudicare l’importanza che si da ad esse?»
Molly gli sorrise veramente, di cuore.
«No, ovviamente no! Ma sono quelle che le persone vogliono che chi le ama sappia…e tu lo sai. Ed è per questo, che le ricordi!»
L’uomo la scrutò, la mente intenta ad elaborare le informazioni ricevute.
Lei sospirò.
«Ora…posso riavere le chiavi?»
Lui esitò qualche istante prima di rispondere, poi drizzò la schiena e la guardò fiero.
«No!»
Molly sbatté le braccia lungo i fianchi e lo osservò infastidita.
«Benissimo! Allora resteremo qui!»
«Potremmo entrare e parlare?»
«Scordatelo, tu non entri a casa mia…»
«…e tu non entri in casa tua senza di me!»
Disse lui, facendo risuonare le chiavi nella tasca.
Lei incrociò le braccia.
«Perfetto!»
«Perfetto!»
 
Passarono cinque minuti in completo silenzio. Molly si era riseduta sul gradino e Sherlock era rimasto immobile, in piedi, di fronte a lei.
«…piove…»
«Sei veramente un detective brillante!»
L’uomo sbuffò.
«E’ una cosa ridicola!»
«Dammi le chiavi, vattene a casa e smetterà di essere una cosa ridicola!»
Si udì un tuono e la pioggia, per quanto fosse possibile, aumentò.
La patologa portò lo sguardo sull’uomo che, in mezzo al marciapiede, la scrutava.
«Almeno vieni sotto la tettoia!»
Lui alzò leggermente lo sguardo sopra la testa di lei.
«Non mi sembra stia assolvendo al suo compito…»
Molly alzò il volto e sorrise…come sempre, Sherlock Holmes, aveva ragione! Ciononostante, lo vide fare qualche passo e posizionarsi accanto a lei, la schiena rasente il muro e le mani ancora nelle tasche.
Ritornarono al loro mutismo, poi il detective si schiarì la voce.
«Pensi veramente che sappia più cose di me?»
Molly si voltò ed alzò gli occhi per incontrare quelli di lui.
«Come?»
«Pensi veramente che Moriarty sappia di te, più cose di quante ne sappia io?»
Molly tornò a fissare la strada di fronte a sé ed alzò le spalle.
«Si»
Il detective tolse le mani dalle tasche e le portò alle tempie massaggiandole.
«Dio santo, Molly..»
Lei tornò a fissarlo, questa volta indispettita.
«Cosa?!...Saremo usciti tre volte, è vero, ma abbiamo sempre parlato ed ha voluto sapere un sacco di cose su di me…si è interessato…» poi il suo sguardo si fece più triste e tornò a guardare di fronte a sé, il volto appoggiato sulle braccia incrociate «certo, lo ha fatto per ottenere le informazioni su di te…però lo ha fatto…»
«Quindi, pensi che un uomo, che ti ha usato solo e soltanto per arrivare a me, ti conosca più di quanto ti conosco io?!»
Molly sbuffò.
«Beh, tecnicamente si!»
Sherlock rimise le mani nelle tasche.
«E poi sono io che non capisco l’animo umano…»
Molly si voltò leggermente per lanciargli uno sguardo gelido ma si trovò a rispondere al mezzo sorriso del detective. Poi risero sommessamente entrambi.
Uno sternuto bloccò la risata della patologa.
Lui sbuffò.
«Molly, per favore, entriamo in casa!»
Lei scosse la testa.
«Piuttosto, perché non mi hai riportato anche il cappotto?»
Lui alzò le spalle.
«Non ci ho pensato!»
Molly bofonchiò prima di sentire il calore del cappotto che lui le aveva appoggiato sulle spalle.
«Non so quanto ti possa esser utile… qualcuno pretende che resti sotto la pioggia…»
La patologa strinse i lembi a coprirsi maggiormente. Poi, con mossa fulminea, infilò la mano nella tasca dove fino a qualche istante prima si trovavano le chiavi.
