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Autore: Chemical Lady    23/09/2014    2 recensioni
[Seguito di No Good Deed]
Passò gli occhi da una cartina all’altra, soffermandosi un istante sull’astrolabio che l’uomo davanti a lei le stava mostrando, fino ad arrivare alla pelle conciata dell’abissino.
La prese fra le mani, passandovi sopra le dita e saggiandone i rilievi, prima di alzare gli occhi in quelli di Leonardo. Il momento era giunto e lei si era preparata per quel giorno sin dalla sua nascita.
Aggirò il letto, andando verso quel piccolo scrigno che aveva sempre portato con sé, in ogni suo spostamento, quasi come se in esso vi fosse il più prezioso dei tesori.
Invero, era proprio così: Il diario di suo nonno, la chiave, il libro di Bologna e tutti i suoi appunti. Ore e ore passate a tradurre, interpretare e cercare di comprendere ciò che volevano dire.
Poi era arrivato lui, quell’artista folle dall’intelletto unico e tutto si era svelato: i pezzi di quel intricato puzzle erano finalmente disposti davanti a loro, ancora sparsi, ma pronti a rivelare la loro celata trama.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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modellostorieefp

Buongiorno a tutti!

Prima di tutto, chiedo scusa per l’attesa che vi sto facendo penare, ma all’ispirazione non si comanda così come alle duemila cose che ogni universitario deve fare prima dell’inizio del nuovo anno.

Per me, il terzo.

Anno difficile.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito, in particolare coloro che hanno iniziato a seguirmi ora, recuperandosi anche tutta No Good Deed.

Vostra è la gloria.

Ok, le acquee si smuovono molto, molto male da qui in poi ma non vi anticipo nulla!

Come sempre, una recensioncina è gradita!

A presto.

Jessika.

 

 

Amor onni cosa vince

 

Parte prima:

Raro cade, chi ben cammina.

Capitolo Quarto:

Il sottile margine tra amore e odio.

 

 

*

 

 ‘Cause you are the piece of me

I wish I didn't need

Chasing relentlessly

Still fight and I don't know why

(https://www.youtube.com/watch?v=OO0nSm8yUp4&list=UUWrtsravWX0ANhHiJXNlyXw )

 

 

 

 

28 Marzo 1478, Firenze

Visita ufficiale del legato papale, Girolamo Riario.

 

 

 

 

Il ticchettio delle gocce sulle vetrate fungeva da lenta litania, per il piccolo Alessandro.

Addormentato sulla spalla della madre, pareva il bambino più buono di tutta la corte.

Clarice sorrise, unendo le mani in grembo e smettendo di ricamare.

“Quel bambino è una benedizione, ormai siete qui da qualche giorno e non mi pare d’averlo mai udito piangere.”

La contessa non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto, mentre sistemava la copertina sulla schiena dell’infante “Non piange quasi mai. Non si lamenta, ne fa capricci. Sono stata baciata dalla fortuna, lo dicono tutti.”

Come chiamato in causa, il piccolo alzò la testolina, prima di riappoggiarla fiaccamente contro il collo di Beatrice, senza nemmeno sforzarsi di aprire gli occhi.

Maria, la più grande delle figlie di Lorenzo, alzò gli occhi dal disegno che stava ricamando sul tessuto morbido del fazzoletto, guardando la zia “Alessandro diventerà conte, un giorno?”

“Sì, Maria.” Rispose Beatrice, mentre anche Maddalena e Luisa prestavano attenzione al giovane cuginetto “Prenderà il posto di suo padre, quando verrà il momento.”

“Anche al servizio del Papa?” chiese ingenuamente la più piccola, mentre le due donne si scambiavano uno sguardo ironicamente allarmato.

“Spero che Sisto tiri le cuoia molto prima, piccola.” Rispose Clarice per la cognata, appoggiando una mano sulla testolina di Maddalena.

La sua omonima, Madonna de’Pazzi, storse il naso a quell’insinuazione “Dovrebbe essere eresia, parlar male del Santo Padre.”

Camilla, alla sua destra, alzò lo sguardo al cielo, pronta a tirar giù tutti i santi tant’era indispettita “Per voi è tutto eresia, Maddalena.”

“Avreste dovuto sposarlo voi, il conte Riario.” Rilanciò con una punta di cattiveria Beatrice, guardando suo figlio dormirle in collo “Se mai vi sposerete, un giorno, spero prendiate un clerico con voi; sapete se no quanto dovrà pregare quel pover uomo per farvi aprire le…. Grazie?” 

