29 aprile
Se
c’è una cosa che finalmente ho imparato è questa: non fare mai previsioni
azzardate, la realtà riuscirà sempre a stupirti con qualcosa di totalmente
opposto. O per lo meno, questo è quello che è capitato a me, oggi.
Ma
andiamo con ordine, racconterò tutto dall’inizio.
La
giornata scolastica è stata davvero infernale. Dopo il mio rifiuto pubblico a
Jason, proprio a conferma della mia teoria masochistica sugli uomini, tutti
quelli che se n’erano restati a guardarmi da lontano, desiderosi di invitarmi
al Gran Ballo, ma troppo codardi per farlo, sono usciti allo scoperto.
“Se
ha rifiutato Jason, potrebbe prendere in considerazione me”, forse questi sono
stati i pensieri di tutti i coraggiosi che hanno avuto l’ardire di avvicinarmi.
All’inizio
non è stato difficile evitare i più timidi: visto che avevano a malapena la
voce necessaria per pronunciare il mio nome, ho fatto finta di non sentirli
affatto.
I
più audaci, invece, hanno osato superare il muro delle Gallinelle attorno a me,
ma si sono dovuti tirare indietro, una volta incontrato il mio sguardo omicida.
Jeff
e Mike, gli unici che avrebbero potuto avvicinarmi, d’altra parte, sono stati
frenati dalla folla che mi accerchiava. Al termine delle lezioni, mi toccava
quasi correre, onde evitare che nei corridoi si accalcassero troppe persone.
Affrontare
il tragitto sino all’aula di spagnolo, all’ultima ora, è stata una delle cose
peggiori che mi siano mai capitate. Le Gallinelle erano impegnate con il loro
corso di arte e quindi il muro umano che mi porto sempre attorno era venuto
meno.
Inseriti
nella folla c’erano Tom, Larry, Phil, Chris, persone con cui esco di solito, o
che incontro alle feste. Persone con cui mi intrattengo, gente con cui scherzo.
Eppure, nonostante ciò, loro erano persino più accaniti degli altri ragazzi,
nella loro opera di inseguimento alla sottoscritta.
Quando
mi sono ritrovata circondata, allora, ho cercato di sgusciare verso destra,
rifugiandomi temporaneamente dentro il bagno delle ragazze per aspettare che
andassero via. Spingendo un po’ di persone, evitando le manacce di quelli che cercavano
di trattenermi, urlando a due secchioni di levarsi di torno, ho raggiunto il
mio obbiettivo.
Ho
chiuso freneticamente la porta dei servizi igienici, prima che potessero
raggiungermi e mi ci sono appoggiata contro, esausta.
Speravo
vivamente che se ne andassero, ma questo non è ciò che è accaduto, in realtà.
Ho
sentito dapprima dei mormorii e poi un grande urlo è risuonato nei corridoi: «KATE TI PREGO, ESCI DI Lì! VIENI
AL BALLO CON NOI!»
No,
dico, ma stiamo scherzando? Come potrei mai andare al ballo con più di quaranta
persone contemporaneamente?
Ed
è stato così, allora, che ho capito quale fosse il loro vero scopo: farmi a
pezzi, in modo che ciascuno di loro avesse una parte di me e potesse dire di essere
andato al ballo con Kate Hudson.
Orribile!
Quando
hanno iniziato a sbattere i pugni contro la porta a cui ero appoggiata di
schiena, ho iniziato a sudare freddo.
«Ma
cosa sta succedendo?»
La
vocina di Roxanne Miller, appena emersa da una delle cabine della toilette, mi
ha fatto sussultare. Lei era lì, in una delle sue felpe extra large, con un’espressione perplessa in viso, tranquilla
come non mai. Io, d’altra parte, ero sull’orlo di una crisi di nervi, avevo
tutta la camicetta stropicciata dalle mani di quei fanatici che cercavano di
toccarmi come se fossi una reliquia, il trucco totalmente disfatto e una voglia
matta di uccidere qualcuno.
Kate
Hudson, colei che ha sempre proseguito a testa alta in tutta la sua vita,
costretta a nascondersi nel bagno delle ragazze, per sfuggire ai suoi inseguitori!
A
dire il vero, la situazione poteva apparire palesemente comica, ma per me che
c'ero dentro fino al collo, non lo era affatto.
