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Autore: Iaiasdream    24/09/2014    4 recensioni
Seguito di: A QUEL PUNTO... MI SAREI FERMATO
Rea, ormai venticinquenne, dirige il liceo Dolce Amoris, conducendo una vita lontanissima dal suo passato, infatti ha qualcosa che gliel'ha letteralmente cambiata... ma... come si soleva immaginare, qualcuno risorgerà dagli abissi in un giorno molto importante... cosa succederà?
Genere: Erotico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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Nel momento in cui ho gettato all'aria quell'urlo terrorizzato, il presunto aggressore, mi ha mollata facendo due passi indietro, permettendo di voltarmi con l'intenzione di colpirlo.
Per fortuna mi sono fermata in tempo, constatando che non si tratta ne di Armin, ne di un qualunque malintenzionato.
Dritta davanti a me, con le mani alzate, in segno di resa, e sul volto un'espressione più spaventata della mia, zia Michelle mi guarda, restando in silenzio, forse aspettando una mia mossa.
<< Z-zia? >> sospiro sollevata, e non nego che la voglia di piangere si sta facendo sentire.
<< È questo il modo di darmi il bentornata? >> esclama lei abbassando le braccia e poggiando le mani sui fianchi.
<< È questo il modo di presentarsi? >> ribatto con voce tremante.
<< Ma dove hai il cervello? E menomale che prima di saltarti addosso ti avevo chiamata...  >>
Non le do il tempo di continuare, che presa da una strana sensazione, lascio cadere la borsa sul prato e l'abbraccio, bloccandole il respiro. Lei è troppo esterrefatta per poter ricambiare il mio gesto. Infatti inizia a investirmi di domande.
<< Ehi Rea, ma che fai? Perché mi stringi in questa maniera? Non pensavo di esserti mancata in questo modo. Ma che fai? Piangi? >>
"Oh, zia! Non sai quante cose vorrei dirti, ma l'unica che posso è..."
<< Finalmente sei tornata >> sussurrò tra i singhiozzi.
<< Rea... >> sorride lei, condividendo finalmente l'abbraccio. E non appena le sue braccia mi avvolgono, finalmente riesco a sentire quella tanto attesa sicurezza. Allento la presa, appoggiando la testa sulla sua spalla, proprio quando facevo da bambina, nei momenti in cui ero triste e piangevo, e lei per tranquillizzarmi e farmi smettere di piangere, mi accarezzava sempre i capelli.
<< Ti è successo qualcosa, vero? >> chiede attuando quel famigliare gesto.
<< Mhm >> mormoro senza dare un senso a quel lamento.
<< Lo prendo come un sì? >>
Mi distacco da lei guardandola negli occhi << ...mi sei mancata tanto >> sussurro dopo un po'.
Entriamo in casa, mi accingo a preparare il pranzo, mentre lei rimane sulla soglia della porta a fissarmi.
<< Ho incontrato Rosalya prima di venire da te... Il suo matrimonio è dopodomani >>
<< Già, finalmente si sposa >> aggiungo con una voce quasi malinconica.
<< Etienne? >> chiede.
<< È ancora all'asilo. Esce tra qualche ora >>
<< Non vedo l'ora di vedere com'è cresciuto. Sai che poi dovrai raccontarmi, tutto quello che è successo durante la mia assenza >>
<< Sì >>
<< ...è cambiata molto questa casa >> mormora dopo un po' guardandosi intorno << Non riesco ancora a credere che l'avrei ceduta a te per abitare con Armin e il bambino, io ero sicura che l'avrei ceduta a te e Cas... >> si ferma dopo aver sentito un rumore provocato da me, che nel udire il nome di quel maledetto, ho involontariamente fatto cadere un piatto, rompendolo.
<< Rea... >> esclama venendo verso di me e chinandosi per raccogliere i cocci << la solita sbadata, ma dove hai la testa? >> chiede alzando lo sguardo per fissarmi. Sicuramente sta notando il mio fremito.
