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Autore: HannibalLecter    22/09/2014    1 recensioni
Charlotte Addams, nonostante condivida il cognome con una delle famiglie più lugubri della tv, è un'allegra e sbadata maestra che ama i cartoni animati, i colori pastello e i cereali al miele per bambini.
Trovatasi senza un tetto sopra la testa si imbatte per caso in tre ragazzi alla disperata ricerca di un coinquilino.
Nathaniel, Maximilian e Jacob si ritroveranno così a dover fare i conti con l'incontenibile vitalità della ragazza, che spesso li trascinerà in vere e proprie follie.
Tra missioni impossibili, piante carnivore, gatti obesi, nuovi amori, gite all'Ikea e bagni nell'oceano riusciranno a convivere?
[Mi sono chiaramente ispirata alla serie Tv 'New Girl']
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Perché devi essere così maldestro?», chiesi stizzita mentre stringevo spasmodicamente tra le mani un antistress a forma di pinguino. Era un ottimo metodo per tenere le mani impegnate ed evitare di schiaffeggiare il mio adorato coinquilino.
Jacob guardò dispiaciuto il guaio che aveva combinato.
Avevo passato una domenica intera a ritagliare immagini e parole da riviste e quotidiani per creare un collage da mostrare ai bambini il giorno seguente. Cioè oggi. Peccato che ora l'unica cosa che avrei potuto mostrare ai miei poveri alunni era un foglio impregnato di latte e cornflakes mollicci. Più che un collage sembrava un quadro astrattista.
«Wow!», esclamò Nat facendo la sua teatrale entrata. Era coperto solo da un misero asciugamano verde legato in vita e in testa portava un voluminoso turbante. Era scalzo e ai suoi piedi si stava formando una miniatura del lago Michigan.
«Non mettertici anche tu, brutto grizzly vanesio!», abbaiai nella sua direzione.
«Doppio wow!», rincarò Max, giunto in quel momento avvolto dal piumino del suo letto, «Nat, mi dispiace ammetterlo ma avevi ragione».
Si scambiarono uno sguardo complice e scoppiarono a ridere.
Ridevano di me? Osavano prendersi gioco di me? Perché se la risposta era si allora le conseguenze sarebbero state nefaste. Già mi ero alzata con un orribile brufolo, che capeggiava in tutto il suo splendore al centro della mia fronte, manco fosse un bindi indiano. Poi avevo ricevuto un messaggio da parte della mia banca, nella quale mi avvisavano che quel mese avevo già sforato il budget mensile prefissato per evitare che, a causa della mia scarsa parsimonia, finissi in bancarotta prima dei trent'anni. Poi Jake aveva visto bene di scambiare la mia meravigliosa creazione in una tovaglietta per la colazione. E ora, beffa delle beffe, ero anche oggetto di scherno per un troglodita nudo e un troglodita freddoloso.
Respira Charlotte, Respira profondamente. Pensa a verdi colline, caprette con campanellini al collo che saltellano felici e a soffici nuvolette bianche. Incrociai le braccia, giusto per tenerle ferme ed evitare di schiaffeggiare qualcuno per sbaglio.
«Vado a vestirmi», borbottai a denti stretti, sorpassandoli e dirigendomi verso la mia stanza, dove avrei potuto calmarmi definitivamente o in alternativa spaccare una finestra immaginando fosse il bel visino di uno dei miei coinquilini.
Cinque minuti più tardi saltellai verso il soggiorno piazzandomi di fronte ai miei tre coinquilini, che mi fissavano come se fossi un alieno.
Avevo deciso che la rabbia era una cattiva alleata e che avrei combattuto cattivi umori e giornate no con il sorriso.
Avevo così indossato il mio vestito preferito, quello rosso a pois, che mi faceva assomigliare a Minnie e mi ero preparata psicologicamente ad una giornata di fuoco.
«Soffri di bipolarismo?», domandò Max guardandomi stupefatto.
Feci una piroetta e il vestito si gonfiò facendo la ruota.
