Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: kamony    22/09/2014    13 recensioni
Com’era il giovane ed acerbo Harlock prima di diventare il cupo e ramingo pirata, silenzioso e devastato dal rimorso, che solca lo spazio a bordo dell’Arcadia?
Questa è la storia dei suoi albori, di come sia diventato il Capitano di una delle 4 navi Death Shadows con motori a dark matter. Di come si sia guadagnato questo ruolo, della sua bella amicizia con Tochiro Oyama, come ha conosciuto e conquistato il suo primo grande amore... e molto altro ancora!
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harlock, Nuovo personaggio, Tochiro
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'ACROSS THE UNIVERSE'
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OCEANIA TREDICI

 

Vedere in lontananza il suo Pianeta natio, era sempre un’emozione forte per Harlock, il suo cuore palpitava e i suoi occhi brillavano animati da una luce particolare che era specchio del suo sentire interiore.
Dall’oblò della navetta, la Terra si mostrava, nonostante tutto, ancora nella sua primordiale bellezza.
Da quell’angolazione sembrava una grande biglia di vetro blu scuro, screziata da mille sfumature che andavano dal cobalto, al marrone fino al bianco candido.

Via via che l’astronave si avvicinava al pianeta, i contorni si facevano sempre più delineati, netti, e alla fine si distinguevano chiaramente i continenti pigramente adagiati sulle acque degli oceani, rivelando, a chi le osservava, tutta la loro selvaggia e immutata bellezza di un tempo. Dallo spazio, la Terra sembrava quella di sempre. Nonostante fosse un pianeta quasi sterile come una vacca, munta fino all’ultima goccia di latte, appariva sempre viva, come se fosse stata dotata di un’anima, come se respirasse. Certo, gran parte del territorio era arido, privo di risorse, ma la Terra appariva ancora tenacemente viva, come conscia di dover lottare per riprendersi l’aspetto di un tempo e germogliare a nuova vita. Il suo fascino restava immutato, grazie ai colori che la carestia non era riuscita a spegnere né a sbiadire. Le nubi, come soffici batuffoli di cotone e lembi di zucchero filato la decoravano, creando un gioco di chiaroscuro, che catturava sguardo e cuore di chi vi posava sopra gli occhi, proprio come stava accadendo ad Harlock.
Il Pianeta Azzurro era e restava per il giovane tenente il posto più bello dell’Universo, quello che più amava e che, nonostante tutto, si ostinava a chiamare casa.

Era molto felice di poter passare del tempo sulla Terra e questo lo metteva di ottimo umore. Si chiese se nella base militare ci fosse un maneggio, o qualcosa di similare. Amava andare a cavallo e non lo faceva da tempo immemore. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare il vento tra i capelli e la sensazione di libertà che gli aveva sempre dato cavalcare.

I suoi pensieri furono interrotti dalle manovre di atterraggio.
Erano appena arrivati nello spazio-porto di Oceania Tredici.

 

 

La cittadella appariva grande e fiorente: inglobava al suo interno la modernissima  caserma Gladio. Appena arrivati furono subito accompagnati ai loro alloggi che scoprirono essere più che decenti. I tre i tenenti provenienti da Shandor, compreso l’ingegnere aerospaziale Tochiro, erano stati assegnati alla stessa ala, provvista di camere singole, non molto grandi ma accoglienti, dotate di tutto il necessario, compresa una piccola scrivania ed un computer.
Oceania Tredici si estendeva su una vallata non troppo distante dal mare che lambiva quel pezzo di terra popolata da militari e civili che vi convivevano in piccolo microcosmo lontano da tutti. Harlock notò che quelli della Gaia Fleet si trattavano bene. Le loro basi erano ultra moderne e dislocate in luoghi ancora molto fiorenti, che comunque si erano premuniti di risanare e riedificare, rendendoli fertili e rigogliosi. Sembrava davvero di essere sulla Terra di tanti anni prima.