Ho
guardato Roxanne con un’espressione annoiata. C’era d’aspettarsi che, di tutti
i momenti in cui avrebbe potuto fare la sua comparsa, lei avrebbe scelto il
peggiore.
Tutto
sommato, però, preferivo di gran lunga la sua presenza, a quella
dei miei fan scalpitanti lì fuori.
Non
ho risposto alla sua domanda, ma i cori da stadio che inneggiavano: «KATE! KATE! KATE!», devono averle
fornito abbastanza indizi a riguardo della questione.
L’ho
vista tendere l’orecchio per cogliere quegli urli disumani, notevolmente
attutiti dalle pareti della stanza, per poi mormorare un flebile: «Oh.»
“Beata
lei”, ho pensato malinconicamente, “E’ così facile per lei liquidare
l’argomento!”
«Cosa
hai intenzione di fare?», mi ha chiesto dopo pochi secondi di silenzio, strofinandosi
le mani sotto il getto d’acqua del lavandino.
«Non
ti pare ovvio?!», le ho risposto un po’ alterata, «Me
ne resterò qui. Sempre meglio che andare là fuori!»
Roxanne
si è girata a guardarmi. Mi ha scrutato con espressione pensosa per un po’,
mentre io le restituivo lo sguardo incuriosita, e poi
si è illuminata.
«Ho
trovato! Lascia fare a me!», ha detto entusiasta, prima
di dirigersi verso di me, ovvero verso la porta.
«Fammi
uscire», è stato il suo ordine.
«No!
Vuoi vedermi morta?! Entreranno persino nel bagno
delle donne, se solo gliene diamo l’occasione!»
«Andiamo,
non succederà. Fammi uscire.», mi ha risposto, seccamente.
«Ma
sei pazza?! Guarda che io non ci tengo a farmi fare a
pezzetti! E quelli potrebbero fare a pezzi anche te! Sono talmente inferociti
che non ci distinguerebbero nemmeno e ti assalirebbero seduta stante!»
Lasciandomi
letteralmente basita, Roxanne è scoppiata a ridere.
«A
pezzetti?! Non sono mica dei cannibali!», ha mormorato tra le risate.
Io
mi sono battuta la fronte con una mano, in un gesto di rassegnazione.
«Capisci
almeno di cosa sto parlando? Questa è una situazione seria, estremamente seria!
E non ricominciare a ridere!»
Le
mie proteste sono state inutili, tuttavia.
«Ok,
ho capito.», ha replicato in un modo per niente convincente, camuffando
un'altra risata con un colpo di tosse, «Troverò il modo di liberarti di loro,
ma tu devi farmi prima uscire.»
«NO!
NO! NO! Ho capito cosa hai intenzione di fare! Adesso te ne tornerai in classe,
così da non essere in ritardo per la lezione, mentre io dovrò restarmene sola
qui ad affrontare quella mandria di bufali impazziti! E’ tutta colpa loro,
dannazione!»
Ridacchiando,
Roxanne ha risposto: «La regina non può essere tale, senza i suoi sudditi.»
Sul
momento, confusa, irritata e arrabbiata com’ero, non riuscivo proprio a capire
cosa intendesse dire. Era solo uno dei suoi soliti sproloqui senza senso; ci
ero abituata ormai.
«Fammi
uscire. Ti prometto che non scapperò a lezione, senza prima aiutarti.»
Certo.
E io avrei dovuto crederle? Mi credeva così stupida? Sapevo benissimo che oltre
la facciata da buona samaritana, era una doppiogiochista. Avrebbe potuto
prendere in giro chiunque, ma non la sottoscritta. Io conosco la sua vera
natura: lei è una bugiarda, una calcolatrice, una manipolatrice quanto me, non
ci sono dubbi. Ne ho avuto l’ennesima conferma, guardando quei suoi grandi occhioni blu che ispirano tenerezza a tutti.
Io,
però, non ci ho visto tenerezza lì dentro, ma solo un abisso infinito, oscuro,
pericoloso, ignoto.
Un
brivido mi ha attraversato la schiena.
«Tu
non vai da nessuna…», ho fatto per dire, ma lei mi ha interrotta prima che
potessi continuare.
«Fidati
di me», queste sono state le sue semplici parole, prima di afferrarmi delicatamente
il polso, sciogliendo la mia presa sulla maniglia della porta.
