Buongiorno a tutti!
Prima di tutto, chiedo
scusa per l’attesa che vi sto facendo penare, ma all’ispirazione non si comanda
così come alle duemila cose che ogni universitario deve fare prima dell’inizio
del nuovo anno.
Per me, il terzo.
Anno difficile.
Ringrazio tutti coloro che
hanno letto e recensito, in particolare coloro che hanno iniziato a seguirmi
ora, recuperandosi anche tutta No Good Deed.
Vostra è la gloria.
Ok, le acquee si smuovono
molto, molto male da qui in poi ma non vi anticipo nulla!
Come sempre, una recensioncina è gradita!
A presto.
Jessika.
Amor onni cosa vince
Parte
prima:
Raro cade, chi ben cammina.
Capitolo
Quarto:
Il sottile margine tra amore e odio.
*
‘Cause you are the piece
of me
I wish I didn't need
Chasing relentlessly
Still fight and I don't
know why
(https://www.youtube.com/watch?v=OO0nSm8yUp4&list=UUWrtsravWX0ANhHiJXNlyXw
)
28
Marzo 1478, Firenze
Visita
ufficiale del legato papale, Girolamo Riario.
Il ticchettio delle gocce
sulle vetrate fungeva da lenta litania, per il piccolo Alessandro.
Addormentato sulla spalla
della madre, pareva il bambino più buono di tutta la corte.
Clarice sorrise, unendo le
mani in grembo e smettendo di ricamare.
“Quel bambino è una
benedizione, ormai siete qui da qualche giorno e non mi pare d’averlo mai udito
piangere.”
La contessa non riuscì a
trattenere un sorrisetto compiaciuto, mentre sistemava la copertina sulla
schiena dell’infante “Non piange quasi mai. Non si lamenta, ne fa capricci.
Sono stata baciata dalla fortuna, lo dicono tutti.”
Come chiamato in causa, il
piccolo alzò la testolina, prima di riappoggiarla fiaccamente contro il collo
di Beatrice, senza nemmeno sforzarsi di aprire gli occhi.
Maria, la più grande delle
figlie di Lorenzo, alzò gli occhi dal disegno che stava ricamando sul tessuto
morbido del fazzoletto, guardando la zia “Alessandro diventerà conte, un
giorno?”
“Sì, Maria.” Rispose
Beatrice, mentre anche Maddalena e Luisa prestavano attenzione al giovane
cuginetto “Prenderà il posto di suo padre, quando verrà il momento.”
“Anche al servizio del
Papa?” chiese ingenuamente la più piccola, mentre le due donne si scambiavano
uno sguardo ironicamente allarmato.
“Spero che Sisto tiri le
cuoia molto prima, piccola.” Rispose Clarice per la cognata, appoggiando una
mano sulla testolina di Maddalena.
La sua omonima, Madonna
de’Pazzi, storse il naso a quell’insinuazione “Dovrebbe essere eresia, parlar
male del Santo Padre.”
Camilla, alla sua destra,
alzò lo sguardo al cielo, pronta a tirar giù tutti i santi tant’era
indispettita “Per voi è tutto eresia, Maddalena.”
“Avreste dovuto sposarlo
voi, il conte Riario.” Rilanciò con una punta di cattiveria Beatrice, guardando
suo figlio dormirle in collo “Se mai vi sposerete, un giorno, spero prendiate
un clerico con voi; sapete se no quanto dovrà pregare
quel pover uomo per farvi aprire le….
Grazie?”
La contessa si trattenne
davanti alle nipoti, mentre le altre tre donne esplodevano in una risata
divertita.
A salvare la situazione,
ci pensò Monna Agnese “Dovreste portare a letto quella povera creatura.” Disse
risoluta, appoggiando le mani sui fianchi.
Beatrice non poté far
altro che alzarsi, con un lieve cenno del capo come se a comandare fosse
proprio la balia “Vado, vado!” disse ridendo, quando Agnese quasi la spinse
fuori dalla stanza in cui tutte le donne si erano riunite a ricamare.
Beatrice percorse pochi
metri, scendendo di qualche gradino la scalinata dell’ultimo piano, quando si
trovò di fronte Leonardo da Vinci.
“I miei ossequi, madonna”
le disse l’artista, facendo un piccolo inchino, prima di prestare attenzione al
neonato “Vostro figlio, suppongo.”
