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Autore: Defective Queen    05/10/2008    0 recensioni
Due ragazze, con diverse personalità e passato, si incontrano e diventano amiche, anche se sono entrambe due bugiarde e il loro rapporto non è mai quello che sembra.
Kate è straordinariamente bella, viziata, popolare con il sesso opposto e la reginetta (solo apparentemente) superficiale della scuola. Si dimostra gentile e amichevole con tutti, ma in realtà cova dentro di sè rancore verso gran parte delle persone e una glaciale freddezza nei rapporti umani. Roxanne ama disegnare ed essere eccentrica. Imbranata, testarda e sensibile, appena trasferitasi dalla Florida conquista al primo colpo tutti gli amici di Kate, e quest'ultima non può fare a meno di sentirsi minacciata dalla sua crescente popolarità.
Una volta che Roxanne entra nella sua vita, però, Kate cerca più di ogni altra cosa di continuare ad odiarla, ma i suoi sforzi ben presto si rivelano vani.
Questo, e molto altro, è "Beauty is the Beast".
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29 aprile

 

29 aprile

 

 

Se c’è una cosa che finalmente ho imparato è questa: non fare mai previsioni azzardate, la realtà riuscirà sempre a stupirti con qualcosa di totalmente opposto. O per lo meno, questo è quello che è capitato a me, oggi.

Ma andiamo con ordine, racconterò tutto dall’inizio.

La giornata scolastica è stata davvero infernale. Dopo il mio rifiuto pubblico a Jason, proprio a conferma della mia teoria masochistica sugli uomini, tutti quelli che se n’erano restati a guardarmi da lontano, desiderosi di invitarmi al Gran Ballo, ma troppo codardi per farlo, sono usciti allo scoperto.

“Se ha rifiutato Jason, potrebbe prendere in considerazione me”, forse questi sono stati i pensieri di tutti i coraggiosi che hanno avuto l’ardire di avvicinarmi.

All’inizio non è stato difficile evitare i più timidi: visto che avevano a malapena la voce necessaria per pronunciare il mio nome, ho fatto finta di non sentirli affatto.

I più audaci, invece, hanno osato superare il muro delle Gallinelle attorno a me, ma si sono dovuti tirare indietro, una volta incontrato il mio sguardo omicida.

Jeff e Mike, gli unici che avrebbero potuto avvicinarmi, d’altra parte, sono stati frenati dalla folla che mi accerchiava. Al termine delle lezioni, mi toccava quasi correre, onde evitare che nei corridoi si accalcassero troppe persone.

Affrontare il tragitto sino all’aula di spagnolo, all’ultima ora, è stata una delle cose peggiori che mi siano mai capitate. Le Gallinelle erano impegnate con il loro corso di arte e quindi il muro umano che mi porto sempre attorno era venuto meno.

Inseriti nella folla c’erano Tom, Larry, Phil, Chris, persone con cui esco di solito, o che incontro alle feste. Persone con cui mi intrattengo, gente con cui scherzo. Eppure, nonostante ciò, loro erano persino più accaniti degli altri ragazzi, nella loro opera di inseguimento alla sottoscritta.

Quando mi sono ritrovata circondata, allora, ho cercato di sgusciare verso destra, rifugiandomi temporaneamente dentro il bagno delle ragazze per aspettare che andassero via. Spingendo un po’ di persone, evitando le manacce di quelli che cercavano di trattenermi, urlando a due secchioni di levarsi di torno, ho raggiunto il mio obbiettivo.

Ho chiuso freneticamente la porta dei servizi igienici, prima che potessero raggiungermi e mi ci sono appoggiata contro, esausta.

Speravo vivamente che se ne andassero, ma questo non è ciò che è accaduto, in realtà.

Ho sentito dapprima dei mormorii e poi un grande urlo è risuonato nei corridoi: «KATE TI PREGO, ESCI DI Lì! VIENI AL BALLO CON NOI!»

No, dico, ma stiamo scherzando? Come potrei mai andare al ballo con più di quaranta persone contemporaneamente?

Ed è stato così, allora, che ho capito quale fosse il loro vero scopo: farmi a pezzi, in modo che ciascuno di loro avesse una parte di me e potesse dire di essere andato al ballo con Kate Hudson.