<< Rea,  cos'hai? >> chiede alzandosi e afferrandomi dolcemente un braccio.
<< Ti prego zia, non... Non nominarlo più >>
<< Cosa dici? Chi non devo nominare più? >>
<< Armin... >> sussurro, sentendo come se quel nome altro non sia che uno squarcio violento al mio cuore << Armin, non lo voglio più sentir nominare! >> urlo disperata, uscendo dalla cucina, e ritrovandomi inavvertitamente al piano di sopra.
<< Rea?!... Rea... >> continua lei seguendomi.
Ansimo, tossisco, mi asciugo nervosamente le lacrime dal volto, cerco di mantenere inutilmente la calma.
<< Rea, cos'è successo? >>
<< Quel giorno... Avevi ragione, zia. Io... Io avrei dovuto ascoltarti! >>
<< Di che stai parlando? >>
<< Quattro anni fa, quando portai qui Armin, dicendo che sarei stata con lui, tu mi dicesti che alla fine me ne sarei pentita... Avevi ragione zia! >>
<< Cos'ha fatto? >> chiede facendosi seria.
<< Io non ce la facevo più... Questa storia sta diventando troppo complicata per i miei sentimenti, i-io, non posso nasconderlo, all'infinito, non ce la faccio! >>
<< Cosa non puoi nascondere? >>
<< Lui mi ha... >>. No, che diavolo sto facendo? Non posso dirglielo, se anche una sola sillaba uscisse dalla mi bocca, lei lo andrebbe a dire a Castiel. Non deve saperlo, non deve saperlo nessuno. << I-io, ho lasciato Armin, perché... Amo ancora Castiel >>
Mia zia, strabuzza gli occhi, mentre io mi chiedo per quale motivo, anche ora, mi sono incolpata per una ragione sbagliata. Amo Castiel, ma non ho lasciato Armin per questo.
<< Ma... Etienne? >> chiede smarrita.
<< Etienne non lo sa ancora >> rispondo abbassando lo sguardo afflitta.
<< Perché l'hai lasciato? >>
Le racconto per filo e per segno, ciò che è successo da quando ha fatto ritorno il rosso, fino alla cena a casa sua. Lei mi ascolta in silenzio, e non appena metto un punto al mio racconto, la vedo avvicinarsi di più, abbracciarmi, distaccarsi e... Saltare come una bambina davanti un ninnolo, urlare di gioia e ridere.
Spalanco gli occhi e la bocca non sapendo cosa pensare e nemmeno cosa dire.
<< Sì, sì, sì, sì, sì!!! Finalmente!!! Ho fatto bene a ritornare qui! Altro che i Drama di mio marito!... Ora non resta che togliere di mezzo quella sciacquetta di Ginevra, con un bel divorzio e riprendere Castiel. >>
<< Zia, ma che stai dicendo? >>
<< Non preoccuparti nipotina mia! La zia è tornata anche per questo. Non ho mai potuto digerire Armin, e sentire che finalmente te ne sei liberata, non posso fare altro che gioire. Sì! >>
Scoppia in una risata quasi diabolica, e io... Io non posso fare a meno di condividere quella risata e ringraziarla nella mente, dato che mi sta facendo dimenticare il mio dolore.
Ma quel momento di gioia, io so perfettamente che non è altro che una breve folata di vento in quella giornata dove l'autunno preannuncia la sua fine. Infatti, non appena, l'orologio segna l'ora in cui devo accingermi ad andare a prendere Etienne, il mio cuore ha riaperto la porta alla sofferenza. Cosa gli dirò se chiederà di Armin, e come la prenderà? Queste domande mi assillano, mentre sono fuori al cancello dell'asilo ad aspettare che la campanella suoni.
Non me ne accorgo, solo quando lo vedo uscire, riprendo la percezione della realtà.
