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Autore: MarySmolder_1308    21/09/2014    3 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
“Mary, esci fuori. Dai!” sentii Rose dirlo dall’altra stanza.
Mi guardai un’ultima volta allo specchio.
Il vestito che indossavo era beige, con una scollatura a cuore che mi cingeva il petto e una fascia, sempre di quel colore delicato, che distingueva il corpetto dalla gonna lunga e morbida.
“Andiamo, non vorrà fare aspettare la sposa” la commessa mi sorrise.
Indossai il paio di decolleté nere che Rose aveva scelto e uscii dal camerino.
I suoi occhi brillarono, non appena mi vide.
“S-sei… non ho parole, sembri una dea” si alzò di fretta dalla sedia e mi abbracciò forte, commossa.
“La dea sarai tu, mia cara – la strinsi – Io sarò un’umile ancella. La tua umile ancella” sciolsi l’abbraccio e mimai un inchino.
“Al mio servizio?”
“Esattamente, mia signora” feci una risatina.
“Allora, signorina Davis, cosa ne pensa del vestito?”
“Il vestito è perfetto. E’ tutto beige, senza un elemento che spezzi, è vero, tuttavia è bellissimo così com’è. E’ delicato e non pesante alla vista. Inoltre si intona perfettamente con la carnagione della mia damigella, né troppo chiara né troppo scura. Le scarpe poi sono magnifiche. Stanno davvero bene col capo. Il pizzo nero rende l’insieme più vivace, più elaborato, essendo il vestito più semplice. E’ davvero… perfetto” Rose sorrise a trentadue denti estasiata.
“Ma le scarpe non si vedono molto, sicura che” feci per aggregarmi a quella conversazione, ma mi interruppe: “Ti ricordo la borsa abbinata. Mary, sono davvero entusiasta di questo outfit. Spero piaccia anche a te”
“Giusto – annuii, ripensando alla pochette nera con le decorazioni in pizzo che avevamo comprato la settimana scorsa – Se piace a te, piace a me” le sorrisi e la abbracciai nuovamente.
“Allora va bene così?” chiese la commessa, guardandoci sorridente.
“Sì. Tutto perfetto” dicemmo insieme.
Sciolto l’abbraccio, andai in camerino e mi cambiai. Pagai il vestito e le scarpe e uscii dal negozio in compagnia di Rose. Riaccompagnatala in ospedale per il turno notturno, tornai a casa. Non appena varcai la soglia, il cellulare cominciò a squillare in modo inusuale.
Sbloccai la tastiera e notai che era una chiamata di Giorgio da Skype.
Risposi: “Ehi, fratellone, sono appena tornata a casa. Richiama tra due minuti che ti rispondo dal computer. D’accordo?”
“Ai suoi ordini, dottoressa. A tra poco” e riattaccò.
Chiusi il portone, indossai le pantofole, salutai Damon, Thursday e Moke e corsi nello studio per recuperare il computer portatile.
Lo accesi e accedetti a Skype, in tempo per ricevere nuovamente la chiamata di mio fratello.
“Buonasera” gli sorrisi, facendo ciao con la mano in direzione della webcam.
“A te, sorellina. Come te la passi?”
“Egregiamente. Oggi pomeriggio sono stata con Rose a comprare il vestito da damigella per il suo matrimonio”
“Davvero? Wow! E com’è?”
“Segreto – gli feci una linguaccia – lo vedrai direttamente dalle foto di quel giorno”
“Come vuoi – Giorgio alzò le mani in segno di resa – Allora, hai controllato il sito dei voli? Mamma, papà e Michele hanno prenotato il volo Catania-Londra e Londra-Catania per cinque persone”
“Cinque?”
“Sì. Ti ricordo che nonna e nonno sono inclusi”
“Giusto! Hanno prenotato per?”
“Partono il ventidue mattina e arrivano qui verso mezzogiorno. Perciò, devi regolarti più o meno con quest’orario per l’altro volo”
“Il ritorno?”
“Il ritorno è giorno otto di pomeriggio”
“Ok. Allora – ridussi Skype a una piccola icona e aprii il motore di ricerca, cliccando l’icona con l’aereo tra i miei preferiti – Ho appena aperto il sito. Solo un momento che digito” sorrisi.
“Ok”.
Scrissi ‘Londra-Atlanta’, precisando come data il 22 Dicembre all’andata e il 7 Gennaio per il ritorno . Non appena cliccai ‘invio’, il sito evidenziò la mancanza di voli.
“Ehm, Giorgio” dissi esitante.
“Che succede?”
“Per il 22 non ci sono voli da Londra ad Atlanta. Stessa cosa al contrario per il 7. Mi sa che i posti sono tutti pieni”
“Cosa? E adesso che si fa?”
“Non lo so, sinceramente”
“Ian che dice?”
“Ian non è a casa. Al momento è agli studios, sta girando”
“Uh, a che episodio sono arrivati?”
“Episodio 11 della quinta serie”
“Quando smetterà di girare?”
“Il 20 e il 21 saremo già a Covington” tamburellai con le dita sulla scrivania.
“Non sei per niente agitata” mi guardò, borbottando.
“Giusto un po’ – sorrisi nervosamente – Comunque, un attimo lo chiamo”.
Presi il cellulare e cliccai su ‘ultimi numeri’. Cercai ‘Ian <3’, dopodiché strisciai il dito, avviando così la chiamata.
“Pronto?” disse dopo mezzo squillo.
“Veloce” sorrisi.
“Ehi – la sua voce si addolcì; potei percepire il suo sorriso – come stai? Vestito deciso?”
“Sto benissimo e tu? Sì, vestito molto deciso”
“Bene, a parte il fatto che siamo bloccati su una scena da circa un’ora e mezza. Se solo – si arrestò – Comunque, dimmi”
“Ecco, non farmi spoiler – feci una risatina – Sono in collegamento Skype con mio fratello, stiamo cercando i voli. Ora, i miei hanno già acquistato i biglietti per il volo Catania-Londra e viceversa, tuttavia non abbiamo trovato voli e offerte per il Londra-Atlanta. Qualche idea?”
“Mmm fammi pensare – per qualche attimo regnò il silenzio – Potresti provare con New York e Montgomery”
“Cosa intendi?”
“Prova a cercare voli intercontinentali Londra-New York, dopodiché cerchi voli nazionali New York-Montgomery. Quest’ultima è collegata a Covington grazie agli autobus, perciò”
“Giusto! Hai ragione – risposi contenta – faccio subito”
“Ian, muovi il culo” sentii la voce di Julie urlare.
“Mary, devo staccare”
“Non preoccuparti. Ci sentiamo più tardi”
“Ma certo. Ti amo”
“Anche io” gli mandai un bacio e riattaccai.
“Allora?” Giorgio attirò la mia attenzione, sventolando le mani davanti alla webcam.
“Ian mi ha detto di controllare tra New York e Montgomery. Un momento”.
Digitai ‘Londra-New York’ per sette adulti e un bambino e il sito mi diede dei risultati.
Appuntai il volo più economico, dopodiché cercai voli ‘New York-Montgomery’, facendo la stessa cosa.
“Mary, mi vuoi includere nella tua ricerca?” Giorgio sorrise sfacciato.
“Allora – mollai la penna sulla scrivania – Londra-New York il 22 alle tre del pomeriggio, arrivereste nella Grande Mela all’una meno venti di mattina; poi New York-Montgomery ha come orario le tre, dunque arrivereste in città verso le nove. Infine, da Montgomery a Covington avreste un autobus alle, vediamo se ho fatto bene i miei calcoli – cercai velocemente sul sito dei bus della città dell’Alabama – Sì, sono un piccolo genio matematico – mi pavoneggiai un pochino – Arrivereste esattamente alle due e mezza del pomeriggio”
“E brava la mia sorellina” Giorgio fece finta di applaudire.
“Dopodiché giorno 2 nel primo pomeriggio tornate a Montgomery col bus e prendete l’aereo Montgomery-Atlanta, arrivando circa alle sei e mezza”
“Del mattino?” chiese Giorgio, incredulo.
“No, di sera! – risposi con ovvietà – Da Montgomery per venire qui ci vuole solo un’oretta di aereo. Comunque, poi il 7 avete un aereo molto mattiniero Atlanta-New York alle quattro, così da arrivare alle sei e un quarto e poter beccare la coincidenza New York-Londra delle otto e arrivare a Londra alle sette di sera”
“E’ perfetto. Finalmente avremo un po’ di tempo per vedere Atlanta. Nonostante, comunque, tu abbia dei turni di lavoro”
“Lo so, ma meglio di niente, no?”
“Hai ragione” Giorgio sorrise.
“Bene. Ho già prenotato tutto” premetti invio sui vari ordini.
“M-ma, Mary” balbettò.
“Che c’è? Piccolo regalo di Natale per tutti voi”
“No, non è giusto. Non stai offrendo il biglietto a una persona, bensì a sette. Sono un sacco di soldi. No, assolutamente no”
“Troppo tardi, l’ho fatto”
“Mary”
“No – lo interruppi – Ascoltami bene. Mamma, papà, voi tutti, insomma, avete sempre fatto dei grandi sacrifici per me. Questa cosa che vivremo, lo stare insieme alla famiglia della persona che amo, è una cosa grossa. Oserei dire enorme! – enfatizzai – E riguarda principalmente me e Ian. Ecco perché ci siamo divisi la spesa” sorrisi.
“Ma così i tuoi risparmi” lasciò la frase a metà.
“Farò dei turni in più. Non c’è nessun problema – sorrisi nuovamente – Ciò che conta al momento è solo questo vostro viaggio. E il vedere in maniera decente Atlanta e casa mia” sottolineai le ultime due parole.
“Ehi, non è colpa mia se quando hai avuto quell’incidente mamma e papà non hanno avuto il coraggio di prendersi le chiavi di casa e hanno prenotato un hotel”
“Vi vorrei ancora strangolare tutti per quella storia – scossi la testa – Non fatelo mai più!”
“Agli ordini” Giorgio mimò il gesto da militare.
Risi, mentre Addison faceva capolino dalla cucina.
“Tutto fatto?” chiese, mentre si asciugava le mani su un grembiule arancione.
“Oh sì – Giorgio si sfregò le mani – A parte il fatto che per i voli intercontinentali e compagnia hanno voluto pagare i due piccioncini”.
Addison mi guardò a bocca aperta; sventolato l’indice, mi disse: “No, non si fa, signorinella!”
“Ti ricordo che dieci anni fa avete pagato voi il mio primo biglietto per Londra”
“E io ti ricordo che era un’andata e un ritorno per una persona, non sette”
“Ormai è fatta” feci una smorfia.
Chiacchierammo per un’altra mezz’oretta, poi riattaccammo.
In Inghilterra era quasi l’una di notte, mentre da noi era quasi ora di cena.
Uscii dallo studio e mi diressi in cucina per mettermi ai fornelli, in attesa che Ian tornasse a casa.
 
POV Ian
“Mary, andiamo!” le urlai, mentre suonavo il clacson dell’Audi.
“Arrivo” rispose lei, con la stessa tonalità.
Dopo qualche minuto, chiuse il portone di casa sua, con al seguito una borsa, una tracolla e ben due valige. Enormi.
“Ma stai partendo per un anno?” le dissi, sghignazzando.
“No. E non ridere. Sono due settimane di Dicembre, le più importanti di Dicembre. La roba pesante è ingombrante”
“Ti sei portata un armadio” scossi la testa, rassegnato.
“Piuttosto di guardare me – mi fissò in malo modo – Hai davvero intenzione di portarti la tua piccola auto?”
“Piccola? – ribattei incredulo – Ma la vedi bene?”
“Certamente. Sarà anche grande per i tuoi bagagli”
“Usa il singolare, grazie” precisai, accennando un piccolo sorriso beffardo.
“Per il tuo bagaglio, ma i miei non ci entreranno mai. Ci portiamo la mia bellissima e spaziosa macchina, non si discute”
“Come comanda, Sua Maestà” mimai un inchino.
Scesi le gabbiette dei gatti e il mio bagaglio dall’auto. Posate le chiavi in casa, presi quelle della macchina di Mary. Caricammo tutto nel cofano. Indossate le cinture, accesi il motore e partimmo. Mary accese la radio e partì una canzone Disney.
“Non ce n'è, per nessuno ormai,
di tutta la Grecia è il più esaltante degli eroi.
Ercole sa come si fa ad affascinare tutta quanta la città.
Ieri era zero
-Zero, zero.
-Oggi è un guerriero
-E il più fiero
E chi l'avrebbe pensato mai, oggi è il più grande che sia esistito mai”.
“Ma questa non è una canzone di  Hercules?” la guardai con la coda dell’occhio.
“Sì. In italiano” rispose un po’ secca, torturandosi le mani.
“Quanti anni hai, cinque?” scoppiai a ridere.
“Guarda che non si è mai vecchi per i film Disney, mai – sottolineò, sventolando l’indice sinistro vicino alla mia guancia – E poi sono canzoncine allegre. Mi distraggono”
“Da cosa, la tua morte imminente?”
“Non prendermi in giro – sospirò – E’ una cosa – arrossì – Non riesco nemmeno a pensarci. Ma perché ho accettato?!” disse con fare tragico, sbattendo lievemente la testa sul cruscotto.
“Tesoro, ascoltami”
“Parla, sono tutta orecchie” rispose, continuando quell’atto.
“Allora, innanzitutto, smetti di battere il tuo osso frontale sul cruscotto della tua preziosa auto. Cosa vuoi, una commozione cerebrale?” conclusi con la stessa tragicità, usata da lei poco prima.
“Simpatico. Davvero” rispose sarcastica, mentre alla radio cominciava una canzone del nuovo Disney, Frozen.
“Secondo – continuai il mio discorso – non devi prenderla così male. Non farne una tragedia. Stai solamente incontrando i miei genitori ufficialmente come mia ragazza. Tutto qua”
“Tutto qua? Come fai a dire ‘Tutto qua’? E’ un passo importantissimo. Che cosa dovrei fare? Come dovrei comportarmi?”
“Mary, sarò sincero: io mi sono innamorato di te per la tua persona. Sei una donna straordinaria, forte, bella e divertente. Non puoi semplicemente essere te stessa?”
“M-me stessa?”
“Sì”
“Ma sono impacciata. E goffa. E”
“E allora? – mi interruppe – E’ anche quest’aspetto che ti rende vera. Credimi”.
Mary sorrise. Senza slacciarsi la cintura, si sporse, abbastanza da poter avvicinare il suo volto alla mia guancia destra, e mi diede un bacio.
“Con le parole ci sai proprio fare” mi sussurrò.
Non appena si sedette nuovamente composta, cambiai la marcia e lasciai che la mia mano toccasse il suo ginocchio.
Continuammo a viaggiare in quella posizione, mentre la radio ci proponeva altre canzoni, sempre della Disney.
 
POV Mary
Ampio cortile ciottolato. Prato curato. Alti alberi sempreverdi. Tutto questo panorama incorniciava la casa dei genitori di Ian, in cui quest’ultimo aveva passato la maggior parte della propria infanzia. Quel posto, così sereno e naturale era meraviglioso. E la casa non era da meno.
Un edificio molto semplice, a due piani, la cui facciata era completamente di mattoni marroni. Aveva delle grandi finestre e un piccolo portico.
Da lontano potevano scorgersi anche una modica dependance e un garage.
Guardai il tutto imbambolata e l’unica cosa che uscì dalla mia bocca fu: “Santa Madre di Dio”.
Ian scoppiò a ridere e mi sussurrò: “Benvenuta a casa mia”.
Subito dopo condusse l’auto nel vialetto.
“Tutto ok?” mi chiese, fermando l’auto.
“Sì, è che… niente, casa tua ricorda vagamente casa Salvatore”
“Può darsi” ricambiò il sorriso e, un attimo dopo, era vicino a me con la portiera aperta e una mano tesa.
“Signorina” disse elegantemente, accennando un inchino.
“Che galantuomo” gli presi la mano.
Quando scesi dall’auto, quattro gatti ci vennero incontro. Uno era a macchie, uno grigio perla e due miele. Lasciai immediatamente la mano di Ian e cominciai ad accarezzarli affettuosamente, facendo voci stupide.
Dopo un po’ vidi la madre di Ian avvicinarsi.
Edna aveva un sorriso a trentadue denti, travolgente. Anche i suoi splendidi occhi azzurri, caratteristica di famiglia, sembravano sorridere, attraverso gli occhiali. Aveva i capelli lisci, come quelli di Robyn, legati in una coda. Indossava un paio di jeans e un grande maglione bordeaux.
Era proprio come me la ricordavo.
 “E questi?” chiese il mio fidanzato, sorpreso.
“Che dire, mi hai contagiata con il tuo spirito di angelo custode nei confronti degli animali” Edna si strinse nelle spalle.
“Questo è interessante – sorrise e la abbracciò – Oh, a proposito, ciao mamma”
“Ciao figliolo” sorrise, ricambiando l’abbraccio, e mi guardò.
Smisi di accarezzare i gatti e mi alzai.
“Finalmente ci conosciamo in vesti ufficiali” disse contenta e abbracciò anche me.
“Già” mi limitai a dire e, impacciata, lo ricambiai.
“Su, entriamo!” parlò energicamente e mi trascinò con lei, lasciando a Ian il compito di prendere i bagagli.
Quando entrammo in casa, il padre di Ian mi si avvicinò.
Anche lui aveva degli occhi azzurri disarmanti. Battei le palpebre più volte per non incantarmi davanti a quello sguardo.
Robert senior portava i capelli all’indietro e aveva un po’ la barba incolta, che mimetizzava i baffi e il pizzetto.
Indossava una tuta e una felpa, entrambe grigie e nere.
“E’ un piacere averti qui con noi, Maria Chiara” tese la mano.
Sorrisi e gliela strinsi.
“Il piacere è tutto mio, signor Somerhalder”
“Dammi del tu, cara, e chiamami pure Robert” sorrise.
“O-ok, Robert” balbettai imbarazzata.
Sentii la voce di Robyn avvicinarsi e, poco dopo, la vidi arrivare dal salotto.
“Finalmente siete arrivati! Stavo cominciando a perdere le speranze – fece una smorfia, poi un occhiolino, mentre i suoi capelli biondi ondeggiavano – Su, vieni con me”.
Mentre Robyn mi faceva vedere la casa, o forse sarebbe stato meglio definirla una reggia, si sentirono dei rumori da una stanza.
Robyn bussò seccamente alla porta, su cui era fisso un cartello, che diceva ‘Alla larga’.
Ok, lì dentro c’era un adolescente.
“Peyton, abbassa il volume dello stereo!” ordinò l’unica sorella di Ian.
“Non posso, zia, lo sai quanto mi aiuta la musica alta, mentre studio l’italiano del cavolo! Ma dico io, siamo in America, perché si studia l’italiano?” disse il ragazzo.
Robyn aprì la porta e mi trascinò dentro.
“Lei è Mary, la nuova ragazza di Ian. E si dia il caso che sia Italiana” Robyn lo guardò male.
“Oh! Vero” Peyton arrossì di colpo e non potei fare a meno di ridere.
“Tranquillo, non ti imbarazzare, anch’io detestavo la letteratura quando la studiavo” gli sorrisi.
“Davvero?! Mi sento meglio” sorrise contento.
Peyton aveva i capelli marroni corti e a caschetto. I segni dell’adolescenza sul suo volto non si erano ancora rivelati, mentre già la voce aveva cominciato a cambiare. Sembrava graffiante, sicura, molto simile a quella di Ian e suo padre. Poi, ovviamente, gli immancabili occhi azzurri!
Mi fece cenno di avvicinarmi.
“Cosa state studiando di preciso?” mi sedetti accanto a lui.
“Francesco Petrarca o una cosa simile, ma io non lo capisco, che cosa può fregarmene del suo amore per Laura e tutte quelle cose lì? Odio il mio professore d’italiano” brontolò.
“Francesco Petrarca, eh? Lo detestavo anch’io. Ricordo che una volta la mia professoressa mi ha chiesto cosa ne pensavo e io le ho detto chiaro e tondo che secondo me era un auto-lesionista. Insomma, come poteva continuare ad amare e a esporsi in quel modo, senza essere ricambiato? Per me era inconcepibile. Davvero”.
“E lei?”
“Si vendicò interrogandomi – sorrisi amaramente – Ma nonostante lo detestassi, lo conoscevo molto bene. Presi un ottimo voto in quell’interrogazione”
“Grande. Allora potresti spiegarmelo?” sorrise supplichevole.
Quel gesto mi ricordò molto Ian.
“Si vede che sei nipote di tuo zio – feci una risatina, seguita da Robyn – Comunque, Petrarca è un autore che vive un grande conflitto interiore, proprio a causa dell’amore che prova. Da adolescenti non si può ben comprendere. Bisogna essere un po’ più grandi per avere più chiara la sua situazione”
“Perché?”
“Beh, perché da adolescenti non si pensa di certo all’amore non ricambiato. E’ una cosa impossibile per dei ragazzini che si affacciano alla vita. Non voglio offenderti, in fondo come ho detto prima anche io non lo capivo. Ma poi si cresce e si vivono determinate esperienze e allora lo comprendi. Come l’amore abbia mille sfaccettature. Esiste quello ‘completo’ – feci le virgolette – pieno di arcobaleni e unicorni, come esiste anche quello a metà. Una persona ne ama un’altra, ma all’altra non interessa. Nonostante ciò, nonostante il dolore, la tristezza e la depressione, la persona rifiutata ha questo sentimento, che non può essere di certo ignorato. Perciò, sai che fa? Ci convive. Comincia a esternarlo, anche se è sbagliato e fa male e tutti la reputano una masochista; comincia ad accettarlo, perché è l’unico modo per sopravvivere. E secondo me è proprio questo che fa Petrarca. Esalta un amore non corrisposto, impossibile, ma che tuttavia lui sente. Certo, poi in un certo senso abbandonerà questo sentimento, ma comunque nelle prime fasi della sua poetica è molto presente, perciò…” lasciai il discorso in sospeso, guardando il nipote di Ian con la coda dell’occhio.
“Wow! Sembra quasi che tu l’abbia vissuto in prima persona” disse sincero, guardandomi a bocca aperta.
“Ehm, beh” risi nervosamente.
“Maria Chiara, grazie mille”
“Chiamami Mary” gli diedi una pacca sulla spalla.
“Bene, ora che ti è più chiaro, abbassa il volume dello stereo” disse Robyn amorevolmente e mi invitò a uscire dalla stanza con lei.
“Tuo nipote è simpatico” le dissi sinceramente.
“E non hai visto il resto della piccola truppa” sorrise e continuammo il giro della casa.
Mentre mi guardavo intorno, una sensazione di pace si insinuò dentro me. Quelle sarebbero state due settimane davvero lunghe, ma ora, improvvisamente, non ne avevo più paura.
 