“Già, il divin pargolo.” Ironizzò la contessa, facendo sorride
Leonardo “Vi prego maestro, accompagnatevi. Vi troverò qualcosa con cui
asciugarvi.”
Leonardo grondava di
acqua.
Senza replicare, l’uomo
eseguì quel semplice ordine, stupendosi quando si ritrovò a entrare negli
alloggi privati della contessa.
Lei appoggiò il piccolo
nella culla posta davanti al letto, prima di invitare Leonardo nel salottino
adiacente.
Gli porse un piccolo
straccio, con cui asciugare i capelli dalla pioggia battente, prima di sedersi
di fronte a lui “Anelavo l’incontrarvi dal mio arrivo.” Disse, incrociando le
mani sul ginocchio, laddove la veste creava una leggera increspatura color
bottiglia “Cosa vi porta a corte?”
Leonardo appoggiò lo
straccio sul tavolino fra loro “Devo ritrarre madonna Donati e far qualche
commissione per vostro fratello,Lorenzo.” Rispose senza perdersi nei dettagli,
ma cogliendo l’espressione poco divertita della giovane “Qualcosa non va?”
“Posso farvi una
confidenza?”
“Sempre, contessa.”
La ragazza si sporse in
avanti, sussurrando piano “Non ho mai potuto vedere madonna Donati.” Disse con
franchezza, facendo sollevare entrambe le sopracciglia di Leonardo “Quella è
una donna che ha qualcosa di oscuro. Glielo si legge in viso.”
“Cosa vi fa dire ciò, mia
signora?”
“Chi apre le sue gambe per
potere non può esser ritenuto esattamente etico, non credete, maestro?”
Quella frase parve
spiazzarlo “Come fate a dire che il potere sia il fine di madonna Donati?”
Beatrice riserbò
all’artista uno sguardo ovvio “Lorenzo è la massima carica cittadina e lei gli
ronza attorno dall’età di quattordici anni, quando Lorenzo passava le giornate
a decantare la sua bellezza nei poemetti che componeva in alternanza per lei e
per la sua vecchia fiamma, Ippolita Sforza. Poi
Lucrezia è sbocciata e Lorenzo ha riposto la penna in favore di altro.
Credetemi Leonardo; noi donne sappiamo ben riconoscere le nostre attitudini”
Leonardo sorrise divertito
per una frazione di secondo, facendosi poi cupo di improvviso.
Il lamentarsi di
Alessandro li distrasse.
Beatrice andò a
riprenderlo, portandolo poi con sé nel salottino e appogginadoselo
sul petto.
Leonardo ci mise due
secondi a prendere il suo quadernino, iniziando poi a
scarabocchiare freneticamente su di esso.
Beatrice sorrise, l’era
mancata quella fulminea ispirazione, per quanto poco avesse frequentato
l’artista prima e dopo il suo matrimonio.
“Ho saputo che vostro
marito sta per venire in visita.” Disse l’artista, staccando gli occhi dalla
carta solo per concentrarsi su alcuni dettagli del viso della ragazza o del
bambino che stava via a via riprendendo sonno fra le braccia calde della madre.
“Arriverà domani,
suppongo.” Lo informò Beatrice, accarezzando piano la schiena del pargolo, per
poi voltarsi col capo verso l’altro “Maestro, posso chiedervi una cosa, voi che
vivete fra il popolo?”
Leonardo annuì
“Certamente, madonna. Chiedete.”
Beatrice aveva sentito
dell’esecuzione di un ebreo e aveva sentito lo stomaco chiudersi per un
istante. Non sapeva nemmeno lei il motivo, ma in cuor suo sentiva che la cosa
andava indagata.
“L’uomo che è stato
giustiziato ieri…. Ne sapete qualcosa?”
La punta del carboncino di
Leonardo si spezzò sul foglio, lasciando l’uomo di stucco.
Per qualche secondo rimase
immobile, prima di prendere un’altra matita e riprendere a disegnare con non
curanza, lasciando in sospeso Beatrice ancora un poco.
“No, mia signora. So solo
che era ebreo e che l’avevano accusato di aver rubato qualcosa.”
“Capisco….”
Il resto dell’intera ora
che Leonardo trascorse con Beatrice fu piuttosto silenzioso, ma non vi era
tensione fra i due.