«Assolutamente no!», risposi regalando loro un sorrisone a trentadue denti, «Il fatto che viva con tre macachi non deve compromettere il mio buonumore».
Lanciai loro un bacio volante e, dopo aver afferrato al volo la mia borsa di Mary Poppins, uscii dal loft.
Sarebbe stata una giornata molto lunga.
Dieci ore e sette tazze di camomilla più tardi mi trovavo sdraiata sul divano con la testa appoggiata su una torre di cuscini e i piedi sulle gambe di Max, intento a guardare una partita di football.
«Pensi mai che il mondo complotti contro di te?», chiesi passandomi stancamente una mano sulla fronte.
Ero fisicamente e mentalmente distrutta.
A scuola i bambini non avevano preso bene la notizia che l'ora di arte di sarebbe trasformata in un dettato di due pagine e avevano iniziato a ribellarsi, lanciando matite, litigando e continuando ad interrompermi.
Il mio brufolo da piccolo punto rosso si era trasformato in un cratere vulcanico pronto ad esplodere da un momento all'altro.
E il mio assistente finanziario si era dichiarato molto scontento della mia amministrazione e aveva proposto di abbassare il budget mensile in modo da alzare la somma destinata al mio fondo risparmi. Traduzione: niente weekend a Disneyland. Conseguenza: depressione curabile solo con indigestione di biscotti al cioccolato e overdose di cartoni Disney.
Max distolse lo sguardo dalla tv e lo fissò pensoso su di me: «Spesso. Tutti lo pensano quando sono nel mezzo di periodi neri, durante i quali ti senti una sorta di calamita attira sfiga. Poi passa, Charlie, te lo posso assicurare», mi rispose sorridendo lievemente.
Bé, se non passava mi sarei fatta anestetizzare fino a quando la nuvoletta di Fantozzi non sarebbe divenuta la migliore amica di qualcun altro.
Improvvisamente mi si mozzò il respiro e sentii un peso insopportabile gravarmi sul petto e sull'addome. Nat e Jake, come se fossi un cuscino decorativo, si erano accomodati su di me.
«Levatevi subito!», urlai arrabbiata con il poco fiato rimasto, «Brutti fichi d'india alzatevi!».
Iniziavo a pensare che l'anestesia non sarebbe servita perché sarei morta per soffocamento prima quando improvvisamente mi sentii leggera e finalmente libera di respirare a pieni polmoni.
Mi alzai di scatto e tirai uno scappellotto ad entrambi.
«Siete dei grandissimi babbani babbei! Voi...arghhhh!», strillai agitando le mani.
Non sapevo neanche come insultarli. 
«La nostra tesi è ulteriormente confermata», mormorò Max fissandomi curioso.
«Quale tesi?», domandai sospettosa.
Errore. 
Mai chiedere a quei tre gorilla cosa stanno tramando.
In due secondi ti trovi coinvolta in piani suicidi.
Loro ghignarono e si guardarono scuotendo la testa.
Sbuffando li lasciai al loro confabulare e andai a preparare la cena.
«Santissima madre di tutti i cereali al miele dammi la forza di non uccidere, tagliuzzare, sventrare, sezionare quei tre trichechi con cui condivido la casa!», esclamai respirando piano per cercare di mantenere il controllo.


 
No. No. No.
Dove erano finiti i miei amati cereali? Dove? D o v e? DOVE?!
Fissai la scatole vuota mentre mi appellava a tutto il mio autocontrollo per evitare di fare una strage di prima mattina.
Stringendo i denti feci colazione con latte e biscotti il più rapidamente possibile in modo da uscire di casa prima di incontrare uno dei tre ragazzi e compiere il primo omicidio della mia vita.
 
 
Infilai il dvd nel lettore e pigiai il tasto play, mentre mi spaparanzavo comoda sul divano.
Il martedì era uno dei pochi giorni nei quali riuscivo ad avere il monopolio del telecomando e così ne approfittavo per guardarmi uno dei miei adorati dvd di cartoni animati. 