Oceania Tredici, Gladio compresa, era popolata da circa milleduecento militari e tremilacinquecento civili, impiegati anch’essi nell’ esercito.
Queste basi erano sempre edificate in località circondate da stretto riserbo poiché  nascondevano dei segreti. Ciò che avveniva ed era custodito al loro interno: materiali, progetti e anche gli addestramenti che venivano effettuati era difficile potessero essere conosciuti da chicchessia nel dettaglio. Oceania Tredici specialmente, grazie della alla propria posizione geografico-strategica, si configurava come una sorta d’isola incastonata nel territorio Terrestre, alla quale non era facile avere libero accesso anche se, furbescamente, la Gaia Sanction, che in segreto stava mettendo a punto il suo piano circa l’inviolabilità terrestre, la dichiarava aperta a tutti. Voleva farla passare per un luogo di addestramento di truppe speciali per garantire la futura ripopolazione del pianeta in modo ordinato e sicuro.
Menzogne.

Una volta sistemati i propri effetti nelle camere, i tre piloti si ritrovarono in una sorta di aula dove sarebbero iniziati i test attitudinali. Si sarebbero dovuti mettere al lavoro fin da subito.

In quella stanza attrezzata da monitor e scrivanie, trovarono il quarto tenente, reclutato per la selezione: Vipera.
I quattro si fronteggiarono in silenzio studiandosi.
Vipera guardò i tre che sembravano già affiatati.

Uno era una maschera impenetrabile, sembrava avesse il viso di gomma, ma inespressivo. Capelli neri corvini e una particolarità singolare, la quasi totale assenza di sopracciglia che lo rendevano davvero inquietante. Pensò che quello dovesse essere il Freddo.
Accanto a lui, un altro con i capelli arruffati, la barb e due occhi verdi, vispi e vividi. Non riusciva a stare fermo e si guardava intorno nervosamente curioso. Senza dubbio quello era il famigerato Devasto.
L’ultimo dei tre era molto tranquillo. Più alto degli altri due portava, per i suoi gusti, i capelli un po’ troppo lunghi ed aveva una cicatrice che dal setto nasale scendeva, solcandogli tutta la guancia destra. I suoi occhi erano penetranti e molto, troppo, attenti. Appariva come il più pericoloso dei tre.

Vipera mirava al comando della flotta speciale e aveva fatto i compiti a casa, si era informato su tutti i candidati per partire avvantaggiato. Sapeva che Occhio di Falco, con le sue abilità strategiche così spiccate, era il concorrente diretto da  battere. Per fortuna aveva scoperto anche tutte le magagne che riguardavano quei tre, quindi si sentiva in vantaggio e piuttosto sicuro di ottenere ciò a cui ambiva.
“Salve ragazzi. Sono Marcus Date, nome in codice Vipera, ero di stanza alla caserma Lumia
*1  sul pianeta Gorianus” disse amichevole.
Non era un tipo falso, era solo ambizioso e voleva avere l’approvazione della squadra; non avrebbe potuto comandarli se non lo avessero sopportato. Non era uno stupido.
Anche Harlock lo aveva osservato attentamente. Era più basso di tutti loro, sembrava forte e molto atletico. Portava il taglio come si conveniva ad un militare vecchio stampo. Anche se da tempo erano state abolite le regole sulla lunghezza di barba e capelli, c’era ancora chi credeva fermamente che un buon soldato dovesse essere perfettamente rasato e con i capelli corti. Ma furono i suoi occhi che catturarono l’attenzione del Falco. Grigi, così chiari da sembrare quasi trasparenti, come due schegge di ghiaccio, riflettevano un’anima in parte fredda e calcolatrice. Capì subito che quel tenente era dotato di una determinazione ferrea. Harlock riusciva a leggere le persone al primo sguardo ed era molto raro che si sbagliasse. La sua sensazione però non fu del tutto negativa. Pensò che quel tipo avesse un approccio diverso dal suo, riguardo al modus operandi, ma che fosse uno di cui ci si potesse anche fidare, probabilmente fintanto che fossi stato nelle sue grazie.
Harock, per quel che concerneva le operazioni militari, era noto per essere molto riflessivo e pacato. Persino in battaglia, quando era costretto a prendere decisioni  estemporanee, faceva sempre una rapida valutazione dei pro e dei contro. Questo suo essere così accorto e meticoloso, senza farsi dominare dagli impulsi, lo metteva in condizione di vagliare e valutare sempre tutte le possibilità, trovandosi spesso in vantaggio sul nemico. Non lo sapeva ancora, ma con il tempo e l’esperienza, questa sua peculiarità si sarebbe ulteriormente affinata, diventando un suo tratto distintivo che in avvenire gli sarebbe stato di grandissimo aiuto. 