La contessa si trattenne davanti alle nipoti, mentre le altre tre donne esplodevano in una risata divertita.

A salvare la situazione, ci pensò Monna Agnese “Dovreste portare a letto quella povera creatura.” Disse risoluta, appoggiando le mani sui fianchi.

Beatrice non poté far altro che alzarsi, con un lieve cenno del capo come se a comandare fosse proprio la balia “Vado, vado!” disse ridendo, quando Agnese quasi la spinse fuori dalla stanza in cui tutte le donne si erano riunite a ricamare.

Beatrice percorse pochi metri, scendendo di qualche gradino la scalinata dell’ultimo piano, quando si trovò di fronte Leonardo da Vinci.

“I miei ossequi, madonna” le disse l’artista, facendo un piccolo inchino, prima di prestare attenzione al neonato “Vostro figlio, suppongo.”

“Già, il divin pargolo.” Ironizzò la contessa, facendo sorride Leonardo “Vi prego maestro, accompagnatevi. Vi troverò qualcosa con cui asciugarvi.”

Leonardo grondava di acqua.

Senza replicare, l’uomo eseguì quel semplice ordine, stupendosi quando si ritrovò a entrare negli alloggi privati della contessa.

Lei appoggiò il piccolo nella culla posta davanti al letto, prima di invitare Leonardo nel salottino adiacente.

Gli porse un piccolo straccio, con cui asciugare i capelli dalla pioggia battente, prima di sedersi di fronte a lui “Anelavo l’incontrarvi dal mio arrivo.” Disse, incrociando le mani sul ginocchio, laddove la veste creava una leggera increspatura color bottiglia “Cosa vi porta a corte?”

Leonardo appoggiò lo straccio sul tavolino fra loro “Devo ritrarre madonna Donati e far qualche commissione per vostro fratello,Lorenzo.” Rispose senza perdersi nei dettagli, ma cogliendo l’espressione poco divertita della giovane “Qualcosa non va?”

“Posso farvi una confidenza?”

“Sempre, contessa.”

La ragazza si sporse in avanti, sussurrando piano “Non ho mai potuto vedere madonna Donati.” Disse con franchezza, facendo sollevare entrambe le sopracciglia di Leonardo “Quella è una donna che ha qualcosa di oscuro. Glielo si legge in viso.”

“Cosa vi fa dire ciò, mia signora?”

“Chi apre le sue gambe per potere non può esser ritenuto esattamente etico, non credete, maestro?”

Quella frase parve spiazzarlo “Come fate a dire che il potere sia il fine di madonna Donati?”

Beatrice riserbò all’artista uno sguardo ovvio “Lorenzo è la massima carica cittadina e lei gli ronza attorno dall’età di quattordici anni, quando Lorenzo passava le giornate a decantare la sua bellezza nei poemetti che componeva in alternanza per lei e per la sua vecchia fiamma, Ippolita Sforza. Poi Lucrezia è sbocciata e Lorenzo ha riposto la penna in favore di altro. Credetemi Leonardo; noi donne sappiamo ben riconoscere le nostre attitudini”

Leonardo sorrise divertito per una frazione di secondo, facendosi poi cupo di improvviso.

Il lamentarsi di Alessandro li distrasse.

Beatrice andò a riprenderlo, portandolo poi con sé nel salottino e appogginadoselo sul petto.

Leonardo ci mise due secondi a prendere il suo quadernino, iniziando poi a scarabocchiare freneticamente su di esso.

Beatrice sorrise, l’era mancata quella fulminea ispirazione, per quanto poco avesse frequentato l’artista prima e dopo il suo matrimonio.

“Ho saputo che vostro marito sta per venire in visita.” Disse l’artista, staccando gli occhi dalla carta solo per concentrarsi su alcuni dettagli del viso della ragazza o del bambino che stava via a via riprendendo sonno fra le braccia calde della madre.

“Arriverà domani, suppongo.” Lo informò Beatrice, accarezzando piano la schiena del pargolo, per poi voltarsi col capo verso l’altro “Maestro, posso chiedervi una cosa, voi che vivete fra il popolo?”

Leonardo annuì “Certamente, madonna. Chiedete.”

Beatrice aveva sentito dell’esecuzione di un ebreo e aveva sentito lo stomaco chiudersi per un istante. Non sapeva nemmeno lei il motivo, ma in cuor suo sentiva che la cosa andava indagata.