Orribile!

Quando hanno iniziato a sbattere i pugni contro la porta a cui ero appoggiata di schiena, ho iniziato a sudare freddo.

«Ma cosa sta succedendo?»

La vocina di Roxanne Miller, appena emersa da una delle cabine della toilette, mi ha fatto sussultare. Lei era lì, in una delle sue felpe extra large, con un’espressione perplessa in viso, tranquilla come non mai. Io, d’altra parte, ero sull’orlo di una crisi di nervi, avevo tutta la camicetta stropicciata dalle mani di quei fanatici che cercavano di toccarmi come se fossi una reliquia, il trucco totalmente disfatto e una voglia matta di uccidere qualcuno.

Kate Hudson, colei che ha sempre proseguito a testa alta in tutta la sua vita, costretta a nascondersi nel bagno delle ragazze, per sfuggire ai suoi inseguitori!

A dire il vero, la situazione poteva apparire palesemente comica, ma per me che c'ero dentro fino al collo, non lo era affatto.

Ho guardato Roxanne con un’espressione annoiata. C’era d’aspettarsi che, di tutti i momenti in cui avrebbe potuto fare la sua comparsa, lei avrebbe scelto il peggiore.

Tutto sommato, però, preferivo di gran lunga la sua presenza, a quella dei miei fan scalpitanti lì fuori.

Non ho risposto alla sua domanda, ma i cori da stadio che inneggiavano: «KATE! KATE! KATE!», devono averle fornito abbastanza indizi a riguardo della questione.

L’ho vista tendere l’orecchio per cogliere quegli urli disumani, notevolmente attutiti dalle pareti della stanza, per poi mormorare un flebile: «Oh.»

“Beata lei”, ho pensato malinconicamente, “E’ così facile per lei liquidare l’argomento!”

«Cosa hai intenzione di fare?», mi ha chiesto dopo pochi secondi di silenzio, strofinandosi le mani sotto il getto d’acqua del lavandino.

«Non ti pare ovvio?!», le ho risposto un po’ alterata, «Me ne resterò qui. Sempre meglio che andare là fuori!»

Roxanne si è girata a guardarmi. Mi ha scrutato con espressione pensosa per un po’, mentre io le restituivo lo sguardo incuriosita, e poi si è illuminata.

«Ho trovato! Lascia fare a me!», ha detto entusiasta, prima di dirigersi verso di me, ovvero verso la porta.

«Fammi uscire», è stato il suo ordine.

«No! Vuoi vedermi morta?! Entreranno persino nel bagno delle donne, se solo gliene diamo l’occasione!»

«Andiamo, non succederà. Fammi uscire.», mi ha risposto, seccamente.

«Ma sei pazza?! Guarda che io non ci tengo a farmi fare a pezzetti! E quelli potrebbero fare a pezzi anche te! Sono talmente inferociti che non ci distinguerebbero nemmeno e ti assalirebbero seduta stante!»

Lasciandomi letteralmente basita, Roxanne è scoppiata a ridere.

«A pezzetti?! Non sono mica dei cannibali!», ha mormorato tra le risate.

Io mi sono battuta la fronte con una mano, in un gesto di rassegnazione.

«Capisci almeno di cosa sto parlando? Questa è una situazione seria, estremamente seria! E non ricominciare a ridere!»

Le mie proteste sono state inutili, tuttavia.

«Ok, ho capito.», ha replicato in un modo per niente convincente, camuffando un'altra risata con un colpo di tosse, «Troverò il modo di liberarti di loro, ma tu devi farmi prima uscire.»

«NO! NO! NO! Ho capito cosa hai intenzione di fare! Adesso te ne tornerai in classe, così da non essere in ritardo per la lezione, mentre io dovrò restarmene sola qui ad affrontare quella mandria di bufali impazziti! E’ tutta colpa loro, dannazione!»

Ridacchiando, Roxanne ha risposto: «La regina non può essere tale, senza i suoi sudditi.»

Sul momento, confusa, irritata e arrabbiata com’ero, non riuscivo proprio a capire cosa intendesse dire. Era solo uno dei suoi soliti sproloqui senza senso; ci ero abituata ormai.

