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Autore: mormic    24/09/2014    4 recensioni
Effie ha estratto decine di nomi da quella boccia di vetro, ma i suoi unici vincitori, nonostante stiano partecipando alla loro seconda arena, sono stati estratti solo una volta dalle sue dita affusolate. Sono volontari. E questo dovrà pur fare la differenza. Una differenza che Effie dovrà affrontare come non avrebbe mai nemmeno sospettato.
E dalla sera dell'intervista di lei non si sa più nulla, fino alla fine, quando riappare provata e fragile.
Questa è la sua storia, mentre in tutta Panem è il caos della rivoluzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Plutarch Heavensbee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Grigio e Oro'
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CAPITOLO 11
 
Sento il cuore cercare di saltarmi fuori della gola.
Haymitch corre come un forsennato e mi si trascina dietro tirandomi per una mano di cui non molla le dita.
I miei tacchi mi impediscono di correre come vorrei, ma cerco di stare al suo passo, senza finire con il mento sul marmo lucido dei corridoi.
L’esplosione del cannone mi sta ancora facendo tremare le membrane dell’orecchio.
Ma anche questo fa parte dei giochi.
Lo sparo è un richiamo anche per chi è fuori.
Aggiorna il tabellone delle scommesse.
Ricalibra le attenzioni degli sponsor.
A volte manda a riposare qualche mentore.
Lo trasmettono in diffusione sonora per tutta Capitol, neanche fosse un richiamo al festino.
Per me è solo un colpo in pieno stomaco. Una corda stretta intorno al collo. Un artiglio serrato attorno al cuore.
Non sarei dovuta rientrare.
A casa non avrei acceso la televisione e non sarei stata costretta a mantenere i miei nervi ancora ordinati e al loro posto.
Adesso sarei a fare un altro bel bagno bollente, invece di correre a perdifiato sentendo la vita scivolarmi via soppiantata dalla paura.
Entriamo nel salone ancora mano nella mano, trafelati come due che hanno appena ricevuto una pessima notizia e ancora non l’hanno ingoiata del tutto.
Il primo sguardo va al tabellone.
Per non guardare nello schermo gigante, per il terrore di vedere uno dei nostri ragazzi martoriato da chissà quale diavoleria scattata in quel diabolico orologio.
Ma i nomi di Katniss e Peeta sono ancora in cima alla classifica.
Sono ancora lì, ancorati al primo e secondo posto, come niente fosse accaduto.
Sono salvi.
Sono ancora vivi.
Sento Haymitch cercare di recuperare il respiro accanto a me, mentre mi accorgo solo vagamente del sangue che ricomincia a fluire irrorandomi di nuovo i muscoli e dei polmoni che cercando di prendersi l’aria più lentamente.
La folla è ora tutta verso il maxischermo.
Centinaia di nuche reclinate leggermente all’indietro, che tengono fissi gli sguardi sui giochi. Una distesa di spalle immobili, in attesa di capire.
Lo stemma di Panem interrompe la diretta e da il segnale per il ragguaglio veloce.
Le immagini trasmesse parlano chiaro: l’uomo del distretto 10 si è tolto la vita tagliandosi a pezzi.
Da solo.
L’uomo di cui non ricordo il nome, anche ora che scorre a caratteri tridimensionali sotto le immagini ciniche, violente, montate appositamente per essere più forti, come fossero un film dell’orrore, accompagnate da una colonna sonora che fa alzare i peli sulle braccia, immagini che la regia, e qualche operatore particolarmente cinico, mandano in onda inesorabili, in un montaggio serrato dei momenti salienti della sua settantacinquesima edizione.
“Si è suicidato?” sento Haymitch domandare sconvolto, ancora con il fiatone, inclinato in una brutta direzione in cui forse riesce a non sentire il dolore alla milza.
“No. Lo ha ammazzato Caro Loeb” sento rispondergli dall’uomo di colore con cui prima stava parlando e da cui ha ottenuto una sponsorizzazione.
Il nome mi dice qualcosa, ma sto cercando rapidamente di ricordare quando Haymitch inizia a tossire, dapprima come se avesse un leggero fastidio in gola, poi come se cercasse di non soffocare.
Il nome scivola via assieme alla ricerca del ricordo e mi distraggo dalle immagini aiutandolo con qualche blando colpo sulle spalle che riescano a farlo respirare di nuovo.
“Caro Loeb?”
Non è una domanda.
Lo dice tra un colpo di tosse e l’altro, mentre guarda il pavimento piegato in due, attendo a parare l’assalto della tosse.