Dopo aver fatto il tipico pranzo dei Somerhalder, fatto da pasta e verdure, ovviamente tutti prodotti biologici, non preconfezionati e senza glutine, io e Ian andammo alla stazione dell’autobus, in attesa che arrivasse il bus da Montgomery.
Il primo a scendere dal mezzo fu Lucas.
“Amore mio, vieni qua!” dissi allargando le braccia.
“Zia Mary” urlò contento e si tuffò fra le mie braccia.
“E’ da tanto che non ti vedo, come sei cresciuto! Come stai?” lo strinsi forte, respirando il suo dolce profumo.
“Bene” disse convinto.
“Sicuro?”
“Sì” affermo, annuendo con la testa.
“Sicuro, sicuro, sicuro?” alzai il tono della voce e cominciai a fargli il solletico, cadendo così entrambi a terra.
Lucas scoppiò a ridere a crepapelle, mentre mi supplicava di smetterla.
Quando gli diedi un po’ di tregua, lo presi in braccio e mi alzai.
Non mi diede nemmeno il tempo di aprire bocca, che si sporse dalla mia spalla destra e guardò Ian, con fare inquisitore: “Sei tu, quindi, il fidanzato di mia zia?”.
I suoi occhi verdi si sgranarono, mentre attendevano una risposta.
“Sì, piccolo” Ian sorrise.
Quella peste stava per aggiungere qualcosa, quando Addison lo interruppe: “Luke, non importunare tua zia e Ian – si avvicinò – Ciao ragazzi” sorrise.
Lasciai andare Lucas e andai verso Addison.
“Hai cambiato pettinatura?”
“Sì – Addison scosse la testa, facendo così ondeggiare i suoi capelli castano chiari e la frangetta – Ti piacciono? Fanno molto”
“Lexie Grey, ottava serie”
“Esatto!”
“Mi piacciono – la abbracciai – So che hai rinunciato al Natale con la tua famiglia, quindi grazie. Per essere qui” le sussurrai all’orecchio, mentre ci stringevamo.
“Sono qui con piacere. E, inoltre, i miei genitori hanno capito. Non c’è stato alcun problema. Questa cosa è importantissima ed emozionante. Ti serve più supporto possibile. O sbaglio?”
Era inutile nasconderlo, adoravo mia cognata. Come Giorgio e le mie amiche, era in grado di capirmi al volo. Non che ci volesse molto. Per tutti i miei cari ero un enorme libro aperto.
“Non sbagli affatto, ma ti dirò che non mi fa più tanta paura. Già dall’altro ieri, dal nostro arrivo, sono stati tutti così accoglienti e calorosi”
“Ovviamente. Sei tu che ispiri questi comportamenti, credimi”.
Sciogliemmo l’abbraccio.
“Allora, com’è stato il viaggio?” chiesi, ora a voce più alta.
“Un po’ lunghetto,  infatti Giorgio l’ha passato a lamentarsi” roteò gli occhi.
“Tipico” risi e salutai tutti gli altri componenti della mia famiglia.
Mentre stringevo ancora mia madre e mia nonna, Ian tossì.
Sciolsi immediatamente quel piccolo abbraccio di gruppo ed esordii, dicendo: “Okay – cominciai dal piccolino di famiglia – Lucas, Addison, Giorgio, Michele, mamma, papà, nonno, nonna – parlai in italiano e guardai Ian – quest’uomo è il mio Ian. Ian – parlai in inglese e indicai i miei familiari – Loro sono la mia famiglia”
“E’ davvero un piacere conoscervi. Ufficialmente, intendo. Ne sono davvero onorato” sorrise.
Tradussi quanto detto, poi ascoltai la risposta di mia nonna.
“Oh, nonna!” le dissi commossa.
“Cos’ha detto?”
“Ti ha risposto che è per loro un onore conoscerti; che sei una persona davvero a posto, riesce a vederlo dai tuoi occhi. Il modo in cui mi e ci guardi è davvero sincero ed emozionato e lei è semplicemente felice che io abbia trovato un uomo come te. E ha aggiunto che sono una donna fortunata”.
Ian si avvicinò a mia nonna e le strinse le mani tra le sue.
“Sono io a essere fortunato, mi creda” disse con un italiano incerto.
“ E da quando sai parlare la nostra lingua?” Giorgio parlò in inglese, sorpreso.
“Ho vissuto in Italia per un bel po’ di tempo, ma non so dire molto”
“Tranquillo, Mary ti impartirà delle lezioni. Giorgio mi ha torturato fino a quando non ho imparato a usare e a distinguere congiuntivo e condizionale, più o meno” Addison fece una smorfia divertita.
Risi, poi, aiutato mio padre a caricare tutti i bagagli nelle due auto, partimmo per tornare alla dimora Somerhalder.
Vedere i nostri genitori che si stringevano le mani fu strano, ma emozionante.
“Ehi, tutto ok? Li stai fissando in un modo inquietante” mi sussurrò Ian dolcemente, mentre i nostri genitori parlavano tramite Giorgio.
“Sì, sono felice – distolsi lo sguardo e gli sorrisi – Insomma, i nostri genitori si sono finalmente conosciuti e non riesco a smettere di pensare che questo sia un passo davvero importante. E imbarazzante. E so che sono ripetitiva, perché te l’avevo già detto, ma… semplicemente non riesco a credere che stia succedendo davvero. Forse dovresti darmi un pizzicotto, sai, per sapere se questo è un sogno o è reale” sussurrai.
“Non ce n’è di bisogno. E’ reale. E puoi ripetere che è un passo importante quante volte vuoi, perché hai ragione. E anche a me fa un certo effetto, lo ammetto” parlò anche lui sussurrando.
Mi sorrise e mi prese la mano.
“Ma come, tu ti ‘emozioni’ – feci le virgolette – per una cosa simile? Non ci credo nemmeno se ti metti a piangere per la commozione”
“Perché?”
“Perché avrai vissuto quest’esperienza un sacco di volte”
“Perché, tu no?” mi guardò.
“Io, ehm… Ehi, senti un po’! Giorgio non riesce più a tradurre, devo andare a dargli una mano” cercai miseramente di cambiare discorso.
Mi slanciai verso mio fratello, ma Ian mi bloccò.
“Con permesso – disse ad alta voce, attirando l’attenzione dei nostri parenti – Andiamo un attimo di là a prendere… a prendere una cosa” mi trascinò via dal soggiorno e mi condusse in cucina.
“No, seriamente, spiegami come hanno fatto a darti tutti quei premi, se poi non sai nemmeno inventarti una scusa decente” feci una risatina.
Ian non mi considerò, chiudendo la porta della cucina a chiave.
“Mary, davvero non hai mai presentato un ragazzo alla tua famiglia?”
“Non è che ne abbia avuti così tanti. Al liceo neanche uno”
“E il tizio del tuo primo bacio?”
“Ci stavamo solo frequentando, niente di ufficiale ed eclatante ed è finita prima che potessi anche nominarlo ai miei. All’università solo uno”
“Quello del sesso sulla panchina?”
“Ah, vedo che i particolari li ricordi! – scoppiammo a ridere – Comunque, sì, lui. Tuttavia ci siamo lasciati qualche settimana prima che lo presentassi ufficialmente alla mia famiglia. Poi più nessuno e poi è cominciata la sfilza di relazioni brevi e senza senso qui in America. Sai, quelle piccole storielle sfigate e senza un futuro, cominciate anche grazie a te”
“Le ricordo bene” sbottò.
“Non fare quella voce, non ti chiedevo di certo io di accasarmi” feci una smorfia.
“Lo so – si avvicinò, intrecciando le sue mani alle mie – E ora ci sono io”
“E ora ci sei tu” ripetei.
“E dopo solo sette mesi di relazione mi presenti? Sbaglio o con Mister Panchina è durata di più?”
“Sì, ma… non so spiegartelo”
“Provaci”
“Leopoldo, o Mister Panchina come lo chiami tu, era un ragazzo davvero a posto. Gentile, simpatico. Siamo stati insieme per quasi due anni, ma… vedi, non ho mai avuto quell’istinto di mostrarlo. Non ho mai neanche lontanamente pensato di portarlo a casa e presentarlo ufficialmente. Per quanto mi piacesse, per quanto lo amassi, non sentivo la necessità di fare questo passo. Con te, invece, è stato diverso. Quando Robyn, Giorgio, i miei colleghi e i tuoi sono venuti a sapere di noi, io ho sentito quest’istinto”
“Di mostrarmi?”
“Sì”
“Verbo bruttino, sembriamo oggetti, come i gioielli, così” fece per imbronciarsi.
“E’ l’unico verbo che mi è venuto in mente. E poi dovresti esserne onorato. Sei l’unico gioiello che ho mostrato. Questo fa di te un diamante” sorrisi.
“Dal diamante nasce niente”
“E’ vero – arricciai le labbra – ma è anche vero che il diamante è una delle cose più preziose del mondo”
“Con le parole ci sai proprio fare” mi citò.
Mi prese per le gambe, facendo sì che si stringessero al suo bacino, e mi sedette sul tavolo.
Cominciammo a baciarci e a stuzzicarci.
Quando l’eccitazione di Ian stava per diventare più presente, bussarono alla porta.
“Ehi, piccioncini, indossate i cappotti. Si fa un giro fuori” disse il papà di Ian ad alta voce, sghignazzando.
Arrossii e mi staccai da Ian.
Passammo l’intero pomeriggio in giro per la città. Mentre i genitori di Ian cercavano di spiegare le storie di edifici importanti, notai che i miei si guardavano intorno estasiati, come se quella città fosse davvero grande. Restai un po’ indietro, rispetto al resto del gruppo, per osservarli meglio.
Chi l’avrebbe mai detto che due famiglie, linguisticamente e culturalmente diverse, si sarebbero affiatate così in fretta?
Persino i nostri nonni!
Mentre li ammiravo, l’occhio mi cadde su Ian, che passeggiava con il piccolo Jaxon, secondogenito di Robyn, sulle spalle. Lo teneva saldamente, gli spiegava le cose in un modo dolcissimo e semplicissimo, lo faceva ridere.
Sembrava un papà.
“Oh. Mio. Dio. Cos’ho appena pensato?! Cos’ho appena pensato?!?!” considerai sconvolta.
“A che pensi? Hai una faccia!” mi chiese Giorgio, prendendomi a braccetto e riportandomi alla terra ferma.
“Guarda mamma e papà, sembrano Lucas la mattina di Natale” risi, cercando di scacciare quel piccolo pensiero.
“E questa città non è nemmeno tanto grande! Vedessero meglio Londra… o Atlanta”
“Già” dissi.
“Ehi, asociali! Vi va una cioccolata calda?” disse Addison a gran voce, camminando al contrario per guardarci.
“Non si dice mai di no alla cioccolata calda” dicemmo in coro e corremmo verso il resto del gruppo.
 
“Allora buona cena della vigilia della Vigilia” dissi, prima in italiano e poi in inglese.
Tutti risposero nella propria lingua. Stavamo per cominciare a mangiare, quando un cellulare cominciò a squillare. Più precisamente, il mio.
“Sul serio? Anche qui?” Ian mi guardò.
“Scusatemi – dissi mortificata e mi alzai; risposi – Pronto?”
“Ehi, straniera!” disse Rose contenta.
“Rose, è urgente?”
“Perché?”
“Stavamo per cenare”
“Sì, il Capo ha indetto una riunione del personale e devi assistere anche tu”
“E come? Sono a Covington!”
“Oh, lo so bene, tesoro bello, ma, sai una cosa? Esiste Skype!” mi rispose con voce incredula.
“Quanto sei simpatica da uno a dieci?”
“Cinquanta, ovvio” disse con una punta di superbia.
“Chiamami, forza. Sbrigati prima che cambi idea”
“Agli ordini” riattaccò.
Mi voltai verso gli altri.
“Ehm… è lavoro”
“Vai, tranquilla” Robyn mi sorrise .
Il cellulare cominciò nuovamente a squillare.
“Cominciate pure a mangiare” sorrisi e andai in salotto.
Non appena cliccai sul tasto verde, la schermata del mio smartphone fu riempita dal primo piano di Rose.
“Oh, che bello vederti! Sei ancora tutta intera!” disse estasiata.
“La vuoi smettere?” feci finta di essere infastidita da quelle battutine, nonostante stessi per ridere.
“Va bene, va bene. Allora la comunicazione verrà data tra poco. Nell’attesa – sorrise a trentadue denti – non noti niente?”
“Cosa dovrei notare?  - osservai meglio lo sfondo; le scale, i pavimenti e le pareti erano sempre uguali – E’ tutto come l’ho lasciato”
“Va bene, te lo dico io. Non ti sto chiamando con il Samsung”
“E con cosa?”
“Io e Steve abbiamo anticipato lo scambio di regali, dato che sia domani che dopodomani siamo qui, al contrario di una certa persona che ha il nome che inizia per ‘M’ e finisce per ‘Aria Chiara Floridia’, perciò ti sto chiamando con il mio regalo. Rullo di tamburi – creò la suspense – Steve mi ha regalato un Ipad!” gridò esaltata.
“Ma non gli avevi preso anche tu un Ipad, patito com’è per la Apple?”
“Esatto – strillò – Siamo anime gemelle”
“Per un Ipad? Sì, certo” disse una terza voce reticente, togliendomi le parole di bocca.
La riconobbi subito. Non feci nemmeno in tempo a chiamarlo che la sua figura si palesò.
“Ehi, pasticcino” disse Alex, facendomi un occhiolino.
“Ehi” utilizzai lo stesso tono, usato da lui poco prima.
“Come siamo dolci oggi” disse, sfoggiando un sorriso beffardo e toccando con un dito il prezioso Ipad di Rose.
“Ehi, cavernicolo, giù le mani! – gli diede un buffetto sul polso – Si guarda ma non si tocca”
“Oh, scusami, non volevo oltraggiare il tuo oggetto dell’amore” alzò le mani in segno di resa.
Feci una risatina, senza trattenermi.
“Visto? Lo pensa anche lei” Alex mi indicò, come se fossi la sua ‘partner in crime’.
“Tesoro, lasciali perdere, non possono capire questa nostra connessione cosmica – sentii la voce di Steve farsi più vicina; dopo poco ecco anche lui, tutto sorridente – Ciao, Mary” sventolò la mano.
“Ciao, Steve” ricambiai il saluto, sorridendo.
“Colleghi, attenzione” la voce del Capo giunse autorevole.
“Uh, ecco, ci siamo. Mary, ci sei?” disse Rose sussurrando.
“Ci sento, forte e chiaro” alzai il pollice per conferma.
Il Capo cominciò a parlare: “Come sapete, il 2014 si avvicina. Quest’anno, tuttavia, non è come tutti gli altri. Infatti, nel mese di Giugno l’ospedale compirà ben 150 anni dalla sua apertura. Pertanto, ho stipulato un contratto con un canale televisivo per mandare in onda un documentario sulla vita in corsia. Questo documentario comincerà proprio all’aprirsi dell’anno nuovo e si concluderà in data 10 Giugno, giorno per l’appunto dell’anniversario. Questo documentario implica la presenza di telecamere ventiquattro ore su ventiquattro, sparse per tutta la struttura. Dunque, mi serve il consenso di tutti voi per il benestare alle riprese e a eventuali interviste”
“Mi scusi – chiese timidamente una delle nuove matricole, forse Coleen? – questo vuol dire che non esisterà privacy all’interno di queste quattro mura per quasi cinque mesi e mezzo?”
“Non esageriamo, dottoressa Jefferson. Ci sarà. Le telecamere non verranno inserite né negli stanzini né nelle stanze di guardia né negli spogliatoi, ma solo nei corridoi, negli ascensori, nelle sale conferenze, nelle sale operatorie, nei reparti e nel pronto soccorso”
“Capo, non vorrei portare alla luce dei problemi, ma, anche se tutti noi accettassimo, che si fa con i pazienti?” chiese Alex.
“Accidenti, ha fatto una domanda intelligente!” pensai impressionata.
“Ovviamente anch’essi dovranno firmare per permettere le riprese. Se non firmeranno, non saranno esposti, semplice. Altre domande?”
“Rose” chiamai la mia amica sussurrando.
“Che c’è?” rispose.
“Io sono fuori città fino al 2 Gennaio. Come faccio a dare l’autorizzazione?”
“Capo, la dottoressa Floridia è in collegamento Skype con noi al momento – disse Rose ad alta voce – e mi chiede come lei possa firmare il consenso, dato che è fuori città fino al 2 Gennaio”
“Esistono le e-mail e i fax, dottoressa Floridia”
“Giusto” mormorai.
Altri colleghi posero delle domande, dopodiché il Capo se ne andò e tutti tornarono alle loro occupazioni. Più o meno.
“Mary, che hai intenzione di fare?” mi chiese Steve.
“Beh, credo firmerò, dato che devo pur lavorare in questi mesi e le telecamere sono quasi ovunque”
“Ma non sarà per te come essere nella tana del lupo così?” disse Rose dubbiosa.
“Forse – mi morsi il labbro inferiore – Ne parlo con Ian e la sua manager, ok? Voi intanto mandatemi il documento via mail”
“Ok, sarà fatto” dissero insieme.
“Voi che avete intenzione di fare?”
“Penso firmeremo” parlarono nuovamente insieme, prima guardandosi negli occhi, poi guardando me.
“D’accordo. Scusate ragazzi, ma adesso devo proprio scappare. Ho una cena, ricordate?”
“Giusto. Ciao, tesoro, ci sentiamo” Rose mi mandò un bacio.
“Saluta Ian da parte nostra. Tra un paio d’ore ti mandiamo il documento” Steve sorrise.
Mandai anch’io un bacio e riattaccai.
Tornai in cucina.
“Tutto a posto?” mi chiese Edna.
“Sì” annuii e mi accomodai nuovamente al mio posto.
“Sicura?” mi sussurrò Ian.
“Ti spiego dopo” mormorai e addentai un pezzo di carne.
 
