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Autore: The_Grace_of_Undomiel    23/09/2014    1 recensioni
Sam è un ragazzo di sedici anni mezzo, che si è appena trasferito in una nuova città.
A causa del suo carattere un po' timido ed insicuro, il giovane non si era mai sentito accettato dai precedenti compagni di classe ed era spesso deriso o emarginato. In conseguenza a ciò, Sam vede nel trasferimento un'opportunità per incominciare una vita migliore della precedente ed è molto ansioso, oltre che timoroso, di iniziare la nuova scuola. Purtroppo però, le cose si mettono subito molto male per il ragazzo, diventando sin dal primo giorno il bersaglio dei più temuti bulli di tutto l'istituto, I Dark, e da quel momento in poi, la vita per lui diventa il suo incubo personale.
Ma col passare del tempo, imparerà che a volte non bisogna soffermarsi solo sulle apparenze e le che le cose, a volte, possono prendere una piega del tutto inaspettata...
Dal testo: "I Dark si stavano avvicinando sempre di più, ormai solo pochi metri li separavano da Sam e Daniel. Avanzavano uno vicino all’altro, formando una sorta di muraglia, tenendo al di fuori tutto quello che c’era dietro di loro"
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Incredibile quante cose si fossero dimenticati nell’altra casa. Sam prese dal bagagliaio della macchina l’ennesimo scatolone e lo depose a terra. Contenevano soprammobili, fotografie, vestiti, cianfrusaglie...tutti oggetti di cui  il ragazzo si era completamente dimenticato l’esistenza. Quello di scaricare era davvero un lavoraccio, faticoso e noioso, senza contare che molti scatoloni non facevano altro che rompersi e quindi... via a raccogliere tutto! Si erano già rotti due vasetti, chissà se sarebbero riusciti a disintegrare qualcos’altro.
-Ehy amico, come avete fatto a scordarvi tutta questa roba? Non sono mica pezzetti di un puzzle!- esclamò Daniel, il volto coperto da una gigantesca scatola.
Sam ridacchiò. Persino una cosa noiosa come quella diventava divertente se era in compagnia del suo amico. Non appena lo aveva saputo quel mattino, si era subito offerto ad aiutare lui e sua madre.
-Me lo chiedo anch’io- rispose, deponendo un altro scatolone –Mi sembra come di rivivere il momento in cui sono arrivato...- sbuffò. In effetti, era stato esattamente così il suo arrivo a Roxvuld, a parte il fatto che era sera e che pioveva a dirotto, mentre quel giorno era solo nuvoloso. Quante cose gli erano capitate da allora e quante ne erano cambiate! 
-Ti ringraziamo molto, Daniel. Il tuo aiuto ci è davvero prezioso- sorrise Reneé.
-Oh, ma per me è vero un piacere, signora! Mi permette di dirle che ha degli occhi stupendi?- disse il biondo, assumendo un atteggiamento galante.
Sam alzò gli occhi al cielo. Era troppo irritante quando Daniel si comportava così. Lo faceva sempre con le professoresse.
La donna scosse la testa, divertita -Adulatore! Comunque, chiamami pure Reneé e dammi del tu-
-Lo farò- annuì l’altro.
La madre  rientrò un attimo in casa, lasciando i due ragazzi da soli a scaricare.
-Certo che tua mamma è davvero una bella donna!- esclamò Daniel, colpito.
-Cos’è, ci stai facendo un pensierino?- scherzò il giovane.
-Ma che vai vaneggiando!- bofonchiò.
-Dai, ti stavo solo prendendo in giro! Comunque, successo qualcosa di interessante in questi giorni? Non mi hai più raccontato niente-
-Bah, niente di particolare a dire il vero. Sia ieri che l’altro ieri sono andato al corso di poesia, visto che a breve ci sarà la prima parte del fantomatico concorso e ci stanno un po’ preparando- spiegò Daniel -Cioè, ma ti rendi conto? Dovrò comporre una poesia da solo! Di mio pugno, capisci!? Non ce la farò mai-
-Andiamo, non è da te scoraggiarti in questo modo! Sono sicuro che li stupirai tutti- lo rassicurò il ragazzo -Hai già in mente qualcosa?- soggiunse.
