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Autore: cliffordsjuliet    24/09/2014    5 recensioni
Ci sono storie che iniziano lentamente e si evolvono man mano.
E poi ce ne sono altre che, invece, iniziano solo finendo.
***
“Non dirò addio a nessuno, prima di andare via. Non saluterò i miei genitori, e nemmeno Jamie, né tantomeno Rebecca, l’unica amica che abbia mai avuto. Dire addio a qualcosa è il primo passo per imprimertelo dentro, e questa è proprio la cosa che voglio evitare.
Dimenticherò tutto.
Dimenticherò tutti.
Dimenticherò questo posto, Lui, e pure me. Che se mi scordo lui inevitabilmente scordo anche me stessa, che tanto non c’è differenza.
Siamo uguali da far schifo, Ashton, ma qualcosa di diverso lo abbiamo: io ricomincerò.
Tu no.

***
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=B29uqGz-sL4&feature=youtu.be
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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A dieci anni Ashton era un bambino pelle e ossa, più basso di molti suoi coetanei e decisamente più debole.
A dieci anni io sarei potuta passare per una bambina quasi graziosa, se non fosse stato per i miei capelli sempre in disordine e i vestiti di seconda mano imbrattati di polvere e fango.
A tredici anni Ash era cresciuto, ora era di media statura, si era irrobustito. Aveva ripreso colore con il passare degli anni, i capelli si erano infoltiti, sorrideva anche di più.
A tredici anni io, qualsiasi bellezza avessi avuto da bambina, l’avevo persa. Lo sapevo che non ero come le mie coetanee, che già cominciavano a svilupparsi e parlavano costantemente di assorbenti e reggiseni. Io a tredici anni il reggiseno ancora non lo mettevo, perché tanto non ne avevo bisogno, e non avevo mai perso neanche una goccia di sangue. Ero più alta di tutte le mie compagne, e più brutta. Sapevo che le mie clavicole erano troppo sporgenti, così come le scapole e le anche; non mi piaceva poter contare le mie costole, né tantomeno il fatto che tra le gambe ci passasse un treno, per quanto erano magre.
Invidiavo le altre ragazze, e anche Rebecca.
Lei a tredici anni era, se possibile, ancora più bella. Il fisico da bambina stava lentamente cedendo il passo ad uno più maturo, e tutte le sue rotondità stavano lasciando il passo ad una spigolosità prettamente adolescenziale, senza però perdere la morbidezza e la delicatezza dei tratti.
Io vedevo come i ragazzi guardavano la mia amica e la invidiavo, a me non guardava nessuno. Se poi era Ashton a lanciarle certe occhiate sognanti, allora m’imbestialivo sul serio: lo prendevo da parte per ricordargli di starsene al posto suo, e il più delle volte le prendeva anche. Non si ribellava mai, Ashton, lasciava che facessi di lui quello che volevo. Si lamentava per un po’ e poi stava zitto, tornava da me con la coda tra le gambe, come se fosse stato lui quello a sbagliare. Veniva da me e tutto tornava come prima, e Ashton rimaneva sempre più solo, e la colpa era solo mia, ma me ne facevo una ragione. Pensavo che io gli sarei bastata. Io che avevo condiviso con lui la casa, la famiglia, il letto. Che lo avevo stretto quando faceva gli incubi, che lo avevo odiato e poi apprezzato, arrivando a volergli bene come nessun altro sapeva fare. Io che, inconsapevolmente, lo stavo spegnendo nella morsa di quel rapporto soffocante che stavamo instaurando.




A metà giugno di quell’anno nel quartiere giravano nuove voci.
Dicevano che fosse arrivato un nuovo occupante. Andrew, si chiamava, ed era uno che per vivere faceva il pusher e, ogni tanto, tirava di boxe. Questo dicevano, e noi ci credevamo, non ci sembrava neanche tanto strano. Ad Ashton e Jamie la notizia era entrata in un orecchio e uscita dall’altro, non ci avevano fatto neanche tanto caso, avevano continuato ad andare avanti come se niente fosse cambiato. Io no. Io continuavo a crogiolarmi in un’idea malsana nata in un pomeriggio di poco tempo prima, che non avrei potuto condividere con nessuno. Neanche con Rebecca che, ormai, passava più tempo ai quattro palazzi che a casa sua. I genitori sapevano che ‘dormiva da Beth’, e che Beth aveva una casa nella campagna al di fuori di Melbourne. Roba da ricchi, da signori.
Io la campagna non l’avevo neanche mai vista e la mia, di casa, non era di certo quella che si sarebbe definita un’abitazione da signori, ma andava bene così. A Rebecca piaceva stare lì, diceva che ormai quel posto le era entrato dentro insieme alla polvere delle sue strade, ed era inutile cercare di tornare indietro. Era cambiata anche lei, nel corso del tempo. A stare tra di noi il suo sguardo si era fatto più consapevole, i suoi discorsi più profondi, il suo carattere più duro. Venire a contatto con la nostra realtà l’aveva spinta a creare la propria scorza resistente. Lei diceva che i palazzi erano un posto molto più vero del “mondo di fuori”, che lì imparavi cos’era davvero vivere, che la vita non è tutta rose e fiori e non è nemmeno scontata. Magari il giorno prima ci sei, e il giorno dopo non più. Aveva trovato i propri parenti dopo parecchie ricerche, ci si era impegnata ed io l’avevo aiutata, fino a quando non era arrivata alla verità. Quella che doveva essere sua nonna era una donna sui cinquantacinque anni che avevo visto poche volte. Rebecca si era presentata alla sua porta con il cuore in gola e, quando aveva bussato, alla donna erano bastati pochi attimi per fare due più due e riconoscere la nipote, portandosi le mani alle labbra in un gesto istintivo. Aveva stretto Rebecca in un abbraccio infinito, scoppiando in lacrime.
Ashton ed io c’eravamo stati, quel giorno. Ci guardavamo a disagio e non dicevamo niente, e cosa avremmo dovuto dire? Ci sentivamo inadeguati entrambi allo stesso identico modo. A guardare certe scene ti viene naturale porti la domanda fatidica: ed io? Io chi sono?.