Sorrise e gli tese la mano: “Phantom Franklin Harlock Terzo, nome in codice Occhio di Falco, ero di stanza alla caserma Shandor, su Marte”.
Vipera gli restituì una stretta vigorosa “Immaginavo fossi tu. La tua fama ti precede. Disobbedire ad un ordine e farla franca e anzi ritrovarsi coinvolto in un progetto d’élite come questo, non è da tutti” disse calmo, con non curanza, ma Harlock capì che quella era una sottile provocazione.
Sorrise.
“Non mi pentirò mai di aver tratto in salvo un cargo stipato di profughi terrestri, in maggior parte donne e bambini” affermò calmo e deciso, senza staccare gli occhi da quelli di Vipera.
Era un duello di sguardi.
“Sì, capisco. Ma hai abbandonato la navetta a cui facevi d’appoggio, mentre infuriava una battaglia. Questo fa di te un compagno d’armi poco affidabile, Falco”.

“Ma tu non sai come sono andate realmente le cose. C’era la badante di riserva, ovvero io: Joseph Takeda, detto Joe, nome in codice Devasto, sempre pronto al suo servizio! Ho sbaragliato quei fottuti in neanche trenta minuti d’attacco. Sono sempre il migliore!” s’intromise il compagno di Harlock, facendo la riverenza a Vipera che malgrado tutto sorrise.

“Non faccio mai niente di avventato. Ho chiesto e ottenuto l’appoggio di Joe che mi ha sostituito mentre mi occupavo del cargo, per tua informazione anche il mio compagno era consenziente” concluse pacato ma secco Harlock, continuando a fissare serio gli occhi grigi di Vipera. Lo guardava come se volesse fargli capire che sapeva perfettamente ciò che stava cercando di fare. Non sarebbe mai caduto nel suo tranello, non era tipo da cedere facilmente alle provocazioni, non lo toccavano quasi mai.
“Allora ti chiedo scusa. Sei un eroe” rispose l’altro con un’impercettibile punta di sarcasmo che solo stando molto attenti si poteva cogliere, perché pareva sincero, ma era molto subdolo, proprio come il rettile che aveva scelto per il suo nome in codice.
“Gli eroi sono quelli mitologici. Io sono un uomo che fa solo quello che ritiene giusto” tagliò corto Harlock.

“Non ce la farai mai a farlo arrabbiare” intervenne il Freddo che fino ad allora era stato zitto ma aveva capito bene le dinamiche di Vipera. “A meno che tu non lo chiami Franklin, mister imperturbabilità difficilmente andrà in escandescenze. A parte forse sotto le lenzuola con qualche avvenente fanciulla, o dopo una sbronza. Ecco, nel caso abbia alzato il gomito scappa, perché è un gran picchiatore!” buttò lì per stemperare gli animi. Dovevano collaborare ed era meglio cominciare con il piede giusto, non con rivalità ed incomprensioni.
Poi si presentò anche lui: “Alfred Kook, nome in codice il Freddo, anch’io di stanza alla caserma Shandor su Marte”.

Harlock, che aveva guardato di sbieco il compagno, stava per controbattere, perché in realtà lui non era poi così beone e donnaiolo come credevano loro, ma furono interrotti da Lee che entrò nell’aula.

Si girarono tutti e quattro facendo il saluto d’ordinanza, sapevano che il sergente ci teneva anche se quelle pratiche erano obsolete ed in disuso.
“Comodi. Sedetevi pure. Spero siate pronti perché state per affrontare il primo test attitudinale.
Un questionario che sonderà le vostre conoscenze in merito a strumentazione di bordo e meccanica aereonavale” disse facendo  prendere a ciascuno di loro posto ad un banco. Quindi distribuì dei fogli e poi aggiunse: “Signori si comincia! Avete esattamente 45 minuti per rispondere a tutte le quattrocento cinquanta domande. Il vostro margine di errore è pari a tre ed affinché il test sia dichiarato valido e superato non dovrete oltrepassarlo.” dette un’occhiata all’orologio “Il test inizia… ora! Buona fortuna a tutti!” concluse e si sedette comodamente alla scrivania.