L’uomo alla sua sinistra le fece saltare sul palmo, prima di infilarle in una tasca dei pantaloni.
«Ci hai sperato veramente?»
La patologa si riaccucciò.
«Ovviamente no!»
Dei passi affrettati alla loro destra li fecero voltare.
«Molly! Cosa fai qui fuori? Hai dimenticato le chiavi?»
La patologa sorrise al ragazzo e si alzò dal gradino. Sherlock si staccò dal muro osservando con aria cupa il giovane.
«Oh, ciao Paul! Veramente io…»
Il detective si intromise.
«In realtà le abbiamo!»
Il ragazzo osservò prima l’uno e poi l’altra con aria interrogativa.
«E…perché non entrate?»
Sherlock si girò verso la patologa.
«Già! Perché non entriamo Molly?»
Lei serrò la mascella e si guardò intorno. Il vicino di casa aggrottò le sopracciglia e fissò con aria di sfida il detective, che ricambiò.
«Molly, ti sta importunando quest’uomo?»
La ragazza sobbalzò leggermente e si frappose fra i due.
«No, no!...Ecco…» sorrise di nervosismo verso il ragazzo che la guardava senza comprendere «beh, si adesso entriamo…»
Sentì l’uomo dietro di sé muoversi ed infilare la chiave nella toppa. La porta si aprì.
«Dopo di te!»
Quanto odiava il falso sorriso di Sherlock Holmes!
 
La patologa sorrise al dirimpettaio per salutarlo e chiuse la porta del suo appartamento.
Si tolse il cappotto che aveva ancora sulle spalle e lo porse al detective che, una volta preso, lo poggiò sulla spalliera di una sedia.
Lei lo guardò con noncuranza.
«Ora puoi anche andartene!»
Sherlock, nel centro del salotto, la osservava girovagare per l’appartamento accendendo luci, prendendo il necessario per il thè e togliendosi strati di abiti bagnati.
«Mi stai cacciando?»
La patologa gli donò un sorriso falso e si sedette sullo sgabello della cucina.
«Precisamente!»
«Sei scortese, Molly.»
Lei alzò un sopracciglio.
«Non credo tu sia nella posizione di giudicare il mio livello di cortesia!»
Lui alzò le spalle ed iniziò ad esaminare la sua libreria. Lei lo seguiva con gli occhi.
«Che stai facendo?»
«…verifico…»
«Che cosa?»
Una volta controllati tutti i volumi annuì leggermente.
«Ovviamente, non mi ero sbagliato.»
Lei fece finta di ignorarlo.
«Nessun manuale di scacchi»
«Perché dovrei averne uno?»
Sherlock si voltò a guardarla, redarguendola con lo sguardo.
Lei alzò le spalle.
«E’ stato mio padre…ad insegnarmi a giocare, intendo…»
L’uomo annuì e le si avvicinò.
Molly abbassò lo sguardo.
«E’ morto, qualche anno fa…»
«Si, lo so…»
La teiera iniziò a fischiare. La patologa si alzò, la spense e versò dell’acqua bollente in una tazza; dopo qualche istante si girò per tre quarti.
Lui la guardò, strinse le labbra e le fece schioccare.
«No, non ho intenzione di andarmene e si, gradisco del thè.»
Lei fissò con odio quel sorriso tirato, aprì l’anta della credenza, ne estrasse un’altra tazza, la riempì e la posò sul tavolo di fronte a lui.
«Mi spiace, non ho il latte!»
Il tono canzonatorio non sfuggì all’uomo.
«Quindi, seguendo il tuo criterio…il fatto che tu ricordi come prendo il thè, vuol dire che…»
Lei aprì leggermente le labbra cercando una risposta e contemporaneamente percepì chiaramente il rossore partire dal suo collo e salire fino alle guance. Stava per incastrarla!
Tossì leggermente mentre l’uomo di fronte a sé la osservava soffiando sulla sua tazza.
«Quel criterio vale per te, Sherlock.»