«Fammi uscire. Ti prometto che non scapperò a lezione, senza prima aiutarti.»

Certo. E io avrei dovuto crederle? Mi credeva così stupida? Sapevo benissimo che oltre la facciata da buona samaritana, era una doppiogiochista. Avrebbe potuto prendere in giro chiunque, ma non la sottoscritta. Io conosco la sua vera natura: lei è una bugiarda, una calcolatrice, una manipolatrice quanto me, non ci sono dubbi. Ne ho avuto l’ennesima conferma, guardando quei suoi grandi occhioni blu che ispirano tenerezza a tutti.

Io, però, non ci ho visto tenerezza lì dentro, ma solo un abisso infinito, oscuro, pericoloso, ignoto.

Un brivido mi ha attraversato la schiena.

«Tu non vai da nessuna…», ho fatto per dire, ma lei mi ha interrotta prima che potessi continuare.

«Fidati di me», queste sono state le sue semplici parole, prima di afferrarmi delicatamente il polso, sciogliendo la mia presa sulla maniglia della porta.

Senza riuscire a parlare, mi sono fatta da parte, mentre lei usciva fuori. Una volta che Roxanne si è trovata all’esterno del bagno, tutti i mormorii dei ragazzi sono cessati. C’era un silenzio colmo di aspettativa.

Ho sentito la voce di Roxanne, provenire ovattata al di fuori dell’uscio.

«C’è qualche problema, ragazzi?», ha domandato, simulando una perfetta innocenza.

Era bravissima a fingere, ne ero certa, nonostante non potessi guardare direttamente la scena.  L’ho sempre saputo.

Uno dei tizi tra la folla le ha chiesto, titubante: «Ehm…C’è Kate Hudson lì dentro, vero? Puoi dirle di uscire? Ci basta che scelga solo uno di noi, ma deve scegliere! Non può lasciarci così! Deve darci una risposta, non trovi che sia giusto?»

Qualcun altro tra i presenti si è aggregato al ragazzo, ripetendo più volte «E’ giusto».

Se solo avessi saputo chi fossero, la mia vendetta nei loro confronti non avrebbe tardato ad arrivare!

Roxanne ha continuato con la sua recitazione e si è finta sorpresa: «Kate Hudson?», ha domandato, «Ah sì! A dire il vero l’ho vista!»

Il sangue mi si è gelato nelle vene.

“Non è possibile, non è possibile, non è possibile”, continuavo a ripetere nella mia testa.

Quella piccola arpia mi aveva tradito! Aveva gettato via la sua maschera!

Niente più menzogne, adesso si giocava sul serio. E io ero nei casini, peggio di prima.

Ho giurato a me stessa che me l’avrebbe pagata. L’avrei fatta urlare di dolore, l’avrei derubata di tutto ciò a cui teneva, avrebbe imparato cosa significa affrontare Kate Hudson.

Poteva anche essersi aggiudicata il primo punto, ma non avrebbe vinto la partita.

Quella che vince sono solo e sempre io.

Adesso, però, vendette, odio e rivincite, dovevano aspettare. Tra pochissimi secondi i bestioni avrebbero superato la porta e mi avrebbero presa. Mi sentivo come un topolino in trappola, e, proprio come un topolino in trappola, attendevo trepidante il momento della resa dei conti.

Alle parole di Roxanne, la mandria si è infiammata.

«E’ lì, allora? KATE! KATE! KATE!». I cori da stadio sono ricominciati.

«Beh, a dire il vero, Kate era in bagno fino a qualche momento fa…ma poi è scappata via dalla finestra, prima ancora che potessi chiederle dove andava.», ha concluso Roxanne.

Che cosa?!

Faceva tutto parte della sua bugia?

«Quindi è andata via? No! Non è possibile!», si è lamentato uno di quelli che prendeva la parola più spesso.

«Beh, io l’ho vista arrampicarsi in tutta fretta verso la finestra con i miei occhi, te lo posso assicurare, non sapevo nemmeno che fosse così agile, a dire il vero!», ha insistito Roxanne.

«Ma certo che Kate è agile! Lei è veloce e aggraziata come una gazzella!», ha confermato un altro, raccogliendo gli assensi di un bel po’ di persone.