<< Mamma! Ma che fai lì impalata? >> mi chiede alzando la testa. Mi abbasso alla sua altezza, lo guardo con affetto, e non resistendo, lo abbraccio, stringendolo forte al petto, inebriandomi della sua presenza.
<< Mamma... Mi stai soffocando >>
<< Scusami, scusami >> sibilo senza farmi sentire.
<< Ma'! Non respiro! >>
Allento la presa e lo guardo in quei suoi occhi, che mi rendono sollevata.
<< Ma che hai? Hai combinato qualcosa? >> mi chiede guardandomi sottocchio. Sembra che sia lui il genitore e io la figlia.
<< No, avevo solo una voglia matta di abbracciarti >> rispondo scompigliandogli i capelli. Lui si divincola infastidito.
<< Ok, ma non mi soffocare la prossima volta >>
<< Ciao Etienne! >> esclama una bambina dai biondissimi capelli raccolti in un alto codino, con due occhioni verdi, che guardano mio figlio con affetto.
<< Ciao >> risponde lui indifferente.
<< Chi è? Una tua amichetta? >> chiedo divertita. Lui risponde con una smorfia.
 << Chi è? >> ripeto, ridendo.
<< Una che ho scaricato, ma che continua ad insistere >>
Senza accorgermene, i miei glutei toccano l'asfalto, mentre guardo esterrefatta mio figlio.
Menomale che in una storia esistono le descrizioni, altrimenti tutti i lettori avrebbero frainteso l'identità di Etienne, scambiandolo per una adolescente alle prese con la millesima fidanzata.
<< Sc-scaricata? Ma chi ti ha insegnato questa parola? >> chiedo scioccata.
La domanda esatta è: chi ti ha insegnato a scaricare le donne, per di più delle bambine di quattro anni! E subito inizio ad immaginarmi, come ci si possa sentire ad essere scaricate da un bambino a quella tenera età. Io devo trovarmi in un altro mondo. Questa è l'unica spiegazione.
<< L'ho sentito in televisione... E poi, a me non piacciono le bambine che si credono di essere le più belle solo perché hanno dei vestiti più belli, e trattano male quelle che non li hanno >>
Sorrido accarezzandogli la testa << Ben fatto >> sussurro << torniamo a casa? >>. Lui annuisce.
 Al ritorno, non appena zia Michelle l'ha visto, l'ha abbracciato, baciato e adulato. Etienne, non l'ha riconosciuta dato che quando lei se ne andò, lui era ancora piccolo, ma questo non è bastato per tenerlo a distanza da lei, anzi! L'ha portata in camera sua e hanno iniziato insieme a giocare, mentre io li ho ammirati per tutto il tempo cercando di allontanare la mia mente da quei pensieri, sapendo che non si cancelleranno così facilmente.
A sera dopo averlo portato a letto, mi sono messa accanto a lui, e in quel momento, le tanto ansiose ed attese domande hanno preso il posto di fine giornata.
<< Mamma, perché dormi con me? >>
"Non riuscirei a dormire in quella stanza, con il doloroso ricordo della sera prima"
<< Voglio stare con te >> rispondo con un sorriso.
<< Papà non è tornato? >> chiede ancora accovacciandosi al mio fianco.
<< No... Non penso che tornerà >> dico senza accorgermene. Lui alza la testa guardandomi.
<< Perché? >> chiede. Non rispondo, non so cosa dirgli. Allora lui continua << Non tornerà, perché avete di nuovo litigato? >>
Sfuggo dal suo sguardo, perché ho detto così? Lui è troppo piccolo.
Ad un tratto lo vedo abbracciarmi e poggiare la sua testa sul mio petto.
<< Mamma, il tuo cuore batte forte. Come quello di Castiel >>
Ricambio l'abbraccio, << Ti ha fatto sentire i suoi battiti? >> chiedo accennando un sorriso.
<< Sì, e mi ha anche fatto una promessa >>
<< Cosa ti ha detto? >> chiedo ancora chiudendo gli occhi.