Quel giorno avevo deciso di andare sul classico e stavo per piangere per l'ennesima volta sulle disavventure di Rapunzel e Eugene.
Appoggiai il capo sul mio cuscino preferito, quello verde di velluto morbido, e aspettai che sullo schermo comparisse il famoso castello su sfondo azzurro della Disney.
«Aahhhh, Dio si, continua così»
Balzai in piedi cercando disperatamente di fermare quello che sembrava tutto tranne un cartone per bambini. Pigiai stop e aprii stizzita e rossa di rabbia lo sportellino del lettore dvd. 
Magicamente il mio disco era stato sostituito con un filmino porno, che io avrei volentieri fatto a meno di vedere.
Concentrato Charlotte, immagina di essere in un castello di pasta di zucchero, sdraiata su un sofà di panna montata con cuscini di zucchero filato. Riposi il cd nelle custodia lottando contro l'istinto di spezzettarlo o di lanciarlo fuori dalla finestra.
 
 
«Somewhere over the rainbow...», canticchiai a mezza voce mentre l'acqua calda mi bagnava il corpo, trasmettendomi una scarica di benessere.
Allungai il braccio verso il portaoggetti appeso alla parete piastrellata per prendere il mio shampoo all'albicocca.
La mia mano afferrò il vuoto e così fui costretta ad interrompere il mio canto e ad aprire gli occhi.
Sparito. Il flacone arancio che da sempre faceva bella mostra di sé nel piccolo ripiano pensile era scomparso. Mi guardai attorno, perlustrando attentamente il perimetro della doccia. 
Mancavano all'appello tutti i miei prodotti, non solo lo shampoo, ma anche il mio bagnoschiuma al cioccolato e la mia maschera per capelli al caramello.
Con i capelli bagnati e il corpo gocciolante non avevo molta scelta e così, dopo aver sferrato un pugno alle piastrelle azzurre del bagno – procurandomi senza dubbio un signor ematoma- mi insaponai i capelli con il primo shampoo che mi capitò sottomano.
Un odore di bosco si sparse per tutta la doccia e insospettita afferrai il barattolo di shampoo e lessi: Vuoi essere un vero uomo? Allora lavati con YOMO, l’unico shampoo al pino che non ti farà puzzare di calzino!
Puzzare di calzino? Io non puzzavo di calzino! Con o senza questo apparentemente magico YOMO io profumavo sempre. E no, non me lo dico da sola! Molte persone nel corso della mia esistenza hanno osservato il fatto che io sia una specie di Arbre Magique umano. David sosteneva che fossi una sorta di deodorante per ambienti umano e stava sempre ad annusarmi il collo e i capelli, manco fosse un cane da tartufo.
Mi sciacquai e mi avvolsi nel mio morbido accappatoio decorato con tante piccole e graziose mucche viola. Aprii l’anta dell’armadietto accanto allo specchio, zona off-limits riservata esclusivamente a me, e mi misi alla ricerca della mia crema idratante allo zenzero. Nulla. Stanca di tutte quelle misteriose sparizioni decisi di vendicarmi e, dopo aver controllato che in corridoio non ci fosse nessuno, feci scivolare in tasca la preziosissima maschera al sale del Mar Morto per visi delicati di Nat.
Volevano sfidarmi? Volevano vedere fino a che punto avrei sopportato quei soprusi? E allora avrei giocato anche io, perché non era giusto che a divertirsi fossero sempre gli altri.
Mi vestii rapidamente e, dopo essermi accertata che i tre fossero intenti in altre faccende in soggiorno, mi infilai di soppiatto nella stanza di Max.
La cosa a cui Max teneva di più al mondo era una mazza da baseball tutta consunta, regalatagli da non so quale giocatore quando era ancora un adolescente brufoloso.
Lui amava quella mazza e ci dormiva addirittura assieme, sostenendo che per lui era una sorta di coperta di Linus.