Lucas mormorò, mettendosi in posizione fetale. Mi scostai un po’, guardandolo meglio. Aveva i capelli castani tutti scompigliati e un’espressione serena sul volto. Gli carezzai una guancia e sorrisi, poi uscii dalla stanza e scesi al piano di sotto.
“Si è addormentato?” mi chiese Giorgio.
“Sì. E’ bastata solo una canzone stavolta” incrociai le braccia, sorridendo.
“Povero piccolo, era stremato” Addison sorseggiò un po’ di tisana digestiva.
“Nonno e nonna? Mamma e papà?” domandai.
“Tutti a letto” mi rispose Giorgio.
“Non mi hanno aspettato” mi imbronciai.
“Ti ho aspettato io” Ian mi abbracciò da dietro.
“Dov’eri?”
“A dare la buonanotte a Ruby, Jaxon e Maggie. Robyn e Dena li stanno addormentando” sciolse l’abbraccio e mi baciò una spalla, poi andò un attimo in soggiorno.
Lo guardai allontanarsi, mentre Addison finiva la tisana.
“Ora mi sento meglio! – esclamò e posò il bicchiere vicino al lavandino – Tempo della nanna anche per noi – prese la mano e Giorgio, si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia – Buonanotte e a domani, cognatina”
“A domani – ricambiai il bacio – Non svegliate Lucas, quando entrate”
“Agli ordini” Giorgio fece il gesto da militare e mi salutò con la mano libera.
Non appena entrambi salirono le scale, Ian tornò.
“Dove sei andato? – lo osservai meglio – Cosa nascondi dietro la schiena?”
“Tada! – tirò fuori una bottiglia – Pensavo che ne avessi bisogno”
“Non ho mai bevuto bourbon, sinceramente” dissi, leggendo l’etichetta.
“C’è sempre una prima volta – Ian sorrise; poggiata la bottiglia sul tavolo, prese due bicchieri di vetro, finemente curati – Ecco qua” li posò e scostò la sedia.
“Grazie” sorrisi e mi accomodai.
Ian si sedette accanto a me e versò un po’ di bourbon in entrambi i bicchieri.
“Cin cin!” alzai il bicchiere.
“Cin cin!” ripeté e fece tintinnare il suo bicchiere col mio.
Bevvi un sorso e feci una smorfia.
“Com’è?” Ian mi guardò.
“E’ molto forte. E brucia. Ma è buono” lo guardai anch’io.
“Allora, che cosa riguardava la chiamata di lavoro?”
“Il 10 Giugno dell’anno a venire, l’ospedale compirà 150 anni dalla sua apertura”
“Figo!”
“Infatti e proprio per questo il Capo ha stipulato un contratto con un canale televisivo. Dal 1 Gennaio al 10 Giugno ci saranno delle telecamere in quasi tutto l’ospedale per girare una sorta di documentario e ci sarà anche una troupe che farà interviste o simili. A breve riceverò una mail con i documenti per il consenso alle riprese e alle domande che mi porranno”
“Oh!” Ian annuì, quasi come se fosse sovrappensiero.
“Parla, ti prego. Io so che sarà come essere ‘nella tana del lupo’ – feci le virgolette – ne sono consapevole, me l’ha detto anche Rose; ma… devo pur lavorare. No?”
“Già. Non puoi stare per cinque mesi e qualcosa a non fare niente. Solo… sta’ attenta. Per favore”
“Potranno chiedermi di tutto. Sicuro che vada bene?” chiesi incerta.
“Sì. Devi semplicemente imparare a rispondere con discrezione; a dare le risposte che vogliono, senza entrare fin troppo nei dettagli. E’ un po’ difficile, ma ci riuscirai. Ne sono certo. Devi solo”
“Essere me stessa?”
“Esatto” sorrise.
Finimmo di bere il bourbon. Dopo aver posato la bottiglia nuovamente al suo posto, salimmo al piano di sopra. Ian aprì la porta della sua stanza e mi fece entrare.
Mi guardai intorno.
Era una stanza ordinaria, con i mobili in legno. Sulle mensole vi erano molte foto di famiglia e qualche trofeo, sicuramente di gare scolastiche.
Mi avvicinai e osservai le etichette.
Uh, gare di ippica!
Sorrisi. Ian richiuse la porta.
“Che c’è?” mi chiese.
“Niente, ti immagino qui da piccolino a fare i compiti, a rilassarti dopo le gare di ippica, a”
“Mia madre non doveva farti vedere tutte quelle foto” abbassò il capo.
“Quei capelli a caschetto non ti stavano poi così male – gli scompigliai i capelli – Anche se erano più carini i riccioli biondi. Forse dovrei chiamarti ‘Riccioli D’oro’, sai, per ricordare i bei tempi. Che ne dici?” sorrisi a trentadue denti.
“Mi stai prendendo in giro, eh? Brava, davvero” mugugnò.
Scoppiai a ridere.
“Fa’ piano, dormono tutti”.
“Ops, vero! – tornai seria – Allora, ci mettiamo il pigiama?”.
Ian mi guardò molto malizioso.
“Certamente” sorrise e mi si avvicinò, facendo aderire il suo bacino al mio.
Mi tolse la maglietta, poi mi baciò.
“Ian, intendevo letteralmente”
“Cosa? Andiamo!” mugugnò.
“Beh, non possiamo seriamente farlo qui. Ci sono le nostre famiglie assopite nelle stanze accanto”
“E allora? Facciamo piano”
“Se ci sentono, gli dico che hai abusato di me” gli feci una linguaccia.
“Non oseresti” mi guardò di sottecchi.
“E chi lo sa” arricciai le labbra e feci spallucce.
“Sei consapevole che facendo così in reggiseno, mi ecciti ancora di più?” sussurrò.
“Sì, lo sento” guardai di sfuggita in basso.
“Okay – disse Ian lentamente, scostandomi i capelli e mettendoli tutti da un lato – Sei bellissima” mormorò vicino al mio orecchio sinistro.
“Non fare il ruffiano, non funziona” gli carezzai il volto.
“Allora cosa funziona?” mi chiese, cominciando a strusciarsi su di me.
Non feci più opposizione e mi lasciai trascinare dalla passione di quel momento.
Mi slacciai i pantaloni e li allontanai con i piedi, mentre Ian mi teneva saldamente. Le sue mani scesero lentamente dalla schiena al sedere.
“Tu” dissi con voce gutturale.
Dopo avergli slacciato i pantaloni e sbottonato la camicia, lo buttai sul letto.
“Selvaggia” commentò lui, sorridendo.
“Ian, sta’ zitto” mormorai e salii su di lui a cavalcioni.
“Interessante” sussurrò, pieno di eccitazione, e si tirò su.
Ci togliemmo a vicenda gli indumenti intimi.
“Mary” mi chiamò in un soffio.
“Cosa?” domandai, in preda all’eccitazione, aggrappandomi forte alla sua schiena.
“Non mi sembra che io stia abusando di te o comunque che tu stia facendo – si arrestò, cominciando a muoversi più velocemente – qualcosa controvoglia” concluse la frase con calma.
Accennò un sorriso.
“Ian”
“Cosa?”
“Sta’ zitto” scossi la testa e riunii le mie labbra alle sue.
Le parole smisero di echeggiare nell’aria. Si sentivano solo i battiti del nostro cuore e i nostri respiri, ancora una volta combinati in uno solo, e il nostro amore.
 
Mi svegliai nel buio della camera di Ian. Tastai l’altra parte del letto e sentii che era vuota.
Dov’era finito il mio Somerhalder?
“Ma non è vero, sono davvero Babbo Natale” lo sentii dire in lontananza.
“No, sei zio Ian. Ormai ho tredici anni, non ci casco più. Comunque grazie per i regali anticipati di qualche ora” Peyton sghignazzò.
Mi alzai dal letto ancora assonnata, percorsi il corridoio e scesi in salotto.
“Ian, che ci fai vestito da Babbo Natale?” chiesi, con la voce impastata dal sonno.
 “Visto? Non la dai a bere a nessuno, zio” rise ancora.
Mi avvicinai a Ian e lo abbracciai.
“Il travestimento non ha funzionato” brontolò.
“Dai, è grande ormai, è normale non credere più a queste cose quando si cresce!”
“Non si smette mai di credere a Babbo Natale” si lamentò.
“Quanti anni hai, cinque?” borbottai, imitando la sua voce.
“Ah ah ah, come sei spiritosa! – mi guardò di sottecchi – E’ importantissimo credere a Babbo Natale, infonde gioia e speranza e”
“Ok, ok, come vuoi – sorrisi, scuotendo la testa, poi lo presi per mano – Ora, andiamo a letto, Babbo Natale: domani ci aspetta una lunga giornata – mi rivolsi a Peyton – E anche tu!”.
Stavamo per salire tutti e tre le scale, quando entrambi cominciarono a urlare: “Mary, guarda!”.
Mi voltai per vedere cosa stavano indicando. Il cortile si era riempito di neve in pochissimo tempo.
“Wow! La neve la notte di Natale è… magica!” balbettai meravigliata.
“Che succede?” chiesero assonati Ruby, Jaxon e Maggie, strabuzzandosi gli occhi.
“Bambini, c’è la neve. Vi va di uscire?” disse Ian dolcemente, guardandoli.
“M-m-ma tu sei Babbo Natale!” balbettarono loro, pieni di meraviglia.
“Sì, certo – Ian camuffò immediatamente la voce e cominciò a dire goffamente – Ohohoh, buon Natale! Bambini, voi siete stati davvero bravi quest’anno, perciò vi meritate un po’ di tempo con me sulla neve”
“Sìììì – esultarono felici – e anche con le tue renne?”
“Ehm, riguardo alle renne… Loro s-sono – deglutì – Le renne s-sono”
“Quelle non ci sono – sopraggiunsi io – Babbo Natale le ha fatte stancare tanto, stanno dormendo. Ma avete lui in persona, niente male” dissi sincera, sorridendo.
“Abbiamo Babbo Natale” ripeté Jaxon estasiato.
“Venite, su!” sorrisi nuovamente e li aiutai a scendere il resto delle scale.
Aiutai i bambini a indossare i cappottini, poi uscimmo insieme.
Ian e Peyton ci raggiunsero e cominciammo tutti a giocare con la neve, fin quando Robyn e Bob non uscirono infuriati.
“Che fate fuori con questo freddo?! Andate subito a letto” urlarono in coro.
Ruby, Jaxon, Peyton e Maggie brontolarono, poi seguirono i loro genitori dentro casa.
Io e Ian restammo ad ammirare la neve per un altro po’.
“Quindi, fammi capire, io devo essere presa in giro per le canzoni Disney, ma poi devo chiudere la bocca per Babbo Natale?”
“Mary?”
“Sì?”
“Sta’ zitta” mi diede una spintarella.
“Ti piace citarmi?”
“Un sacco” mi abbracciò da dietro, avvolgendomi con le sue braccia e stringendo il cappotto che avevo indossato.
“Ah, che bella!” esclamai, aprendo una mano per cogliere i fiocchi di neve.
“Ti sorprendi sempre” mi strinse.
“Sempre e comunque. E’ troppo magica, come si può prendere l’abitudine a vederla? A toccarla? Secondo me è impossibile”
“E’ per questo che ti amo” Ian ispirò il profumo dei miei capelli.
“Perché mi sorprendo per la neve?”
“Anche. Guardi il mondo con gli occhi di un bambino. Il che è straordinario. Ti meravigli anche e soprattutto per le piccole cose, il che è sorprendente. Solitamente molte persone perdono tutto questo, tu invece non te ne separeresti nemmeno per tutto l’oro del mondo. Sei semplice. Sei”
“Ok, basta - dissi imbarazzata – Ho capito – mi voltai e, individuate le sue labbra, lo baciai – Ti amo anch’io”.
Ian ricambiò il bacio.
“Rientriamo, su! Comincia a sentirsi di più il freddo” disse apprensivo.
Entrammo nuovamente in casa.
 
La lancetta dei secondi si spostò.
Non erano più le 23:59, bensì mezzanotte. Tuttavia, non era una mezzanotte qualunque. Era ufficialmente il 1 Gennaio 2014. Un nuovo anno era appena cominciato.
Tutti cominciammo a scambiarci gli auguri, quando fummo interrotti da un tintinnio.
Edna stava facendo vibrare con estrema delicatezza un cucchiaino e il flute che teneva in mano.
“Desidero fare un brindisi” disse a gran voce, facendo sì che tutti si placassero, anche chi non capiva l’inglese.
Io e Giorgio automaticamente ci avvicinammo ai nostri familiari, pronti a tradurre qualsiasi cosa la madre di Ian stesse per dire.
“Un nuovo anno ha appena avuto inizio. Solitamente, è proprio a Capodanno che le persone si riempiono di desideri e speranze, imponendosi dei propositi che si prega di rispettare. Anche io ho sempre agito così, dando poi la colpa al fato se qualcosa andava storto. Bene, quest’anno voglio cambiare. Niente più pronostici. Non mi aspetterò più niente. Spesso e volentieri, infatti, vogliamo che le cose vadano sempre in un certo modo e quasi non riusciamo ad accettarne un altro. Io ero così – Edna indicò con entrambe le mani, sia libera che occupata, due rette parallele – Ero come su un rettilineo senza fine e non avrei mai pensato che tutto questo potesse avvenire – indicò tutti noi – E’ stato come se dal rettilineo fossi stata spostata completamente da un’altra parte, perché, beh, mi sono ricreduta. Mio figlio è felice e vostra figlia è una donna straordinaria. Perciò… sono felice che siamo tutti qui insieme e che loro siano insieme. Auguri per questo anno nuovo. Che possano gli eventi inaspettati riempirci la vita sempre in questo modo così… meraviglioso!” sorrise.
“Auguri” dicemmo tutti insieme, facendo anche noi tintinnare i bicchieri.
Stavo bevendo un po’ di spumante, quando sentii chiamarmi: “Zia Mary”.
Qualcuno mi tirò il vestito da dietro. Mi voltai e vidi gli occhi di Lucas, Maggie, Ruby e Jaxon guardarmi timidamente.
“Che c’è, Luke?” gli domandai, sorridendo a tutti.
“Noi ci chiedevamo se” disse.
“Se tu potessi” continuò Maggie.
“Sì, insomma, siamo stanchi e ci chiedevamo se tu potessi” parlò Ruby, gesticolando.
“Metterci a letto” Jaxon concluse quella frase.
“Ma certo! – sorrisi a trentadue denti – Andiamo dalle vostre mamme, così vediamo se a loro va bene”
“Hanno già detto sì” dissero tutti insieme, dopo essersi scambiati un’occhiata, contenti.
“Ok, allora. Andiamo a nanna!” ci prendemmo tutti per mano e andammo al piano di sopra.
 