<< Che lui ci sarà sempre, per me e per te >>
Riapro gli occhi di scatto, sentendomi mancare un battito, lui alza lo sguardo e mi guarda negli occhi.
<< Mamma io non so cosa voleva dire, però quando mi sono addormentato fra le sue braccia, mi sono sentito bene. Papà non mi ha mai tenuto come mi ha tenuto Castiel >>
Afferro dolcemente la sua testa, e la ripoggio sul petto, questa volta lo stringo forte, e lui mormora: << Mamma, non è vero quello, che ti ho detto all'asilo. Non mi stavi soffocando. Mi piace quando mi stringi. Promettimi anche tu che non mi lascerai mai >>
<< Io non ti lascerò mai Etienne, sei tutta la mia vita >>


La notte da vita al giorno, e i primi raggi del sole, penetrano le finestre illuminando il volto dormiente di Etienne. Sembra un angioletto,  con quei capelli corvini che gli coprono scompigliati la fronte liscia, e quelle ciglia lunghe che si stringono, infastidite dalla luce mattutina. Lo guardo con dolcezza e sorrido, portando un dito sulla sua guancia, accarezzandogliela. Ha la pelle più liscia di una pesca, e il colore roseo, lo rende bello come un cherubino. Lui è mio figlio, e mi sento appagata solo nel sapere che esiste.
Sento bussare alla porta, è zia Michelle.
<< Sei sveglia? >> mi chiese con un sussurro rimanendo sulla soglia.
<< Buongiorno zia >> rispondo alzandomi lentamente, facendo attenzione a non svegliare il bambino.
<< Devi andare a scuola? >>
<< Sì tra un po' >>
<< Accompagno io Etienne all'asilo >>
<< Ti ringrazio, zia >>
Usciamo dalla camera e ci dirigiamo al piano di sotto. Consumiamo il nostro caffè in silenzio, poi risalgo per prepararmi, ripasso dal bambino stampandogli un bacio sulla fronte e me ne vado.
Mi reco a scuola senza auto. Anche se fredda, ho bisogno di raccogliere tutta l'aria possibile per non sentirmi soffocare. La campanella dev'essere suonata, perché non c'è neanche l'ombra di un alunno in cortile. Beh, proprio nessuno, non direi, dato che davanti al cancello c'è una ragazza. La guardo con circospezione, poi fissando il colore dei suo capelli, ricordo di averla già vista. È la ragazza che ieri mi chiese se questo era il liceo. Ma che cosa ci fa di nuovo qui? Incuriosita, mi avvicino e preparo un gentile sorriso. Tossisco per catturare la sua attenzione. Lei si volta spaventata.
<< Buongiorno >> esclamo.
<< B-buongiorno >> saluta imbarazzata.
<< Serve qualcosa? >> chiedo incuriosita.
<< Assolutamente niente >> risponde gentile abbassando lo sguardo << mi scusi... >> aggiunge per poi andarsene. Rimango lì a fissarla per qualche istante poi chiamata da qualcuno, mi giro vedendo Nathaniel venire verso di me.
<< Ciao Rea >>
<< Ciao Nath, anche tu in ritardo? >> chiedo indifferente.
<< Sì, scusami, ma purtroppo mia sorella non mi da pace da ieri, sai per il matrimonio di Rosa... >>
"Già, mi chiedo per quale dannato motivo Rosa abbia invitato anche quell'arpia maledetta?"
<< ...chiuderai un occhio, vero Rea? >> chiede il biondino supplichevole.
<< Non preoccuparti Nathaniel >> rispondo sorridendo, riprendendo il cammino verso il portone del liceo.
Nell'androne, incontriamo Melody, che, non appena ci vede, inizia ad agitarsi cercando di non farlo notare.
<< Melody, cos'hai? >> chiede Nathaniel.
<< N-niente, c-cosa dovrei avere? >>
<< Sei pallida >> rispondo fissandola sottocchio.