Senza
riuscire a parlare, mi sono fatta da parte, mentre lei usciva fuori. Una volta
che Roxanne si è trovata all’esterno del bagno, tutti i mormorii dei ragazzi
sono cessati. C’era un silenzio colmo di aspettativa.
Ho
sentito la voce di Roxanne, provenire ovattata al di fuori dell’uscio.
«C’è
qualche problema, ragazzi?», ha domandato, simulando una perfetta innocenza.
Era
bravissima a fingere, ne ero certa, nonostante non potessi guardare
direttamente la scena. L’ho sempre
saputo.
Uno
dei tizi tra la folla le ha chiesto, titubante: «Ehm…C’è
Kate Hudson lì dentro, vero? Puoi dirle di uscire? Ci basta che scelga solo uno
di noi, ma deve scegliere! Non può lasciarci così! Deve darci una risposta, non
trovi che sia giusto?»
Qualcun
altro tra i presenti si è aggregato al ragazzo, ripetendo più volte «E’
giusto».
Se
solo avessi saputo chi fossero, la mia vendetta nei loro confronti non avrebbe
tardato ad arrivare!
Roxanne
ha continuato con la sua recitazione e si è finta sorpresa: «Kate Hudson?», ha
domandato, «Ah sì! A dire il vero l’ho vista!»
Il
sangue mi si è gelato nelle vene.
“Non
è possibile, non è possibile, non è possibile”, continuavo a ripetere nella mia
testa.
Quella
piccola arpia mi aveva tradito! Aveva gettato via la sua maschera!
Niente
più menzogne, adesso si giocava sul serio. E io ero nei casini, peggio di
prima.
Ho
giurato a me stessa che me l’avrebbe pagata. L’avrei fatta urlare di dolore,
l’avrei derubata di tutto ciò a cui teneva, avrebbe imparato cosa significa
affrontare Kate Hudson.
Poteva
anche essersi aggiudicata il primo punto, ma non avrebbe vinto la partita.
Quella
che vince sono solo e sempre io.
Adesso,
però, vendette, odio e rivincite, dovevano aspettare. Tra pochissimi secondi i
bestioni avrebbero superato la porta e mi avrebbero presa. Mi sentivo come un
topolino in trappola, e, proprio come un topolino in trappola, attendevo
trepidante il momento della resa dei conti.
Alle
parole di Roxanne, la mandria si è infiammata.
«E’
lì, allora? KATE! KATE! KATE!». I cori da stadio sono
ricominciati.
«Beh,
a dire il vero, Kate era in bagno fino a qualche momento fa…ma poi è scappata
via dalla finestra, prima ancora che potessi chiederle dove andava.», ha
concluso Roxanne.
Che
cosa?!
Faceva
tutto parte della sua bugia?
«Quindi
è andata via? No! Non è possibile!», si è lamentato
uno di quelli che prendeva la parola più spesso.
«Beh,
io l’ho vista arrampicarsi in tutta fretta verso la finestra con i miei occhi,
te lo posso assicurare, non sapevo nemmeno che fosse così agile, a dire il
vero!», ha insistito Roxanne.
«Ma
certo che Kate è agile! Lei è veloce e aggraziata come una gazzella!», ha confermato un altro, raccogliendo gli assensi di un
bel po’ di persone.
Nonostante
il momento non fosse dei più spensierati, non sono riuscita a trattenermi dal
ridere sottovoce. Che idioti!
«Perciò,
scusate se mi intrometto nei vostri affari, ma ritengo che voi perdiate solo
tempo inutilmente stando qui. Se volete parlare con lei fareste meglio ad
inseguirla il più presto possibile», ha fatto presente,
in modo squisitamente cortese, Roxanne.
«Sì
è vero», ha risposto, quello con la voce più squillante di tutti, «hai ragione. Andiamo ragazzi! Se ha appena scavalcato la
finestra non può essere lontana! Non può mollarci così, senza darci una
risposta. Venite con me!»
E
così, con uno scalpitare di zoccoli, o meglio di scarpe da ginnastica, i bufali
hanno continuato la loro corsa verso altre praterie.
Dopo
qualche altro secondo, la testa di Roxanne ha fatto capolino da dietro la porta
per annunciarmi con tono soddisfatto: «Se ne sono
andati via tutti! Dal primo all’ultimo!»