Nonostante il momento non fosse dei più spensierati, non sono riuscita a trattenermi dal ridere sottovoce. Che idioti!

«Perciò, scusate se mi intrometto nei vostri affari, ma ritengo che voi perdiate solo tempo inutilmente stando qui. Se volete parlare con lei fareste meglio ad inseguirla il più presto possibile», ha fatto presente, in modo squisitamente cortese, Roxanne.

«Sì è vero», ha risposto, quello con la voce più squillante di tutti, «hai ragione. Andiamo ragazzi! Se ha appena scavalcato la finestra non può essere lontana! Non può mollarci così, senza darci una risposta. Venite con me!»

E così, con uno scalpitare di zoccoli, o meglio di scarpe da ginnastica, i bufali hanno continuato la loro corsa verso altre praterie.

Dopo qualche altro secondo, la testa di Roxanne ha fatto capolino da dietro la porta per annunciarmi con tono soddisfatto: «Se ne sono andati via tutti! Dal primo all’ultimo!»

Affacciandomi dall’uscio, ho verificato con i miei stessi occhi ciò che lei aveva appena affermato. Il corridoio era tornato nuovamente deserto.

Mi sono richiusa in bagno.

«Beh…adesso puoi anche uscire fuori!», ho sentito dire a Roxanne.

«Te lo scordi!», ho risposto, irritata.

«E perché?»

«Devo rifarmi il trucco.»

Sarei pronta a giurare di averla sentita ridere.

 

Dopo quella disavventura, ero un po’ più stravolta di quanto avessi immaginato e, poiché ho impiegato l’intera ora a rassettarmi, ho saltato l’ultima ora di spagnolo.

Avendo un altro po’ di tempo a mia disposizione, prima che le lezioni terminassero, perciò, mi sono affrettata a prendere un taxi e a tornare a casa, pregando di non incontrare nessuno durante il mio tragitto.

Dopo quasi un’ora dal mio ritorno a casa, ho sentito Marissa, la mia domestica, prendere una telefonata.

«Sì, chi parla?»

«Ah, certo, gliela passo subito.»

«Signorina Kate?»

Una telefonata per me? Oddio, no! E se fosse stato qualcuno della mandria di bufali? E Marissa aveva persino detto che ero in casa! Razza di incompetente! Le avrei fatto vedere io poi!

Scoccandole un’occhiataccia, ho afferrato bruscamente il cordless dalle sue mani e ho sibilato un «Pronto» minaccioso nella cornetta, sperando così di allontanare i possibili disturbatori.

«Kate?», data la voce femminile, mi sono immediatamente rassicurata. Ma chi poteva essere?

«Sì, sono io. Con chi parlo?», ho risposto, cercando questa volta di pormi in maniera più cortese.

«Sono Roxanne…scusa se ti disturbo…»

Roxanne?

«…ma ci eravamo messe d’accordo per andare a comprare i materiali per le decorazioni per il ballo, questo pomeriggio. Ricordi?»

«Ah…sì.»

Me-ne-ero-totalmente-e-completamente-dimenticata.

«Dunque, per te a che ora va bene?», mi ha domandato.

«A che ora? Non saprei…»

«Hai qualcosa da fare in questo momento? Sei occupata?»

«Beh, no, non direi.»

«Allora va bene per te se ci incontriamo adesso?»

«Adesso?!», ho chiesto, un tantino perplessa.

«Sì!»

Ho sentito squillare il citofono, e Marissa è andata a rispondere. «Signorina, c’è una certa signorina Roxanne al cancello!»

Nella cornetta del cordless è risuonata una risatina: «Non ci mettere troppo a prepararti, io ti aspetto fuori.»

Alla fine io non ci ho messo poco tempo a prepararmi e Roxanne non mi ha aspettata fuori, visto che Marissa ha insistito perché si trattenesse in salotto e bevesse una tazza di tea inglese appena preparato.

Uscite di casa, ho analizzato i nostri due modi di vestire e di comportarci: io indossavo un vestito chiaro, dalla fantasia retrò, con sandali dal tacco alto e una giacca in pelle beige, Roxanne, invece, era infagottata da una delle sue solite felpe e sotto i blue jeans, portava delle logore scarpe da ginnastica.