POV Ian
Mi guardai intorno. Non riuscivo a individuare Mary. Dov’era finita? Mi avvicinai a Robyn.
“Ehi, hai visto Mary?” le domandai, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Ehm, sinceramente no, ma credo sia con i bambini. Prima Ruby e Jaxon mi hanno chiesto se oggi poteva metterli la zia Mary a letto”
“L’hanno chiamata zia?” dissi sorpreso.
Robyn annuì.
“Non so se davanti a lei lo facciano, ma con me sì. Dalla notte della Vigilia. Sai, quando avete fatto giocare tutti con la neve alle due di notte, non curanti del freddo”
“Avevano i cappotti”
“Ringrazia che a nessuno di loro sia venuto il raffreddore” mi sventolò un indice davanti al viso.
“Ok” alzai le mani, come in segno di resa.
“Comunque… Mary li ha conquistati” mi sorrise.
“Vado a cercarli” mi trattenei dal sorridere.
“Andiamo, Ian, manifesta la tua contentezza, su!” Robyn mi diede una spintarella.
“D’accordo, d’accordo, mi fa molto piacere” sorrisi a trentadue denti.
“Così va meglio” bevve un po’ dello spumante.
Mi diressi verso il corridoio. Salii le scale, mentre delle voci divenivano sempre più vicine.
“… E allora l’orso piccolo disse ‘Qualcuno si è seduto sulla mia sedia e l’ha rotta’  – Mary fece una voce più melensa; restò per un attimo in silenzio e aggiunse – Ragazzi, come fa a piacervi questa storia? Ce ne sono di più belle”
“Io infatti volevo Cenerentola” Maggie brontolò.
“Lo devi dire a lui” disse Ruby.
“Ma è bella anche questa! Ci sono gli orsi” ribatté Jaxon.
“Ti piacciono gli animali, eh?” domandò Mary.
“Sì, ha aiutato uno dei gatti della loro nonna a uscire da un vaso oggi pomeriggio” disse Lucas.
“Si era incastrato in un vaso?” chiese Mary.
“Sì e io l’ho salvato” Jaxon rispose in modo fiero.
“Sei proprio nipote di tuo zio” Mary parlò con dolcezza.
“Voglio diventare come lui da grande” ammise il mio più giovane nipote.
“Ma davvero?” Mary si sorprese.
“Sì e si sta facendo crescere i capelli per questo motivo – sopraggiunse Ruby – Lo zio Ian aveva i capelli lunghi una volta”
“Non lo sapevo”
“Mary” subentrò la vocina di Maggie.
“Dimmi Maggie”
“Sono felice che zio Ian stia con te”
“Oh, tesoro, grazie!”
“Anche io” puntualizzò Ruby.
“E anche io” disse Jaxon.
Mi affacciai lentamente dall’ingresso della camera, sperando che tutti e cinque non notassero la mia presenza.
Mary baciò tutti e quattro sulla guancia.
“Ehi, anche io voglio un bacino!” Lucas protestò, incrociando le braccia.
“Eccolo che arriva! – Mary sorrise e fece sballottare i suoi ricci sul volto del suo nipote, poi lo baciò – Contento?”
“Sì, va meglio” ridacchiò.
“Allora, riprendiamo la storia?”
“Sì” dissero tutti in coro.
“Ok, allora, i tre orsi, infine entrarono nella camera da letto” Mary riprese a raccontare.
Mi appoggiai al muro, ascoltando per un po’ il tono della sua voce, così dolce e… materno.
“Cosa mi passa per la testa?!” dissi tra me e me incredulo.
Scossi la testa e tornai al piano di sotto.
 
POV Mary
Entrai in camera felice. Era normalissimo che Lucas mi avesse chiesto di addormentarlo. Ogni qualvolta eravamo insieme, non c’era scusa che reggeva. Doveva essere la sua ‘zietta’ a metterlo a letto. La cosa davvero straordinaria era che Maggie, Ruby e Jaxon mi avessero cercato per quel motivo. Non me lo sarei mai e poi mai aspettato. Sospirai, contenta. Si erano affezionati. Mi avevano accettata. Incredibile!
“Robyn aveva ragione quella volta” sussurrai, ripensando a quel pomeriggio di due settimane fa e alla nostra chiacchierata in cortile.
Ah, che famiglia! Tutti così gentili e calorosi! Edna e Robert, nonostante avessero divorziato, erano riusciti a mantenere la famiglia affiatata e unita. Tutti e tre i figli erano in questo modo cresciuti con grande senso del dovere e sia Bob che Robyn avevano saputo fare lo stesso con i loro figli. Peyton, così adolescente da voler fare il duro, ma da rivelarsi invece un ragazzino tenero, amichevole e anche studioso. E poi Maggie, Ruby, Jaxon! Erano tre bambini dolcissimi e molto intelligenti per avere rispettivamente otto, sette e sei anni. Anche i loro occhi ricordavano molto quelli di Ian.
Chissà se i nostri figli avrebbero avuto quegli stessi occhi!
“Mary, ma a che diavolo pensi? Di nuovo?! Quel poco di alcol che hai bevuto deve averti dato alla testa” disse una vocina nella mia testa.
Aveva ragione. Cacciai quel pensiero nuovamente e mi spogliai.
Stavo indossando il pigiama, quando entrò anche Ian.
Senza dire una parola, mi abbracciò da dietro e cominciò a baciarmi e mordicchiarmi il collo.
“Ian, che stai facendo?” sussurrai.
“Volevo rifare ciò che abbiamo, mmm, come dire, sperimentato la settimana scorsa, più o meno, sai…” fece cadere il discorso e mi fece girare, poi mi appoggiò contro il muro.
Preso il mio volto tra le mani, cominciò a baciarmi sempre con più foga.
“Perché?” domandai ansimante, tra un bacio e l’altro.
“Per presentarti ufficialmente il mio metodo”
“Come scusa?”
“Il mio un metodo silenzioso! E’ quello che ho attuato l’altra sera e credo debba essere riproposto. Sai, chi fa sesso a Capodanno, fa sesso tutto l’anno” sorrise malizioso.
“Aspetta, tu hai chiamato metodo silenzioso il nostro rapporto dell’altra sera?” dissi un po’ troppo ad alta voce.
“Sssh, parla più piano! Vuoi farci scoprire? – rise, poi mi guardò ammiccante – Il metodo silenzioso comincia adesso” sorrise e riprese a baciarmi.
Stavo per cedere, nuovamente, quando bussarono alla porta.
Immediatamente, Ian si staccò da me.
“Avanti” dicemmo entrambi.
Giorgio fece capolino, con un’espressione mortificata sul volto.
“Uh, bene, non siete appiccicati come due sanguisughe!” disse, divenendo sollevato.
“Che intendi?”
“Beh, vi ho sentito parlottare e ho anche sentito dei sospiri molto, ehmmm, eccitati, perciò sono venuto qui per… ehm, p-per dirvi c-che” balbettò in difficoltà alla fine.
“Che? Fratellone, parla!” lo incitai.
“Se per favore potete evitare! Vicino a questa camera ci siamo io e Addison e, beh, la settimana scorsa vi abbiamo sentito. Non vi abbiamo detto niente, perché, beh, è molto imbarazzante, ma non vogliamo che ricapiti, perché è ancora più imbarazzante immaginare la propria sorellina fare – Giorgio disse tutto in una volta, poi si arrestò, fissando il vuoto per un momento e scosse la testa, riprendendosi – Quindi, grazie” sorrise e, molto goffamente, uscì dalla stanza, richiudendo la porta alle sue spalle e non lasciando a me e a Ian il tempo di dire qualcosa.
Ci guardammo.
“Metodo silenzioso, eh?” risi in modo soffocato.
Alzò gli occhi al cielo e mi ignorò.
“Su, dormiamo. Domani dobbiamo prepararci per il rientro”.
 
“Eccoci qui, arrivati a destinazione” disse Ian, sorridendo.
“E anche puntuali. Grazie mille” gli diedi un bacio stampo.
“Buon lavoro”
“Mi raccomando, sii carino con i miei”
“Ma certamente, sarà fatto”
“Grazie, davvero. Ci vediamo domani a pranzo. Spero di trovare leccornie a tavola”
“Con tua nonna, tua cognata e tua madre tra i fornelli credo che la tua speranza si avvererà”
“Bene” sorrisi, gli diedi un altro bacio e scesi dalla macchina.
Stavo per entrare, quando fui bloccata da un uomo sulla quarantina, coi capelli brizzolati e gli occhi color nocciola.
“Sì?” dissi.
“Lei è?” mi chiese.
“Sono la dottoressa Floridia. Lavoro qui da quasi cinque anni e mezzo”
“Cartellino, grazie”
“Ma lei chi sarebbe?” risposi in modo un poco alterato.
“Sono uno degli addetti per i controlli. Sa, il documentario”
“Ah, già, quello cominciato ieri – rovistai nella borsa e tirai fuori il badge – Ecco qui il mio cartellino di identificazione. Contento adesso?”
“Molto. Grazie” accennò un sorriso.
“Ma prego – risposi con fare sarcastico ed entrai nell’edificio – Buonasera, Denise” sorrisi all’infermiera di turno all’ingresso.
“Bentornata, Mary – Denise ricambiò il sorriso – Il Capo mi ha detto di dirti che devi andare nel suo ufficio. Deve parlarti”
“D’accordo – annuii – I miei pazienti?”
“Tutto okay, se ne stanno occupando i tuoi specializzandi con le rispettive matricole”
“Va bene, spero se la cavino”
“Se la sono cavata abbastanza bene in queste due settimane”
“Sì, chiamandomi un’ora sì e l’altra pure – mormorai con ironia; aggiunsi – Denise, chiamami subito se combinano qualcosa”
“Agli ordini” fece il gesto da militare.
“Grazie” sorrisi riconoscente e andai verso gli ascensori.
Salita al primo piano, mi trovai davanti all’ufficio del mio superiore. Presi un bel respiro e bussai.
“Avanti!” disse il dottor Richardson con voce stanca.
“Capo, buonasera. Voleva vedermi?” domandai, entrando nella stanza.
“Oh, buonasera dottoressa Floridia! – mi sorrise, facendo cenno di accomodarmi – Fatto un buon viaggio di ritorno?”
“Sì, signore. Ora sono prontissima per fare il mio primo turno notturno del nuovo anno”
“Benissimo”
“Denise all’ingresso mi ha detto che voleva vedermi”
“Esatto. Si ricorda di Bill Peterson?”
“Mmmm, se non sbaglio è stato un mio paziente al terzo anno. E’ arrivato durante un mio turno al pronto soccorso, necessitava di un – strizzai per un momento gli occhi per ricordare – doppio trapianto polmonare! Può essere? E se ricordo bene era, cioè, è anche un suo”
“Sì, Floridia, è un mio amico”
“Come mai mi ha chiesto di lui?”
“Cosa si ricorda del suo caso?”
“Beh, quella volta ricordo molto bene che il dottore supplente di cardio ha trapiantato solo un polmone, non entrambi, perché il secondo polmone è andato in necrosi. O forse no – arricciai le labbra – Comunque non era più utilizzabile”
“Esatto. Bene, Bill si trovava a Los Angeles per Capodanno e ha avuto una profonda crisi. Il polmone trapiantato stava bene prima, tuttavia ha cominciato ad affaticarsi fin troppo a causa del polmone mal funzionante. E’ giunto il momento di fare il secondo trapianto”
“Ok e mi ha convocata qui perchéé” prolungai l’ultima vocale, cercando di capire.
“Perché il mio collega al Saint Vincent Medical Center mi ha detto che Bill ha chiesto di lei. Perciò, non appena gli troveranno i polmoni, lei assisterà a questo trapianto. Potremmo farlo qui, tuttavia non è consigliabile spostarlo”
“Lo capisco bene” annuii.
“Lo farà?”
“Doppio trapianto polmonare. Certamente”
“Bene. Grazie. Significa molto per lui e… e anche per me”
“Di niente, signore. Per me è un piacere”
“Tenga presente che potrebbe partire per LA in qualsiasi momento”
“Sicuro” annuii nuovamente con convinzione.
“Bene. Può andare. Grazie ancora e buon turno”
“Grazie a lei” mi alzai.
Stavo per uscire, quando il Capo mi bloccò.
“Floridia”
“Sì, Capo?”
“Prima di andare in corsia, vada in sala riunioni mmmm nord”
“Perché?”
“Deve introdursi per il documentario” accennò un sorriso.
“Introdu – mi arrestai, spalancando la bocca – Che diavolo vuol dire ‘introdurmi’?”
“Beh, presentarsi. Sa, nome, cognome, reparto e via”.
Restai per un altro po’ a bocca aperta, poi dissi: “Sarà fatto, signore”
“Così si fa, Floridia” alzò entrambi i pollici e sorrise nuovamente, tornando poi a occuparsi di qualche scartoffia.
“Introdurmi” scossi la testa e uscii dall’ufficio.
Misi le mani nelle tasche del camice e cominciai a camminare verso la sala riunioni nord, come mi era stato detto. Non appena arrivai, un uomo sulla trentina, con i capelli ramati e gli occhi verdi, mi venne incontro e tese la mano destra.
“Buonasera. Lei è?” mi chiese, sorridendo.
“Il dottor Richardson mi ha mandata qui per ‘introdurmi’” feci le virgolette.
“Uh, bene! Si accomodi” mi rispose e mi fece cenno di accomodarmi.
Mi sedetti e lui di fronte a me. Fece segno al suo assistente di accendere luci e telecamere, poi disse: “Allora, come si chiama?”
“Il mio nome è – sorrisi – Maria Chiara Floridia”.
Quell’uomo cominciò a tossire.
“Un po’ d’acqua?” mormorò l’assistente, prendendo velocemente un bicchiere di plastica dal distributore.
“Sì grazie” disse l’altro con voce un po’ strozzata.
Cominciai a ridere mentalmente, esaltata dal fatto che quel giornalista, o quale diavolo fosse il suo mestiere, non mi avesse riconosciuto.
Dopo che quell’uomo ebbe bevuto, fece un respiro profondo.
“Quindi, tu sei Maria Chiara Floridia. Quella – sottolineò quell’aggettivo – Maria Chiara Floridia”
“Yep! Sono proprio io” annuii lievemente.
“Wow, davvero – l’uomo sorrise, facendo esaltare i suoi occhi verdi – In che reparto lavora?”
“Chirurgia e mi sto più precisamente specializzando nella chirurgia cardiopolmonare”
“Intenso”
“Già”
“A che anno di specializzazione è arrivata?”
“Sono al quinto anno ormai, perciò altri due anni e sarò un medico ufficiale. Non che ora non lo sia, ma… beh, tra due anni non sarò più una subordinata di qualcuno. Non dovrò fare la schiavetta e non dovrò più beccarmi i turni più brutti e le analisi più odiose per ripicca di un superiore. Perciò, sarà un gran bel passo. Sarà come uscire dal liceo. Di nuovo”
“Affascinante descrizione”.
Mentre quell’uomo mi fissava, realizzai di aver parlato un po’ troppo.
“Oh, mi dispiace, sono stata un po’ logorroica!” esclamai.
“Non fa niente, anzi ha detto delle cose davvero vere e sincere. Ci sarà da divertirsi da qui a Giugno”
“Vedremo” sorrisi.
Stava per pormi una domanda, forse, quando il mio cerca persone trillò squillante. Lo controllai, cliccando il bottone che avrebbe fatto smettere quel suono.
“E’ Denise. Che hanno combinato quei delinquenti?” borbottai e mi alzai dalla sedia.
“Dove sta andando? Non abbiamo finito!”
“Crede davvero che io abbia potuto finire ogni cosa che ho cominciato da quando sono diventata un medico? – scoppiai a ridere di gusto – Ah, oddio, ci sarà davvero da divertirsi!” scossi la testa divertita e uscii da quella sala.
Quando andai al pronto soccorso, Denise mi venne incontro frettolosa, con i capelli rossi che le balzavano talvolta davanti agli occhi.
“Cos’hanno combinato, eh?” chiesi rassegnata, mentre acceleravo il passo.
“Niente, stanno lavorando bene”
“Allora perché”
“Ti ho chiamata? E’ arrivata una tua paziente al pronto soccorso. Pensavo volessi saperlo”
“Chi?”
“Si chiama Sarah, ha sei-sette anni, credo. Se ricordo bene, il paramedico mi ha detto che è cardiopatica”
“Che le è capitato?” risposi agitata.
“E’ nel lettino cinque, in attesa che qualcuno le metta dei punti. Non so di preciso cos’è successo”
“Vado io” dissi, correndo verso quella postazione.
Stavo per scostare la tenda, quando il volto stanco e afflitto di Kevin mi si parò davanti, illuminandosi un poco.
“Mary, ciao” sorrise debolmente.
“Ehi – gli diedi una pacca sulla spalla – Come va?”
“Va bene – fece una smorfia – Diciamo”
“Cos’è successo?”
“Stavo cercando d-di stilare qualche curriculum. Mi hanno licenziato e sto… devo trovarmi un lavoro”
“Oh, Kevin, mi dispiace tanto!” dissi mortificata.
“E Sarah voleva uscire, ma non potevo portarla fuori. Così si è messa a giocare in salotto e ha battuto la testa”
“E’ scivolata o ha avuto una crisi?”
“Non lo so! Mary, non so più niente” si passò una mano tra i capelli, frustrato.
“D’accordo, non preoccuparti. Ora le metterò i punti e poi faremo dei controlli, ok?”
“Sì, certo. Sì” annuì.
“Non preoccuparti. Andrà tutto bene” gli sorrisi.
“Posso andare in mensa per un po’?”
“Certo, sto io con Sarah” risposi e scostai la tenda.
“Ciao Mary” Sarah mi sorrise.
I suoi capelli biondi erano legati in una treccia e l’attaccatura di questi ultimi era un po’ rossiccia, per via del sangue.
I suoi occhi erano vispi, ma sofferenti.
“Ehi, S – ricambiai il sorriso – Bel taglio” indicai la sua fronte.
“Ehm, sì” strizzò gli occhi, facendo una smorfia.
“Allora – mi sedetti sullo sgabello e avvicinai il tavolino, su cui vi erano un vassoio e tutti gli strumenti necessari per la sutura – Ora ti inietterò un anestetico, molto meno forte di quello a cui sei abituata, ma altrettanto efficace” presi il flaconcino e la siringa.
Prelevai il medicinale dal flaconcino, battei con due dita la siringa e mi avvicinai alla fronte di Sarah.
“Sicura che non mi farà male?” chiese incerta.
“Sentirai solo un pizzichino. Ok, forse più di uno, ma saranno piccole cose. Te lo prometto”
“Ok” Sarah annuì e chiuse gli occhi.
Premetti nel modo più delicatamente possibile l’ago della siringa sulla sua pelle, anestetizzando la sua fronte, di modo che non sentisse dolore, mentre la ricucivo.
“Fatto – allontanai l’utensile – Non è stato poi così terribile, no?”
“No”
“Ecco, appunto. Ora guariamo questa ferita” cominciai a suturare, mentre gli occhi azzurri di Sarah mi seguivano attentamente.
Non appena finii, presi una garza e la applicai sui punti, così da proteggerli.
“Tada! – le sorrisi a trentadue denti – Devo ricontrollarti tra cinque giorni per vedere se possiamo toglierli. D’accordo?”
“Sì”.
Fatte anche le analisi del sangue, chiesi a Denise se potesse portarle al laboratorio.
“Visto? Tutto fatto”
“Già – si guardò intorno – Dov’è papà?”
“E’ andato a prendere un caffè, tranquilla, arriverà presto” le presi la mano e gliela strinsi.
“Resti con me fino a quando non torna?”
“Ma certo, tesoro”
“Mary”
“Sì?”
“Mi manca la mamma. E anche a papà” disse, quasi sussurrando.
“Lo so, tesoro, lo so. Ma vedrai che andrà tutto bene”
“Voglio che vada tutto bene. Lo voglio per papà”
“E andrà tutto bene, non preoccuparti. Me ne occuperò io. Non permetterò che vi accada niente di brutto” mi sporsi e la abbracciai, stringendola.
Quella bambina aveva perso già abbastanza. Non poteva rischiare altro. Non meritava altre cose brutte. Dovevo impegnarmi per impedire altri eventi tristi.
Restai con l’unica figlia di Jodie fin quando Kevin non tornò, poi andai a compilare la sua cartella.
Avevo appena finito, quando Ian mi chiamò.
“Ehi”
“Come va?”
“Finora tutto bene. Spero di poter dire lo stesso a fine turno. A casa?”
“Tutto a posto, tranquilla. Addison è in cucina con tua madre e tua nonna a preparare la cena e gli uomini della tua famiglia, incluso il nanetto, stanno giocando a carte”
“E tu?”
“E io parlo con te”
“Potresti socializzare, no?”
“Stavo socializzando, lo giuro, ma poi ha chiamato Barbara e ho dovuto mettere da parte tutto per rispondere”
“Che è successo? Il piano che abbiamo architettato per evitare altre minacce di morte nei miei confronti non sta funzionando? Sta venendo un sicario a uccidermi con un’arma col silenziatore?”
“Ah ah, ma come sei simpatica! – Ian parlò lentamente con tono ironico – Comunque no. Non è questo. Abbiamo fatto quasi tutto quello che aveva proposto, eccetto una cosa, più o meno, e lei vorrebbe c-che”
“Cosa? Sono stata a Parigi con te, siamo stati più aperti nei social networks”
“Ecco, vedi, lei crede che la Con di Parigi non valga come evento pubblico, perché nonostante siano uscite nostre foto e i fans ti abbiano visto, beh, non era un evento ufficiale con red carpet e il resto, perciò lei si chiedeva se – esitò per un momento – se tu potessi accompagnarmi ai PCA la settimana prossima”
“Ai P-PC-CA? Stai scherzando? Ah, no, non se ne parla, ci sono tr-troppe persone, troppi occhi, troppi obbiettivi, troppi microfoni… No, davvero, no!”
“Mary”
“E poi non posso proprio. Dovrò prendermi già i tre giorni del weekend per il matrimonio di Rose, non posso chiedere al Capo anche un altro weekend”
“Ti ricordo che hai dieci settimane e tre giorni di ferie arretrate degli ultimi cinque anni! Io credo che il Capo possa concederti un altro weekend”
“Tesoro, mi dispiace. Non posso”
“D’accordo. Proverò a convincerti un altro giorno. Magari in soggiorno. Sul divano. Nudo. Quando la casa non sarà piena di tuoi familiari”.
Deglutii.
“Vedremo se cederò – mormorai, con nessun filo di sicurezza in voce – Ora devo andare. Tu sarai anche in fase relax natalizio al momento, ma io sono già in fase stress lavorativo, per cuiii”
“Ma certo, va’ pure. Buon lavoro e… pensa a quello che ti ho detto”
“Ho percepito il tuo occhiolino dall’altro capo del telefono, renditene conto”.
Ian scoppiò a ridere.
“A domani”
“A domani” scossi la testa divertita e riattaccai.
 