Strisciai sotto il letto e, cercando di non emettere versi schifati, mi feci strada tra quella specie di museo degli orrori.
Pacchetti di pringles abbandonati, calzini puzzolenti e in decomposizione, vecchi cd, un cactus, un sacchetto di semi di zucca, tre riviste di conigliette sexy, un fischietto e poi, in un mare di briciole e pelucchi di polvere, eccola: la famosa mazza.
Evidentemente temeva che qualcuno potesse rubargliela e così ogni mattina la nascondeva al sicuro nella sua discarica personale. Chi mai volesse rubare quel pezzo di legno mangiucchiato e scrostato solo Max lo sapeva.
Quatta quatta uscii dalla sua camera e con uno scatto felino feci ritorno nella mia stanza, dove misi al sicuro il mio bottino insieme alla miracolosa crema da mille verdoni di Nat.
Ultima vittima: il caro Jacob.
Per mettere a segno quel colpo avrei dovuto attendere che tutti lasciassero liberi la cucina e il soggiorno.
La vendetta è un piatto che va servito freddo e così pazientai in attesa del momento perfetto per agire.
Aiutai ad apparecchiare il tavolo, tagliuzzai pomodori e carote e cenai tranquilla, aspettando che l’occasione arrivasse.
E lei non si fece attendere.
Verso le undici Nat mi diede la buonanotte e si chiuse in camera, lasciandomi così regina incontrastata di cucina e salotto. Cercando di non far cigolare lo sportello del congelatore, prelevai dal freezer la teglia di lasagne formato famiglia composta da quindici membri, preparata con tanto ammmore dalla mamma di Jake per il suo cucciolotto adorato. Corsi, in pigiama e con una teglia gelata in mano, verso la mia auto e partii a tutto gas in direzione della casa di Kim.
«Ho capito: è meglio se non faccio domande», mi accolse la mia amica, dopo avermi la porta d’ingresso e avermi squadrato perplessa.
Nascosi sotto il suo letto la mazza e il barattolo di crema e misi al sicuro nel suo freezer la teglia colma di succulente e deliziose lasagne.
La ringraziai e dopo aver scambiato due chiacchiere veloce tornai velocemente a casa, dove il mio lettuccio caldo mi attendeva invitante.
Ora non restava che aspettare.
 
«Dov’è? Dove cazzo è la mia crema? Io senza di lei non posso vivere e diventerei tutto rugoso in meno di due secondi. La mia pelle sarà destinata a lasciarsi andare e a formare delle antiestetiche borse e pieghe attorno ad occhi e bocca. Non posso permetterlo!», un urlo squarciò la calma notturna e mi strappò dal mio dolce sonno.
Sorrisi malefica e infilai la testa sotto il cuscino per riprendere a dormire come se nulla fosse accaduto.
«Chi ha rubato la mia amatissima mazza? Chi cazzo ha osato tanto? Se solo scopro chi è stato io gli cavo il cervello dal naso come facevano gli antichi egizi e poi lo mummifico a suon di pugni. Maledetti tutti! Io non posso dormire senza Ernestina, la mia compagna di letto», mugolò una voce, che mi costrinse a riaprire gli occhi per la seconda volta nella stessa notte.
Mi sentivo molto soddisfatta e gongolavo in modo quasi sadico di fronte alle loro reazioni.
Evidentemente quella notte ero destinata a passarla in bianco perché, quando stavo per riappisolarmi, un nuovo strillo isterico riempì l’aria, mettendo fine alla mia possibilità di condurre sonni tranquilli.
«NOOOO! No! No, no, no. Dove siete lasagnette mie? Perché qualcuno mi vuole così male da privarmi della mia unica ragione di vita? Che bruci all’inferno quell’essere spregevole mentre delle aquile gli mangino il fegato e degli avvoltoi si scaglino contro i suoi bulbi oculari! Cazzo no!», uggiolò Jake sofferente.