Probabilmente era strano vederci camminare a fianco a fianco: non sembravamo affatto due persone che avrebbero scelto consensualmente l’uno la compagnia dell’altro.

Il mio unico compito, per quel pomeriggio, era comprare la materia prima per creare i festoni e contemporaneamente tener duro per tutto il tempo necessario a questa operazione, sopportando la compagnia di Roxanne Miller. Della realizzazione dei festoni se ne sarebbe occupato sicuramente qualcun altro. Non mi riguardava. Probabilmente Roxanne avrebbe finito di nuovo per accollarsi tutte le responsabilità. Lei è la sua mania del “faccio tutto io”!

Ad esser sincera, dopo il gesto di stamattina, gli insulti che la mia mente le ha rivolto sono diminuiti. Per oggi l’ho considerata un po’ come la mia salvatrice…solo per oggi. Ho cercato di comportarmi bene, di sorridere, di fingere di divertirmi, di capire le sue perle di saggezza, insomma, in poche parole, ho finto di essere sua amica. Lei, per qualche assurda ragione, sembra essersi convinta che io lo sia già. Che faccia parte anche questo del suo oscuro piano ai miei danni? Staremo a vedere. Posso accettarla al mio fianco, ma non abbasserò mai la guardia. Questo è poco ma sicuro.

«Dove vai?», le ho chiesto, bruscamente, vedendola dirigersi verso la fermata del bus.

Roxanne si è voltata, con un’espressione interrogativa. «Non prendiamo l’autobus?», mi ha domandato.

Io l’ho adocchiata come se fosse un alieno dalla pelle squamosa e verde: «E credi che potrei salire su un autobus con queste scarpe?», le ho fatto presente, mostrandole il tacco vertiginoso, «Prenderemo un taxi. Non preoccuparti per la spesa: ci penso io.»

Prima che potesse anche aprir bocca, l’auto gialla è arrivata e io mi sono accomodata sui sedili posteriori in pelle chiara. Roxanne mi ha raggiunta, prendendo posto timidamente accanto a me. Guardava l’abitacolo con timore e al tempo stesso curiosità.

«Dove posso portarvi, signorine?»

«Al centro commerciale.»

Dopo nemmeno un quarto d’ora di viaggio, abbiamo raggiunto la nostra meta. Qualcuno si è girato a guardarmi, non appena ho messo piede fuori dall’auto. Mi distinguevo di certo tra la folla, mentre Roxanne pareva quasi mimetizzarsi tra la gente. L’ho persa di vista più di un paio di volte.

«Di cosa abbiamo bisogno di preciso, allora?», le ho domandato, quando siamo riuscite un po’ ad emergere dal marasma di persone concentrate soprattutto davanti all’entrata principale del complesso commerciale.

«Carta velina, colla, pennarelli, cartoncini, nastro adesivo, bi adesivo, formine…», ha iniziato ad elencare tutto da una lista alquanto cospicua.

«Ok. Per prima cosa andiamo in quella libreria: è molto fornita di materiale di cartoleria.», le ho detto guidandola verso la Burnes&Noble.

Era esattamente lo stesso negozio in cui lavorava anche Nathan. A quel pensiero, ho iniziato a sentir crescere dentro di me l’improvvisa voglia di vederlo.

Mi mancava, per qualche strana ed assurda ragione.

Mi sono guardata intorno, cercando di scorgerlo, indaffarato tra i suoi libri, con quel grembiule verde, un colore che gli dona, eppure lui non c’era da nessuna parte.

Ero delusa, sinceramente.

Roxanne vagabondava tra gli scaffali, lanciando esclamazioni di sorpresa e contentezza nel leggere qualche titolo a lei familiare.

«Non siamo venuti qui per la carta velina e tutto quell'altro ambaradam?», le ho ricordato.

«Oh già!», ha esclamato lei, tornando nuovamente coi piedi per terra.

Poi, all’improvviso, qualcuno ci ha colto alle spalle, facendoci sobbalzare per lo stupore.

«Posso esservi utile?», ha domandato un sorridente commesso con gli occhi verdi dal taglio orientale.