Tutt’altro; Beatrice
avvertiva una strana armonia provenire dall’artista, che alla fine le presentò
un bellissimo ritratto, seppur su un
piccolo e giallo foglio di diario.
“Vorrei dirvi che questo
schizzo diventerà un ritratto, ma siete stata fortunata e avete già avuto
qualcosa di mio. E terminato!”
Beatrice sorrise, grata
per quel dono “Mi basta questo, maestro. Abbiate una buona giornata.”
“Anche voi.”
Si sorrisero, poi Leonardo
lasciò la stanza, andando verso la piccola saletta dove Lucrezia lo stava già
aspettando.
Sorprendentemente, trovò
difficile ritrarla, quel giorno.
Disse che la trovava
diversa, cambiata, ma la realtà era che in quell’istante gli sarebbe piaciuto
ritrarre un altro volto, per la seconda volta nell’arco di poche ore…
Potevano passare mesi,
anni o solo un ventaglio di ore sparse, ma Raffaele Riario Sansoni non sarebbe
mai cambiato.
Che la toga da lui portata
fosse nera, viola o di un potente rosso carminio, il suo entusiasmo era
irrefrenabile e il suo chiacchiericcio irreprensibile.
Sin dal momento in cui
aveva messo piede a palazzo de Medici su invito della contessa Beatrice, s’era
fatto riconoscere come sua consuetudine, recando alla signoria ospite pregiati
doni da Roma.
“Mi manca Pisa, cedere la
diocesi al mio successore non sarà
facile.” Disse alla cugina, quando si sedettero insieme su una pelle di orso,
di fronte al caminetto acceso.
Beatrice era così felice
di poterlo avere tutto per sé per qualche ora che non fece altro se non
ascoltare tutte le incombenze che aveva ora che l’avevan
fatto cardinale, osservandolo mentre passava di tanto in tanto la mano sul pelo
argentato di Mae.
Girolamo diceva sempre che
il solo fatto che il giovane cugino non provasse alcun terrore ne disprezzo per
quella fiera, fosse l’evidente risultato di una condotta morale impeccabile e –
a detta sua- incredibilmente noiosa.
Che Raffaele fosse di
natura eccezionalmente buona era palese agli occhi di Beatrice, che ancora si
chiedeva perché portasse il cognome dei Riario quando non aveva nulla a che
spartire con esso.
Rimasero tutto il
pomeriggio insieme, accompagnati dal suono dolce di una cetra in lontananza,
con un piatto pieno d’uva e lamponi a tener loro compagnia.
Fu solo quando ormai il
sole iniziava a calare serafino oltre i tetti delle case, che Lorenzo
interruppe quella pace che s’era venuta a creare fra le mura della sua dimora.
“Beatrice!”
La ragazza sobbalzò,
sentendo il cuore in gola, quando l’udì urlare con tanta foga il suo nome.
Sembrava irato, come quando lei e Giuliano ne combinavano una delle loro e lo
veniva a sapere.
“Che hai fatto, cugina?”
chiese spaventato Raffaele mentre l’aiutava ad alzarsi, udendo nuovamente il
maggiore della casata chiamarla.
“Non credo di aver fatto
nulla, in vero.” Si difese la ragazza, mentre usciva dalla stanza preceduta
dalla lupa, con le sottane sollevate al fine di far prima.
Insieme a Raffaele,
s’affacciarono dalle scale, scorgendo Lorenzo nell’atrio che stava parlando
frenetico a Giuliano.
“Lorenzo, sono qui!”
richiamò la sua attenzione la sorella, appoggiandosi con la mano alla ringhiera
mentre iniziava a scendere gradino dopo gradino, verso quella che sarebbe
arrivata come una sentenza.
“Eccoti, finalmente! Devi
rispondere del comportamento di tuo marito e bada bene; non crederò che non ne
sai nulla.”
Come conferma che stava
sbagliando, sia la contessa che il cardinale lo guardarono straniti, quasi come
se si fosse ammattito del tutto.
Forse era così.
“Che cosa ha fatto
Girolamo?” domandò quindi Beatrice.
Giuliano sbuffò una risata
amata “Vi avevo detto, Lorenzo, che lei non poteva esserne al corrente!”
“Di cosa??” chiese quindi
la ragazza, sempre più agitata “Cosa è successo, di grazia?”