Affacciandomi
dall’uscio, ho verificato con i miei stessi occhi ciò che lei aveva appena
affermato. Il corridoio era tornato nuovamente deserto.
Mi
sono richiusa in bagno.
«Beh…adesso
puoi anche uscire fuori!», ho sentito dire a Roxanne.
«Te
lo scordi!», ho risposto, irritata.
«E
perché?»
«Devo
rifarmi il trucco.»
Sarei
pronta a giurare di averla sentita ridere.
Dopo
quella disavventura, ero un po’ più stravolta di quanto avessi immaginato e,
poiché ho impiegato l’intera ora a rassettarmi, ho saltato l’ultima ora di
spagnolo.
Avendo
un altro po’ di tempo a mia disposizione, prima che le lezioni terminassero,
perciò, mi sono affrettata a prendere un taxi e a tornare a casa, pregando di
non incontrare nessuno durante il mio tragitto.
Dopo
quasi un’ora dal mio ritorno a casa, ho sentito Marissa,
la mia domestica, prendere una telefonata.
«Sì,
chi parla?»
«Ah,
certo, gliela passo subito.»
«Signorina
Kate?»
Una
telefonata per me? Oddio, no! E se fosse stato qualcuno della mandria di
bufali? E Marissa aveva persino detto che ero in
casa! Razza di incompetente! Le avrei fatto vedere io poi!
Scoccandole
un’occhiataccia, ho afferrato bruscamente il cordless dalle sue mani e ho
sibilato un «Pronto» minaccioso nella cornetta, sperando così di allontanare i
possibili disturbatori.
«Kate?»,
data la voce femminile, mi sono immediatamente rassicurata. Ma chi poteva
essere?
«Sì,
sono io. Con chi parlo?», ho risposto, cercando questa
volta di pormi in maniera più cortese.
«Sono
Roxanne…scusa se ti disturbo…»
Roxanne?
«…ma
ci eravamo messe d’accordo per andare a comprare i materiali per le decorazioni
per il ballo, questo pomeriggio. Ricordi?»
«Ah…sì.»
Me-ne-ero-totalmente-e-completamente-dimenticata.
«Dunque,
per te a che ora va bene?», mi ha domandato.
«A
che ora? Non saprei…»
«Hai
qualcosa da fare in questo momento? Sei occupata?»
«Beh,
no, non direi.»
«Allora
va bene per te se ci incontriamo adesso?»
«Adesso?!», ho chiesto, un tantino perplessa.
«Sì!»
Ho
sentito squillare il citofono, e Marissa è andata a
rispondere. «Signorina, c’è una certa signorina Roxanne al cancello!»
Nella
cornetta del cordless è risuonata una risatina: «Non ci mettere troppo a
prepararti, io ti aspetto fuori.»
Alla
fine io non ci ho messo poco tempo a prepararmi e Roxanne non mi ha aspettata
fuori, visto che Marissa ha insistito perché si
trattenesse in salotto e bevesse una tazza di tea inglese appena preparato.
Uscite
di casa, ho analizzato i nostri due modi di vestire e di comportarci: io
indossavo un vestito chiaro, dalla fantasia retrò, con sandali dal tacco alto e
una giacca in pelle beige, Roxanne, invece, era infagottata da una delle sue
solite felpe e sotto i blue jeans, portava delle
logore scarpe da ginnastica.
Probabilmente
era strano vederci camminare a fianco a fianco: non sembravamo affatto due
persone che avrebbero scelto consensualmente l’uno la compagnia dell’altro.
Il
mio unico compito, per quel pomeriggio, era comprare la materia prima per creare i festoni e contemporaneamente
tener duro per tutto il tempo necessario a questa operazione, sopportando la
compagnia di Roxanne Miller. Della realizzazione dei festoni se ne sarebbe
occupato sicuramente qualcun altro. Non mi riguardava. Probabilmente Roxanne
avrebbe finito di nuovo per accollarsi tutte le responsabilità. Lei è la sua
mania del “faccio tutto io”!