«Nathan?!» è stata la mia esclamazione stupita.

«Al suo cospetto, mia signora», ha risposto lui, simulando un gentile inchino.

«Lei chi è? Una tua amica?», mi ha poi chiesto, indicando Roxanne che guardava la scena con muta curiosità.

Stringendo i denti, mi sono trovata costretta a rispondere in modo affermativo: «Sì, lei è Roxanne. Roxanne, lui è Nathan.»

Si sono stretti la mano, sorridendosi in maniera educata.

«Allora, come mai siete qui, di cosa avete bisogno?»

«Cerchiamo questi materiali», ha risposto Roxanne, porgendogli il foglietto scribacchiato. Se quella era la sua scrittura, c’era da ammettere che si trattava di una calligrafia piuttosto disordinata.

«Bene, venite con me, la colla e i cartoncini sono lì, il resto è nel magazzino.»

Io e Roxanne l’abbiamo seguito, fino a che lei non si è immobilizzata di fronte ad uno scaffale che recava l’etichetta “Saggi”.

«Uhm…potrei dare un’occhiata a questi? Voi, al massimo, nel frattempo, potete cercare quei materiali che sono sulla lista, ok?», ci ha domandato Roxanne, restando inchiodata sul posto. Anche i suoi occhi apparivano assenti.

Che fosse una bibliofila, proprio non lo sapevo!

«Va bene. Allora Kate, tu vieni con me?», ha chiesto Nathan.

Ero curiosa di vedere cosa avesse attirato così tanto l’attenzione di Roxanne, ma preferivo stare con Nathan e così sono andata con lui.

Nathan ha attraversato mezza libreria, sino a recarsi di fronte alla porta di quella che sembrava essere un’uscita di sicurezza.

Io l’ho guardato stranita: «E questo è il magazzino?»

Nathan mi ha lanciato uno sguardo furbo. Mi ha presa per mano e mi ha portato al di là della porta.

Mi ha guidata contro il muro e ha iniziato a baciarmi. La mia esclamazione di sorpresa è restata soffocata tra le nostre labbra. Dopo un primo minuto di incertezza, allacciando le braccia attorno al suo collo profumato, ho risposto al bacio con la stessa intensità. Mentre io torturavo con le mie mani i suoi serici capelli, lui si faceva strada verso la mia coscia, aggirando il leggero tessuto del vestito.

Attirandomi più verso di sé, schiacciata contro il suo petto, lui si spingeva contro di me, in un ritmo frenetico di bramosia consumata in fretta.

Non so quando tempo sia passato, alla fine, quando siamo tornati nella libreria, il mio rossetto completamente mangiato dai suoi baci, il colletto della sua camicia torturato dalle mie mani. Rassettandoci a vicenda, alla fine, siamo andati in cerca dei materiali di cui avevamo bisogno e poi siamo tornati da Roxanne.

«La tua amica è ancora là», ha dichiarato Nathan.

Lei era nello stesso identico posto in cui l’avevamo lasciata. Aveva tra le mani un libro, ma non lo stava sfogliando, semplicemente continuava a fissarne il retro della copertina con sguardo avido.

Ci siamo avvicinati a Roxanne, mentre lei, d’altra parte, pareva totalmente immobile.

«Scusaci se ti abbiamo fatto aspettare, ma abbiamo avuto un po’ di problemi nel trovare il nastro adesivo», ha detto Nathan, dimostrandosi come al suo solito molto gentile. Io non le avrei di certo chiesto scusa. 

Roxanne è come emersa da una trance e ci ha guardato con gli occhi allucinati e la bocca aperta, richiudendo immediatamente il libro e stringendolo con una presa ferrea.

«Ah…ah sì! Grazie dell’aiuto», ha immediatamente ringraziato il commesso, riacquistando il controllo di sé, così come un po’ di colore.

Ho cercato disperatamente di vedere cosa ci fosse dietro alla copertina di quel libro, ma i movimenti convulsi delle mani di Roxanne, mi hanno impedito di focalizzare al meglio la figura ritratta. In ogni caso, posso di certo dire che si trattava di una foto, una foto raffigurante un uomo con gli occhiali.