“L’uomo che è stato giustiziato ieri…. Ne sapete qualcosa?”

La punta del carboncino di Leonardo si spezzò sul foglio, lasciando l’uomo di stucco.

Per qualche secondo rimase immobile, prima di prendere un’altra matita e riprendere a disegnare con non curanza, lasciando in sospeso Beatrice ancora un poco.

“No, mia signora. So solo che era ebreo e che l’avevano accusato di aver rubato qualcosa.”

Capisco….”

Il resto dell’intera ora che Leonardo trascorse con Beatrice fu piuttosto silenzioso, ma non vi era tensione fra i due.

Tutt’altro; Beatrice avvertiva una strana armonia provenire dall’artista, che alla fine le presentò un  bellissimo ritratto, seppur su un piccolo e giallo foglio di diario.

“Vorrei dirvi che questo schizzo diventerà un ritratto, ma siete stata fortunata e avete già avuto qualcosa di mio. E terminato!”

Beatrice sorrise, grata per quel dono “Mi basta questo, maestro. Abbiate una buona giornata.”

“Anche voi.”

Si sorrisero, poi Leonardo lasciò la stanza, andando verso la piccola saletta dove Lucrezia lo stava già aspettando.

Sorprendentemente, trovò difficile ritrarla, quel giorno.

Disse che la trovava diversa, cambiata, ma la realtà era che in quell’istante gli sarebbe piaciuto ritrarre un altro volto, per la seconda volta nell’arco di poche ore…

 

 

 

 

Potevano passare mesi, anni o solo un ventaglio di ore sparse, ma Raffaele Riario Sansoni non sarebbe mai cambiato.

Che la toga da lui portata fosse nera, viola o di un potente rosso carminio, il suo entusiasmo era irrefrenabile e il suo chiacchiericcio irreprensibile.

Sin dal momento in cui aveva messo piede a palazzo de Medici su invito della contessa Beatrice, s’era fatto riconoscere come sua consuetudine, recando alla signoria ospite pregiati doni da Roma.

“Mi manca Pisa, cedere la diocesi al mio  successore non sarà facile.” Disse alla cugina, quando si sedettero insieme su una pelle di orso, di fronte al caminetto acceso.

Beatrice era così felice di poterlo avere tutto per sé per qualche ora che non fece altro se non ascoltare tutte le incombenze che aveva ora che l’avevan fatto cardinale, osservandolo mentre passava di tanto in tanto la mano sul pelo argentato di Mae.

Girolamo diceva sempre che il solo fatto che il giovane cugino non provasse alcun terrore ne disprezzo per quella fiera, fosse l’evidente risultato di una condotta morale impeccabile e – a detta sua- incredibilmente noiosa.

Che Raffaele fosse di natura eccezionalmente buona era palese agli occhi di Beatrice, che ancora si chiedeva perché portasse il cognome dei Riario quando non aveva nulla a che spartire con esso.

Rimasero tutto il pomeriggio insieme, accompagnati dal suono dolce di una cetra in lontananza, con un piatto pieno d’uva e lamponi a tener loro compagnia.

Fu solo quando ormai il sole iniziava a calare serafino oltre i tetti delle case, che Lorenzo interruppe quella pace che s’era venuta a creare fra le mura della sua dimora.

“Beatrice!”

La ragazza sobbalzò, sentendo il cuore in gola, quando l’udì urlare con tanta foga il suo nome. Sembrava irato, come quando lei e Giuliano ne combinavano una delle loro e lo veniva a sapere.

“Che hai fatto, cugina?” chiese spaventato Raffaele mentre l’aiutava ad alzarsi, udendo nuovamente il maggiore della casata chiamarla.

“Non credo di aver fatto nulla, in vero.” Si difese la ragazza, mentre usciva dalla stanza preceduta dalla lupa, con le sottane sollevate al fine di far prima.

Insieme a Raffaele, s’affacciarono dalle scale, scorgendo Lorenzo nell’atrio che stava parlando frenetico a Giuliano.

“Lorenzo, sono qui!” richiamò la sua attenzione la sorella, appoggiandosi con la mano alla ringhiera mentre iniziava a scendere gradino dopo gradino, verso quella che sarebbe arrivata come una sentenza.

“Eccoti, finalmente! Devi rispondere del comportamento di tuo marito e bada bene; non crederò che non ne sai nulla.”