Ed improvvisamente ci sono.
La ragazzina più piccola mai entrata nell’arena.
Dodici anni il giorno della mietitura.
Distretto 12, ovviamente.
Non l’ho estratta io.
Io ero ancora una ragazza appena uscita dallo sviluppo.
Ventiseiesima edizione.
Il primo tributo femmina di Haymitch.
Coraggiosamente scappata alla carneficina del bagno di sangue iniziale.
Ultima vittima dei giochi prima dell’annuncio del vincitore.
Il ragazzo del distretto 10 era suo alleato.
Ma erano rimasti solo loro due.
E ancora non mi ricordo come si chiama il tributo.
Ho impressa nella mente solo l’immagine di quella ragazzina, il volto diviso a metà da un fendente di mannaia, che ancora lo guarda, come se fosse viva.
Eppure ci ha messo quasi un minuto a cadere a terra, morta.
Haymitch lentamente si rimette dritto e cerca di nuovo la mia mano.
Stavolta so per certo che non è per far sì che qualcuno pensi chissà cosa abbiamo fatto nello stanzino delle scope.
Stavolta so che se fossi una bottiglia lo preferirebbe.
Mi berrebbe tutta in un colpo.
Per zittire quel nome nella testa.
Per non ripercorrere in un colpo di tosse gli ultimi venticinque anni e dare un nome e un viso a tutti quei morti.
Ma, per uno di loro, il nome l’ho trovato io: Jonah Mcmahon.
L’uomo del distretto 10, appena ucciso dalla sua stessa vittima.
L’unica.
Jonah per vincere ha dovuto uccidere solo Caro.
 
Questi giochi sono una farsa.
È solo un'altra trovata di Snow per chiuderci la bocca per sempre.
Le alleanze sono inutili.
Le sponsorizzazioni non servono.
Da qui uscirà solo chi vorrà lui e sarà sicuramente un tributo del distretto 2.
I cagnolini fedeli.
Sempre pronti ad accontentare le nuove pretese.
Io adesso me ne vado di qui, in un modo o nell’altro, a costo di cercare a mani nude una via di uscita dal campo di forza.
Devo solo capire come funziona.
Haymitch l’ha usato come un elastico.
Dovrà pur avere un punto debole.
E se continuo a camminare, prima o poi ci arriverò.
Sempre se riesco a seminare quella maledetta ragazzina che mi segue da ieri pomeriggio.
L’ho vista, ieri, mentre si nascondeva dietro un albero e mi seguiva.
E adesso se ne sta di nuovo lì, qualche passo indietro, senza preoccuparsi di fare rumore.
Se mi vuoi seguire, stupida ragazzina, fa pure.
Io non mi fermo.
Non mi interessa se esci di qui con me.
L’importante è che non mi disturbi.
Questa arena non può essere grande all’infinito.
Prima o poi finirà e io riuscirò ad uscire.
Me ne vado da questo schifo di paese.
Dal distretto non si può uscire, ma se mi tolgo quel maledetto localizzatore, quando mi riacchiappano?
Si fottesse pure Haymitch con le sue idee rivoluzionarie.
Non siamo mai stati amici io e lui.
Da quando gli ho ucciso quella maledetta ragazzina.
E che dovevo fare? Farmi ammazzare quando ero riuscito ad arrivare alla fine?
Certo, per un attimo ci ho pensato.
Ma giusto un attimo.
Poi mi sono accorto che avevo smesso di respirare da quando ero salito sul treno per Capitol e avevo ricominciato solo al colpo di cannone dell’ultimo tributo andato in gloria.
E se ricominci a respirare non vuoi smettere.
Si, l’ho ammazzata. E allora?
Che dovevo fare? Aspettare che risolvesse la situazione il meraviglioso stratega che aveva ideato quell’arena?
Che il presidente facesse il pollice verso con una mano e con l’indice dell’altra indicasse me?
Ho fatto quello che dovevo, ragazzina.
Smettila di seguirmi.
Smettila di seguirmi o ti affetto di nuovo.
E no. Non sei mai nei miei incubi.
Tu non sei niente.
Sei solo una stupida che mi segue ovunque vada.
Non sei lei.
Lei è morta.
È lei che si è piazzata nei miei incubi e non mi lascia da ventiquattro anni.
Lei non è come te.
Lei ha il viso diviso a metà.
E tu sei tutta intera.
Sono io che l’ho spaccata.
Lo so bene.
Non avvicinarti.
Ho da fare qui.