*

 

La prima nottata nella nuova caserma era stata tutto sommato tranquilla. Avevano cenato tutti insieme, alla mensa ufficiali, Tochiro compreso. Si erano scambiati opinioni e sensazioni. Soprattutto avevano ascoltato l’ingegnere aerospaziale, che a differenza  loro lavorava in un’altra sezione ed che era entusiasta per aver visto in parte realizzato il suo progetto. Era stato nominato supervisore e sapeva che sarebbe stato arruolato nella nave ammiraglia come ufficiale capo-ingegnere di tutta la mini flotta. Ogni modifica, riparazione e miglioria, apportata a ciascuna delle quattro navi, sarebbe dovuta passare sotto la sua supervisione ed avere la sua totale approvazione. Il suo era davvero un incarico di prestigio e molto importante.
Oyama, nome in codice Eta Beta
*2, così scherzosamente soprannominato per la sua enorme intelligenza creativa, fonte di idee geniali e strabilianti, era stimato e tenuto in grande considerazione dai vertici militari e da molti della Gaia Sanction.
A volte veniva ritenuto eccessivamente bizzarro, ma le sue invenzioni alla fine erano così potenti e convincenti, che lo avevano reso la punta di diamante del reparto ingegneria della Gaia Fleet. Il Plenipotenziario in persona ne aveva raccomandato caldamente l’impiego nell’operazione Space Cowboys. Tochiro era una mente troppo brillante e finemente acuta, andava usato per i loro scopi; averlo come nemico sarebbe stato un grosso problema, li avrebbe resi deboli poiché nessuno poteva competere con la sue capacità.

 

Il giorno seguente ebbero subito i risultati del test.
Tutti e quattro l’avevano brillantemente superato.

Lee era contento ed orgoglioso, non si era sbagliato, ma era ancora presto per cantare vittoria, c’era un duro addestramento da affrontare e superare, poteva accadere ancora di tutto.

Una volta avuti i risultati, seppero che avrebbero avuto il primo contatto con le navi. Niente di particolare: sarebbero andati a visitarle e a vedere come erano fatte, giusto per farsi un’idea di che cosa li aspettasse.
Furono caricati tutti e cinque, Tochiro compreso, su una camionetta vintage, reperto arcaico senza tettuccio, guidata da Lee in persona che s’incamminò su una strada secondaria.
Oceania Tredici era molto grande e godeva anche di aree isolate per mantenere una certa riservatezza. Ovviamente era opportunamente recintata e sorvegliata ma si tendeva sempre a far credere che fosse tutto molto blando, quando invece era l’esatto contrario.

Dopo poco arrivarono in un’area in cui facevano bella mostra di sé quattro enormi capannoni, che ad occhio e croce dovevano contenere ciascuno una nave.

Scesero in fretta e si avviarono a piedi verso gli hangar; l’entrata era dalla parte opposta rispetto a dove erano arrivati.
In realtà Lee voleva farli passare da una porta secondaria laterale perché di fronte, all’entrata, oltre la recinzione a protezione della base, era in corso una fastidiosa manifestazione di protesta che non erano riusciti a sedare in tempo, prima del loro arrivo.

Ad un certo punto però furono sorpassati da una pattuglia in tenuta antisommossa che avanzava con la tipica marcia da sfollamento e che inevitabilmente catturò l’attenzione di tutti; Harlock li seguì con lo sguardo incuriosito. Capì subito che tutta quella calma ostentata nella base era solo apparente.
Istintivamente ed incurante dei rimbrotti di Lee si staccò dal gruppetto e seguì la pattuglia. Voleva vedere e capire cosa stesse accadendo.
Si trovò subito dalla parte anteriore dei capannoni e vide oltre la rete di cinta un nutrito gruppo di persone che urlava e agitava fogli elettronici molto grandi, su cui scorreva la scritta digitale: Terra libera!
Cadenzavano slogan e facevano un gran baccano, erano determinati ma sicuramente pacifici, innocui e disarmati.

S’incuriosì e si avvicinò molto alla rete per vedere e capire meglio.

Notò subito una ragazza che organizzava i cori, era di spalle e agitava il braccio in alto dando il tempo, poi all’improvviso si girò e i loro occhi s’incontrarono.
Aveva i capelli lunghi, leggermente ondulati e ad ogni movimento che faceva, le danzavano morbidamente oltre la spalle, lunghi fino alla vita. Il colore era quasi uguale a quello del grano maturo. Una cascata di luce simile a seta, resa brillante dai riflessi del sole che le incorniciava il viso, i cui lineamenti erano leggermente irregolari, ma delicati. Spiccavano su tutto due grandi occhi blu, in cui suo malgrado annegò immediatamente non appena incrociarono i suoi.