Ad
esser sincera, dopo il gesto di stamattina, gli insulti che la mia mente le ha
rivolto sono diminuiti. Per oggi l’ho considerata un po’ come la mia
salvatrice…solo per oggi. Ho cercato di
comportarmi bene, di sorridere, di fingere di divertirmi, di capire le sue
perle di saggezza, insomma, in poche parole, ho finto di essere sua amica. Lei,
per qualche assurda ragione, sembra essersi convinta che io lo sia già. Che faccia
parte anche questo del suo oscuro piano ai miei danni? Staremo a vedere. Posso
accettarla al mio fianco, ma non abbasserò mai la guardia. Questo è poco ma
sicuro.
«Dove
vai?», le ho chiesto, bruscamente, vedendola dirigersi verso la fermata del
bus.
Roxanne
si è voltata, con un’espressione interrogativa. «Non prendiamo l’autobus?», mi
ha domandato.
Io
l’ho adocchiata come se fosse un alieno dalla pelle squamosa e verde: «E credi
che potrei salire su un autobus con queste scarpe?», le ho fatto presente,
mostrandole il tacco vertiginoso, «Prenderemo un taxi.
Non preoccuparti per la spesa: ci penso io.»
Prima
che potesse anche aprir bocca, l’auto gialla è arrivata e io mi sono accomodata
sui sedili posteriori in pelle chiara. Roxanne mi ha raggiunta, prendendo posto
timidamente accanto a me. Guardava l’abitacolo con timore e al tempo stesso
curiosità.
«Dove
posso portarvi, signorine?»
«Al
centro commerciale.»
Dopo
nemmeno un quarto d’ora di viaggio, abbiamo raggiunto la nostra meta. Qualcuno
si è girato a guardarmi, non appena ho messo piede fuori dall’auto. Mi
distinguevo di certo tra la folla, mentre Roxanne pareva quasi mimetizzarsi tra
la gente. L’ho persa di vista più di un paio di volte.
«Di
cosa abbiamo bisogno di preciso, allora?», le ho domandato, quando siamo riuscite
un po’ ad emergere dal marasma di persone concentrate soprattutto davanti
all’entrata principale del complesso commerciale.
«Carta
velina, colla, pennarelli, cartoncini, nastro adesivo, bi
adesivo, formine…», ha iniziato ad elencare tutto da una lista alquanto
cospicua.
«Ok.
Per prima cosa andiamo in quella libreria: è molto fornita di materiale di
cartoleria.», le ho detto guidandola verso
Era
esattamente lo stesso negozio in cui lavorava anche Nathan. A quel pensiero, ho
iniziato a sentir crescere dentro di me l’improvvisa voglia di vederlo.
Mi
mancava, per qualche strana ed assurda ragione.
Mi
sono guardata intorno, cercando di scorgerlo, indaffarato tra i suoi libri, con
quel grembiule verde, un colore che gli dona, eppure lui non c’era da nessuna
parte.
Ero
delusa, sinceramente.
Roxanne
vagabondava tra gli scaffali, lanciando esclamazioni di sorpresa e contentezza
nel leggere qualche titolo a lei familiare.
«Non
siamo venuti qui per la carta velina e tutto quell'altro ambaradam?», le ho ricordato.
«Oh
già!», ha esclamato lei, tornando nuovamente coi piedi per terra.
Poi,
all’improvviso, qualcuno ci ha colto alle spalle, facendoci sobbalzare per lo
stupore.
«Posso
esservi utile?», ha domandato un sorridente commesso con gli occhi verdi dal
taglio orientale.
«Nathan?!» è stata la mia esclamazione stupita.
«Al
suo cospetto, mia signora», ha risposto lui, simulando un gentile inchino.
«Lei
chi è? Una tua amica?», mi ha poi chiesto, indicando
Roxanne che guardava la scena con muta curiosità.
Stringendo
i denti, mi sono trovata costretta a rispondere in modo affermativo: «Sì, lei è Roxanne. Roxanne, lui è Nathan.»
Si
sono stretti la mano, sorridendosi in maniera educata.
«Allora,
come mai siete qui, di cosa avete bisogno?»
«Cerchiamo
questi materiali», ha risposto Roxanne, porgendogli il foglietto scribacchiato.
Se quella era la sua scrittura, c’era da ammettere che si trattava di una
calligrafia piuttosto disordinata.
«Bene,
venite con me, la colla e i cartoncini sono lì, il resto è nel magazzino.»