Ho sete e non sono riuscito a trovare una maledetta goccia d’acqua, dopo aver trovato quella foglia piena di rugiada ieri pomeriggio.
Ah, no. Vero.
Ne ho trovata una anche poco fa.
Quasi non mi sono accorto di aver bevuto.
Maledetta arena.
Che caldo.
E con te che mi segui da ieri, sudo ancora di più.
Mi fai caldo.
Ma perché non ti vai a fare un giro da qualche altra parte?
Sono quasi arrivato, lo sento.
Non può essere infinita questa arena.
Prima o poi vedrò il campo di forza e allora comincerà il lavoro.
Ecco, vedi?
Eccolo lì.
Lì gli alberi sembrano finti.
Guarda quello, quello lì a destra. Ha solo metà tronco.
Eccoci arrivati.
Ah, ti avvicini, eh? Vuoi uscire pure tu?
Bè, ragazzina, se credi di farmela sotto gli occhi ti sbagli di grosso.
Ora ti faccio vedere.
Ecco qui.
Questa l’ho presa, altro che il bagno di sangue.
Si fottessero tutti.
La mia mannaia non la tocca nessuno.
Stai lontana di ho detto!
Io adesso faccio un bel buco qui e mi sfilo questo maledetto localizzatore.
Ecco qui.
Nessun dolore.
La ferita si rimarginerà.
Sta lontano!
Non ti voglio qui!
Vattene!
Va’ via!
Sei troppo vicina.
Ma io ho la mia mannaia.
Se ti avvicini ancora ti ammazzo, lo giuro.
Io voglio uscire vivo di qui.
Ferma!
Guarda, lo vedi?
Eccolo li.
Un minuscolo puntino instabile.
Lo vedo.
Accanto al tronco a metà.
Tu lo vedi?
Ragazzina?
Ragazzina, dove sei?
Dovrei essere piccolissimo per entrare lì dentro.
Devo farmi venire un’idea.
Hai ragione ragazzina.
Dovrei essere alto quanto te, sottile come un ago e passerei come un punto di cucito.
Hai ragione ragazzina.
Grazie.
Grazie mille.
Adesso ci penso io.
Ehi, ragazzina.
Le somigli.
Sei come Caro, ma non sei spezzata.
I tuoi occhi sono separati solo dal naso.
Mi dispiace, ma devo lasciarti qui.
Ehi. Che fai?
No.
Va’ via, ti ho detto.
Non avvicinarti.
Nooooooo!
 
Guardo, con gli occhi strabuzzati, Jonah cercare di divincolarsi.
Quel suo parlottare, costantemente, come non riuscisse a contenere i pensieri senza dar loro un suono, ha ricreato la sua ossessione.
Ha bevuto la rugiada, non sapendo che alle sei, per chiunque in quel settore, si materializza qualcosa da bere, qualcosa dal sapore dell’acqua, ma che contiene un potente allucinogeno.
Ha avuto ventiquattro ore di visioni che lentamente hanno preso realmente forma, come se le sue parole ricreassero fisicamente le follie della sua mente drogata.
Ed è apparsa Caro.
Ha vagato senza meta all’interno dello stesso settore per un giorno intero.
Senza arrivare da nessuna parte e senza uscirne mai.
Impazzendo lentamente. Guardando l’ibrido di Caro prendere forma sotto i suoi occhi, fino a quando non l’ha riconosciuta e lei non lo ha abbracciato.
È stata la scena più disgustosa e terrificante che abbia mai visto.
Con la mannaia in mano, per cercare di divincolarsi, si è fatto a pezzi da solo, senza neanche sentire dolore.
Come se una gigantesca bestia lo avesse fatto a brandelli.
L’artiglio per il recupero del cadavere è dovuto scendere cinque volte al suolo per ripescare tutti i pezzi.
Haymitch è sulla poltrona rossa, la stessa che poco prima l’ha visto acceso di un fuoco quasi sconosciuto, ora lo tiene seduto, mollemente, dondolando, riverso in avanti, sperando insieme a me che non gli vomiti addosso, nel tentativo di liberarsi di quei ricordi dilanianti che lo stanno tormentando.
Siamo in disparte.
E spero, per una volta, che tutti credano che sia ubriaco fradicio, anche se il drink che ci hanno portato è ancora intatto sul tavolino.
“Hay, ti prego” gli sussurro.
Non deve farsi vedere così.
Non può.
“Va via, bionda. Voglio attaccarmi a del whisky e mandare a farsi fottere questo lavoro di merda” mi dice.