Lui sorseggiò la bevanda dalla tazza e la riposò sul tavolo. Poi rivolse un’occhiata severa alla patologa prima di incamminarsi nuovamente verso la libreria.
«Vediamo un po’ se ho capito bene…Io, che sono una persona arida, meschina, indifferente al resto del mondo…erano queste le parole, giusto?» portò la sua attenzione verso la donna ancora seduta in cucina.
Lei sorseggiò il suo thè guardando altrove, per poi annuire fissando il tavolo.
Lui tornò ad osservare la libreria. Prese un grosso tomo, lo scrutò per qualche istante, lo poggiò sul tavolino basso di fronte alla poltrona e continuò a cercare.
«Perfetto! Quindi, io, con tutti questi fantastici pregi, mi ricordo ciò che le persone a cui tengo vogliono che io ricordi per dimostrare il mio…interesse, diciamo. Mentre non ricordo le medesime cose per le persone che non mi interessano. Quindi, tu per me, non sei nessuno, giusto?»
La patologa si alzò e posò la tazza nel lavandino. Fece qualche passo, incrociò le braccia e si appoggiò con l’anca all’isola della cucina. Sorrise debolmente.
«Diciamo più che altro che, non ho rilevanza, ecco.»
Il detective unì le dita delle mani e vi appoggiò sopra il mento, sempre osservando la libreria. Poi, improvvisamente e rapidamente, prese un libro e lo posò a far compagnia al precedente. Poi ne prese un altro ed un altro ancora.
Sollevò la pila e la posò sull’isola, accanto alla patologa.
Molly lo guardò con aria interrogativa prima che lui alzasse il primo libro e le mostrasse la copertina. Continuò a non capire anche quando lui, con aria inespressiva, iniziò a parlare rapidamente come se stesse risolvendo uno dei suoi casi.
«Niente di nuovo sul fronte occidentale, era il preferito di tuo padre e lo ami perché pensi rispecchi parte della sua vita e delle sue sofferenze»
Posò il libro, prese il successivo e così via.
«Pollyanna, te lo leggeva sempre tua madre ed è stato il tuo modello per anni»
«Orgoglio e pregiudizio, forse IL tuo libro preferito»
«E… » sollevò il tomo con un po’ di difficoltà « Anatomia di Henry Gray, classico intramontabile e concordo con te, il migliore in circolazione!»
Quando ripose l’ultimo libro sugli altri, il tonfo sordo fu seguito da un silenzio irreale.
Sherlock continuò ad osservarla, inespressivo.
Molly, gli occhi leggermente sbarrati e le labbra socchiuse osservava la pila sul tavolo. Stava per chiedere come avesse fatto, come fosse riuscito a capire che quelli erano i suoi libri preferiti quando un pensiero la fermò.
«Sono quelli più consumati!»
«Insieme ad altri 12 libri, stesso livello di usura…quarta di copertina demarcata sui passaggi riletti, pagine gonfie dal continuo movimento, segni di chiavi o penne sulle copertine perché portati spesso in borsa…non c’entra nulla il fatto che siano consumati.»
Molly lo scrutò, gli occhi a cercare di capire se mentisse. Non voleva ammettere di essersi sbagliata, non poteva essersi sbagliata!
Riportò lo sguardo sulla pila di libri.
«Il Gray era ovvio!»
L’uomo sorrise alzando un sopracciglio.
«Touché!...Tuttavia, devi anche ammettere, che è quello che citi più spesso, quello che usi in laboratorio giornalmente e quello che consulti quando sei incerta…»
Lei tornò ad osservarlo.
Lui tornò al centro del salotto ed allargò le braccia.
«Vuoi che faccia lo stesso con i film? Con i tuoi hobbies? Con che cosa?»
Molly vide il risentimento negli occhi dell’uomo ma tutto quello che riuscì a fare fu rispondere con tono aspro.
«Non voglio che mi deduci, Sherlock!»
Lo vide scattare e porsi a pochi centimetri da lei.
«Io non ti deduco, Molly Hooper»
Lei sciolse le braccia e strinse i pugni, le labbra serrate per il nervosismo.