Per qualche secondo fu come se il resto intorno a lui sparisse inghiottito in quei due spicchi di cielo. Assurdamente gli sembrò che qualcuno avesse abbassato l’audio e ogni rumore si fosse ovattato di colpo, sino a sparire e restare come isolato dal mondo. C’era solo quel blu intenso in cui annaspava, proprio come un naufrago che affoga nel mare. Gli si seccò la bocca e gli si accelerò inaspettatamente il battito cardiaco, mentre una goccia di sudore gli imperlò la fronte. Quegli occhi così belli, puri, ma anche così fieri e determinati lo avevano letteralmente inchiodato, paralizzandolo.
“Ehi tu? Non ti vergogni? Stai aderendo ad un progetto che sancirà la morte certa di questo pianeta! Sveglia la tua coscienza intontita, soldato! ” gli disse decisa e severa la ragazza, destandolo bruscamente da quell’idillio che l’aveva rapito. Di colpo il rumore e le urla tornarono a farsi sentire forti e chiare nelle sue orecchie, ma era ancora un po’ confuso.

Dato che era quasi a ridosso della rete, con un gesto rapido la ragazza gli passò un volantino, colpendolo con il palmo della mano sul petto, come se volesse appiccicarglielo alla divisa, come a volerlo scuotere e svegliarlo.

Aveva oltrepassato la rete metallica con il braccio, nonostante la sapesse elettrificata  poiché quella, se toccata produceva scariche elettriche, infatti nel ritirarlo la sfiorò: la scarica che la investì fu abbastanza forte, la fece sobbalzare e gemere dal dolore.

Il volantino sfuggì alla sua presa; pigramente svolazzò mosso dall’aria, danzando piano fino a terra. Harlock rimase sconcertato.
“Ti sei fatta male?” le chiese subito preoccupato, ma quegli occhi blu lo guardarono severi: lei non rispose e scappò via mescolandosi tra la folla dei manifestanti, probabilmente non voleva far capire ai sorveglianti chi avesse violato la rete.

Harlock rimase ancora lì, immobile, perplesso e molto confuso.
Che cosa era accaduto?
Non capiva, era parecchio turbato e non solo perché si era appena reso conto che in quella base non erano tutte rose e fiori, ma soprattutto per quegli occhi blu che lo avevano come trafitto, provocandogli un disagio e un’emozione a lui sconosciuti.
Si rese conto che per la prima volta in vita sua, in quello sguardo non era riuscito a leggere niente, ci si era solo inesorabilmente perso, non capendo più nulla.

 

 

 

 

Glossario:

1 LUMIA: Nome di caserma inventato, probabilmente facendo associazione di idee con nome di modello famosa marca cellulari xD.

2 ETA BETA: è un personaggio dei fumetti © Disney.


GRAZIE come sempre a tutti coloro che si sono fermati a leggere, a chi ha commentato e a chi ha messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite. Grazie davvero, siete fantastici  vi lovvo tanto :*

 

Questo Capitolo è dedicato a Sheep 01 e credo che  abbia capito perché nevvero? :D

 

Grazie alla mia super Azubeta (gamma, delta, sigma e viaaaaa)! Che te lo dico a fa’? ;)

 

Curiosità: E’ entrata in scena una bionda… who’s that girl? Lo scoprite tra non molto :P

 

Ed ecco a voi il resto degli Space Cowboys!  
  


Nel ruolo di DEVASTO: Joseph Gilgun

 

    Nel ruolo del FREDDO: Matt Smith

 

    Nel ruolo di VIPERA: Iwan Rheon

 

Sì, mi sono ispirata a questi tre giovani attori britannici di talento, se cliccate sui loro nomi potrete conoscerli meglio. Ho un debole per i ragazzi inglesi e soprattutto per gli attori inglesi, ‘cause britt guys do it better ;)
Il mio preferito, senza nulla togliere ad Iwan Rheon e Matt Smith è senza ombra di dubbio Joseph Gilgun, e se lo conosco bene, sarebbe proprio contento di poter interpretare uno sciroccato come Devasto! xD

 

GRAZIE mio (nostro) Capitano perché il sogno continua!!! ♥♥♥

 

 

––––•••·.·•••––––

 

Per oggi è tutto.
Buona notte, o Buon giorno a voi!
Passo e chiudo.
Che la pace sia sempre con voi! Alla prossima volta! =D

 

 

 

 

 

 

 

  
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