Dopo aver impacchettato tutti i nostri acquisti, Nathan ci ha salutate sorridendo, facendomi un occhiolino, non appena Roxanne ha distolto lo sguardo.

Prima che uscissimo dalla libreria, però, mi sono voltata appena in tempo per vedere Nathan mandarmi un bacio volante.

Che sciocco.

Sono scoppiata a ridere, ma Roxanne non ha fatto domande a riguardo della mia ilarità.

«Chiamo un taxi», ho asserito, distruggendo le speranze di Roxanne di prendere la metropolitana.

Ho digitato freneticamente le cifre sulla tastiera del mio cellulare.

«Siamo spiacenti. Il servizio taxi nell’area South-Lane è sospeso dalle ore 17 fino alle ore 21, per motivi di sciopero contrattuale dei tassisti. Ci scusiamo per il disturbo arrecatole, sperando che continui ad essere un affezionato cliente della nostra compagnia.», questa è stata la risposta della voce registrata dall’altro capo del telefono.

Io ho riattaccato, in preda alla rabbia più pura, stringendo in maniera frenetica il cellulare tra le mani: «Questo è poco ma sicuro: non continuerò ad essere una loro affezionata cliente!»

«Perché?», ha chiesto Roxanne, ignara dei motivi dietro al mio comportamento, «Che è successo?»

«Sciopero dei tassisti! Come possono scioperare in un orario di punta? Razza di incompetenti!» , mi sono lamentata, gettando letteralmente il telefono cellulare nella mia borsa.

«Avranno avuto i loro motivi. I lavoratori non indicono mai uno sciopero senza alcun motivo! Detraggono persino dei soldi dalla loro paga per far valere i loro diritti!», ha dichiarato Roxanne accorata, apparentemente convinta che quegli idioti dei tassisti avessero ragione.

Io ho tagliato corto, non mi andava di sentire le sue paternali sindacaliste: «In ogni caso, adesso, per colpa loro ci troviamo bloccate qui fino alle 21, o almeno fino a quando non riaprono il servizio taxi.»

«Beh, allora, se è solo questo il problema, prendiamo la metro!», ha suggerito nuovamente Roxanne.

«Ti ho detto di no! E poi mi ci vedi entrare così nella metropolitana? E’ un luogo pieno di ubriachi, extracomunitari…»

Roxanne, senza ascoltare realmente le mie parole, ci ha pensato un po’ e poi ha esclamato: «Ho un’idea!», nello stesso modo in cui aveva fatto questa mattina.

In quel momento mi aveva tirata fuori dai guai, ma questa volta non potevo essere sicura che il risultato fosse lo stesso.

L’ho vista togliersi di dosso la sua felpona, rimanendo semplicemente in una T-shirt, per poi porgermela.

«E cosa dovrei farci con questa?», ho domandato, senza azzardarmi a prenderla.

«Te la metti addosso, no? Così attirerai meno l’attenzione e potrai entrare in metropolitana!»

Io ho scosso la testa, ridendo, incredula: «Te lo puoi scordare!»

«Bene, allora», ha detto lei, infilandosi nuovamente la felpa e dirigendosi verso le scalinate che portavano ai sotterranei.

«Ehi! Aspetta! Dove credi di andare?!»

«Non ho intenzione di stare qui fino alle 9! Andiamo, vieni con me!», ha gridato, senza avvicinarsi, attirando l’attenzione di un sacco di persone che guardavano da lei a me con un’espressione curiosa. Alla fine, irritata e digrignando i denti, l’ho raggiunta.

«Vuoi la mia felpa?»

«E secondo te una felpa potrebbe stare bene sopra al mio vestito e a queste scarpe?! Attirerei ancora di più l’attenzione per il modo strano in cui sono vestita!»

Roxanne ha scosso la testa. «Ci sono talmente tante persone che riuscirai a mala pena a vederti dal busto in giù. Fidati di me.»

Riecco quella famosa frase. Ma io non mi fidavo di lei e mai lo farò!

In qualche modo, però, è riuscita a convincermi, di nuovo.

Prendendomi per mano, mi ha trascinata con sé.

La sua mano era piccola, afferrava a malapena la mia.

Era tutto totalmente diverso dalla presa salda e larga di Nathan, ma trasmetteva allo stesso modo un profondo calore.