«Allora, se sai tutte queste cose di me, perché hai detto il contrario!»
Lui le si avvicinò ancora. Gli occhi spalancati, il viso teso.
«Perché io non le so, Molly!»
Lei sbatté le palpebre un paio di volte, corrugando le sopracciglia. Non capiva! A quanto pare, non capiva qualcosa che per Sherlock era ovvio.
L’uomo drizzò le spalle, si ricompose e espirò sonoramente.
«Molly, io non so tutte queste cose di te perché non ne ho bisogno! Ti conosco, so come sei e per questo so che sono questi i libri che ami…ma non è il fatto di conoscere il libro che preferisci che mi fa conoscere te ma il conoscerti che mi fa capire qual è il libro!»
Molly si strinse nelle spalle.
«Beh, il libro preferito da un’idea della persona ch…»
«Molly, per tua stessa ammissione, sapere queste cose di qualcuno non è un parametro per capire quanto affetto si prova per esse. A te non interessa che io sappia come prendi il caffè, o il tuo libro preferito o il nome del tuo orsetto d’infanzia» la patologa sorrise «tu, Molly Hooper, non sei così superficiale ed io non ho alcuna intenzione di ricordarmi di te attraverso cose così superficiali!»
La patologa serrò le labbra, gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime.
Lui le si avvicinò, posandole una mano sul fianco per avvicinarla a sé.
«Ammettilo, tutti quei simpatici aggettivi sulla mia persona, erano eccessivi.»
Molly sorrise trattenendo un singhiozzo ed allungando le braccia per stringerle intorno al suo collo.
«Da quando sei così profondo, Sherlock Holmes?»
«Mi hai costretto ad imparare…John non voleva più spiegarmi nulla …»
La patologa rise e si strinse maggiormente a lui non appena sentì le sue labbra posarsi sulle proprie.
Quando si distanziarono, la voce leggermente ansante e sarcastica della patologa riportò l’attenzione di lui dalle sue labbra ai suoi occhi.
«Sai anche baciare…chi te l’ha insegnato ?»
Sentì l’uomo irrigidirsi.
«Non è come pensi tu, io…»
Molly sorrise.
«Meno male…per un attimo ho temuto che le voci messe in giro da Mrs Hudson su te e John fossero vere!»
Il detective la guardò con aria innervosita mentre lei scoppiava a ridere.
«Molto divertente, Molly Hooper…AH!AH!»
La patologa smise di ridere e, con un sospiro pieno di serenità, appoggiò la sua guancia sul petto di lui.
«Molly?»
«Mmh?»
«…Con Irene Adler…»
Lei si strinse maggiormente a lui.
«Sherlock, veramente, non mi interessa se…»
Lui la interruppe. Le labbra appoggiate fra i capelli di lei, gli occhi socchiusi.
«No…devi ascoltarmi: non è successo nulla…»
La patologa sospirò leggermente fissando un punto imprecisato della sua libreria. Si maledisse per aver creduto a Moriarty. Sapeva che Sherlock non mentiva.
«Avresti dovuto provare!». La sua correttezza, la sua dannata correttezza l’aveva fatta essere sincera un’altra volta. Sapeva che se lui avesse provato, magari…
«Non ho voluto provare!»
Lei sorrise e sollevò il volto per guardarlo negli occhi.
«E perché?»
Lui alzò un sopracciglio e sorrise apertamente.
«Voglio sperare che sia una domanda retorica, Molly Hooper?!…mi sono esposto fin troppo stasera!»
Lei rise ed appoggiò la fronte contro quella di lui.
Forse, in fondo, la sua correttezza e la sua integrità nei confronti di Sherlock e di quello che lei credeva essere amore verso Irene Adler, l’avevano aiutata a trovarsi lì. Tra le sue braccia, con il calore del suo corpo vicino al suo, gli occhi che riflettevano la felicità che provava ed un sorriso che mai, mai avrebbe pensato di vedere rivolto a lei.
  
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