La vittoria per lui era come respirare. Essenziale, vitale e - soprattutto – uno stile di vita.
Non si arrendeva mai, neanche quando ormai tutto sembrava essere finito e l’esito dato per scontato.
Lui avrebbe lottato fino a quando non gli fosse caduto il suo mantello, avrebbe dettato gli ordini con il suo scettro mentre indicava le varie postazioni: la sua corona indicava che era un re e gli ordini di un sovrano erano assoluti.
Guai a chi si fosse opposto.
Erano tutti dei plebei rispetto a lui, il dominatore del campo. 
Lui, il re egoista che pensava solo alla vittoria per sé, non per gli altri. 
Lui, un ex egoista.
Kageyama Tobio, il Re del Campo. Lo chiamavano così, sebbene in apparenza poteva sembrare un semplice alzatore.
Pretendeva velocità, potenza e – soprattutto – precisione. Chiedeva – a volte – anche troppo, più delle capacità altrui.
Voleva dimostrare solo ed esclusivamente le sue capacità, senza curarsi di ciò che lo circondava, e non gli importava nulla degli altri membri della squadra perchè finché c’era lui avrebbero vinto. 
Ecco che cosa pensava.
Non gli importava se segnavano, gli importava solo che gli altri fossero più veloci. 
Non apprezzava ciò che facevano gli altri, anche se voleva solo che tutti facessero sul serio. 
Non dovevano trattenersi, dovevano dimostrare ciò che sapevano fare. 
Finché la palla fosse stata in aria ed in gioco, senza aver ancor toccato il pavimento, la partita sarebbe stata ancora aperta ed ogni ribaltamento della situazione sarebbe ancora stato possibile.
Non avevano ancora perso, ma nemmeno vinto.
Erano sotto di diversi punti, il mantello era caduto a terra insieme allo scettro.
Ciò che restava era la sua corona, quella corona che gli conferiva tale titolo nobiliare.
Fu questione di poco… un allungamento di braccia, una spinta contro la palla e poi la caduta accompagnata da un rimbalzo ed un rotolamento.
Un fischio.
Era tutto finito.
Avevano perso.
La corona era caduta, insieme al suo regno. Sentiva la distanza aumentare, sentiva dentro la propria testa le urla del popolo che lo incitavano ad abdicare al trono, volevano il non ritorno del sovrano che li aveva portati alla sconfitta. 
Era come se si fosse formata una spaccatura tra le due estremità.
E lui non aveva più potere.
Non c’era nessuno dall’altra parte disposto a prendere la palla. Nessuno.
Solo uno c’era stato, in passato, che l'aveva aiutato a migliorare e a ridiventare un re – stavolta più benevolo.
Hinata Shōyō era il suo nome: lo stesso ragazzino che il re, alla prima partita del più piccolo, aveva sconfitto.
E quello stesso ragazzino, nonostante tutto, gli stava dando del filo da torcere. 
Questa, però, è tutta un’altra storia.