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Autore: UsaSama    03/10/2008    1 recensioni
L’autrice dei romanzi della serie Harry Potter ha spesso riportato i pensieri del protagonista. Negli ultimi due libri “Harry Potter e il Principe Mezzosangue” e “Harry Potter e i Doni della Morte” ha aggiunto anche alcuni pensieri di Voldemort, facendoli passare attraverso la mente di Harry quando la cicatrice a forma di saetta bruciava al culmine. Questo racconto riflette alcuni miei pensieri e alcuni pensieri su Voldemort. Io l’ho sempre rispettato e anche odiato per certi versi, tuttavia negli ultimi due libri, ha cominciato a farmi pena e a farmi pensare al suo atteggiamento. Godetevi questa fan fiction perché perderete ogni cosa.
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Voldemort: Tra Distruzione e Pazzia

Quella fredda notte, una donna mise al mondo la piccola creatura che un giorno sarebbe diventato distruttore del mondo. Si guardava furtiva intorno, alla ricerca di un aiuto. Scorse in lontananza un orfanotrofio e vi posò la creatura in fasce davanti all’uscio.
Poco dopo, ella morì a causa della piccola creatura.
Il piccolo non era un piccolo qualunque: possedeva qualcosa che i comuni mortali non potevano immaginare. Crebbe in un clima di totale oscurità, sapendo che per colpa di quel qualcosa faceva allontanare gli altri, i quali voleva far diventare suoi amici.
O almeno, ci tentava.
Durante una gita dove vi era il mare, il ragazzino, il quale nome era Tom Orvoloson Riddle, portò due amici in una grotta per “giocare” con loro. Non si ripresero più da quell’incidente che li avvolgeva; si diceva addirittura che fossero diventati pazzi, che avessero paura.
Forse avevano solo sognato, forse avevano scoperto che poteva fare cose aldilà della normalità.
O forse, avevano scoperto il suo segreto.

Poco tempo dopo, quando il ragazzo crebbe fino all’età di undici anni, un signore anziano, proveniente dal suo mondo, propose a Tom di entrare nella sua scuola. Non era una scuola normale: era una scuola di magia.
Ecco cosa lo rendeva diverso: la magia.
L’anziano, di nome Silente, si era offerto di portarlo a Diagon Alley per comprare bacchetta, mantello, gufo, libri, calderone… Tuttavia il giovane si rifiutò e l’anziano gli porse una lista di cose che avrebbe sicuramente trovato nella strana cittadina aldilà del mondo Babbano.
Era eccitato e gioioso nel sapere che lui non era come gli altri: sapeva di essere diverso, ma non sapeva di essere un mago. Finalmente era stata svelata la verità.
Fatti i bagagli, partì per la volta di Diagon Alley. Era incredibilmente felice di essere sfuggito da quel luogo che gli aveva procurato tanti problemi, quel luogo maledetto, dove non poteva esprimere tutta la sua pazzia. Dove tutti non l’avevano accettato.
Arrivato a Diagon Alley, attraverso un passaggio segreto che solo i proprietari del locale ove si passava conoscevano, cominciò a guardarsi in giro: c’erano tantissime persone con le bacchette in mano, tantissime persone con il mantello sulle spalle e con la civetta o il gufo o il loro famiglio appresso. Tutto era così perfetto: si trovava a casa, in una città dove sapeva che l’avrebbero accolto.
Ma non era ancora arrivato in quella che sarebbe stata la sua vera casa.

Ritirati gli oggetti e le varie cose, tra cui un famiglio serpente che assunse il nome di Nagini, Riddle cercò al Paiolo Magico una stanza, in attesa del primo settembre: giorno in cui sarebbe stato scortato ad Hogwarts attraverso l’espresso. Era in attesa, in trepidazione. Mancavano solo due giorni e la sua pazienza calava ogniqualvolta che il tempo sembrava fermarsi.

Il giorno della partenza arrivò in poco tempo: era già davanti al binario 9 e ¾, prese le valigie e salì sull’espresso per Hogwarts. Fu il primo a salire. Non vedeva l’ora che il vecchio treno si mettesse in moto per andare in una scuola dove tutti lo capivano.
Arrivato a Hogwarts, durante lo smistamento, fu messo nella casa di Serpeverde. La casa che aveva creato un suo antenato. Era fierissimo di essere stato messo in quella casa, gli sembrava il giorno più bello della sua vita.