Come conferma che stava sbagliando, sia la contessa che il cardinale lo guardarono straniti, quasi come se si fosse ammattito del tutto.

Forse era così.

“Che cosa ha fatto Girolamo?” domandò quindi Beatrice.

Giuliano sbuffò una risata amata “Vi avevo detto, Lorenzo, che lei non poteva esserne al corrente!”

“Di cosa??” chiese quindi la ragazza, sempre più agitata “Cosa è successo, di grazia?”

Ritrovato un poco di contegno, Lorenzo sospirò “Il conte Riario ha fatto esplodere la bottega di da Vinci, letteralmente.” Spiegò, sfilandosi i guanti neri “Fonti certe attestando che è accampato fuori dalle mura romane, alle antiche rovine, da ieri notte. Ieri notte, Beatrice! Cosa diavolo aspetta a presentarsi a corte?? Lui ha richiesto udienza e ora che cosa crede di fare? Giocare con noi??”

La contessa scosse il capo, amareggiata.

Doveva saperlo che Girolamo aveva qualcosa in mente

Lui aveva sempre qualcosa in mente.

“Ci penserò io.” Disse semplicemente, facendo segno a Raffaele di seguirla verso i suoi alloggi.

Avrebbe fatto luce su quella faccenda subito, a costo di invitare Girolamo a tornare a Roma immediatamente.

 

 

Era già sceso il buio quando finalmente Beatrice riuscì a lasciare il palazzo con la sola compagnia di Raffaele e Mae.

S’era dovuta battere contro le sue dame, la balia e Olivieri al fine di avere quella concessione, quasi come se la sua incolumità fosse in pericolo.

Erano a Firenze, non a Roma.

Sapeva girar quella città meglio di chiunque altro nel palazzo e non si sarebbe avventurata troppo lontana dalle mura.

Senza contare che il solo pericolo in cui poteva incappare erano proprio gli uomini di suo marito, sicché il problema non sussisteva.

Arrivarono all’accampamento delle guardie svizzere e Beatrice sentì le viscere contrarsi.

“Si sono davvero accampati bene.” Decretò acidamente, mentre Raffaele sospirava.

Entrambi, però, vennero distratti da qualcos’altro.

Una figura, nascosta da un ampio cappuccio marrone, sfrecciò accanto a loro su di un cavallo bianco, tenendo con la mano guantata il mantello stretto in modo da non poter essere riconosciuta.

Tutti e due frenarono i cavalli, voltandosi a guardarla sparire via, verso la città.

“Quello chi era?” domandò scettico Raffaele, voltandosi verso la cugina.

“M’è quasi parso fosse una donna…” sussurrò con tono basso in risposta, prima di udire il marito chiamarla.

“Eccolo lì, Girolamo Riario in tutta la sua gloria!” lo beffeggiò, portando il cavallo al passo mentre si faceva più vicina.

Scese, mentre una guardia prendeva le briglie della sua giumenta, fischiando per richiamare a sé Mae che già ringhiava verso l’uomo.

Lui non si lasciò intimidire né dalla lupa né dall’arroganza della moglie “Perché siete qui?” domandò sia a lei che al cugino, che aveva indugiato prima di lasciare la sua cavalcatura.

“Perché tu sei qui.” Rilanciò lei, calcando molto quell’ultima parola, mentre si guardava attorno “Non dirmi che sei arrivato in anticipo e non volevi sfigurare, perché potrei riderti in faccia. Far esplodere una bottega d’arte di fa già sfigurare abbastanza.”

“Non ho interesse in ciò che tuo fratello pensa di me” rispose senza fretta l’uomo, invitando il congiunto e la moglie a entrare nella sua tenda.

A far loro compagnia, ci pensò Lupo Mercuri che entrò per ultimo.

Beatrice andò a sedersi alla tavolata imbandita, buttando su di essa i guanti da cavalcatura “E di far vergognare me? Ti interessa?” chiese sempre più sfrontata, fronteggiandolo.

Lui, per risposta, portò le mani sul suo capo, chinandolo per poterle baciare la fronte.

Beatrice non cedette, inizialmente, permettendogli di guardarla direttamente negli occhi.

Se fossero stati soli, l’avrebbe senza dubbio corrotta con un bacio, ma con un pubblico non si sarebbe mai spinto a tanto.