-NO ed è questo il guaio! Non so nemmeno di che cosa parlare, figurarsi-
-Ti verrà in mente, vedrai. Uh, a proposito di poesia, hai parlato un po’ con Hetty?- chiese Sam, curioso. Si ricordava ancora le parole che gli aveva detto: non si giudica un libro dalla copertina! La farò ricredere sul mio conto!
Daniel annuì compiaciuto -Sì! Le ho rotto le scatole per due lezioni di seguito!-
-Ah, e vi siete parlati?-
-Più che altro ho parlato io, lei non è che mi considerasse tanto: prima che iniziassimo mi sono avvicinato, era intenta a leggersi uno strano libro con un titolo assurdo, e le ho chiesto come se la stesse passando. Praticamente non ha alzato lo sguardo dalle pagine e mi ha bofonchiato una sorta di “Bene, grazie”. Allora io ho iniziato a raccontarle la storia della mia vita, anche se per tutto il tempo non ha fatto altro che leggere e fare qualche sintetica considerazione. Infine le ho chiesto di che cosa parlasse il libro che stava leggendo, così mi ha raccontato a grandi linee la trama. Tralasciando il fatto che mentre spiegava non mi ha guardato una sola volta, è incredibilmente brava narrare! Ti giuro, mi sono lasciato trasportare come in un altro mondo e il libro mi ha incuriosito talmente tanto che le ho domandato se una volta finito me lo potesse prestare. Mi ha detto di sì e ha pure abbozzato un sorriso-
-Mi sembrano progressi!-
-Già e quello è successo nella prima lezione. Nella seconda (l’ho di nuovo strappata dalla lettura) le ho chiesto quali libri le piacesse leggere e quali fossero i suoi poeti preferiti. Mi ha risposto, senza guardarmi ovviamente, ed io le ho detto i miei gusti come se fossimo stati ad un’intervista, solo che lei non faceva domande. Forse dovrei parlare un po’ meno in effetti. Comunque, è una persona davvero molto intelligente, sono sicuro che sappia comporre benissimo!-
-Insomma, questa cosa del non “farti odiare” sta dando i suoi frutti e ti ha fatto anche conoscere un lato di Hetty che ignoravi- considerò Sam con un sorriso. A giudicare dal modo in cui Daniel gliene aveva parlato, sembrava che ne fosse rimasto molto colpito.
-Esattamente, ma non è ancora abbastanza. Quando avrò la certezza che le stia simpatico, mi riterrò soddisfatto-
-Come vuoi-ridacchiò il ragazzo, impilando gli scatoloni a due a due. Avevano quasi finito.
-E tu invece che mi dici?- fece Daniel, guardandolo eloquente.
-Io cosa?- domandò perplesso.
-Non fare il finto tonto, mi sto riferendo a Kyda. Vi siete più visti?-
-Ah- mormorò Sam, improvvisamente a disagio –Sì, ci siamo incontrati Sabato e abbiamo parlato del cartellone-
-E...?- incalzò Daniel.
-E niente. Abbiamo discusso sul progetto, mi sono improvvisato make-up artist, ho fatto jogging sotto la pioggia e ci siamo accordati per vedersi domani in biblioteca-
-Questa cosa del trucco me la devi raccontare bene, poi. Ma ehi ehi!- si interruppe –Domani la biblioteca della scuola è chiusa!-
Sam sgranò gli occhi. Come chiusa? Quello era l’unico posto disponibile in cui lavorare in santa pace, come avrebbero fatto lui e Kyda? Chiese spiegazioni all’amico.