Ritrovato un poco di
contegno, Lorenzo sospirò “Il conte Riario ha fatto esplodere la bottega di da
Vinci, letteralmente.” Spiegò, sfilandosi i guanti neri “Fonti certe attestando
che è accampato fuori dalle mura romane, alle antiche rovine, da ieri notte.
Ieri notte, Beatrice! Cosa diavolo aspetta a presentarsi a corte?? Lui ha
richiesto udienza e ora che cosa crede di fare? Giocare con noi??”
La contessa scosse il
capo, amareggiata.
Doveva saperlo che
Girolamo aveva qualcosa in mente
Lui aveva sempre qualcosa
in mente.
“Ci penserò io.” Disse
semplicemente, facendo segno a Raffaele di seguirla verso i suoi alloggi.
Avrebbe fatto luce su
quella faccenda subito, a costo di invitare Girolamo a tornare a Roma
immediatamente.
Era già sceso il buio
quando finalmente Beatrice riuscì a lasciare il palazzo con la sola compagnia
di Raffaele e Mae.
S’era dovuta battere
contro le sue dame, la balia e Olivieri al fine di avere quella concessione,
quasi come se la sua incolumità fosse in pericolo.
Erano a Firenze, non a
Roma.
Sapeva girar quella città
meglio di chiunque altro nel palazzo e non si sarebbe avventurata troppo
lontana dalle mura.
Senza contare che il solo
pericolo in cui poteva incappare erano proprio gli uomini di suo marito, sicché
il problema non sussisteva.
Arrivarono
all’accampamento delle guardie svizzere e Beatrice sentì le viscere contrarsi.
“Si sono davvero accampati
bene.” Decretò acidamente, mentre Raffaele sospirava.
Entrambi, però, vennero
distratti da qualcos’altro.
Una figura, nascosta da un
ampio cappuccio marrone, sfrecciò accanto a loro su di un cavallo bianco,
tenendo con la mano guantata il mantello stretto in
modo da non poter essere riconosciuta.
Tutti e due frenarono i
cavalli, voltandosi a guardarla sparire via, verso la città.
“Quello chi era?” domandò
scettico Raffaele, voltandosi verso la cugina.
“M’è quasi parso fosse una
donna…” sussurrò con tono basso in risposta, prima di
udire il marito chiamarla.
“Eccolo lì, Girolamo
Riario in tutta la sua gloria!” lo beffeggiò, portando il cavallo al passo
mentre si faceva più vicina.
Scese, mentre una guardia
prendeva le briglie della sua giumenta, fischiando per richiamare a sé Mae che già ringhiava verso l’uomo.
Lui non si lasciò
intimidire né dalla lupa né dall’arroganza della moglie “Perché siete qui?”
domandò sia a lei che al cugino, che aveva indugiato prima di lasciare la sua
cavalcatura.
“Perché tu sei qui.”
Rilanciò lei, calcando molto quell’ultima parola, mentre si guardava attorno
“Non dirmi che sei arrivato in anticipo e non volevi sfigurare, perché potrei
riderti in faccia. Far esplodere una bottega d’arte di fa già sfigurare
abbastanza.”
“Non ho interesse in ciò
che tuo fratello pensa di me” rispose senza fretta l’uomo, invitando il
congiunto e la moglie a entrare nella sua tenda.
A far loro compagnia, ci
pensò Lupo Mercuri che entrò per ultimo.
Beatrice andò a sedersi
alla tavolata imbandita, buttando su di essa i guanti da cavalcatura “E di far
vergognare me? Ti interessa?” chiese sempre più sfrontata, fronteggiandolo.
Lui, per risposta, portò
le mani sul suo capo, chinandolo per poterle baciare la fronte.
Beatrice non cedette,
inizialmente, permettendogli di guardarla direttamente negli occhi.
Se fossero stati soli,
l’avrebbe senza dubbio corrotta con un bacio, ma con un pubblico non si sarebbe
mai spinto a tanto.
“M’interessa cosa tu pensi
di me.” La corresse sottile, portando una ciocca di capelli corvini oltre la
spalla di Beatrice “Ti sei sentita oltraggiata?”
“Sei qui da ieri notte e non me l’hai fatto sapere. Dimmi tu come dovrei
sentirmi. Poi perché Leonardo da Vinci? Cosa vuoi da lui? Che diamine combini?”