Speravo vivamente che non mi succedesse nulla di tutto ciò che mi avevano augurato altrimenti la mia vita sarebbe presto finita tra atroci sofferenze.
La porta della mia camera si spalancò e io emersi timorosa dal mio soffice cuscino.
«Avete finito di inscenare una sorta di spettacolo circense in piena notte?», chiesi scocciata fissando i loro volti.
Mi guardavano con un sorrisetto maligno stampato in volto.
«Quasi», mormorò Max.
E poi accadde tutto in un attimo. Senza preavviso saltarono sul letto, strapparono le coperte a cui mi ero aggrappata e mi sollevarono di peso.
Nel giro di due secondi mi ritrovai scaraventata quasi di peso sullo zerbino di casa.
Quei bruttissimi figli di Barbamamma mi aveva chiuso fuori di casa!
Ok, Charlotte, come sempre, adottiamo il piano anti-ira: caprette, zucchero filato e unicorni, ok? No, ok un corno. La verità era che ero stufa di trattenermi sempre, di cercare di contenere le mie emozioni e le mie reazioni.
Dentro di me qualcosa scattò e mi ritrovai intenta a riempire di pugni la porta d’ingresso chiusa davanti a me.
«Brutte teste di barbabietola che non siete altro! Io vi trasformo in un pudding natalizio e poi vi mangio a colazione! Si può sapere che cavoloi di problemi avete? Da piccoli siete caduti dal seggiolone? Dal balcone? Avete visto vostra nonna nuda in bagno alla tenera età di tre anni e da allora il vostro unico neurone si è congelato? Sapete che vi dico? Va...a trotterellare con i trentatré trentini!», urlai con tutto il fiato che avevo.
Non mi persi d’animo; a forza di urlare e picchiare sarebbero stati costretti ad aprirmi per evitare una denuncia per schiamazzi notturni. Anche se a dire la verità ero io quella che stava schiamazzando e non loro.
«Aprite subito questa porta! Nat, hai presente la tua meravigliosa maschera idratante che vale quanto il mio intero guardaroba? Ecco, se non apri questa porta immediatamente la uso sul cane di Kim, vedrai dopo che pelo morbido e lucido avrà», feci una pausa e in risposta alla mia minaccia sentii lo strillo disperato di Nat, che però non aprì la porta.
«Max, la tua mazza, regalo di Colui-che-non-deve-essere-nominato, la userò per accendere il fuoco durante una gelida notte invernale e Jake, le tue lasagne le mangerò presto da Kim, insieme a tutti i nostri amici, esclusi voi. Pensateci, potete vivere sapendo che la vostra adorata mazza è servita solo a riscaldare una stanza per qualche ora e che una maxi teglia di lasagne, fatte dalla tua amata mammina Jake, sarà stata sbaffata da perfetti sconosciuti? Se la risposta è no allora aprite questa cazzo di porta!», conclusi con una nota isterica nella voce.
«L’ha detto!», esclamò Nat.
«Ha proprio detto cazzo», osservò trionfante Max.
La porta si spalancò e Jake mi abbracciò sussurrando commosso: «La tua prima parolaccia».
Mi scostai allucinata.
«Voi avete fatto tutto questo solo per farmi fare una scenata e farmi pronunciare una parolaccia?», domandai esterrefatta.
Loro annuirono venendomi incontro sul pianerottolo e sorridendomi soddisfatti.
«Sapete che vi dico?», chiesi aggirandoli e superando la soglia dell’ingresso, «Vaffanculo!».
E li chiusi fuori di casa.
 
 
 


 
Lo so, lo so. Questo capitolo è assolutamente assurdo e senza senso ma è uscito così e ne ero più o meno soddisfatta. Questa storia deve essere leggera, scherzosa e un po’ scema. Io le storie serie non le so scrivere quindi mi diletto descrivendo episodi che sfiorano il nonsense.
Voi cosa ne pensate?
Ah, prima o poi arriverà anche qualche storiella d’amore ;)
Bacioni,
S.
  
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