Mentre degli specializzandi portavano il signor Peterson in terapia intensiva, il dottor Norton, collega e amico del Capo, mi si avvicinò, afflitto.
“Devo dirlo io alla famiglia?”
“No. Vado io – lo guardai – mi sembra giusto così”
“Ok”.
Sospirai. Mi tolsi la cuffietta e mi sciolsi i capelli, dirigendomi in sala d’attesa. Subito notai la moglie di Bill, sempre stata al suo fianco, sempre preoccupata, ma non per questo meno tenace e speranzosa.
“Allora, Mary?” chiese in ansia, alzandosi.
“Dove sono i tuoi figli, Sue?”
“A mensa per mangiare qualcosa per pranzo”
“Forse dovremmo aspettarli allora”
“No. Dimmi adesso. Com’è andata?”
“Ecco – esordii, guardandomi per un attimo i piedi – avevamo appena trapiantato il primo polmone, quando ci siamo accorti che una parte stava andando in necrosi, come se lo stesse già rigettando. Abbiamo dovuto rimuoverlo, prima che provocasse danni. Al momento, Bill si trova in terapia intensiva attaccato a una macchina che respira per lui, dato che ha solo un polmone. Malandato”
“Oddio! – Sue cominciò a singhiozzare – E-e ora c-c-cosa s-succede?” balbettò.
“Abbiamo circa quindici ore di tempo per trovargli i polmoni nuovi. Se questo tempo dovesse scadere, non sappiamo ancora cosa potrà accadere”
“Sì”
“Scusa?”
“Sì che lo sai. Te lo leggo negli occhi. Se non troverete questi organi, mio marito morirà tra quindici ore”
“Beh, sì – sussurrai – Mi dispiace tanto. Ma, Sue, non dobbiamo abbatterci. Dobbiamo avere fede, perché troveremo questo polmone e tutto si risolverà”
“Come posso avere fede, se nemmeno ci credo?”
“Allora avrò fede io. Per entrambe – le presi una mano e la strinsi – D’accordo?”
“Ok” Sue annuì e mi abbracciò.
Restai a farle compagnia, fin quando non tornarono i suoi figli dalla mensa. Dopodiché andai nello spogliatoio dei medici visitatori e mi cambiai. Appena indossate le scarpe, il cellulare cominciò a squillare.
“Pronto?” risposi senza guardare.
“Ehi, sono fuori dall’ospedale con John. Com’è andata?” chiese Ian apprensivo.
“Male e ora abbiamo solo quindici ore di tempo per rimediare. Non so se me la sento di venire e sorridere e… sarei una cattiva persona”
“Non è vero”
“Sì, invece. Mi sentirei così, perché Bill e i suoi familiari resterebbero qui a lottare per la sua vita, mentre io me ne andrei agli eventi mondani, tutta elegante”
“Non lo faresti perché vuoi fregartene del tuo paziente, lo faresti per me, perché sono egregiamente riuscito a convincerti” concluse la frase con tono malizioso.
Tornai con la mente alla settimana scorsa, più precisamente al giorno in cui avevo accompagnato i miei all’aeroporto.
 
“Sono a casa” urlai, chiudendo il portone d’ingresso.
Tolsi il cappotto e le scarpe, posai la borsa, indossai le pantofole e, solo allora, mi guardai intorno.
Moke, Thursday e Damon giocherellavano con dei pupazzetti di lana ai piedi del divano. A parte quella dinamicità, il resto era tutto fermo immobile.
Dove cavolo era finito Ian?
Improvvisamente un odorino molto allettante giunse dalla cucina. Era un insieme di ingredienti, questo lo capivo, ma non riuscivo bene a identificarli. Cosa stava cucinando?
Incuriosita, mi avviai.
“Grazie per aver risposto al mio ‘Sono a ca” mi bloccai all'istante.
Ian era di spalle e aveva in mano una bottiglia di vino bianco, con cui stava sfumando qualsiasi cosa ci fosse all’interno della padella. Tuttavia, non era questa la cosa sconvolgente, bensì il fatto che riuscissi chiaramente a vedere il suo marmoreo lato B.
“Sa’” sussurrai, fissandolo e deglutendo.
“Oh, ciao” Ian si voltò, sfoggiando un sorriso beffardo.
“T-tu s-sei” balbettai, indicandolo imbarazzata.
“Cosa? Cosa sono?” disse divertito, poggiando la bottiglia di vino.
Subito dopo, spense i fornelli e mi si avvicinò lentamente.
“Nudo. Sei nudo. Stai cucinando nudo” mormorai sommessamente, non riuscendo nemmeno a guardarlo in faccia.
“Mary, cavolo, l’hai visto nudo milioni di volte, riprenditi!” pensai, schiaffeggiandomi mentalmente, ma era inutile.
“Sì, beh, te l’avevo detto che l’avrei fatto. O sbaglio?” chiese.
Non ricevette alcuna risposta.
“Mary, il mio viso è di qua” mi alzò il mento con due dita, cercando di trattenere una risata.
“Sei nudo. Stai cucinando nudo” ripetei, come se si fosse incantato un vecchio giradischi.
“Lo so” sorrise nuovamente e mi tolse il cardigan.
“Sei anti-igienico” ribattei, cercando di essere razionale e restare ferma nella mia decisione.
“Non è vero, mica ho cucinato con il grande Smolder” mi fece notare, togliendomi la maglietta.
“Non sei divertente”
“Difatti – si interruppe, baciandomi prima una spalla e poi l’altra, mentre mi privava del reggiseno – non è mia intenzione esserlo”
“Sei uno stronzo. E uno scorretto. Uno stronzo scorretto”
“Può darsi. Ma ricorda sempre che sono il tuo – sottolineò quell’aggettivo -  stronzo scorretto – detto questo, cominciò a baciarmi la pancia, scendendo sempre più giù, mentre mi slacciava i pantaloni – Vieni con me ai PCA. Sii la mia accompagnatrice”.
Cominciai a respirare affannosamente, mentre Ian mi toglieva le pantofole, i pantaloni e le calzette.
“Di’ di sì, dai!” mi incitò con voce sensuale, sottraendomi anche gli slip e baciandomi in corrispondenza di un osso del bacino. Pian pianino baciò sempre più in basso.
Chiusi gli occhi, cercando di trovare qualcosa a cui appigliarmi. Reclinai il capo e mi morsi il labbro inferiore.
“Mary” mi chiamò con un sussurro, mentre era ancora in ginocchio dinanzi a me.
“Al diavolo” riaprii gli occhi, lo feci alzare e, spintolo a muro, cominciai a baciarlo, facendo aderire il mio corpo al suo.
 
“Sì, beh, non è che tu mi abbia lasciato molta scelta” commentai, lanciandogli un’occhiataccia, nonostante non potesse vedermi.
Ian scoppiò a ridere.
“Vuoi dirmi che non ti è piaciuto? Strano, da quante volte hai gridato il mio nome pensavo di sì”
“Vaffanculo”
“Ti aspetto fuori, su”.
Riattaccammo.
 
POV Ian
“Avanti, venite fuori” dicemmo io e Joseph in coro, bussando al camerino delle donne.
Nina aprì la porta e uscì raggiante. Indossava un abito lungo, blu scuro e tempestato di diamanti sul lato destro. I capelli erano completamente raccolti, intrecciati tra loro. Ricordavano molto l’oceano.
“Wow, tesoro, sei straordinaria!” Joseph esclamò estasiato.
“Grazie” Nina sorrise molto elegantemente e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ilaria e Riawna hanno fatto proprio un bel lavoro oggi” sorrise beffardo.
Entrambe uscirono dal camerino, dicendo in coro: “Perché, vorresti dire che le altre volte abbiamo fatto un brutto lavoro?”
“Non sia mai. Non surriscaldatevi, donzelle” Joseph sghignazzò, scuotendo la testa.
“Ma la mia dama dov’è finita?” m’intromisi, guardando l’ingresso del camerino.
“E’ sparita, andata, si è calata giù con un lenzuolo, mentre nessuno la guardava” disse Mary ad alta voce, forse dal bagno?
“Scema – risi – Esci fuori, dai! Tra poco ci sarà il red carpet”
“Non nominarlo – ribatté con voce lamentosa – Non posso accompagnarti da qui? Facciamo una chiamata Skype. Vedrai, sarà divertente” cercò di essere convincente.
“No e no. Esci fuori, su! Scommetto che sei bellissima”
“Sfortunatamente per te, non è vero”
“Sta’ un po’ zitta, Mary – s’intromise Nina – Sei meravigliosa”
“Zitta tu, dea scesa in terra. Oggi stai un incanto. Non voglio uscire, sul serio”.
Alzai gli occhi al cielo.
“Ok, a mali estremi, estremi rimedi. Signorinella, sto rientrando. Preparati, perché ti farò uscire a calci in quel tuo bel culetto italiano. Chiaro?” Nina corrugò la fronte, provando a fare una voce da dura.
Mary borbottò qualcosa e, dopo non molto, uscì dal bagno. Restai imbambolato. Indossava un abito lungo tra l’indaco e il grigio, con una lieve arricciatura in corrispondenza del bacino per via di una spilla dorata. I capelli erano semiraccolti, in modo che si notassero gli orecchini, anch’essi dorati, abbinati alle scarpe, a due bracciali e alla pochette.
“Ian, di’ qualcosa o torno in bagno” Mary richiamò la mia attenzione, impacciata.
“S-sei… mozzafiato” parlai quasi senza fiato.
Mary divenne rossa. Mi avvicinai a lei.
“Dove sono i tuoi occhiali?”
“Riawna mi ha fatto mettere le lentine. Ha detto che gli occhiali avrebbero rovinato l’insieme”
“Beh, aveva ragione” mi voltai verso Riawna, sorridendo.
“Cosa credi, Smolder? So fare il mio lavoro” rispose con tono superbo.
“Oh, lo so! – mi rivolsi nuovamente a Mary e le porsi il braccio – Andiamo?”.
Mary si avvicinò al mio collo e depositò un bacio nell’incavo.
“Ian, davvero, credo di avere un attacco di panico. Il tuo mondo mi odia, non sono certa che tutto questo sia una buona idea” mi sussurrò poi all’orecchio.
“Ti prometto che le nostre mani saranno sempre intrecciate. Non ti lascerò nemmeno per un secondo. A meno che non vinco, in tal caso dovrei salire sul palco e non credo tu voglia raggiungermi”
“Assolutamente no” scosse la testa velocemente.
“Eccetto quei momenti, starò sempre al tuo fianco. Permettimi di mostrare il mio diamante”
“Copyright 2013 Maria Chiara Floridia”.
Feci una risatina e Mary mi seguì a ruota. Quando tornammo seri, era visibilmente più serena. Infatti, senza che aggiungessi altro, si aggrappò al mio braccio.
“Ah! Sono più alta di te stasera” mi fece la linguaccia.
“Te lo concedo. Solo per oggi, sia chiaro”.
Ci demmo un bacio stampo e raggiungemmo, insieme a Nina e Joseph, tutti gli altri, pronti per i People Choice Award.
 
Guardai Mary e le presi la mano.
“Visto?” dissi.
Osservò le nostre mani intrecciate e annuì.
“Pronta?”
“Sì” sorrise, alzando lo sguardo verso di me.
Scendemmo dall’auto e subito i flash ci travolsero. Mentre percorrevamo il red carpet mano nella mano, si avvicinarono alcuni giornalisti.
“Ian, quando verrà trasmessa la quinta stagione di ‘The Vampire Diaries’?” chiese uno di loro, avvicinandomi il microfono.
“Abbiamo avuto degli ostacoli, ma finalmente il 23 Gennaio andrà in onda la prima puntata. La cosa positiva è che ci saranno meno pause televisive e alcune puntate verranno mandate in onda in coppia”
“I fans saranno contenti”
“Già” sorrisi.
“Questi ostacoli hanno a che fare con l’incidente che tu e la tua fidanzata avete avuto verso la fine Agosto?” domandò un’altra.
Strinsi la mano a Mary e risposi: “Diciamo che… ha avuto la sua importanza. Dopo, per via della convalescenza, non ho potuto lavorare molto e la serie ne ha risentito. Ma, comunque, gli autori e tutti i miei colleghi del cast sono stati molto bravi, girando tante scene dove non ero presente. Almeno non siamo completamente indietro con le riprese” conclusi con un sorriso.
“Puoi anticiparci qualcosa della prima puntata?”
“Posso solo dirvi che ne vedrete delle belle. La quarta stagione si è conclusa con la tanto attesa dichiarazione di Elena, la quinta inizierà con le conseguenze di questa dichiarazione”.
Un giornalista si rivolse a Mary: “Lei può dirci qualcosa in più?”
“Sfortunatamente no, sono all’oscuro anch’io di cosa accadrà nelle nuove puntate” mentì ovviamente.
Pensai al primo giorno di riprese, quando alla fine i giornalisti ci avevano scoperti. Mary si era divertita tantissimo agli studios e aveva assistito alla lettura del copione della prima puntata. Almeno su quella sapeva tutto.
“Team Stelena o Delena?”
“Delena – disse, come se fosse la cosa più normale del mondo; aggiunse – Ovviamente”
“E’ di parte? Ma non è un po’ strano tifare per una coppia di ex?”
“Non sono di parte, li ho amati sin dalla prima puntata. Quando Damon esordì con quel ‘Ciao, fratellino’, ricordo che quasi saltai dalla sedia. Fu difficile riprendermi”
“Addirittura” commentai, intromettendomi e guardandola con la coda dell’occhio.
“Non interrompere – mi guardò sorridendo – Comunque, poi quando ha detto a Stefan che Elena gli aveva tolto il respiro, beh, li ho amati. Tanto. Li voglio insieme da allora. Un bel po’ – fece una risatina – E poi non li considero ex. Damon ed Elena non sono effettivamente mai stati una coppia, quindi meritano un’opportunità! Abbiamo avuto praticamente quattro stagioni di Stelena, perciò adesso l’ideale sarebbe… cambiare”
“Che rapporti ha con Nina Dobrev?”
“Siamo amiche” sorrise.
“Non è imbarazzante?”
“All’inizio forse poteva esserlo, ma ora non più”
“Crede che stasera Ian possa vincere?”
“Ne sono certa” mi guardò.
“Grazie mille per esservi fermati”
“Di niente” dicemmo contemporaneamente.
Ci fermammo nuovamente per scattare qualche foto, poi entrammo.
 