Girolamo le diede le
spalle, andando a versare un paio di calici di vino e offrendoli a Raffaele e
Mercuri, che s’erano messi a parlottare fra loro dall’altra parte della tenda
Ne prese altri due,
tornando dalla moglie che si stava torturando l’unghia del pollice con i denti,
pretendendo risposte.
“Ero curioso di conoscere
l’artista che tanto decanti.” Fu la risposta per niente credibile del conte
“Peccato che lui non fosse…. Esattamente amichevole
nei confronti di coloro che vanno a trovarlo in bottega.”
“Vorrai dire che si
intrufolano furtivi? Ti ho visto uccidere per molto, molto meno.”
Giorno dopo giorno,
diventava sempre più difficile per Riario risponderle a tono senza calcare la
mano. Cosa che non faceva per tedio, più che per paura o per rispetto.
Sospirò, alzando il calice
in un sarcastico brindisi, prima di prendere un sorso, imitato dalla moglie
“Perché dovrebbe interessarmi tanto da Vinci? Se credi che io mi sia
intrufolato, dammi una risposta.”
Beatrice rise “Questi
giochini mi hanno sempre annoiata, Girolamo. Sei tu che devi dirlo a me.”
“Non so nulla di questo
Leonardo da Vinci, volevo semplicemente costatare se fosse talentuoso come tu
dici.”
Non avrebbe cavato un
ragno dal buco, ormai la contessa lo aveva capito.
Finì il vino in un sorso
esasperato, prima di restituire il calice dorato al marito.
“Vieni con me a Firenze,
ora.” Gli disse, ammorbidendo il tono e accarezzandogli piano la giubba “Sono
stanca di litigare, stanca di questi stupidi sotterfugi; entra in città e
smettila con i segreti.”
Il conte si sporse,
lasciandole un tenue bacio sulle labbra, prima di tornare al tavolo. Si
appoggiò a esso con entrambe le mani, pensieroso “Entrerò a Firenze, come tu
desideri, stasera.” Disse con tono chiaro, sorprendendo le tre persone nella
stanza “Ma ti chiedo di precedermi. I miei uomini devono tirar su le poche cose
che hanno portato con loro ed io necessito di un minuto prima di metter piede
nella casa del Magnifico.”
Colpita per l’averlo
convinto così in fretta, Beatrice gli si avvicinò, portando le mani alle sue
spalle e massaggiandole “Così sia. Farò preparare tutto per il tuo arrivo.
Prima però, voglio che tu prenda questo, così che possa aiutarti a rimembrare a
chi devi davvero la tua lealtà.”
Il conte si voltò verso di
lei, mentre la giovine gli porgeva un pezzo di carta ingiallita, arrotolato su
se stesso.
Sulla pagina di un quadernino, un perfetto ritratto di sua moglie e di suo
figlio faceva bella mostra di sé.
“Notevole.” Ammise con
tono carezzevole, prima di sistemarlo ripiegato con cura dentro al panciotto.
“Quello è di Leonardo da
Vinci, per intendersi.” Lo sorprese la giovane moglie, prima di recuperare i
guanti e uscire dalla tenda, seguita da Raffaele. Appena Mae
la vide guaì, alzandosi in piedi dalla sua posizione, stesa sotto alla cavalla
grigia della contessa.
“Che ti ha detto?” domandò
Raffaele mentre salivano sui cavalli.
Lei sospirò, guardandolo
amareggiata “Nasconde qualcosa di grosso, per ora so dirti solo questo.”
Il cardinale annuì grave,
prima di spronare il suo cavallo verso la città fiorentina.
Beatrice gettò uno sguardo
dietro di sé, alla tenda del marito, prima di seguire il cugino verso le
campagne e le mura.
Le sue parole, gettate al
vento come sempre, non avrebbero fermato Girolamo da qualsiasi obiettivo
avesse, ma sperava in cuor suo che l’aver in mente il figlio l’avrebbe quanto
meno portato a ponderare sulle scelte che aveva.
Girolamo era arrivato a
corte come da promessa e si era presentato innanzi al fratello e all’intera
famiglia de’Medici, ringraziando per la gentile ospitalità come se nessuno in
quella stanza sapesse cosa aveva fatto in città quello stesso giorno.
Clarice lo aveva accolto
con tutte le grazie del caso, prima di vederlo seguire il marito per un
colloquio privato.
Era stato a quel punto,
quando i due si erano incamminati, che Beatrice aveva passato il figlio a
Clarice e aveva afferrato la mano di Giuliano, iniziando a correre per i
corridoio come quando erano bambini.