-Uno studente ha rotto un neon per sbaglio lanciando un diario e ora stanno sistemando tutto. Era scritto in bacheca, ma non li leggi mai i volantini tu?-
-Basta con questa cosa dei volantini! Non fanno altro che dirmelo!- disse esasperato –No, non ci faccio mai caso, oh! Comunque questo è un disastro! Dove accidenti andiamo adesso? Casa mia è off limits per via delle scatole-
Daniel scrollò le spalle -Non saprei, ma faresti meglio ad avvertirla...Chissà, magari ti ritroverai costretto a dipingere nell’antro della Stowe!- e scoppiò a ridere.

Per ironia della sorte, Daniel ci aveva preso in pieno. Sam sbuffò nervosamente, infilandosi la giacca a vento. Tra meno di venti minuti, sarebbe dovuto essere davanti alla porta di casa di Kyda per iniziare il disegno. La biblioteca era stata un luogo in cui lavorare perfetto, informale e soprattutto scolastico e tutto sommato, nonostante i primi imbarazzi iniziali, anche a casa sua era andato quasi tutto per il verso giusto. Invece l’idea di andare nell’abitazione di Kyda gli procurava uno strano senso di agitazione non ben definita. Da un lato era curioso di vedere l’appartamento in cui abitava la ragazza, ma dall’altro avrebbe volentieri  evitato. Con l’andare da lei, aveva come l’impressione di entrare molto nel suo privato: avrebbe visto le cose che Kyda vedeva tutti i giorni e chissà, forse avrebbe conosciuto da vicino i suoi famigliari. Aveva intuito che c’era qualcosa che non quadrava in quella famiglia, come se vi fosse qualcosa di segreto che non voleva essere celato.
Si sarebbe sentito fuori posto, quello era poco ma sicuro; un intruso. Si fece forza. Si trattava solo di un pomeriggio e poi era stata lei a dargli il permesso di venire a casa sua. Ancora ricordava i messaggi che si erano mandati:
Come sarebbe a dire che non possiamo andare in biblioteca?

Stanno ristrutturando una lampada, perciò è chiusa. Il problema è che casa mia è inaccessibile, perciò non so dove potremmo andare questa volta  le aveva risposto lui.

La risposta di Kyda era arrivata molte ore dopo:
Vieni da me allora. Corso Green n^ 22. Il palazzo viola, te l’ho fatto vedere. Ore 17:00

Il ragazzo si riscosse. Doveva darsi una mossa, aveva all’incirca un quarto d’ora per raggiungere casa di Kyda, che tra l’altro abitava maledettamente lontano.
Il tempo era di nuovo grigio e nuvoloso. Possibile che non ci fosse mai il sole in quella città? Ad Amentia le giornate erano quasi sempre soleggiate.
Si avviò a passo di marcia e in breve fu a metà del tragitto. Guardò l’orologio verde; aveva meno di dieci minuti. Si era reso conto che da quando lo aveva riottenuto, lo aveva indossato pochissime volte. Era stato senza di esso per così tanto tempo che l’averlo riavuto indietro gli pareva una cosa strana, ormai non gli sembrava nemmeno più un oggetto suo.
Arrivò in Corso Green con ancora qualche minuto di bonus. Si guardò un po’ intorno, constatando nuovamente quanto quella zona fosse triste e squallida. Forse l’umore sempre così cupo di Kyda era anche determinato da quello.
Passò davanti al negozio di Hugh e diede una sbirciatina dentro, ma lo trovò chiuso. Strano, quello non era giorno di riposo.
Gli venne in mente in quel momento che forse avrebbe dovuto portare qualcosa. Era vero che quella volta Kyda si era autoinvitata senza troppi complimenti, ma lui ci teneva ad essere un persona educata, sua madre gli aveva insegnato così. Ma sì, avrebbe fatto una breve deviazione, sarebbe arrivato un po’ in ritardo per un giusta causa.