Io
e Roxanne l’abbiamo seguito, fino a che lei non si è immobilizzata di fronte ad
uno scaffale che recava l’etichetta “Saggi”.
«Uhm…potrei
dare un’occhiata a questi? Voi, al massimo, nel frattempo, potete cercare quei
materiali che sono sulla lista, ok?», ci ha domandato
Roxanne, restando inchiodata sul posto. Anche i suoi occhi apparivano assenti.
Che
fosse una bibliofila, proprio non lo sapevo!
«Va
bene. Allora Kate, tu vieni con me?», ha chiesto
Nathan.
Ero
curiosa di vedere cosa avesse attirato così tanto l’attenzione di Roxanne, ma
preferivo stare con Nathan e così sono andata con lui.
Nathan
ha attraversato mezza libreria, sino a recarsi di fronte alla porta di quella
che sembrava essere un’uscita di sicurezza.
Io
l’ho guardato stranita: «E questo è il magazzino?»
Nathan
mi ha lanciato uno sguardo furbo. Mi ha presa per mano e mi ha portato al di là della porta.
Mi
ha guidata contro il muro e ha iniziato a baciarmi. La mia esclamazione di
sorpresa è restata soffocata tra le nostre labbra. Dopo un primo minuto di incertezza, allacciando le braccia
attorno al suo collo profumato, ho risposto al bacio con la stessa intensità. Mentre
io torturavo con le mie mani i suoi serici capelli, lui si faceva strada verso
la mia coscia, aggirando il leggero tessuto del vestito.
Attirandomi
più verso di sé, schiacciata contro il suo petto, lui si spingeva contro di me,
in un ritmo frenetico di bramosia consumata in fretta.
Non
so quando tempo sia passato, alla fine, quando siamo tornati nella libreria, il
mio rossetto completamente mangiato dai suoi baci, il colletto della sua
camicia torturato dalle mie mani. Rassettandoci a vicenda, alla fine, siamo
andati in cerca dei materiali di cui avevamo bisogno e poi siamo tornati da
Roxanne.
«La
tua amica è ancora là», ha dichiarato Nathan.
Lei
era nello stesso identico posto in cui l’avevamo lasciata. Aveva tra le mani un
libro, ma non lo stava sfogliando, semplicemente continuava a fissarne il retro
della copertina con sguardo avido.
Ci
siamo avvicinati a Roxanne, mentre lei, d’altra parte, pareva totalmente
immobile.
«Scusaci
se ti abbiamo fatto aspettare, ma abbiamo avuto un po’ di problemi nel trovare
il nastro adesivo», ha detto Nathan, dimostrandosi come al suo solito molto
gentile. Io non le avrei di certo chiesto scusa.
Roxanne
è come emersa da una trance e ci ha guardato con gli occhi allucinati e la
bocca aperta, richiudendo immediatamente il libro e stringendolo con una presa
ferrea.
«Ah…ah
sì! Grazie dell’aiuto», ha immediatamente ringraziato
il commesso, riacquistando il controllo di sé, così come un po’ di colore.
Ho
cercato disperatamente di vedere cosa ci fosse dietro alla copertina di quel
libro, ma i movimenti convulsi delle mani di Roxanne, mi hanno impedito di
focalizzare al meglio la figura ritratta. In ogni caso, posso di certo dire che
si trattava di una foto, una foto raffigurante un uomo con gli occhiali.
Dopo
aver impacchettato tutti i nostri acquisti, Nathan ci ha salutate sorridendo,
facendomi un occhiolino, non appena Roxanne ha distolto lo sguardo.
Prima
che uscissimo dalla libreria, però, mi sono voltata appena in tempo per vedere
Nathan mandarmi un bacio volante.
Che
sciocco.
Sono
scoppiata a ridere, ma Roxanne non ha fatto domande a riguardo della mia
ilarità.
«Chiamo
un taxi», ho asserito, distruggendo le speranze di Roxanne di prendere la
metropolitana.
Ho
digitato freneticamente le cifre sulla tastiera del mio cellulare.
«Siamo
spiacenti. Il servizio taxi nell’area South-Lane è
sospeso dalle ore 17 fino alle ore 21, per motivi di sciopero contrattuale dei
tassisti. Ci scusiamo per il disturbo arrecatole, sperando che continui ad
essere un affezionato cliente della nostra compagnia.»,
questa è stata la risposta della voce registrata dall’altro capo del telefono.