“Voglio sentire cos’hanno
da dirsi.” Ammise la giovane, mentre giravano l’angolo e imboccavano una ripida
rampa di scale.
“Sei certa che vuoi
venirne a conoscenza?” chiese Giuliano cauto, ma anche lui infondo voleva
sentire quel colloqui privato.
Arrivarono al corridoio
designato che lei ancora doveva decidere se davvero voleva o meno udire le
parole del marito e del fratello. Si acquattarono contro un angolo, riuscendo
anche a spirare le immagini degli uomini nel riflesso di una vetrata.
“Da Vinci è un semplice
dilettante. Un imbonitore, niente di più.” Stava dicendo Lorenzo in quel
frangente, facendo capire alla contessa di cosa stessero parlando.
Dell’incidente.
“Davvero?” la voce
melliflua del marito arrivò molto tenue alle sue orecchie, tanto che Beatrice
si trovò costretta a sporgere appena il capo per udirlo a dovere “Eppure mi
hanno detto gli che gli avete anticipato la somma di cinquanta fiorini…. Una bella remunerazione, per un semplice dilettante…”
Beatrice si voltò di
scatto verso Giuliano, che sembrava raggelato da quell’ultima frase del conte.
“Cinquanta fiorini? Per
cosa?” sibilò la ragazza, ma ci pensò il marito a rispondere al posto del
fratello.
“Roma riesce a sentire
ogni bisbiglio, Lorenzo. Persino i più bizzarri che riguardano artigiani capaci
di costruire macchine da guerra.” Più parlava, meno Beatrice credeva alle sue
orecchie. Guerra? Lorenzo? No, doveva essere un gigantesco errore. Senza
contare che il discorso pareva lontano dall’essere concluso “La formazione di
armamenti potrebbe essere interpretata come una mossa provocatoria…”
“Così come anche
l’assassinio del Duca Sforza” lo riprese Lorenzo, interrompendo il mutismo in
cui era caduto. “O…. Il rifiuto di pagare i propri
debiti.”
“L’usura però…” il tono di Girolamo ora era velato di sarcasmo
divertito e velenoso “è un affare piuttosto sconveniente.”
“Ho sentito che il Santo
Padre ha chiesto un prestito alla famiglia Pazzi, intende fare gli occhi dolci
anche a loro?”
Beatrice non riusciva
davvero a credere a quel quantitativo d’informazioni assurde.
Sembrava una guerra a chi
dei due conosceva meglio gli affari degli altri.
“Cosa diavolo succede?”
sibilò alla volta di Giuliano.
Questi la guardò ovvio
“Non è chiaro? Stanno mettendo in piazza le loro carte per-” il giovane de Medici
venne interrotto dalla mano di Beatrice sulla sua bocca, quando lei sentì il
marito riprendere la parola.
“A proposito di
provocazioni, credo che sia giunta l’ora di illustrarvi il motivo della mia visita…”
“Prepariamoci alla
cannonata.” Sussurrò stremata Beatrice, mentre Giuliano le prendeva la mano per
stringerla alla sua.
Se prima poteva avere
anche il minimo dubbio della buona fede della sorella, ormai esso si era
estinto.
Beatrice sembrava stanca,
impotente dinnanzi a tutte quelle brutte novelle che stavano udendo così
abusivamente.
Come se non bastasse, poi, sembrava del tutto all’oscuro
dei piani del marito.
Girolamo riprese a parlare
dopo una piccola pausa d’effetto, lasciando tutti senza parole “Sua Santità
vuole informarvi su chi ha scelto come prossimo Arcivescovo di Pisa.”
“Pisa rientra sotto la
giurisdizione di Firenze!” si intromise Becchi, senza sortire effetti.
“Ciò nonostante, la
selezione è già stata fatta. Sua Santità ha appena scelto Francesco Salviati.”
Beatrice trattenne il
respiro, mentre nella sua testa si palesava l’immagine di un uomo sulla
cinquantina, magro come uno stelo e dall’aria incredibilmente arcigna.
“Vostro cugino….” Sussurrò Lorenzo, ma in tono chiaro, dando luce
ai pensieri di Beatrice.