Passarono alcuni anni e il suo potere magico continuava ad accrescere. Eccelleva in tutte le materie, tuttavia, nella sua mente c’era solo una parola: potere. Non desiderava altro che sopraffare chiunque l’avesse contrastato; tuttavia voleva condividere la gioia con altre persone e si creò dei seguaci, il quale nome di essi era Mangiamorte. Il requisito principale era di essere Purosangue, non un Mezzosangue. Essi disprezzavano, come Tom, i Mezzosangue. Difatti cominciò un’intensa caccia agl’ultimi. Non capiva il perché del suo odio: forse perché effettivamente, era anche lui un Mezzosangue. Cambiò nome e si fece chiamare con l’appellativo di Voldemort.
Pochi mesi dopo, quando fu arrivato l’ultimo anno, la bramosia di potere s’impadronì di lui. Difatti chiese al professore di Pozioni, Lumacorno, che cosa fossero gli Horcrux. Rispose che era un frammento di anima messo in una persona o in un oggetto, ma per farlo doveva uccidere qualcuno. E così fece: uccise sei persone per un totale di sei parti di anima. Era arrivato a un passo dall’immortalità. Rideva alla sola idea di essersi spinto oltre i confini dell’uomo. Si amava per questo e divenne ancora più assetato di potere.
Qualche mese dopo, quando fu riuscito a diplomarsi al M.A.G.O., il giovane chiese al preside Silente di dargli un posto di lavoro come insegnante, magari in Difesa Contro le Arti Oscure. Il preside gli rispose in modo negativo, poiché era troppo giovane per essere un insegnate, tuttavia gli chiese di ripassare qualche anno più tardi.
In quell’arco di tempo, lavorò a Magie Sinister in Notturn Alley. Anche lì non riusciva a smettere di pensare al suo potere, alla sua voglia d’impadronirsi del mondo. Alla voglia di uccidere: voglia che era affiorata nei suoi pensieri non poco tempo prima.
Il mago tornò qualche anno dopo a Hogwarts, ancora per chiedere il posto come insegnate: ma il preside gli negò l’opportunità, chiedendogli il perché di questa voglia di insegnare. Voldemort non rispose ma si limitò ad andarsene dalla scuola.
Uccise suo padre, i suoi nonni. Era assetato di potere e di vendetta per quel mondo che era sempre stato così ingiusto con lui.

Era una fredda notte di ottobre, precisamente alla fine di ottobre. Si aggirava in Godric’s Hollow, distruggendo, uccidendo, massacrando le persone. Entrò in una casa, uccise un giovane uomo mentre una donna correva con in braccio il piccolo figlioletto di poco più di un anno. Non servì a molto fuggire per la donna, poiché Voldemort la rincorse e la uccise con l’Anatema che Uccide. La sua voglia di uccidere si era espansa così tanto che non aveva neppure pietà per un bambino piangente: anzi, a lui ricordava molto la sua vita in orfanotrofio, dove tutti i bambini piangevano per le sue malefatte.
Alzò la bacchetta. La voglia di uccidere c’era ed era anche tanta. Si sentiva onnipotente con quella sfilza di Maledizioni senza Perdono. Osservò i verdi occhioni del bambino che piangeva dentro la sua culla. «Avada Kedavra» disse, tenendo puntata la bacchetta contro il piccolo.
La Maledizione rimbalzò indietro, distruggendo parte della casa del bambino che, a quanto pare, era sopravvissuto. Fuggì via dal suo fallimento e si disperò: promettendo che un giorno non molto lontano, ucciderà il piccolo. Nella sua mente balenavano l’odio, la disperazione e anche un bel po’ di sconcertamento: come poteva un bambino così piccolo aver evitato il suo Avada Kedavra? Giurò vendetta a quel bambino, che presto fu riconosciuto come “Il Bambino Sopravvissuto”. A causa di questo incidente, perse parte dei suoi poteri e rimase per qualche anno a riflettere su come poteva uccidere il bambino.