“Dovrei salvare il tuo numero nell’Iphone come Nostradamus” dissi a Mary, mentre ingurgitava un piattino di antipasti.
“Che?” mi chiese con la bocca piena, voltandosi per guardarmi.
Scoppiai a ridere.
“Cosa? Che ho fatto?” corrugò la fronte, guardandomi con disappunto.
“Niente, è che sembri un adorabile scoiattolo con annessa ghianda al momento. Non so, però, decidere se tu sia Cip o Ciop”.
Mary inghiottì e mi diede una spintarella.
“Ma come sei simpatico! Ah ah, guarda, muoio dalle risate – alzò gli occhi al cielo – Comunque, tornando a discorsi più seri, perché ‘Nostradamus’?”
“Perché hai detto che secondo te avrei vinto stasera. Ed effettivamente è stato così. Per ben due volte”
“Aaah, beh, non è di certo una novità – si avvicinò, sorridendo – E, dimmi, io non merito un premio per aver predetto la tua vittoria? Anzi, le tue vittorie?”
“Mm, può darsi. Mi farò venire in mente qualcosa” le diedi un bacio stampo.
“O potresti continuare su questa strada. Non sbaglieresti di sicuro” ricambiò il bacio.
Le presi il volto tra le mani.
“Grazie del consiglio” le diedi un altro bacio, stavolta un po’ meno casto del precedente.
Cominciammo a stringerci e a punzecchiarci, mentre le nostre labbra non si separavano.
“Ragazzi!” una voce ci ammonì.
Non appena io e Mary smettemmo di sbaciucchiarci, notammo Paul a braccia conserte.
Mary arricciò le labbra e io mi rivolsi a lui.
“Che c’è? Ho vinto. Siamo a una festa. Festeggiamo, no?” ammiccai.
“Beh, semplicemente ci sono una marea di giornalisti che possono fotografarvi e chissà che altro e voi potete non accorgervene, dato che state limonando come due dodicenni”
“Giusto” annuii.
“Già, ho sempre ragione – constatò – Comunque, hai sentito? – cambiò espressione, divenendo più contento; i suoi occhi verdi brillavano – Per festeggiare la messa in onda della prima puntata, parteciperemo a una convention a Santa Fe il 23, il 24 e il 25! Non so perché abbiano scelto proprio a Santa Fe, forse per cambiare, dato che andiamo sempre negli stessi posti, però che figata! Non sono mai stato a Santa Fe, non vedo l’ora di visitarla. Dicono che Santa Fe sia”
“Aspetta, Paul, cosa?! – lo interruppi – No, io non posso, il 25 c’è il matrimonio di Rose e Steve e devo accompagnare Mary”
“Non ti preoccupare. Il matrimonio è proprio lì! Mi raggiungerai dopo la fine della con. Sarò sola solo durante la cerimonia, non è un problema” mi tranquillizzò Mary.
“No, non se ne parla” dissi fermo.
“Ha a che fare con Alex, vero?” Mary mi guardò.
“Quel… quel tizio sarà lì e… ha le mani decisamente troppo lunghe” le feci notare.
“E ti ricordo che per fare i massaggi si deve per forza toccare la pelle della persona, anche se il massaggiatore è un coglione patentato, che aspetta solamente il giorno in cui… beh, in cui riuscirà a sfilarmi le mutandine, in sostanza”
“Mi sono perso qualcosa?” chiese Paul.
“Alex è quel mio collega ortopedico-barra-fisioterapista pervertito, te lo ricordi?”
“Oh, Alex, ma certo che me lo ricordo! Il mitico ed esilarante Don Giovanni del Saint Joseph, che è andato a letto con tutte le dipendenti dell’ospedale, fatta eccezione per te e Rose” sghignazzò.
“Ecco, proprio lui. Mi ha fatto alcune sedute di massaggi nel periodo di convalescenza e Ian si è ingelosito” gli spiegò Mary.
“Certo, quest’uomo l’ha toccata in zone proibite al pubblico, come il fondoschiena!”
“Era il suo lavoro, proprio in quelle occasioni” continuò Mary.
“Non è detto – m’imbronciai – Aspetta, che intendi con ‘proprio in quelle occasioni’?” mi alterai.
“Gelosone” disse Paul affettuosamente.
“Non sono geloso! – li guardai – Ok, forse sono un po’ geloso” incrociai le braccia.
“E’ normale averne un po’, Smolder” Paul mi diede una pacca sulla spalla e tornò da Torrey.
“Sei davvero tenero quando fai il geloso. Hai la fronte corrucciata, il musone – Mary mi pizzicò le guance e sorrise, poi mi sussurrò all’orecchio – Comunque non hai niente di cui preoccuparti. Lui ci ha sempre provato, sempre. Ma io l’ho sempre ignorato, perciò – mi diede un bacio sul collo – Non preoccuparti”
“Dici?” la guardai.
“Dico – mi abbracciò e mi diede un bacio stampo – Ora, che ne dici se continuiamo ciò che è stato interrotto poco fa? Magari”
“In un luogo più appartato?”
“Esatto”.
Ci scambiammo uno sguardo complice. Stavamo per svignarcela, quando improvvisamente sentimmo delle ruote stridere sull’asfalto, poi una frenata. Infine un botto. E un altro ancora. Istintivamente abbracciai Mary, così forte quasi da stritolarla. Finimmo a terra. Sentii il suo respiro divenire sempre più accelerato. Riaprì subito gli occhi, cercandomi.
“Sono qui, sta’ tranquilla” le sussurrai.
“C-c-cos’è successo? P-perché ricordava” balbettò, spaventata.
“Quel giorno, lo so, ma tranquilla va tutto bene” le diedi un bacio stampo.
Dopo averla liberata dalla mia ‘morsa’, mi alzai e le tesi una mano. Mary si tirò su a fatica, come se avesse perso tutte le forze.
Ci guardammo intorno. Molte persone facevano la stessa cosa. Solo quando guardammo l’ingresso dell’edificio, notammo che una jeep si trovava dentro la sala e che il muro era stato completamente abbattuto.
“Ma che diavolo?” chiesi senza parole.
Un uomo uscì da quella jeep con la fronte sanguinante.
“C’è un medico?” urlò.
Io e Mary ci guardammo nuovamente.
“Sì” rispose con lo stesso tono di voce.
La paura svanì immediatamente dal suo volto. Si tolse le scarpe col tacco e corse verso l’auto. Mi avvicinai anch’io.
“State tutti bene?” chiesi, rivolgendomi a chi, come me e Mary, si trovava dentro quella sala.
“Sembrerebbe di sì – Mary si guardò nuovamente intorno, non notando persone vicino al muro abbattuto e all’auto – Cos’è successo?” chiese, mentre analizzava a quell’uomo la ferita sulla fronte.
“I-io non lo so. Stavo guidando e a un certo punto ho visto un’auto e una motocicletta danneggiate, allora ho cercato di deviare per non scontrarmi e”
“E si è scontrato contro un palazzo, pieno di persone milionarie in abito da sera” commentai impressionato.
“La macchina non ha risposto più ai comandi”
“Poteva ferire qualcuno”
“S-sì, m-ma”
 “Ian, smettila – Mary mi zittì – Allora, signore, la ferita non è molto profonda, ma ci vorranno dei punti. Ian – tornò a rivolgersi a me – chiama il 911 e avvisa dell’incidente”
“Agli ordini, mia signora” mimai un mezzo inchino e afferrai l’Iphone.
Individuati Paul, Nina e Joseph, fece cenno loro di avvicinarsi.
Composi il numero d’emergenza, mentre Mary invitava i miei tre colleghi ad aiutarla a stabilire le condizioni degli altri pazienti, così come avevamo imparato in ospedale.
Uscirono fuori correndo.
“911, buonasera. Come posso aiutarla?” rispose una donna con tono professionale.
“Uh, buonasera! Mi trovo in Chick Hearn Ct e c’è stato un incidente”
“Quant’è grave?”
“Ehm, onestamente, non ne ho la minima idea. So che un uomo ha abbattuto un muro con la sua jeep, ma non ha lesioni gravi e, inoltre, che c’è stato uno scontro tra un’altra auto e una motocicletta”
“Ok e quei pazienti come stanno?”
“Non lo so, mi trovo all’interno dell’edificio con il muro abbattuto”
“Mi potrebbe fare il favore di uscire fuori? Senza offesa, ma non posso mandare ambulanze e quant’altro senza sapere quanto siano gravi i feriti”
“Certo, mi scusi. Solo un attimo – uscii fuori anch’io e mi avvicinai agli altri – Ragazzi, la donna del 911 vuole sapere i danni di queste persone”
“L’uomo al volante ha perso conoscenza, ma i segni vitali sono pressoché stabili. L’addome non è teso, quindi dovrebbe essere tutto ok” disse Mary.
“La donna ha le pupille reattive, tuttavia credo che abbia un’emorragia interna all’addome, perché, beh, non ha un bell’aspetto” commentò Paul, come se stesse parlando da solo.
“Il bambino ha perso i sensi e ha i segni vitali molto deboli, quindi credo che i paramedici debbano portare qualcosa per rianimarlo e che Mary dovrebbe dargli un’occhiata” disse Nina, un poco incerta.
“Arrivo” rispose Mary e si alzò.
“Ehm, io credo che Mary debba venire prima qui” parlò Joseph.
“Perché, che cos’hai?”
“Il motociclista ha una parte della testa completamente aperta. Mi sa che era senza casco”
“Vedi materia grigia a terra?” chiese, mentre si chinava sul bambino.
“Che aspetto ha la materia grigia?”
“Beh, è una sostanza che è composta dai neuroni. Non è proprio grigiastra, ma non è nemmeno trasparente. Allora?”
“Allora credo di sì”
“Joseph, lascia perdere, è cerebralmente morto” parlò con tono quasi autoritario, mentre cominciava a rianimare il piccolo paziente.
“M-ma”
“Joseph, davvero”
“Ma il cuore sembra battere; inoltre”
“Cosa?”
“Sulla patente c’è scritto che è un donatore di organi”.
Mary alzò lo sguardo, non interrompendo le compressioni al torace del bambino.
“Di che gruppo è?”
“C-come?”
“Joseph, dimmi subito il gruppo sanguigno del motociclista”
“A positivo. Perché?”
“Joseph, comincia immediatamente le compressioni al torace dell’uomo. Ian, di’ alla donna di mandarci delle ambulanze attrezzate, tipo subito. Dobbiamo impedire che il bambino muoia e che il cuore del motociclista si fermi”
“Perché? Se è cerebralmente morto” lasciai la frase in sospeso.
“Perché quest’uomo è compatibile con il mio paziente. Se riusciamo a mantenere in vita gli organi, potrei impiantare i polmoni a Bill e così potrebbe vivere”
“Ma certo! Signora, ha per caso sentito?” tornai a riferirmi alla donna del 911.
“Ambulanze attrezzate, certo. Arrivo previsto in quindici minuti”
“D’accordo, grazie mille”.
 
“E se fosse andata male? Insomma, potrebbe essere che qualcosa sia andata storta” la moglie del paziente di Mary parlò con tono agitato, mentre camminava avanti e indietro per la sala d’attesa.
“Signora, dove sono i suoi figli? Non ha detto loro di questo secondo trapianto?” domandò Nina, andandole dietro, cercando di aiutarla.
“N-no, stanno dormendo. Non volevo disturbarli, l-loro sono stati così impegnati e in pensiero. Bill non vorrebbe che li svegliassi”
“Ok. Allora mi dica cosa possiamo fare per lei”
“Signorina – la donna si voltò, guardando Nina negli occhi – non può fare niente per me. E’ molto gentile, ma la smetta di girarmi intorno, perché”
“Signora, si calmi. Non ha bisogno di agitarsi, perché l’operazione andrà bene” mi intromisi.
“Come può andare bene? Come fa a saperlo?”
“Lo so e basta”
“Vede il futuro?”
“No”
“Allora come?”
“Semplicemente ho fede. La mia partner è molto brava nel suo mestiere. Ho fede in lei e nei suoi colleghi”
“Beh, la sua partner e i suoi colleghi hanno già sbagliato il trapianto una volta, perché dovrebbe essere diverso ora?”
“Perché adesso è andato tutto bene. Davvero stavolta – la donna si voltò, palesando la figura di Mary, in piedi davanti a tutti noi, con ancora la cuffietta addosso – Bill è in terapia intensiva. Dovrebbe svegliarsi massimo tra una mezz’oretta circa. I polmoni sono diventati rosei e hanno cominciato a respirare, non appena terminata la procedura. Abbiamo controllato più volte che non ci fossero tessuti necrotici e così è. Bill ha due polmoni nuovi, che funzionano. Sue, è andato tutto bene” Mary finì di parlare e sorrise.
La moglie di Bill ridusse le distanze tra lei e Mary e la abbracciò forte.
“Grazie, grazie!” singhiozzò contenta.
“Le avevo detto che avrei avuto fede per entrambe e… beh, così è stato – Mary ricambiò l’abbraccio; dopo un po’ lo sciolse – Ora mi scusi, ma devo aggiornarmi su altri pazienti”
“Ma certo, faccia pure. Grazie ancora” Sue le strinse una mano, poi afferrò il suo cellulare e corse fuori ad avvisare i figli.
Il loro padre stava bene. Era giusto che lo sapessero.
“Stai andando a vedere come stanno gli altri coinvolti nell’incidente?”
“Sì. Se volete andare via, potete, non preoccupatevi. Anche perché”
“No, restiamo qui. Ti aspettiamo” Nina annuì, decisa.
“Ma”
“Niente ‘ma’. Li abbiamo soccorsi noi. Mi sembra il minimo venire a sapere se ce l’abbiano fatta o meno”
“Hai ragione. Torno subito – Mary si diresse verso gli ascensori; premuto il bottone, si voltò verso di noi – Nina?”
“Sì?”
“Buon compleanno” Mary sorrise.
 
POV Nina
“Sei sicura che vuoi semplicemente rientrare a casa di Kevin e basta?” mi chiese Joseph apprensivo, toccandomi delicatamente una coscia.
“Sì, davvero, non preoccuparti. Il compleanno è un giorno come gli altri! Niente di che – mi strinsi nelle spalle – E poi ho ricevuto il mio regalo” alzai il premio, vinto quella sera, accennando un sorriso.
“E hai anche contribuito a salvare delle vite”
“Già, cosa si dovrebbe chiedere di meglio?” domandai, mentre, scesi dalla macchina, ci avviavamo verso il portone d’ingresso.
Mi guardai un attimo intorno. Erano le quattro del mattino. Qualche lampione smetteva di illuminare la strada talvolta, ma comunque era tutto tranquillo. Il vento non soffiava più, non si muoveva una foglia.
“Nina” Joseph disse il mio nome, sussurrando.
“Arrivo” posai il mio sguardo nuovamente su di lui e sorrisi.
Non appena aprì il portone con le chiavi di riserva, le luci furono accese e un mucchio di persone saltarono fuori, gridando: “Sorpresa!”.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, incapace di proferir parola. C’erano Mary, Ian, Paul, Julie, Kevin, Julianne, Riawna, Ilaria e poi…
I miei occhi cominciarono a velarsi di lacrime, automaticamente, senza che potessi controllarli.
“Alex! Mamma!” esclamai singhiozzando e fiondandomi tra le loro braccia.
“Credevi davvero che ci saremmo persi il tuo venticinquesimo compleanno?” Alex parlò sottovoce, stringendomi.
“Mai” mia madre sciolse l’abbraccio e mi guardò, anch’ella commossa.
Guardai tutti i presenti, sicuramente con un’espressione da ebete stampata sul volto. Pian piano li salutai, mentre le lacrime non smettevano di scorrere.
“Che ne dici se adesso smettiamo di piangere? Capisco che abbiano usato il trucco waterproof per stasera, ma non esageriamo” Jules mi parlò con tono dolce, mentre mi asciugava gli zigomi.
“Giusto – feci una risatina – ma non so come fare. Sono lacrime di gioia, non di tristezza e-e sono così felice”
“Ok cominciamo con l’andare vicino al tavolo” disse con convinzione, non smettendo di sorridere.
“Che c’è al tavolo?”
“Guarda e basta”.
Mi avvicinai lentamente, curiosa.
Al centro del tavolo vi era una torta rotonda, decorata con candeline e con i fiori di pasta di zucchero. A lato la scritta in corsivo ‘Tanti auguri Nina’ in viola. Era una torta semplice, ma comunque bellissima.
Mi voltai.
“Grazie, davvero”.
Spensi le candeline, mentre tutti quanti cantavano la canzoncina, scattammo un sacco di foto e mangiammo la torta.
Non appena Kevin si alzò per aiutare Joseph a riempire i bicchieri di champagne, Julianne, Ilaria e Riawna si avvicinarono con un pacchetto fucsia.
“Tada, venticinquenne!” esclamarono tutte e tre insieme, porgendomelo.
“Ragazze – dissi con tono di rimprovero – non dovevate”
“Certo che sì. Avanti, apri” mi incitarono.
“D’accordo – presi quel pacchetto in mano e strappai la carta fucsia – Non ci credo” mormorai, guardando ciò che avevo in mano.
Quella scatolina era marcata Tiffany. La aprii immediatamente e vi trovai un paio di orecchini a forma di cuore.
“Abbiamo pensato a questo regalo, perché” esordì Ilaria.
“Molti amori potranno andare e venire, ma” continuò Riawna.
“Ma il bene che ti vogliamo resterà per sempre, Niki” concluse Julianne.
“Ragazze, non so cosa farei senza di voi” risposi con commozione e le abbracciai, quasi stritolandole.
Aperti i regali di Joseph, mio fratello, mia madre e poi quello di Kevin, Julie, Paul e Ian, bevemmo lo champagne.
Quando finimmo di festeggiare, erano ormai le sei e trenta del mattino. Paul, Jules, Riawna e Ilaria dovettero scappare immediatamente all’aeroporto, mentre mia madre e Alex si sistemarono in una stanza al piano di sopra, vicino a quella mia e di Joseph.
“Micaela, è stato un piacere rivederti” Ian le sorrise.
“Grazie, anche per me, Ian – mia madre lo abbracciò, poi aggiunse – Non vedo la tua compagna in giro. Salutamela”
“Ma certo – Ian salutò anche Alex, poi mi si avvicinò – Dov’è finita Mary?” sussurrò.
“Non ne ho la minima idea, pensavo fosse già fuori”
“Potresti aiutarmi a cercarla?”
“Ma certo”
“Ok. Io guardo qui, tu vedi di sopra”
“Ok” annuii e salii le scale.
Guardai camera per camera. Quando aprii la mia, la trovai seduta sul letto come un’indiana.
“Ehi” richiamai la sua attenzione.
“E’ la tua camera, vero? – mi chiese, guardandomi – Cioè, quella in cui dormi quando sei a LA”
“Sì – confermai, poi con esitazione dissi – Tutto ok?”
“S-sì, scusa – sorrise, alzandosi e indossando nuovamente le scarpe col tacco – Avevo bisogno di un momento per togliere quei trampoli, ma avevo paura di andare in bagno. Sai, potevo cadere o chissà che altro, sono parecchio maldestra – fece una risatina agitata – Ian ha già chiamato John?”
“Sì, è qui fuori, aspetta solo di portarvi a casa”
“Perfetto – mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia – Ancora auguri, Nina” mi sorrise e se ne andò.
Stavo per tornare di sotto, quando notai un piccolo pacchetto sul letto. Mi avvicinai e lo presi. Era blu e aveva allegato un grande biglietto. Lo aprii e cominciai a leggere: “Cara Nina, chiedo scusa per non essere sicuramente riuscita a darti questo regalo davanti a tutti, ma, beh, mi vergognavo per tutto quello che siamo state in precedenza, anche se so benissimo che le cose sono cambiate, che il rancore è svanito e che l’amicizia si è potuta consolidare di più, rispetto a prima. Tuttavia, questa mia vergogna non svanisce. Ecco perché ho pensato di donarti questa cosa. Io e le mie amiche italiane ne portiamo tutte uno. Ci ricorda tutti i giorni che, nonostante i litigi e tutte le discussioni, siamo ancora qui, a volerci bene; che possiamo urlarci contro quanto vogliamo, ma continueremo a esserci, l’una per l’altra. Spero tu possa accettare questo ‘simbolo di pace’ e spero di mantenere questa promessa: di non lasciarti, anche nel peggiore delle ipotesi. In questi anni, seppur pochi, ho imparato a volerti davvero bene, Niki, e questo non svanirà mai. Buon compleanno! Mary”.
Mi asciugai le lacrime e aprii il pacchetto. Ne tirai fuori un braccialetto, con una piccola clessidra come ciondolo.
Lo indossai immediatamente, poi afferrai l’Iphone e composi il suo numero.
“Ho dimenticato qualcosa, vero? Ah, Ian mi ammazza, siamo partiti ormai!” brontolò.
“No, Mary, davvero? Chi è al telefono?” domandò Ian.
“Mary, tranquillizzalo – le dissi, sorridendo, ancora con la voce rotta dalla commozione – Volevo solo ringraziarti. E’ stato un pensiero bellissimo”
“Di niente, cara. L’ho fatto con il cuore”
“Ti voglio bene”
“Anche io”.
 