Mentre Girolamo rispondeva
con un semplice ‘mh’, lei scrollò il capo
rivolgendosi a Giuliano, che capì solo a quel punto “Al posto di Raffaele mette
un altro dei suoi nipoti, quel porco bastardo”
“Ebbene.” Procedette
Lorenzo dopo uno sbuffo divertito “A questo punto le congratulazioni sono
d’obbligo. Vi prego di informare il Santo Padre che voi e Salviati
dovrete armare il più grande esercito mai visto prima perché potrete mettere
piede a Pisa solo quando io sarò morto e sepolto!”
“È chiaro…. Quindi,
sarebbero queste le condizioni?”
Lorenzo era furente “Roma
è stata la prima a sparare un colpo, non io.”
“E siamo intenzionati a
sparare per ultimi…. Auguro la buonanotte al
Magnifico.”
Con un colpo di reni,
Giuliano scattò in piedi tirando con sé la sorella e infilandosi nella prima
stanza.
Sentirono Girolamo passare
accanto a loro e solo quando non udirono più passi uscirono di nuovo nel
corridoio.
Scioccata, Beatrice andò
ad appoggiarsi nella loggia di una finestra.
“Non posso crederci.”
Sussurrò con tono basso, mentre Giuliano si inginocchiava di fronte a lei
tenendole le mani. “Sapevo che era grave, la situazione, ma qui stiamo parlando
di una guerra.”
“Col marito che ti ritrovi
ancora ti stupisci?” chiese tagliente il giovane, prima di sospirare dandosi
dell’idiota da solo “Ti chiedo perdono, sto esagerando.”
Beatrice sorrise
tristemente, guardando le sua mani chiuse in quelle del fratello “No, hai
ragione. Non dovrei stupirmi.” Fu la sua risposta amara, prima di alzarsi in
piedi, decisa “Mi sono maritata con lui affinché non vi facesse la guerra. È
ora di scoprire quando vale la sua lealtà e la sua parola.”
Con passo pesante, andò
verso gli alloggi in cui erano ospiti, scendendo una scalinata quasi di corsa.
Giuliano la lasciò andare,
guardandola indeciso su come reagire a tutto ciò.
Sapeva che era forte e che
avrebbe trovato il modo di scontrarsi col marito, ma temeva lo stesso per lei.
Intanto, Beatrice era
giunta alla sua stanza.
Vi entrò senza bussare,
pronta a dire peste e corna contro il marito, ma si bloccò innanzi alla scena
che le si parò sotto agli occhi.
Girolamo era seduto sul
letto, con Alessandro fra le braccia e un sorriso sottile eppure sincero sulle
labbra.
Il bambino rideva
deliziato, come se la semplice presenza del padre lo rendesse il più felice dei
pargoli.
Entrambi si voltarono a
guardarla con i medesimi occhi e, lì innanzi a loro, Beatrice lasciò cadere
ogni maschera di ostilità.
Si sentì debole, ma
nonostante questo avanzò verso il letto e di prese posto, accarezzando il capo
del figlio, mentre Girolamo la studiava.
“Dov’eri finita?” le
domandò con tono dimesso, come se quell’informazione fosse giusto tale e non
un’accusa.
“Con Giuliano, nella sala
dei Magi. Salutavo il nonno prima di venire a letto.” Sussurrò con lo stesso
tono la ragazza, incapace però di guardarlo negli occhi. Sistemò invece i
vestiti del figlio, cercando di impedire alle mani di tremare per la rabbia di
poco prima “Com’è andata con Lorenzo?”
“Credo bene.” Rispose il
marito con una sottile nota sarcastica nella voce “Diciamo che sono stato
chiaro con lui.”
“Come è giusto che sia…”
Quando finalmente la
giovine alzò gli occhi celesti nei suoi, Riario comprese.
Entrambi sapevano
esattamente cosa era successo, ma proseguirono in quella farsa famigliare.
Misero a letto il bambino,
prima di coricarsi, consumano un rapporto che di dolce non aveva nulla.
Mentre Girolamo stava
sopra di lei, Beatrice s’impegnò graffiandogli la schiena e sperando, al buio,
di aver screziato la pelle chiara del marito, affinché su di essa rimanessero
segni come quelli di frusta che lei aveva impressi per l’eternità.
Quella doveva essere la
punizione di Riario.
Il sapersi amato e odiato
dalla sola donna che sapeva di amare e odiare.
If our love is tragedy
why are you my remedy
If our love's insanity
why are you my clarity
...Why are you my remedy ?