Undici anni dopo, Voldemort venne a sapere dell’esistenza della Pietra Filosofale: una pietra in grado di trasformare il metallo in oro e in grado di generare l’Elisir Della Lunga Vita. La sete di potere s’impadronì di nuovo di Voldemort. Tuttavia, venne a sapere che questa era nascosta nella scuola dove era andato da ragazzino e scoprì inoltre che lì c’era il Bambino Sopravvissuto: Harry Potter. Non capiva se era paura o vendetta quella che provava verso il ragazzo. Decise così di andare di nuovo a Hogwarts per impadronirsene: era diventato un mostro assetato di potere e di immortalità. Tuttavia, quest’impresa d’impadronirsi della Pietra Filosofale sfumò a causa di Harry Potter.
Provava ancora più odio verso quel ragazzino: come poteva essere che quel giovane era più forte di lui?
Poco tempo dopo, una parte della sua anima fu distrutta, così come poco tempo prima, un'altra parte della sua anima venne distrutta, stavolta a causa di Silente. I pensieri si scatenarono: ebbe un odio pazzesco nei confronti di tutti, tranne dei suoi Mangiamorte.
Poco tempo dopo, al quarto anno scolastico del nemico, Voldemort riprese parte dei suoi poteri e interferì nel Torneo Tremaghi, rivedendo il rivale; tentò di ucciderlo, tuttavia gli sfuggì di nuovo.
Ancora odio e odio nella sua mente, non provava altro. Era ossessionato dall’idea di uccidere il ragazzo, quel ragazzo che odiava particolarmente, quel ragazzo che gli era sfuggito, quel ragazzo della quale voleva sbarazzarsi da tempo.
Arrivò al Ministero della Magia e lo incontrò di nuovo, stavolta ci mise tutto se stesso per ucciderlo. Tuttavia non ce la fece di nuovo. Ancora una volta l’odio si impadronì di lui, aveva perso il controllo. Non riusciva affatto a liberarsi dalla mente l’immagine del ragazzo che gli era sfuggito più e più volte.
Durante il sesto anno, uno dei suoi nemici, Albus Silente, morì per mano di Severus Piton. Un po’ di gioia entrò nel suo corpo, tuttavia gli mancava anche il ragazzo. Il giovane. Il Bambino Sopravvissuto. Alcuni pensavano che si fosse addirittura innamorato di quel ragazzo: invece era solo un’ossessiva ossessione.
Passò un altro anno e venne a sapere che Harry Potter stava cercando le parti della sua anima. Ancora odio, potere, distruzione e un pizzico di preoccupazione affioravano ora nel cuore e nella mente di Voldemort mentre ordinava ai Mangiamorte di conquistare tutto il Mondo Magico e di uccidere coloro che si fossero opposti. Ordinò inoltre di portargli Potter vivo semmai l’avessero scovato da qualche parte. Era davvero colmo d’odio e di rabbia.
Qualche mese dopo, il Signore Oscuro si ritrovò faccia a faccia col proprio rivale. Puntò la bacchetta contro di lui e disse di nuovo «Avada Kedavra». Vedendo il corpo del ragazzo che gli aveva dato filo da torcere per molti anni e della quale era praticamente ossessionato, lo fece diventare gioioso, una gioia paragonabile all’incontro con Silente quand’era ragazzo.
Tuttavia, era solo una flebile illusione. Non era davvero morto il suo arcinemico. Anzi, era vivo e vegeto. L’odio di nuovo s’impadronì di lui. Voleva ucciderlo, doveva ucciderlo. O lui, o il ragazzo. Lui aveva paura della morte, voleva vivere ancora e ancora per compiere altre malefatte. Aveva voglia di vivere.
Tuttavia, questa voglia di vivere fu stroncata da un Expelliarmus del ragazzo. Il suo Avada Kedavra fu riconsegnato al mittente e morì per mano del Bambino Sopravvissuto alla quale, diciassette anni prima, aveva portato via la famiglia.
Il suo più grande desiderio era stato portato via assieme alla sua anima. Realizzò dopo che parte della sua anima era collegata col giovane che l’aveva ucciso. Quindi uccidendo il ragazzo, ha ucciso l’ultimo Horcrux legato a lui per consentirgli l’immortalità.

Tutta la sua ossessione per Harry Potter era stata la causa della sua fine. Colpa sua, solo colpa sua se era morto.


----------------- Ringraziamenti -----------------
Ringrazio J.K. Rowling per aver creato una delle saghe più belle della letteratura moderna e la ringrazio per avermi dato l’ispirazione per la mia prima fiction su Harry Potter.
Ringrazio i lettori che hanno letto questa fiction, sperando che sia stata a loro gradita.
Infine, ringrazio Microsoft Word per avermi corretto alcuni errori di battitura (Eh sì, capitano!)

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