“M’interessa cosa tu pensi di me.” La corresse sottile, portando una ciocca di capelli corvini oltre la spalla di Beatrice “Ti sei sentita oltraggiata?”
“Sei qui da ieri notte e non me l’hai fatto sapere. Dimmi tu come dovrei sentirmi. Poi perché Leonardo da Vinci? Cosa vuoi da lui? Che diamine combini?”

Girolamo le diede le spalle, andando a versare un paio di calici di vino e offrendoli a Raffaele e Mercuri, che s’erano messi a parlottare fra loro dall’altra parte della tenda

Ne prese altri due, tornando dalla moglie che si stava torturando l’unghia del pollice con i denti, pretendendo risposte.

“Ero curioso di conoscere l’artista che tanto decanti.” Fu la risposta per niente credibile del conte “Peccato che lui non fosse…. Esattamente amichevole nei confronti di coloro che vanno a trovarlo in bottega.”

“Vorrai dire che si intrufolano furtivi? Ti ho visto uccidere per molto, molto meno.”

Giorno dopo giorno, diventava sempre più difficile per Riario risponderle a tono senza calcare la mano. Cosa che non faceva per tedio, più che per paura o per rispetto.

Sospirò, alzando il calice in un sarcastico brindisi, prima di prendere un sorso, imitato dalla moglie “Perché dovrebbe interessarmi tanto da Vinci? Se credi che io mi sia intrufolato, dammi una risposta.”

Beatrice rise “Questi giochini mi hanno sempre annoiata, Girolamo. Sei tu che devi dirlo a me.”

“Non so nulla di questo Leonardo da Vinci, volevo semplicemente costatare se fosse talentuoso come tu dici.”

Non avrebbe cavato un ragno dal buco, ormai la contessa lo aveva capito.

Finì il vino in un sorso esasperato, prima di restituire il calice dorato al marito.

“Vieni con me a Firenze, ora.” Gli disse, ammorbidendo il tono e accarezzandogli piano la giubba “Sono stanca di litigare, stanca di questi stupidi sotterfugi; entra in città e smettila con i segreti.”

Il conte si sporse, lasciandole un tenue bacio sulle labbra, prima di tornare al tavolo. Si appoggiò a esso con entrambe le mani, pensieroso “Entrerò a Firenze, come tu desideri, stasera.” Disse con tono chiaro, sorprendendo le tre persone nella stanza “Ma ti chiedo di precedermi. I miei uomini devono tirar su le poche cose che hanno portato con loro ed io necessito di un minuto prima di metter piede nella casa del Magnifico.”

Colpita per l’averlo convinto così in fretta, Beatrice gli si avvicinò, portando le mani alle sue spalle e massaggiandole “Così sia. Farò preparare tutto per il tuo arrivo. Prima però, voglio che tu prenda questo, così che possa aiutarti a rimembrare a chi devi davvero la tua lealtà.”

Il conte si voltò verso di lei, mentre la giovine gli porgeva un pezzo di carta ingiallita, arrotolato su se stesso.

Sulla pagina di un quadernino, un perfetto ritratto di sua moglie e di suo figlio faceva bella mostra di sé.

“Notevole.” Ammise con tono carezzevole, prima di sistemarlo ripiegato con cura dentro al panciotto.

“Quello è di Leonardo da Vinci, per intendersi.” Lo sorprese la giovane moglie, prima di recuperare i guanti e uscire dalla tenda, seguita da Raffaele. Appena Mae la vide guaì, alzandosi in piedi dalla sua posizione, stesa sotto alla cavalla grigia della contessa.

“Che ti ha detto?” domandò Raffaele mentre salivano sui cavalli.

Lei sospirò, guardandolo amareggiata “Nasconde qualcosa di grosso, per ora so dirti solo questo.”

Il cardinale annuì grave, prima di spronare il suo cavallo verso la città fiorentina.

Beatrice gettò uno sguardo dietro di sé, alla tenda del marito, prima di seguire il cugino verso le campagne e le mura.

Le sue parole, gettate al vento come sempre, non avrebbero fermato Girolamo da qualsiasi obiettivo avesse, ma sperava in cuor suo che l’aver in mente il figlio l’avrebbe quanto meno portato a ponderare sulle scelte che aveva.

 

Girolamo era arrivato a corte come da promessa e si era presentato innanzi al fratello e all’intera famiglia de’Medici, ringraziando per la gentile ospitalità come se nessuno in quella stanza sapesse cosa aveva fatto in città quello stesso giorno.