Entrò in una pasticceria lungo la strada e comprò una piccola crostata, infine arrivò davanti al palazzo viola e citofonò sul cognome di “Stowe”. Gli aprirono subito senza nemmeno rispondere. Il ragazzo entrò nell’atrio, ma si rese conto di  non sapere a quale piano abitasse Kyda. Fece per mandarle un messaggio, quando udì la voce echeggiante della ragazza provenire dall’alto.
-Sono quassù-
Sam alzò la testa -Ciao! In quale piano?-
-L’ultimo-
-D’accordo, arrivo- si guardò un po’ intorno -Ma...non c’è l’ascensore?-
-No. Desolata- rispose secca -Devi farti le scale a piedi-
-Ah… d’accordo- e si mise a salire, sbuffando.
Trovò Kyda ad aspettarlo appoggiata alla porta di casa. Indossava una semplicissima maglietta maniche lunghe grigia e un paio di pantaloni della tuta larghi neri Ai piedi portava solo un paio di calzini grigi e i capelli erano legati come al solito in una treccia laterale, un po’ spettinata. Gli occhi erano struccanti, però non erano di quel blu limpido, ma spenti, vuoti. Per finire, in mano teneva una sigaretta. Stava fumando.
Il ragazzo la guardò frastornato. Non l’aveva mai vista fumare prima di allora. 
-Sei in ritardo- lo accolse lei.
-Lo so, scusami. Mi sono fermato per prendere questo e ho perso un po’ di tempo- le porse la crostata, con un sorriso.
La ragazza guardò il dolce inarcando un sopracciglio.
-Ah, grazie- rispose, aspirando un po’ di fumo -Ma non dovevi disturbarti...-
-Nessun disturbo, mi faceva piacere- replicò Sam. Era strana, quel giorno, molto strana.
-Entra, così almeno ci mettiamo al lavoro –disse Kyda facendogli un cenno col capo –No, aspetta- si corresse subito.
-Che c’è?-
-Devi toglierti le scarpe-
-Certo...- annuì, ubbidendo, dopodiché poté proseguire. Esattamente come si era immaginato, l’appartamento non era molto grande, tuttavia luminoso. L’entrata era piuttosto piccola, subito sulla destra c’era la cucina. Poco più in là si trovava un piccolo salotto e poi un corridoio con le camere da letto. L’arredamento era piuttosto semplice e anche un po’ spoglio.
-Allora, aspettami pure in cucina- diede le direttive la ragazza, chiudendo la porta di casa –Io vado a prendere il cartellone. Disegneremo lì, il tavolo è molto spazioso così saremo più comodi-
-D’accordo- abbozzò un sorriso il ragazzo, entrando nella stanza. Si sedette al tavolo e notò che sopra di esso c’era una bottiglia di vetro con dentro uno strano liquido ambrato, e un bicchiere mezzo vuoto. Colto da uno strano presentimento, guardò che nei paraggi non ci fosse nessuno ed annusò il contenuto del bicchiere. Era alcolico. Scosse la testa preoccupato e lo rimise a posto.
-Sei il tipo che ha chiamato l’altra volta?-
Il giovane alzò di scatto la testa e vide Drew appoggiato allo stipite della porta. Era piuttosto alto, aveva i capelli neri un po’ spettinati e gli occhi scuri.
-Sì, esatto- rispose -Mi chiamo Sam-
-Diminutivo di Samuel?- chiese il ragazzino, strafottente.
-Diminutivo di niente- ribatté, lanciandogli un’occhiata infastidita –Tu sei il fratello di Kyda?-
-Che arguzia-  commentò Drew, aprendo il frigo con fare svogliato –Piuttosto, che sei venuto a fare qua?-
Sam cercò di contenersi dal rispondergli male -Faccio un progetto insieme a tua sorella-
-Wow- bofonchiò il ragazzino, con aria cupa, prendendosi una bottiglietta d’acqua –Divertitevi...-
-Drew levati di torno, abbiamo da fare- disse sbrigativa Kyda, arrivata un quel momento con l’occorrente.
-Sto andando a calcio, infatti- sibilò quello, velenoso.