Osservo i capelli che gli coprono il viso oscillare davanti le sue parole.
“Non ci penso nemmeno” dico sbrigativamente.
“Vattene, Effie. Ti prego” mi dice.
“Stai… piangendo?” domando più sconvolta che se stessi guardando di nuovo Jonah che si ammazza.
“No, è un nuovo sistema di lavaggio automatico del viso. Lasciami in pace e vattene” mi risponde sarcastico e antipatico come se davvero avesse tracannato chissà quante bottiglie.
“Siamo una squadra. E qui tutti credono io sia la tua amante. Non me ne vado finché non mi metti una mano sul culo e festeggi con me il fatto che Katniss e Peeta siano ancora vivi. Perché per quanto tu ti senta inutile, colpevole, martoriato, privato della tua dignità, ti devi ricordare che sei l’unico mentore che ha fatto sopravvivere entrambi i suoi tributi nella stessa edizione. Che adesso hai il compito di proteggerli di nuovo. Che quei due ragazzi hanno bisogno di te, perché hanno sempre avuto milioni di speranze più di tutti gli altri che hai, che abbiamo, accompagnato. Sono dieci anni che ti seguo, che estraggo dei maledetti foglietti, che declamo con il sorriso i nomi di morti. Siamo una squadra, Haymitch Abernathy e tu non mi mollerai proprio ora” dico.
E senza pensarci più, zittendo il mio torrente in piena, gli alzo la testa con una mano e lo bacio, fregandomene di dove siamo, lasciando lui più stupito di tutti gli altri nella sala, che forse neanche ci hanno visti.
Il suo viso è stretto tra le mie mani e non gli permette di allontanarsi.
È la prima volta che lo bacio di mia iniziativa.
Ed è l’unico bacio che sento mio.
Non so veramente perché diamine glielo stia dando, ma so per certo che è stata una buona idea, forse l’unica che l’avrebbe strappato all’autocommiserazione distruttiva.
Le sue mani afferrano di nuovo entrambe le barre d’acciaio sotto la mia sedia e mi attrae tra le sue gambe, affinchè il nostro bacio non sia solo un contatto tra bocche, ma l’adesione di due corpi seduti.
Adesso ce le ho tutte e due le sue mani sul culo.
Ha le mani grandi.
Sono calde.
“Cazzo, Effie. Sai essere davvero convincente, quando vuoi” dice aggrappato ai miei occhi con tutte le nuvole dei suoi.
“E spero di essere stata sufficientemente chiara. Una squadra, Hay. Io vado a sbrigare le mie faccende e tu occupati delle tue. E porta il tuo broncio dove sai e quando sai, così che io possa strapazzarlo ancora, almeno per questa notte”.
Oh.
L’ho detto a voce alta.
Il nostro gioco deve essere il più realistico possibile.
Hunger Games. Una squadra. Due nell’arena. Due fuori. E creare coppie di sventurati amanti è il nostro mestiere.
Caccio via l’immagine nauseante di Jonah con la mannaia e mi concentro su ciò che dovrò fare stasera.
Mi alzo. Mi sistemo la gonna longuette. Tiro i bordi della mia giacchetta corta.
Uh. Che cosa carina. Sono vestita anche io con un tailleur grigio.
Io non lo indosso mai il grigio.
Si, siamo decisamente una squadra, ora!
Haymitch mi segue con lo sguardo mentre faccio tutto questo, compreso rendermi conto del colore del mio vestito, e rimane seduto, con un sorriso sbieco tra la barba incolta.
Mi volto per andare.
Ed è allora che sento la sua mano afferrare la mia e tirarmi sulle sue ginocchia.
Cado all’indietro e lo guardo.
Qualcosa nel mio stomaco pulsa fastidiosamente.
È impossibile che qualcuno non abbia notato… questo.
“Contaci, bocca di baci” mi dice, affogando il suo viso nel mio.
Ecco fatto. Mi toccherà ripassare da casa e fare una doccia gelata.
 
 
Eheheheheh rimaniamo un po’ tutti così, con l’immagine di Haymitch e Effie piuttosto occupati in qualcosa che non è proprio lavoro ;)
Spero che questo capitolo riesca a rendere e che esprima al meglio le mie strampalate idee, a volte è piuttosto faticoso, ma sempre divertente!
Anche se credo arriveranno belle batoste!
Come al solito ringrazio Vale&Vale che con le loro parole riescono a darmi sempre la giusta spinta per non mollare ;)
Spero a presto
Mor
   
 
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