Alla fine, ho finito per indossare la sua felpa, mentre Roxanne ha messo la mia giacca di pelle chiara, sopra la sua T-shirt.

Ero ciò di più ridicolo che avessi mai visto nella mia vita. Ho riso persino di me stessa e Roxanne si è accodata a me. Non era un riso di scherno, solo di semplice divertimento.

Alla fine, ho notato che accovacciandomi un po’, nessuno faceva caso a me. Erano tutti troppo impegnati nei loro affari per dare importanza ad una tizia in felpa e sandali alti.

Ciò da una parte mi è stato utile, ma dall’altra mi ha delusa.

Io adoro essere al centro dell’attenzione.

Non ho mai gradito passare inosservata, eppure, in una situazione simile, conciata in quel modo, essere ignorata era la migliore delle opzioni in gioco.

La folla ci circondava, facendo sì che nessuno si accorgesse del mio abbigliamento sotto la felpa. Prima di uscire, onde evitare di essere trascinate dalla folla e perderci, Roxanne mi ha afferrato di nuovo per mano. La cosa iniziava a darmi sui nervi, ma non le ho detto niente, perché non volevo perderla d’occhio, in quanto aveva ancora addosso la mia giacca firmata.

«COSA?! Era la tua prima volta in metro?!», mi ha domandato, una volta tornate in superficie. Io le avevo restituito la felpa e lei la mia giacca.

«Gradirei che tu non gridassi così tanto», ho puntualizzato.

«Oh scusami…è solo che…è incredibile!», si è giustificata. La mia espressione non si è addolcita. Solo perché non ero mai stata in metropolitana, questo non significava che poteva prendermi in giro.

«Però è stato divertente, no?», mi ha chiesto lei, nonostante io continuassi a starmene zitta.

«Certo, a parte quel maniaco che ha cercato di palpeggiarci.», ho fatto presente, annoiata.

«Non credo che palpeggerà più una ragazza, dopo la memorabile gomitata che gli hai dato…», mi ha ricordato Roxanne, sorridendo.

Io ho arricciato i lati delle mie labbra in un sorriso saputo. Non credevo che avrebbe apprezzato il mio gesto e invece…

«Però, secondo me, sei stata troppo violenta.»

Ed ecco che la sua indole moralista era tornata a farsi sentire!

 

«Nick? Potresti venire a prendermi?», mi è bastato fare una telefonata, per avere il mio tassista personale subito a disposizione. Roxanne mi ha guardato entrare nella sua macchina con un’espressione neutrale, tenendo in mano tutte le buste con i materiali che avevamo acquistato, più una bustina contenente quel libro che era rimasta a fissare per tutto il tempo.

«Sicura di non voler un passaggio?», le ho chiesto, cercando di mostrarmi il più possibile educata.

Fortunatamente, Roxanne mi ha evitato il disturbo, declinando l’offerta.

Spiegare a Nick il motivo del mio silenzio per tutti questi giorni, non è stato facile.

«Mi chiami solo quando hai bisogno di me o sei nei guai.», continuava a lamentarsi.

Avrei voluto rispondergli: «E’ proprio questo il punto», ma ho azzittito tutte le sue proteste con un bacio.

Mi è sembrato senz’altro più contento.

 

 

***

 

 

Non ci credo XD scrivere questo capitolo è stato un’epopea anche perché ci sono tante cose che si svolgono tutte in un giorno ed è stato effettivamente scritto in un giorno, onde evitare di perdere altri giorni per l’aggiornamento.

Spero che vi piaccia

Ormai, io vado dove mi portano i capricci di Kate e la trama continuerà a svilupparsi così. Ci sono alcuni punti cardine che svilupperò nei prossimi capitoli, ma per il resto mi affiderò all’improvvisazione…speriamo bene!

Giusto una precisazione: la Barnes&Nobles, il negozio dove lavora Nathan, è un’importante catena di librerie americana. Non so se all’interno si vendono dei materiali di cartoleria, ma visto che nell’italiana Feltrinelli ci sono, io ho pensato che fosse così anche lì…ma è solo una mia supposizione!

Un saluto a tutti!

   
 
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