Clarice lo aveva accolto con tutte le grazie del caso, prima di vederlo seguire il marito per un colloquio privato.

Era stato a quel punto, quando i due si erano incamminati, che Beatrice aveva passato il figlio a Clarice e aveva afferrato la mano di Giuliano, iniziando a correre per i corridoio come quando erano bambini.

“Voglio sentire cos’hanno da dirsi.” Ammise la giovane, mentre giravano l’angolo e imboccavano una ripida rampa di scale.

“Sei certa che vuoi venirne a conoscenza?” chiese Giuliano cauto, ma anche lui infondo voleva sentire quel colloqui privato.

Arrivarono al corridoio designato che lei ancora doveva decidere se davvero voleva o meno udire le parole del marito e del fratello. Si acquattarono contro un angolo, riuscendo anche a spirare le immagini degli uomini nel riflesso di una vetrata.

“Da Vinci è un semplice dilettante. Un imbonitore, niente di più.” Stava dicendo Lorenzo in quel frangente, facendo capire alla contessa di cosa stessero parlando.

Dell’incidente.

“Davvero?” la voce melliflua del marito arrivò molto tenue alle sue orecchie, tanto che Beatrice si trovò costretta a sporgere appena il capo per udirlo a dovere “Eppure mi hanno detto gli che gli avete anticipato la somma di cinquanta fiorini…. Una bella remunerazione, per un semplice dilettante…

Beatrice si voltò di scatto verso Giuliano, che sembrava raggelato da quell’ultima frase del conte.

“Cinquanta fiorini? Per cosa?” sibilò la ragazza, ma ci pensò il marito a rispondere al posto del fratello.

“Roma riesce a sentire ogni bisbiglio, Lorenzo. Persino i più bizzarri che riguardano artigiani capaci di costruire macchine da guerra.” Più parlava, meno Beatrice credeva alle sue orecchie. Guerra? Lorenzo? No, doveva essere un gigantesco errore. Senza contare che il discorso pareva lontano dall’essere concluso “La formazione di armamenti potrebbe essere interpretata come una mossa provocatoria…

“Così come anche l’assassinio del Duca Sforza” lo riprese Lorenzo, interrompendo il mutismo in cui era caduto. “O…. Il rifiuto di pagare i propri debiti.”

“L’usura però…” il tono di Girolamo ora era velato di sarcasmo divertito e velenoso “è un affare piuttosto sconveniente.”

“Ho sentito che il Santo Padre ha chiesto un prestito alla famiglia Pazzi, intende fare gli occhi dolci anche a loro?”

Beatrice non riusciva davvero a credere a quel quantitativo d’informazioni assurde.

Sembrava una guerra a chi dei due conosceva meglio gli affari degli altri.

“Cosa diavolo succede?” sibilò alla volta di Giuliano.

Questi la guardò ovvio “Non è chiaro? Stanno mettendo in piazza le loro carte per-” il giovane de Medici venne interrotto dalla mano di Beatrice sulla sua bocca, quando lei sentì il marito riprendere la parola.

“A proposito di provocazioni, credo che sia giunta l’ora di illustrarvi il motivo della mia visita…

“Prepariamoci alla cannonata.” Sussurrò stremata Beatrice, mentre Giuliano le prendeva la mano per stringerla alla sua.

Se prima poteva avere anche il minimo dubbio della buona fede della sorella, ormai esso si era estinto.

Beatrice sembrava stanca, impotente dinnanzi a tutte quelle brutte novelle che stavano udendo così abusivamente.

Come se non  bastasse, poi, sembrava del tutto all’oscuro dei piani del marito.

Girolamo riprese a parlare dopo una piccola pausa d’effetto, lasciando tutti senza parole “Sua Santità vuole informarvi su chi ha scelto come prossimo Arcivescovo di Pisa.”

“Pisa rientra sotto la giurisdizione di Firenze!” si intromise Becchi, senza sortire effetti.

“Ciò nonostante, la selezione è già stata fatta. Sua Santità ha appena scelto Francesco Salviati.”

Beatrice trattenne il respiro, mentre nella sua testa si palesava l’immagine di un uomo sulla cinquantina, magro come uno stelo e dall’aria incredibilmente arcigna.

“Vostro cugino….” Sussurrò Lorenzo, ma in tono chiaro, dando luce ai pensieri di Beatrice.