POV Mary
Il giornalista di sempre aveva preparato quattro sedie per noi. Prima feci sedere Alex, dopodiché Steve, Rose e infine mi accomodai io.
L’assistente prontamente accese la telecamera e il giornalista poté cominciare.
“Stamattina il vostro Jim vi augura il buongiorno con un nuovo gruppo di specializzandi del quinto anno del Saint Joseph Hospital. Cominciamo con il ripetere i vostri nomi e i reparti in cui lavorate” ci fece segno con le mani.
“Il mio nome è Alex Walker e sono specializzando in ortopedia e fisioterapia”
“Io sono Steve Crane e sono specializzando in neurochirurgia”
“Io mi chiamo Rose Davis e mi sto specializzando in chirurgia generale”
“Davis ancora per poco” sussurrò istintivamente Steve, sorridendo.
“Il mio nome è Maria Chiara Floridia e mi sto specializzando in chirurgia cardiotoracica” parlai immediatamente, sperando che magari al giornalista fosse sfuggito il commento di Steve.
“Bene. Avete cominciato insieme questo percorso?”
“Sì, tutti e quattro insieme” ripeté Steve.
“Quindi vi conoscete da ben cinque anni. Notevole”
“Beh, alcuni di noi si conoscono da un po’ più di tempo. Io, Steve e Rose siamo praticamente stati compagni di college. Quando abbiamo cercato i programmi di specializzazione e abbiamo trovato quello del Saint Joseph, abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura insieme. Nessuno di noi è della Georgia, perciò significava andare in un altro stato. Ancora”
“Dove siete stati al college?”
“Stanford. Ma io sono di Birmingham, Alabama” disse Rose.
“Io di San Francisco” Steve alzò la mano.
“Io di Cleveland”
“E poi ci sono io, che sbuco dall’Italia” li guardai e feci una risatina.
“Dottoressa Floridia, lei da dove viene precisamente?”
“Da una cittadina della Sicilia, Italia meridionale”
“Com’è finita a lavorare in un ospedale americano?”
“Il mio sogno è da sempre stato quello di conciliare le mie due grandi passioni: l’inglese e la medicina. Per questo, ai tempi della scelta universitaria, provai a entrare nella facoltà di medicina, insegnata in inglese. Purtroppo fallii, ma non mi lasciai abbattere da quel risultato. Riuscii a entrare in medicina, insegnata in italiano, a Firenze e persino a laurearmi in anticipo! Uno dei miei professori, vedendo il mio impegno, mi propose per una borsa di studio americana, fatta apposta per gli stranieri. Il dottor Richardson notò il mio curriculum e… ed eccomi qua” sorrisi.
“E’ stato difficile ambientarsi?”
“I primi due mesi sono stati difficilissimi per me. Soffrivo un po’ la solitudine, non conoscendo molte persone. Avevo anche qualche problema con le regole sanitarie”
“Sì, questa pazza accanto a me una volta  ha rischiato il visto per aver curato una donna incinta senza assicurazione, vogliamo parlarne?” si intromise Rose, indicandomi indignata.
“Non potevo di certo lasciarla morire! E, comunque, giusto per farlo notare, alla fine tutto è andato bene. Mi sono beccata una sospensione, un mese di turni ancora più insostenibili del solito e alla fine ho imparato”
“Com’è essere uno specializzando del primo anno?”
“Può chiederlo ai poveretti di quest’anno” Steve scosse la testa, quasi avvilito per loro.
“Dottor Crane, se potesse tornerebbe al suo primo anno?”
“Nemmeno morto! Sono felice che quella fase sia ormai passata”
“Come mai?”
“Beh, sai, il primo anno, quando sei una matricola, ti trattano come fossi feccia. Io e i miei colleghi avevamo orari davvero estenuanti”
“Orari estenuanti e sballati” commentò Alex.
“Una volta per un mese abbiamo confuso la notte con il giorno, ve lo ricordate?” domandò Rose.
“Oh, sì! E’ stato più o meno il terzo mese di tirocinio, dopo Halloween. Avevamo sempre i turni di notte, quindi andavamo via dalle nostre case alle sei del pomeriggio e tornavano alle sette di mattina, perciò passavamo tutta la mattina a dormire” risposi.
“E poi facevamo un brunch verso le quattro del pomeriggio e cominciavamo a prepararci per un altro turno. Alla fine del mese le ragazze avevano delle occhiaie pazzesche” Steve scoppiò a ridere.
“Ma guardati tu!” esclamammo insieme io e Rose, altezzose.
“Chi tra voi ha fatto il turno più lungo?”
“Oh, penso che in questo campo ci equivaliamo. Una volta abbiamo fatto un turno lunghissimo di novanta ore… quasi quattro giorni, rinchiusi in queste quattro mura a lavorare! Però, non ci siamo arresi. Sostenendoci a vicenda, pian piano ci siamo abituati e siamo diventati amici. Più o meno” Steve, sempre istintivamente, lanciò un’occhiata a me e ad Alex.
“Cosa intende?”
“E’ una lunga storia” cercai di liquidarlo e passare ad altro in quel modo.
“Che comprende i miei disperati tentativi di far cadere la dottoressa Floridia ai miei piedi, ma niente! Il mio piccolo cuoricino è spezzato” Alex fece il labbruccio e finse di asciugarsi le lacrime.
“Sì, certo, è il cuoricino a essere spezzato” lo guardai di sottecchi.
“Mary, sta’ calma” Rose mi prese una mano e cominciò a stringerla.
“Che succede?” chiese il giornalista e si mise a sedere meglio sulla sedia.
Le sue orecchie ormai sembravano due parabole.
“Che quest’uomo qui è riuscito a farsi tutto lo staff femminile dell’ospedale, eccetto due persone. E queste due persone si trovano in questa stanza adesso. E no, una delle due persone non è Steve” incrociai le braccia e accavallai le gambe.
“Sì, va bene, mi sono fatto tutte tranne te e Rose! Cos’è, ti da’ fastidio?” Alex si sporse dalla sedia per guardarmi.
“Dovrebbe darmi fastidio una cosa simile? Ah, sei fuori di testa!”
“Sì, certo”
“Comunque – subentrò Steve, aumentando il tono della sua voce – Grazie a questi turni pazzeschi la solitudine, che un po’ provava ognuno di noi, è sparita”
“E poi abbiamo insegnato a Mary come essere una vera americana insieme alla sua amica Jodie. Che giorni quelli!” Rose fece una risatina.
“Giusto – tornai a rilassarmi e sorrisi, ricordando Jodie; dopo un po’ aggiunsi – Uh, comunque credo di aver battuto il record di ore in ospedale”
“Ma quando, scusa?” chiese Steve incredulo.
“La prima settimana di Dicembre, quando ho fatto il turno di 120 ore. Ogni volta che stavo per tornare a casa, avveniva qualche tragedia ed ero costretta a rimanere: sparatoria vicino a una chiesa, crollo delle fondamenta di un condominio di nove piani, fuga di gas che ha causato un’esplosione in una farmacia e in un negozio d’abbigliamento. Insomma, ci mancava solo un attacco terroristico in quel periodo e le avevo viste tutte”
“Aaah, giusto!” esclamò.
“Dottori, qual è stato il paziente più strampalato che avete avuto in questi cinque anni?”
 “Sicuramente – ci pensammo un po’ tutti e quattro, guardandoci, poi sgranammo gli occhi e tornammo a rivolgerci al giornalista, parlando contemporaneamente – l’uomo zucca del secondo anno!”.
Detto ciò scoppiammo in una fragorosa risata.
Il giornalista ci guardò perplessi.
“Chi comincia?” chiese Rose.
“Io voglio dire la parte più avvincente!” alzai la mano, esaltata.
“D’accordo, comincio io – Alex iniziò a raccontare – Halloween 2010. Eravamo tutti e quattro di turno al pronto soccorso. Quel giorno arrivò un paziente in uno stato semicosciente e, nonostante sentisse molto dolore, si vergognava a farsi visitare”
“E noi non riuscivamo a capire che diavolo avesse e perché si vergognasse tanto. Ci siamo confrontati e abbiamo deciso che era meglio non aggredirlo, ma approcciarsi a lui con tatto. Ecco perché Mary e Rose sono entrate in azione” Steve passò metaforicamente il testimone a Rose.
“Io mi sono avvicinata per prima con una scusa. Parlavo di quanto fosse bello Halloween e delle cose che avremmo fatto io e il mio fidanzato, non appena concluso il turno, ma lui stava zitto. Non spiccicava una parola. Riprovai più volte a metterlo a proprio agio e quindi farlo parlare, ma niente. Mi guardava sempre con quello sguardo spaesato e basta. A questo punto si avvicinò pure Mary e gli disse, testuali parole eh: ‘Io non so quale cavolo sia il suo problema, ma è venuto in ospedale e non si fa toccare. Lei crede che io e i miei colleghi abbiamo tempo da perdere? Che siamo qui al pronto soccorso perché non abbiamo altro da fare? Errore! Ma lei è qui e non si fa toccare e così facendo rende inutili noi, i suoi medici. Può, per favore, dirci cosa le è successo, così da renderci più facile il nostro lavoro?’” Rose imitò la mia voce.
“Menomale che avevamo detto di approcciarci con tatto” Steve fece una risatina.
“Beh, ma almeno dopo questa strigliata ha parlato – subentrai io, fremendo sulla sedia – Ci disse che aveva sbagliato più volte la zucca per sua figlia, allora, per non deluderla, voleva farne un’altra. Tuttavia, aveva esaurito le zucche, perciò utilizzò la sua pancia. Alla fine, disse alla piccola di aver finito e lei tutta contenta avvisò i suoi amici che di lì a poco sarebbe uscita con la sua fantastica zucca. Il poveretto, non sapendo come fare, prese una decisione”
“Quale?” chiese il giornalista curioso.
“Cominciò a segarsi la pancia! Capisce? Ecco perché era in stato semicosciente! Non appena ha finito di raccontare, abbiamo spostato le sue mani, premute accuratamente contro l’addome e, beh, era peggio di un film horror là dentro – esclamammo più o meno tutti insieme – Ah, Halloween è una delle feste migliori del mondo!” sghignazzammo.
“Oddio! – il giornalista fece una smorfia, disgustato; dopo, cercò di ricomporsi – Allora, parliamo d’altro. Che programmi avete per il weekend? Dottoressa Floridia?”
“Beh, domani partiamo per Santa Fe, vedremo la prima puntata di The Vampire Diaries della nuova stagione e poi… Ehm… Ragazzi – mi voltai verso Rose e Steve – ditelo voi”
“Ok – si presero per mano – E poi andremo a un matrimonio. Il nostro” sorrisero.
“Ecco perché quel commento prima, dottor Crane! Auguri allora!” il giornalista ricambiò il sorriso.
 
La porta si aprì e io cominciai a percorrere la navata, con un sottofondo di violini che mi accompagnava. Appena arrivai all’altare, sorrisi a Steve. Alex mi fece l’occhiolino, ma lo ignorai. Mi voltai verso il grande portone, da cui ero uscita, giusto in tempo per vedere Rose entrare. Era davvero splendida. I suoi capelli ramati erano stati raccolti in uno chignon molto elegante, che ricordava molto una rosa; il velo era tempestato di diamantini e di pizzi. L’abito era interamente di pizzo, con scollo a cuore, corpetto aderente e strascico lunghissimo, tempestato di diamantini luccicanti. Tuttavia, il particolare più bello erano i suoi occhi, di un verde smeraldo così luminoso, che brillavano più di tutti i diamanti messi insieme. Rose era emozionata e al settimo cielo. Stava coronando il suo sogno.
I violinisti cominciarono a suonare ‘Only Hope’ degli Switchfoot, la loro canzone.
Gli occhi iniziarono a pizzicare e dovetti contrastarli con tutta me stessa per non far scendere le lacrime e rovinarmi il trucco. Rose arrivò e mi porse il bouquet, poi si mise davanti a Steve e la cerimonia iniziò. Dopo una lunga omelia del prete e le promesse, Rose e Steve si scambiarono le fedi.
“Vi dichiaro marito e moglie – disse cordialmente il prete, poi si rivolse a Steve – Puoi baciare la sposa” e sorrise.
Steve la baciò dolcemente e tutta l’assemblea cominciò ad applaudire. Non riuscii più a trattenermi e piansi lacrime di gioia, specie quando abbracciai entrambi per congratularmi.
Dopo qualche foto, uscimmo dalla Saint Francis Cathedral e ci avviammo verso l’ ‘Inn and Spa at Loretto’, l’hotel del ricevimento e in cui avevamo alloggiato i due giorni precedenti.
La prima cosa che Rose volle fare appena arrivati, fu il lancio del bouquet.
Vidi tutte le nostre colleghe e tantissime altre donne appostarsi con forza davanti a lei per prenderlo, agguerrite come lottatrici di Sumo, ma lei non lo lanciò.
“Mary, se non sei nella mischia, non lancio!” urlò al microfono.
“Io passo” sorrisi gentilmente.
Rose borbottò qualcosa e si voltò.
“Questo bouquet finirà alla prossima sposa da festeggiare! Tre, due, uno…” disse entusiasta.
Un uomo mi spinse per sbaglio, facendomi finire nella mischia. La donna, che era davanti a me, cadde e trascinò con sé altre donne, come un effetto domino. Prima che potessi fare mente locale, il bouquet mi cadde tra le mani. Lo guardai senza parole, rossa di vergogna per il significato di quel gesto, e Rose scoppiò a ridere.
“Ma non avevi detto che passavi?”.
Alzai le spalle e sorrisi nervosamente, poi lo posai al mio tavolo e andai a prendermi un drink. Mentre bevevo serenamente, qualcuno picchiettò sulla mia spalla sinistra. Mi voltai.  Alex mi tese una mano. La guardai per un po’, poi gli chiesi irritata: “Perché?”
“Il ballo tra damigella e testimone” sorrise esageratamente, già sicuramente un po’ brillo.
“Stai scherzando, vero?” dissi seria.
“No, l’ha appena detto Steve al microfono. Da loro si usa così prima dei discorsi dei testimoni e del banchetto”.
Guardai verso Steve implorante, ma lui scosse la testa.
Sbuffai e presi la mano di Alex.
 
POV Ian
Dopo aver firmato centinaia di autografi e aver fatto migliaia di foto con ragazzine urlanti tutte esaltate, indossai lo smoking e chiamai un taxi. Appena arrivai all’ingresso dell’hotel, rimasi allibito.
Era un hotel da sogno.
L’ambiente esterno ricordava molto un’oasi arabica, quello interno un palazzo orientale molto sofisticato. L’entrata dell’edificio era piena di tappeti persiani, molto eleganti.
Un uomo mi venne incontro sorridente.
“E’ uno degli invitati alle nozze Crane-Davis?” mi chiese.
“Sì, esatto” risposi.
“Bene. La accompagno al salone del ricevimento” mi disse cordialmente.
Lo seguii e, presto, mi ritrovai davanti un salone immenso.
Il pavimento era di marmo; i lampadari, che illuminavano tutta la stanza, erano di cristallo; vi erano delle decorazioni azzurre sparse per tutta la sala, sia sui tendaggi, che sui tavoli dei vari invitati. Cominciai a squadrare tutti i volti delle persone per trovare Mary.
La notai subito. Aveva un vestito lungo beige, i capelli semiraccolti e dei boccoli che le scendevano sulle spalle elegantemente. Era davvero mozzafiato.
Dopo essermi ripreso da quella visione, cominciai ad avvicinarmi, quando mi accorsi che non era sola.
Stava ballando con Alex.
Mi irrigidii immediatamente, poi accelerai il passo e cominciai a respirare profondamente con il naso.
“Calmo, Ian, calmo, non vorrai fare una scenata di gelosia davanti a tutta questa gente, vero?” sussurrai tra me e me.
Riuscii a controllarmi e con passo elegante mi diressi verso la mia donna. All’improvviso la mano di Alex cominciò a scendere sempre più giù, puntando al fondoschiena.
“Eh no, questo proprio no!” pensai imbestialito, mentre mi guardavo intorno con un sorriso isterico, che mi faceva sicuramente sembrare un ebete. O uno psicopatico. O tutti e due.
Prima di avvicinarmi e spaccare la faccia a quel tizio, li osservai ancora per un po’.
“Avanti, Mary, fa’ qualcosa. Difendi il tuo… il mio territorio, andiamo!” mormorai.
Come se mi avesse letto nel pensiero, la mano di Mary prese quella di Alex e la riportò sulla vita, giusto in tempo per la fine del ballo.
Molti applaudirono, per poi dirigersi al piano bar, mentre Mary tornò al suo tavolo infastidita. Sorrisi e senza farmi sentire, le toccai i fianchi.
“Aleeeeeex, levami immediatamente le mani di – si voltò con la mano pronta a mollarmi una sberla, quando la abbassò e sorrise dolcemente – Ciao”.
Scoppiai a ridere, era cambiata in un niente.
“Ciao anche a te, occhi a cuoricino!”
“Non ho gli occhi a cuoricino”
“Tu non puoi vederti dall’esterno, mia cara” sorrisi beffardo.
Prima che potesse controbattere, il cantante della band ingaggiata disse al microfono: “E ora, carissimi invitati, a breve ascolteremo i discorsi della damigella d’onore e del testimone”
“Tocca a me” farfugliò nervosa, dimenticandosi di ribattere.
“Andrai benissimo” le toccai gentilmente il fondoschiena, fiero di poterlo fare, poi la spinsi verso il palchetto.
Dopo essersi schiarita la voce, Mary disse: “Buonasera a tutti gli invitati, che oggi sono qui per festeggiare queste due persone fantastiche che hanno scelto di essere straordinari insieme e di unirsi per l’eternità! Certo, probabilmente entrambi prima di prendere questa decisione saranno stati troppo a lungo esposti ai raggi x senza le dovute protezioni, ma sono sicura che ciò li ripagherà con la cura e la dedizione che riusciranno a darsi a vicenda! – tutti ridemmo e lei continuò – Sapete, la vita è un continuo sorteggio alla lotteria, non si sa mai che combinazione ti capita. Io stessa non pensavo di incontrare due persone così splendide, dolci, amorevoli, disponibili per qualsiasi cosa e a qualsiasi ora! E pensare che la prima volta che li ho visti, stavano per investirmi” fece una smorfia.
Si sentì Rose alzare la voce per farsi sentire: “Per colpa tua, mia cara” concluse ridendo.
Mary le rivolse uno sguardo affettuoso, poi continuò: “Così come non conosciamo le varie combinazioni che la vita ci può offrire in amicizia, non conosciamo anche e soprattutto quelle che ci riserva in amore. E infatti, quando meno te lo aspetti, ecco che esce la tua combinazione e ti arricchisci. E loro due, dopo esattamente sei anni, hanno finalmente ufficializzato la loro vittoria e si sono arricchiti grazie all’unica cosa che fa stare veramente bene, che ti fa sentire la persona più felice e più fortunata del mondo, che non ti fa desiderare nient’altro: l’amore! Amore che è paziente, gentile, mai geloso; amore che non è pieno di sé, che rispetta, che non porta rancore; che permette di superare qualsiasi tempesta! Questi piccoli attributi dell’amore sono davvero incarnati in Rose e Steve. Non importa cosa loro in questi sei lunghi anni abbiano dovuto affrontare. Le difficoltà non li hanno vinti, bensì li hanno rinforzati, rendendoli sempre più innamorati l’uno dell’altra. Sono fiera di essere capitata nella vostra vita e, soprattutto, sono fiera di essere testimone del vostro amore, che mi ha insegnato tanto – mi guardò, poi alzò il bicchiere e rivolse lo sguardo Rose e Steve – Auguri signor e signora Crane, vi voglio bene”
“Non prenderò il suo cognome, ma grazie” Rose sorrise, visibilmente commossa, e tutti applaudimmo.
Sia lei che Steve stavano per alzarsi e raggiungere Mary, probabilmente per stritolarla, quando sul palchetto si presentò Alex, barcollante con un bicchiere fin troppo vuoto. La capacità di quell’uomo di ubriacarsi era incredibilmente scioccante.
“Tocca a me adesso, giusto?” disse al microfono e rise.
Mary si voltò per scendere dal palchetto, ma Alex la bloccò.
“Alt, aspetta! Mi sto ricollegando al tuo discorso, resta qua! – la tirò verso di sé – Allora, come stava dicendo la mia collega-barra-damigella d’onore” rise e le palpò il sedere.
“Ma che fai?” urlò lei sconvolta.
Non riuscii più a trattenermi. Salii sul palco e gli mollai un pugno in pieno viso.
“Così impari” dissi.
 