-Ecco bravo- 
E così il ragazzino uscì dalla stanza, ma non prima di aver lanciato un’occhiataccia a Sam. Era evidente che avesse una qualche avversione per lui.
La ragazza posò il cartellone e le matite sul tavolo, poi spostò la bottiglia e il bicchiere per terra, mentre il giovane sistemò il foglio, fermando gli angoli.
Kyda si versò dell’alcolico e se lo bevve tutto d’un sorso, in seguito rimise la bottiglia e bicchiere sul pavimento con un gesto secco. Sam l’aveva guardata fare, nervoso.
La ragazza prese posto di fronte a lui –Ecco qua tutto, buon lavoro- e gli lanciò una matita, che lui prese al volo.
-Credevo lo facessimo insieme...- disse  il giovane serio dopo un attimo di silenzio, sollevando lo sguardo su di lei.
-Io non ho mai accennato a ciò- ribatté, torva.
-Per lo scorso cartellone abbiamo lavorato entrambi- proseguì Sam. Si fosse trattato di qualche settimana prima avrebbe lasciato correre e non si sarebbe sognato di questionare, ma ormai non la temeva più come un tempo.
-Hai detto bene, lo scorso cartellone-
-E perché questo no?-
Kyda piantò un paio di occhi gelidi in quelli di Sam –Sei venuto per sindacare?- disse, prendendo la bottiglia e bevendo direttamente da essa.
-Sono venuto per fare il cartellone...-
-Fallo allora-
-...insieme a te- puntualizzò.
-Non ne ho voglia- sbottò la ragazza, tracannando  nuovamente.
-Che stai bevendo?- chiese diretto, serio come mai era stato prima di allora.
Le guardò distrattamente la bottiglia e scrollò le spalle -Non lo so, ma è abbastanza forte-
Esattamente come aveva sospettato.
-Ti fa male quella roba...- disse incrociando le braccia, accigliato.
-Senti non mi rompere, avevo voglia di qualcosa e l’ho trovato nella dispensa, anzi- fece un pausa –Ora che ci penso mia madre lo teneva lì da un bel po’ per le grandi occasioni perché costa una paccata di soldi sto’affare, chi sa chi ce l’ha regalato. Credo si incazzerà un casino, ma chi se ne frega... Comunque ora non c’ho più voglia- e posò di nuovo la bottiglia.
-Meglio...- mormorò il ragazzo, impensierito.
Kyda alzò gli occhi al cielo -Comunque se proprio ci tieni questo cavolo di disegno lo faremo insieme, così almeno la finiamo...-
-Perfetto!- esclamò Sam, con un sorriso tiratissimo.
Si misero a disegnare, ma il ragazzo non riuscì per niente a concentrarsi. Era troppo occupato a guardare Kyda e a studiare attentamente ogni sua singola mossa. Da quando si era messa a bere e a fumare? Non l’aveva mai vista fare cose del genere. Stava male, molto male. Doveva essere successo qualcosa di grave perché si comportasse in quel modo. Aveva un aspetto così stanco, affaticato e probabilmente aveva il corpo pieno d’alcol. Strano che non avesse avuto ancora reazioni preoccupanti, forse sapeva reggerlo bene...
-Avrei bisogno del bagno...- disse dopo un po’ il ragazzo.
Lei si alzò in piedi e gli fece segno di seguirla. Non barcollava neppure un po’.
-La porta in fondo al corridoio- disse la ragazza.
Sam annuì e si avviò. Fece per aprire la porta, ma Kyda si parò davanti fulminea, bloccandolo.
-Non questa, l’altra, quella a destra- ringhiò, gli occhi ridotti a due fessure.
-Sc..scusa, non avevo capito...- balbettò. Non l’aveva mai vista avere reazioni di quel genere, forse era dovuto all’alcol, o forse era dovuto al fatto che oltre quella porta si trovasse qualcosa che lui non poteva vedere.