Mentre Girolamo rispondeva con un semplice ‘mh’, lei scrollò il capo rivolgendosi a Giuliano, che capì solo a quel punto “Al posto di Raffaele mette un altro dei suoi nipoti, quel porco bastardo”

“Ebbene.” Procedette Lorenzo dopo uno sbuffo divertito “A questo punto le congratulazioni sono d’obbligo. Vi prego di informare il Santo Padre che voi e Salviati dovrete armare il più grande esercito mai visto prima perché potrete mettere piede a Pisa solo quando io sarò morto e sepolto!”

“È  chiaro…. Quindi, sarebbero queste le condizioni?”

Lorenzo era furente “Roma è stata la prima a sparare un colpo, non io.”

“E siamo intenzionati a sparare per ultimi…. Auguro la buonanotte al Magnifico.”

Con un colpo di reni, Giuliano scattò in piedi tirando con sé la sorella e infilandosi nella prima stanza.

Sentirono Girolamo passare accanto a loro e solo quando non udirono più passi uscirono di nuovo nel corridoio.

Scioccata, Beatrice andò ad appoggiarsi nella loggia di una finestra.

“Non posso crederci.” Sussurrò con tono basso, mentre Giuliano si inginocchiava di fronte a lei tenendole le mani. “Sapevo che era grave, la situazione, ma qui stiamo parlando di una guerra.”

“Col marito che ti ritrovi ancora ti stupisci?” chiese tagliente il giovane, prima di sospirare dandosi dell’idiota da solo “Ti chiedo perdono, sto esagerando.”

Beatrice sorrise tristemente, guardando le sua mani chiuse in quelle del fratello “No, hai ragione. Non dovrei stupirmi.” Fu la sua risposta amara, prima di alzarsi in piedi, decisa “Mi sono maritata con lui affinché non vi facesse la guerra. È ora di scoprire quando vale la sua lealtà e la sua parola.”

Con passo pesante, andò verso gli alloggi in cui erano ospiti, scendendo una scalinata quasi di corsa.

Giuliano la lasciò andare, guardandola indeciso su come reagire a tutto ciò.

Sapeva che era forte e che avrebbe trovato il modo di scontrarsi col marito, ma temeva lo stesso per lei.

Intanto, Beatrice era giunta alla sua stanza.

Vi entrò senza bussare, pronta a dire peste e corna contro il marito, ma si bloccò innanzi alla scena che le si parò sotto agli occhi.

Girolamo era seduto sul letto, con Alessandro fra le braccia e un sorriso sottile eppure sincero sulle labbra.

Il bambino rideva deliziato, come se la semplice presenza del padre lo rendesse il più felice dei pargoli.

Entrambi si voltarono a guardarla con i medesimi occhi e, lì innanzi a loro, Beatrice lasciò cadere ogni maschera di ostilità.

Si sentì debole, ma nonostante questo avanzò verso il letto e di prese posto, accarezzando il capo del figlio, mentre Girolamo la studiava.

“Dov’eri finita?” le domandò con tono dimesso, come se quell’informazione fosse giusto tale e non un’accusa.

“Con Giuliano, nella sala dei Magi. Salutavo il nonno prima di venire a letto.” Sussurrò con lo stesso tono la ragazza, incapace però di guardarlo negli occhi. Sistemò invece i vestiti del figlio, cercando di impedire alle mani di tremare per la rabbia di poco prima “Com’è andata con Lorenzo?”

“Credo bene.” Rispose il marito con una sottile nota sarcastica nella voce “Diciamo che sono stato chiaro con lui.”

“Come è giusto che sia…

Quando finalmente la giovine alzò gli occhi celesti nei suoi, Riario comprese.

Entrambi sapevano esattamente cosa era successo, ma proseguirono in quella farsa famigliare.

Misero a letto il bambino, prima di coricarsi, consumano un rapporto che di dolce non aveva nulla.

Mentre Girolamo stava sopra di lei, Beatrice s’impegnò graffiandogli la schiena e sperando, al buio, di aver screziato la pelle chiara del marito, affinché su di essa rimanessero segni come quelli di frusta che lei aveva impressi per l’eternità.

Quella doveva essere la punizione di Riario.

Il sapersi amato e odiato dalla sola donna che sapeva di amare e odiare.

 

 

 

If our love is tragedy why are you my remedy

If our love's insanity why are you my clarity

...Why are you my remedy ?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                            

 

 

 

  
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