POV Mary
Guardai Alex, poi Ian, poi di nuovo Alex, poi di nuovo Ian. Ero sorpresa, non mi aspettavo che Ian potesse fare una cosa del genere, ma non mi dispiaceva affatto che l’avesse fatto. Dopo che un mio collega di ortopedia gli controllò la mano, Rose e Steve ci si avvicinarono.
“Come sta la mano?” chiesero.
“Sta benone, non preoccupatevi” dissi velocemente e sorrisi.
“Bene! In tal caso – mi porse una busta – questo è per voi” Rose sorrise.
La aprii e trovai vari biglietti.
Ne presi uno a caso. Era un biglietto aereo.
“C-c-ci avete regalato u-un viaggio?!” balbettai sorpresa.
“Due settimane in Norvegia, soli soletti, tutte per voi” disse Steve.
“Non dovevate, davvero”
“Sì invece, tu sei la mia damigella d’onore e una nostra carissima amica. E, ragazzi, vi meritate una vacanza, lontani da giornalisti e psicopatiche, munite di patente e pistola, sulla via della redenzione” continuò Rose con molto sarcasmo.
Aveva ragione.
Senza parole li abbracciai.
“Grazie, davvero” li strinsi.     
 
POV Ian
Passammo l’intero viaggio a coccolarci e a dormire. Non vedevo l’ora di passare quelle due settimane con Mary da solo, senza che lavoro o emergenze varie ci interrompessero.
Scesi dal taxi, ci ritrovammo davanti all’hotel.
“No, davvero, non posso sopravvivere” disse Mary a bocca aperta.
“Dai, non esagerare” la stuzzicai.
“Non esagerare?! Questo hotel è… wow! Non riesco nemmeno a descriverlo”
“L’ho notato – risi – Su, entriamo! Ci aspettano due settimane magiche” sorrisi e le porsi il braccio.
Subito dopo entrammo nel ‘Clarion Collection Hotel Folketeateret’ di Oslo, dove Rose e Steve avevano prenotato per noi. La hall era davvero immensa, ma non mi sorprendevo più di tanto. Era una hall normalissima per un hotel lussuoso. Mary, invece, non smetteva di fare foto a destra e a sinistra, come se non avesse mai vissuto una cosa del genere. Sorrisi. Era anche questo che mi piaceva di lei. Ogni cosa per lei era una nuova scoperta, una nuova avventura da affrontare, era sensazionale.
“Posso sapere come diavolo fai a restare lì senza muoverti, come se tutto questo fosse normalissimo?” mi chiese euforica.
“Ho visto tanti hotel simili” mi limitai a dire.
“Ah, vero, dimenticavo chi sei, ‘Mr. HoPraticamenteVistoTuttoIlMondo’” mugugnò divertita.
Risi, poi ci avvicinammo alla reception.
“Salve, è stata prenotata una stanza doppia per noi per le prossime due settimane” dissi cordialmente.
“Salve, mi lasci controllare. Il cognome è Somerhalder?” rispose la signorina in un perfetto inglese.
Annuii.
“Il famoso Somerhalder di ‘The Vampire Diaries’?! Potrebbe farmi un autografo?” chiese discretamente. 
“Ma certo” mi feci dare un foglietto e una penna e le feci una dedica.
Dopo avermi ringraziato, la signorina mi porse una chiave magnetica.
“La stanza è al sedicesimo piano. Se la chiave viene persa, potete richiederne un’altra qui alla reception”
“Lo faremo senz’altro”
“Buona permanenza” la signorina sorrise, poi ordinò a un ragazzo di prendere le nostre valige.
La ringraziammo e prendemmo l’ascensore insieme a lui. Dopo avergli dato una bella mancia, entrammo in stanza. Fu come entrare in un altro mondo: un enorme salotto in granito scuro ci si proiettò davanti, con un piccolo piano bar sulla sinistra e dei divani di pelle bianca attorno a un caminetto sulla destra. Davanti a noi una splendida porta a vetri con delle tende bianche, che dava su un’immensa terrazza sul mare, e un’elegante scala a chiocciola.
“Oh mio Dio! L’ho già detto che non posso sopravvivere?” mi sussurrò Mary.
Dopo essermi ripreso dalla bellezza di quella stanza, portai le valige dentro e chiusi la porta alle mie spalle. Andammo immediatamente di sopra, spinti dalla curiosità. Un letto a due piazze con lenzuola bianche e cuscini rossi sovrastava quella stanza e sembrava invitarci a provarlo. Mary non aspettò un secondo di più, prese la rincorsa e si buttò.
“E’ magnifico” urlò esaltata, poi mi fece cenno di sdraiarmi accanto a lei.
Scossi la testa divertito.
“Perché no?” brontolò, mettendo il muso.
“Voglio controllare una cosetta prima” le feci l’occhiolino e aprii la porta scorrevole bianca di fronte al letto.
Nascondeva una meravigliosa sala da bagno, con le pareti e le piastrelle del pavimento dello stesso granito del salotto e tutti i componibili in ceramica bianco lucida. La prima cosa che notai fu la vasca da bagno, una Jacuzzi grandissima, ad ‘alta carica erotica’. Non appena mi voltai, vidi l’immensa doccia: il box era tutto in vetro, il piano doccia una continuazione del pavimento. Tutto era indescrivibile in quella camera d’albergo.
Un pensiero malizioso mi travolse: “Su questo vetro, con un po’ di vapore, si potrebbe riprodurre la scena del ‘Titanic’”.
Risi da solo per la mia perversione, pensando anche a tutto ciò che avrei vissuto con Mary in quelle due settimane di relax. Ne avevamo passate tante nei mesi precedenti, Rose e Steve avevano ragione, avevamo davvero bisogno di una vacanza. Sentii Mary ridere di gusto e uscii dal bagno.
“Che succede?” la guardai curioso.
“Giuro, non riesco a smettere di ridere, ascolta – disse tra le lacrime – I doppiatori sono inquietanti qui” e continuò a ridere.
Guardai verso il televisore e vidi me e Nina parlare. Era un episodio della quarta serie di ‘The Vampire Diaries’. Alzai gli occhi al cielo e presi Mary in braccio, come fosse una principessa.
“Ehi, ma che fai?” disse divertita.
“Avrai tempo per sentire Damon parlare norvegese, ma ciò che ti sto per mostrare è più importante e… urgente” mi limitai a dire e la portai in bagno.
Chiusi immediatamente la porta, la feci scendere e le indicai la vasca.
Mentre la guardava ancora sorpresa, l’accesi e azionai l’idromassaggio, poi le cinsi i fianchi e la baciai. 
“Benvenuta in Norvegia” le sussurrai tra un bacio e l’altro.
“Anche tu” sorrise e mi sbottonò la camicia.
“Vedo che mi hai capito al volo” sorrisi malizioso.
“Come potrei non farlo? Siamo troppo telepatici in queste… situazioni” concluse la frase e si passò la lingua sulle labbra secche.
Quel gesto mi eccitò ancora di più.
Nonostante fossimo ancora entrambi vestiti, la ripresi in braccio ed entrai in vasca.
“No, adesso abbiamo tutti i vestiti bagnati” si lamentò.
“Meglio” le tolsi la camicetta bagnata e la buttai sul pavimento.
Si sentì un piccolo tonfo, ma Mary non ci fece molto caso. L’avevo dolcemente spinta verso il punto più forte dell’idromassaggio, quindi non era molto concentrata sui vestiti che lentamente stava perdendo per colpa mia.
“Non avevi mai provato l’idromassaggio della Jacuzzi?” sussurrai, mentre mi liberavo dei miei vestiti.
“Assolutamente no” mormorò, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dai massaggi.
“C’è sempre una prima volta, giusto?” sorrisi.
Annuì compiaciuta. Tolsi i calzini e la baciai castamente.
“E, dimmi, avevi mai sperimentato l’idromassaggio di coppia?”.
Mary scosse la testa debolmente, come se fosse incapace di proferir parola.
I suoi occhi, tra il castano e il verde, brillavano eccitati, in attesa.
“Anche per questo c’è sempre una prima volta” mormorai vicino al suo orecchio.
Con uno scatto delicato, ma deciso presi le sue cosce e le feci aderire al mio bacino. Ben presto entrai in lei, esigente, mentre i nostri corpi venivano sollecitati anche dell’idromassaggio.

POV Mary
Erano state due settimane davvero spettacolari. Avevamo visitato la Norvegia in lungo e in largo, ammirando le splendide città, come Oslo, Bergen, Tromso e Roros, e i meravigliosi paesaggi dell’Alesund, del Geiranger e del Fjærland. Avevamo trascorso gli ultimi giorni a visitare alcuni tra i più famosi parchi naturali ed era stato magico essere così a stretto contatto con la natura, nel silenzio più totale. Era come se tutto il paese fosse escluso dalla frenesia del mondo, forse per questo Rose e Steve avevano scelto quella meta per noi. 
Ian al suo seguito aveva portato le sue ‘signore’, le adorate macchine fotografiche di cui non poteva mai fare a meno, era più forte di lui. In quelle settimane aveva scattato come minimo un migliaio di foto. Ogni essere vivente e non, diventava protagonista del suo folle set, per non parlare dei miliardi di fotografie che mi aveva scattato. Essere al centro di un obiettivo era davvero imbarazzante per me, persino ai compleanni; ma con lui era divertente, specie quando mi coglieva di sorpresa. Le foto venivano ancora più belle.
Il nostro penultimo giorno in quel bianco paradiso terrestre andammo a visitare lo zoo di Oslo. Passammo lì tutta la giornata immersi nella passione più grande di Ian: gli animali!
“Mary, guarda qua!” mi raggiunse quasi saltellando e mi mostrò una foto appena sfornata dalla sua polaroid.
“Ma guardala, non è tenerissima?”
“Certo Ian” sghignazzai amorevolmente. 
Nella foto, la parte destra era occupata da Ian che faceva il labbruccio, mentre l’altra parte dal muso di una foca monaca che curiosa aveva uscito la testa dall’acqua.
Quella giornata era stata spettacolare, era stato come fare un viaggio in un mondo diverso da quello reale. Era come essere in una favola, tutto era puro e semplice. 
“Mary! Mary! Oddio! Devi vedere, devi vedere” non completò la frase e mi trascino con sé.
“Cosa devo vedere?”
“Io lo voglio, prendiamolo!”.
Rimasi pietrificata. Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. Davanti a me c’era un orso polare, che teneramente schiacciava un pisolino. 
“Ma… ma… quello è un…” balbettai intontita.
“Già!” rispose estasiato lui.
La pace interiore e la tranquillità, che quel giorno mi aveva donato, furono guastate dai continui brontolii di Ian.
Tornai con i piedi per terra e lo osservai. 
“Dai” gli diedi una spintarella e sorrisi.
“Uffa, era bellissimo, carino e coccoloso” continuò lui, sbuffando.
“Ma era normale che non potevi portartelo dietro!” usai la chiave magnetica per entrare in stanza.
Ian richiuse la porta, ancora amareggiato.
“Ma che male c’era?”
“Mi spieghi come avrebbe fatto a resistere un orso polare ad Atlanta?! Andiamo, non è nemmeno il suo habitat”
“Bastava il mio amore”
“Stai dicendo sul serio?” cercai di trattenere una risata.
“Antipatica” mi guardò di sottecchi.
“La verità brucia” dissi quasi canticchiando.
Ian mi buttò sul letto e mi prese i polsi.
“Ritira immediatamente quello che hai detto” disse serio.
“No” sorrisi.
“Ritiralo” sorrise anche lui.
Scossi la testa. Cominciò a farmi il solletico.
“No, il solletico no” urlai tra le risate.
“Mi hai costretto tu, ricordalo” disse beffardo.
Riuscii a liberarmi dalla sua presa e mi misi sopra di lui.
“Non lo ritiro” sorrisi vittoriosa.
“Ok, credo che stavolta abbia vinto tu – disse vago, poi sussurrò con voce fioca e amorevole – Buon San Valentino, mio piccolo orso polare”.
Risi. Dopo, intenerita, cominciai a baciarlo.
“Mi hai dato dell’antipatica, meriti una punizione”
“Sei veloce a cambiare argomento, sai? – sorrise – E sentiamo, che punizione avresti in mente?”
“Beh, diciamo che forse non è proprio una punizione” risi e ripresi a baciarlo.
“Come al solito, mia cara” commentò lui ridendo.
Cominciammo a baciarci e, in breve tempo, ci ritrovammo nudi, l’uno perso nell’amore dell’altra. Chiusi gli occhi, assaporandomi il momento e, soprattutto, lui.
Stavamo insieme ormai da nove mesi, ma ancora non riuscivo ad abituarmi a quella relazione. Era una continua sorpresa, un continuo travolgerci a vicenda. L’amore che provavamo mi lasciava sempre senza parole.
“Mary” Ian sussurrò il mio nome con voce roca.
“Sì?” domandai, riaprendo gli occhi.
Intrecciò le sue dita con le mie, portando le nostre mani sopra i nostri volti. Mi diede un bacio stampo, poi cominciò a lasciare piccoli baci lungo le guance e il collo.
“Ti amo” mormorò al mio orecchio.
“Anch’io”.
Restammo in quel modo ancora a lungo, uniti. Quando riuscimmo a staccarci, Ian cinse le mie spalle col suo braccio destro. Mi accoccolai sul suo petto scolpito e cominciai ad accarezzarlo delicatamente con le unghie.
“Non dirmi che pensi ancora all’orso polare” risi.
“No, tranquilla” rise anche lui, giocando con i miei capelli.
“Allora, a cosa stai pensando?”
“Penso solo che queste due settimane siano volate troppo in fretta e che… beh, non sarebbe stato male stare qui per un altro po’. Nonostante sia un paese abbastanza freddo, la Norvegia è spettacolare”
“Già” lo guardai e gli baciai il petto, poi mi alzai e indossai la vestaglia.
“Dove vai?” mi chiese curioso.
“A darmi una rinfrescatina! Se mi cerchi sono sotto la doccia” ammiccai.
“Era un invito? Comunque, torna presto” accarezzò il mio lato del letto con quel labbruccio, che mi faceva tanto dare di matto.
“Contaci” gli feci l’occhiolino ed entrai in bagno.
Stavo prendendo il telo per coprirmi dopo la doccia quando per sbaglio feci cadere il mio beauty-case.
“Che maldestra che sono, è finito tutto a terra!”.
“Tutto bene lì dentro?” urlò Ian.
“Sì, tranquillo! Mi è solo caduto il beauty-case” risposi.
Parlando tra me e me, cominciai a fare l’elenco delle cose che man mano riassettavo dentro il beauty.
“Allora, crema corpo, crema mani, dentifricio, spazzolino, astuccio, assorben…. “.
Mi fermai a riflettere un attimo, facendo dei calcoli, e immediatamente sussultai.
“Oddio! No, no, non è possibile… non è possibile… h-ho un …. ritardo!”. 


















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Note dell'autrice:
E' passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ho pubblicato, ma questo capitolo è stato così ricco di avvenimenti che ha richiesto il suo tempo. E, finalmente, dopo 62 pagine, eccomi qua :D E' un nuovo record per me xD
Abbiamo assistito all'incontro tra le famiglie, abbiamo visto l'inizio del documentario, i PCA, il compleanno di Nina, il matrimonio, la Norvegia e poi, beh, i nostri protagonisti molto toccati dalla passione ahahahah 
Questa passione, tuttavia, ha portato a un ritardo.. Mary sarà davvero incinta o è un falso allarme?!
Lo scoprirete nel prossimo capitolo ;)
Spero che sia valsa la pena aspettare! Io, al solito, mi sono impegnata e ho cercato di conciliare tutto quanto :)
Ringrazio anticipatamente chi leggerà silenziosamente e chi lascerà recensioni; chi darà solo un'occhiata e chi metterà la storia tra le preferite/ricordate/seguite! Siete tutti importanti :)
Vi lascio con il link della canzone di Rose e Steve, Only Hope di Switchfoot: https://www.youtube.com/watch?v=4kC3r_poOl8 e anche con il link del gruppo della storia su fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Passate se vi va ;D
Alla prossima,
Mary :*
  
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