Ritornarono al lavoro. Sam si occupò di dare la forma all’occhio e di disegnare l’iride, mentre Kyda fece, o almeno tentò di fare, le ciglia-alberi. La ragazza aveva tenuto per tutto il tempo la testa appoggiata ad un palmo e spesso aveva sbattuto le palpebre, come per rimettere a fuoco la vista.
-Direi di fare una pausa...Che dici, mangiamo la crostata?- chiese Sam dopo un po’.
Kyda fece appena un cenno di consenso, poi si alzò, prese la crostata e la spezzò in metà, sparpagliando un’infinità di briciole sul pavimento.
Lei manco se ne accorse -Prendi- disse, porgendo con mala grazia il pezzo a Sam. Quest’ultimo la guardò sbalordito e prese la torta. Forse avrebbe dovuto offrirsi di prepararla lui.
-Vuoi?- domandò la ragazza, scuotendo la bottiglia quasi vuota.
-No...- mormorò.
-Tsk, cazzi tuoi allora. Vuoi dell’acqua? Ti prendo un bicchiere- andò dalla dispensa e ne prese uno, che le scivolò subito, disintegrandosi in mille pezzi.
-Ops- commentò la ragazza, apatica.
-Non importa, non ho sete. Forse è meglio se ti siedi Kyda...- disse Sam pacato, cercando di mascherare la sua preoccupazione.
Inaspettatamente, lei si voltò di scatto -Cos’è, mi stai forse compatendo?- sputò, rabbiosa.
Lui ci rimase di sasso -No, ma che dici? Semplicemente non mi sembrava il caso che tu...-
-So bene quello che ho sentito! Tu mi stavi compatendo, l’ho capito dal tuo tono!- sibilò –Sarà meglio per te se ti rimangi quello che hai detto. Ti faccio forse pena perché mi è caduto un bicchiere? Al signorino non cade mai qualcosa?-
-Io non ti stavo compatendo, Kyda- scosse la testa il giovane, incredulo –Credimi, mi hai frainteso!-
-Non ho affatto frainteso, ho capito benissimo! Credi che non sappia il modo in cui le persone commiserano? L’ho sentito fare troppe volte, perciò non me la dai a bere. Stai anche cercando di pendermi per il culo?-
-Stai delirando, hai bevuto troppo. Te l’ho detto che ti avrebbe fatto male!-
-Che vuoi saperne tu!?- sbraitò –Io faccio quello che mi pare, tu non sai un cazzo di me!- barcollò leggermente e dovette appoggiarsi al lavello. Sam fece per avvicinarsi, ma un’occhiataccia di fuoco da parte di lei lo bloccò.
La discussione venne improvvisamente interrotta dal rumore di un paio di chiavi, seguita dallo sbattere della porta di casa. Poco dopo, una donna entrò nella cucina. Si trattava di Ines, la madre di Kyda.
Era piuttosto alta e molto esile, un semplice soffio di vento avrebbe potuto portarsela via. Il suo viso era magro, scavato e pallido, incorniciato dai capelli neri leggermente mossi, che le arrivavano sulle spalle. Gli occhi erano scuri.
Con uno sguardo vitreo scrutò la stanza e i suoi occhi si andarono a posare sulla figura di Kyda.
-Kyda, vuoi spiegarmi che cosa sta succedendo?- chiese. Dal suo tono si percepiva dell’evidente nervosismo.
La ragazza rispose con una scrollata di spalle.
-Ho sentito la tua voce fin dall’atrio- riprese Ines –Ti sembra forse questo il modo di comportarsi quando si ha un’ospite a casa?- e si voltò verso Sam, con un sorriso stanco -Chi sei tu, caro?-
-B..buongiorno signora, mi chiamo Sam Wild. Sono un compagno di classe di sua figlia. Stavamo lavorando ad un progetto...-
-Capisco- annuì la donna e in quel momento notò il pavimento.  Si rivolse immediatamente a Kyda, gli occhi vitrei improvvisamente pieni di collera.