Era luglio quando mi decisi a prendere coraggio.
Dissi a mia madre che uscivo a fare un giro per conto mio, che di stare in casa non ne potevo più. C’era un caldo asfissiante e poi anche l’atmosfera era pesante. Papà stava avendo problemi con il lavoro e questo poteva significare solo una cosa: tirare la cinghia. Non ci lamentavamo mai, noi, facevamo il nostro senza fiatare. Ci ribellavamo solo a volte, quando nostra madre veniva a farci la predica dicendo che avremmo dovuto ringraziare per tutto quello che avevamo, invece di avere sempre quei musi lunghi. Allora ci ribellavamo, e partivano le urla, gli schiaffi, porte sbattute e rabbia malcelata. Ringraziare per cosa, io non lo avrei capito mai. Per quel palazzo sudicio, per i vestiti di seconda mano? Per vedersi isolare dalle altre persone, neanche fossimo lebbrosi?
Quel giorno scappai via prima di potermi ritrovare a discutere con mia madre per l’ennesima volta.
Sulle scale del palazzo trovai Ashton, era seduto a terra, rannicchiato. Tremava tutto ed era sull’orlo delle lacrime. Mi sentii male, a vederlo così. Interruppi la mia fuga per fermarmi vicino a lui, mi sedetti.
“Oh, Ash. Che hai?” gli chiesi, scuotendolo piano.
“Vai via, Beth” rispose lui in un singhiozzo. Mi fece rabbia quella richiesta mascherata da ordine, ma non infierii.
“No, non vado. Tu ora mi dici cos’hai” replicai nuovamente, con quanta più gentilezza riuscii a mettere insieme, ma con decisione. Non avrei mai potuto prevedere la sua reazione.
“Cazzo Beth, ti ho detto di andare via! Per una buona volta smettila di essere così scassa palle e fatti i cazzi tuoi!” scattò, alzandosi in piedi e guardandomi con rabbia. Mi sentii gelare. Il suo tono era così duro, così definitivo, che non fece altro che aumentare la mia rabbia. Lo guardavo e provavo solo odio, odio e pena. Che era un bambino che giocava a fare il duro, lui, ma aveva bisogno di me per reggersi in piedi, era cresciuto attaccato a me come un rampicante, io avevo in mano il potere di fargli davvero del male. Eppure lui aveva il coraggio di scacciarmi, di fare finta che non fosse vero, di fare finta di avere il controllo della propria vita. Mi fece pena, in quel momento. Mi alzai anch’io, gli rivolsi la mia occhiata peggiore, cercai di imprimerci dentro tutta la mia rabbia.
“Sai cosa? Hai ragione, devo farmi i cazzi miei. Non venire più a piangere da me per i tuoi problemi, moccioso” sputai fuori glaciale, senza abbassare neanche per un attimo lo sguardo. La sua decisione vacillò, lo vidi, e pensai che fosse una persona fottutamente debole, e che io gli facevo solo del male. Lo pensai, ma non dissi niente. Aspettai che fosse lui a parlare.
“Ecco, brava, vedo che hai capito. Vai a rompere da qualche altra parte” disse, prima di girare i tacchi e scendere verso il suo appartamento. Quello dove non metteva piede da giorni, perché ormai stava sempre a casa mia. Quello dove per i primi tempi dopo l’abbandono non era riuscito ad entrare, perché era troppo pieno di ricordi, di dolore.
Sentii con chiarezza la porta che sbatteva con un tonfo secco, prima di risvegliarmi e riprendere a scendere le scale pericolanti, meno decisa di prima.
Io lo sapevo l’effetto che mi faceva, Ashton.
Mi faceva sentire cattiva.
Ed io non sopportavo quando la gente aveva ragione.





#Chiara's corner
Hey there people! Dai, nonostante i problemi con la scuola sto aggiornando abbastanza presto, sono passati appena quattro giorni! Ho scritto questo capitolo un po' di fretta e furia stamattina, mentre gli altri completavano il test d'ingresso che io avevo già finito, quindi non so cosa ne sia uscito davvero. Ho ricopiato sul computer ma non ho avuto la testa di controllarlo, credo che lo farò stasera però. Penso sia abbastanza obbrobrioso, ma mi serviva così com'è, perché dal prossimo le vicende si faranno.. come dire, parecchio movimentate. Nel quarto capitolo ci sarà anche molto riguardo Ashton/Beth (non ho ancora un nome per la bromance e odio questa cosa), quindi prometto che mi farò perdonare(:
Nel frattempo, parliamo di altro. 6 recensioni al secondo capitolo? No, sul serio, io vi amo. Non mi aspettavo che questa storia potesse avere un decollo così positivo, quindi davvero grazie mille di tutto. Prometto che entro stasera risponderò a tutti! Scusatemi davvero per il ritardo.çç
Detto ciò, vi lascio con un forte abbraccio come al solito!
Con affetto,
Chiara.xx

 


Okay, ho APPENA notato che siamo secondi tra le popolari, settore Multicapitolo Brevi con più parole per recensione positiva. Io.. oddio, non so cosa dire, sto tipo sclerando/saltellando/gioiendo e non so, sono così felice! Non so come dirvi grazie davvero, oddio!


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