<< È che... Non trovo delle carte, non ricordo dove le ho messe, e sarebbe meglio se le andassi a cercare >> risponde divagando, e allontanandosi. Saluto Nathaniel dirigendomi verso il mio ufficio. Non appena appoggio la mano sulla maniglia, sento un rumore provenire dall'interno, esito aggrottando le sopracciglia, poi apro. In piedi, davanti alla scrivania, l'immagine della persona che sto cercando come una forsennata di dimenticare, ritorna ad invadere la mia visuale.
Sento la saliva pietrificarsi in gola, mentre l'ira cerca di prendere il sopravvento.
<< Che diavolo ci fai qui? >> chiedo con voce soffocata, sentendomi le vene alla gola pulsare brutalmente.
<< Io, devo parlarti, Rea >> risponde lui, quasi disperato.
<< Non abbiamo più niente da dirci! >> esclamo stizzita entrando nell'ufficio e mettendomi al lato della porta. << Vattene! >> gli ordino, fissandolo con bieco.
<< Ti prego Rea, fammi spiegare, io... >>
<< Non nominare più il mio nome! Va via!! >>
<< Devi ascoltarmi! Ti prego, ascoltami, e poi me ne andrò >> dice avvicinandosi e allungando una mano verso di me.
<< Non azzardarti a toccarmi! >> esclamo allontanandomi da lui e dirigendomi verso la mia scrivania << Non voglio sentirti >> lui chiude la porta rimanendo fermo lì.
<< Ascoltami, io ho sbagliato, lo ammetto. Mi ammazzerei per questo, ma non ero in me. Avevo bevuto troppo e poi... >>
<< Forse non hai capito, Armin!... Delle tue fottute giustificazioni, io non me ne faccio niente. Ciò che hai fatto è imperdonabile, mi hai umiliata davanti i miei amici, mi hai fatta passare per una puttana! Come puoi pretendere che io ti perdoni? Mi hai violentata, cazzo!! >> urlo piangendo e portandomi una mano al petto. Lui si mette le mani al viso affondandolo nei palmi.
<< Perdonami, perdonami... >> sussurra singhiozzando.
<< Hai distrutto la mia dignità. E ora l'unica cosa che posso dirti è di sparire da ciò che mi rimane, sparisci dalla mia vita >>
<< No, non dirmi questo, ti prego >> esclama lui liberandosi il viso e mostrando quegli occhi di ghiaccio affondati nel rossore del pianto.
<< Non ti amo, non ti ho mai amato! Non ho mai avuto bisogno di te! >> continuo con disprezzo. Lui ritorna repentinamente serio. Abbassa la testa e sbuffa un sorriso tra le lacrime.
<< Ti sei solo servita di me... >>
Drizzo la schiena, volendo ribattere, ma lui continua il suo discorso << io ho sbagliato, e il solo rimorso di averti fatto del male, mi sta martoriando l'anima. Tu non vuoi perdonarmi giusto? Ti sei anche decisa di sputare la verità e cioè che non mi hai mai amato. Ho sbagliato io dall'inizio a volere da te l'impossibile, ma arrivato a questo punto, mi rendo conto che l'unica ad aver veramente sbagliato sei proprio tu, Rea >> afferma alzando lo sguardo e puntandomi quegli occhi che mi gelano il sangue.
<< Che stai dicendo? >> chiedo preoccupata, sapendo già la sua risposta.
<< Ricordati bene ciò che mi dicesti quattro anni fa... Chi deve preoccuparsi adesso? >>. Sgrano gli occhi spaventata, sentendo il cuore esplodermi in petto.
<< No, non puoi... >> sussurro atterrita. Lui sorride malinconico, non ha nessun aria  minacciosa nel suo sguardo glaciale. Non dice più nulla, esce dallo studio, lasciandomi sola con la più terribile delle paure che in tanti anni credevo di tenere al sicuro.


Ma durante la discussione, Rea, non può certo sapere, che qualcuno, dietro la porta ha ascoltato tutto.
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