-Che cosa sono tutte quelle briciole per terra!?- esclamò con la voce strozzata.
-Briciole- rispose la giovane impassibile -Lo hai detto tu stessa-
-Hai capito quello che intendevo. Rispondimi-
Lei la guardò dall’alto in basso -Ho spezzato in metà una crostata per darla a lui. Contenta adesso?-
-Mi stai forse dicendo che gli hai servito così un pezzo di dolce? Senza nemmeno metterla in un piatto!?- irruppe Ines, sconcertata –Inoltre da dove viene quella crostata? L’ha portata il tuo amico, immagino. E scommetto che tu non l’hai nemmeno ringraziato, ingrata!-
Sam intanto assisteva la scena in silenzio, teso e a disagio. Si era ritrovato a fare lo spettatore di un litigio, proprio la situazione che aveva sperato di evitare con tutto il cuore. In più, considerate le condizioni in cui era Kyda, temeva che lo cose avrebbero preso presto una brutta piega.
-Adesso, vedi di risistemare tutto e di porgere scuse al tuo compagno di scuola- la rimproverò aspramente -Hai scongelato la carne come ti avevo chiesto?- soggiunse subito dopo.
-No, non l’ho fatto- replicò Kyda con sfida.
Ines tremò di rabbia –E si può sapere perché?- strillò -Possibile che tu non faccia mai quello che ti dico? Non ti chiedo molto! Sei irrispettosa e scortese! Credo che questo tuo comportamento da ribelle denoti intelligenza? Inoltre, sono andata a parlare giusto ora con i tuoi professori e ho saputo che il tuo rendimento è calato ancora. So bene che non potrai mai avere dei risultati così...- si bloccò all’improvviso –Così alti, ma nemmeno così bassi-
Aveva parlato quasi urlando e sia lei che Kyda parevano essersi completamente dimenticate dell’esistenza di Sam, il quale avrebbe voluto sotterrarsi e scomparire.
-Mi farai andare al manicomio una volta o l’altra- disse la madre, passandosi una mano sul viso cercando di ritrovare la calma. Face due passi e calpestò con i tacchi i cocci del bicchiere.
-Hai anche distrutto un bicchiere. Vuoi proprio trasformare il pavimento in una discarica! Raccoglili, prima che qualcuno si tagli-
Sam vide il labbro di Kyda tremare, prima che ella, senza dire una sola parola, si accucciasse per terra. Si rialzò, con in mano dei pezzi di vetro, e li strinse con forza fino a sbriciolarli. 
Sia Ines che Sam la guardarono sbigottiti.
-Ecco, ora non si vedono più- sorrise sarcastica. Ne prese altri e li sbriciolò nuovamente, mentre la sua mano si riempiva di profondi tagli sanguinanti.
La madre spalancò gli occhi -Ma sei impazzita? Smettila, così ti fai male!- urlò, angosciata.
-E a te che importa!?- sbraitò la ragazza -Non è meglio così? Io penso di sì. L’ho capito...-continuò, stava delirando –Tu...vorresti che i posti fossero scambiati, non è forse vero? Dillo un buona volta!-
Ines sbarrò ancora di più gli occhi, e prese a tremare. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalla sua gola. Era troppo sconvolta per dire o fare niente.
Un orribile silenzio scese nella stanza.
Un sorriso triste e amaro comparve sul viso cupo di Kyda –Lo sapevo, l’ho sempre saputo...- corse via come una scheggia ed uscì sbattendo la porta di casa. Sam non indugiò un istante di più, si lanciò al suo inseguimento.
Ed  Ines rimase in piedi in mezzo alla cucina, completamente sola.

*Note dell'Autrice*

Ciao a tutti! Scusatemi per il ritardo, solo che con l'inizio della scuola ho avuto pochissimo tempo >.<
Comunque, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, famemi sapere! ;D

Un abbraccione,

The_Grace_of_Undomiel


  
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