Io
ho riattaccato, in preda alla rabbia più pura, stringendo in maniera frenetica
il cellulare tra le mani: «Questo è poco ma sicuro: non continuerò ad essere una
loro affezionata cliente!»
«Perché?»,
ha chiesto Roxanne, ignara dei motivi dietro al mio comportamento, «Che è
successo?»
«Sciopero
dei tassisti! Come possono scioperare in un orario di punta? Razza di
incompetenti!» , mi sono lamentata, gettando
letteralmente il telefono cellulare nella mia borsa.
«Avranno
avuto i loro motivi. I lavoratori non indicono mai uno sciopero senza alcun
motivo! Detraggono persino dei soldi dalla loro paga per far valere i loro
diritti!», ha dichiarato Roxanne accorata,
apparentemente convinta che quegli idioti dei tassisti avessero ragione.
Io
ho tagliato corto, non mi andava di sentire le sue paternali sindacaliste: «In
ogni caso, adesso, per colpa loro ci troviamo bloccate
qui fino alle 21, o almeno fino a quando non riaprono il servizio taxi.»
«Beh,
allora, se è solo questo il problema, prendiamo la metro!», ha suggerito
nuovamente Roxanne.
«Ti
ho detto di no! E poi mi ci vedi entrare così nella metropolitana? E’ un luogo
pieno di ubriachi, extracomunitari…»
Roxanne,
senza ascoltare realmente le mie parole, ci ha pensato un po’ e poi ha
esclamato: «Ho un’idea!», nello stesso modo in cui aveva fatto questa mattina.
In
quel momento mi aveva tirata fuori dai guai, ma questa volta non potevo essere
sicura che il risultato fosse lo stesso.
L’ho
vista togliersi di dosso la sua felpona, rimanendo
semplicemente in una T-shirt, per poi porgermela.
«E
cosa dovrei farci con questa?», ho domandato, senza azzardarmi a prenderla.
«Te
la metti addosso, no? Così attirerai meno l’attenzione e potrai entrare in
metropolitana!»
Io
ho scosso la testa, ridendo, incredula: «Te lo puoi scordare!»
«Bene,
allora», ha detto lei, infilandosi nuovamente la felpa e dirigendosi verso le
scalinate che portavano ai sotterranei.
«Ehi!
Aspetta! Dove credi di andare?!»
«Non
ho intenzione di stare qui fino alle 9! Andiamo, vieni con me!», ha gridato, senza avvicinarsi, attirando l’attenzione di
un sacco di persone che guardavano da lei a me con un’espressione curiosa. Alla
fine, irritata e digrignando i denti, l’ho raggiunta.
«Vuoi
la mia felpa?»
«E
secondo te una felpa potrebbe stare bene sopra al mio vestito e a queste scarpe?! Attirerei ancora di più l’attenzione per il modo strano
in cui sono vestita!»
Roxanne
ha scosso la testa. «Ci sono talmente tante persone
che riuscirai a mala pena a vederti dal busto in giù. Fidati di me.»
Riecco
quella famosa frase. Ma io non mi fidavo di lei e mai lo farò!
In
qualche modo, però, è riuscita a convincermi, di nuovo.
Prendendomi
per mano, mi ha trascinata con sé.
La
sua mano era piccola, afferrava a malapena la mia.
Era
tutto totalmente diverso dalla presa salda e larga di Nathan, ma trasmetteva
allo stesso modo un profondo calore.
Alla
fine, ho finito per indossare la sua felpa, mentre Roxanne ha messo la mia
giacca di pelle chiara, sopra la sua T-shirt.
Ero
ciò di più ridicolo che avessi mai visto nella mia vita. Ho riso persino di me
stessa e Roxanne si è accodata a me. Non era un riso di scherno, solo di
semplice divertimento.
Alla
fine, ho notato che accovacciandomi un po’, nessuno faceva caso a me. Erano
tutti troppo impegnati nei loro affari per dare importanza ad una tizia in
felpa e sandali alti.
Ciò
da una parte mi è stato utile, ma dall’altra mi ha delusa.
Io
adoro essere al centro
dell’attenzione.
Non
ho mai gradito passare inosservata, eppure, in una situazione simile, conciata
in quel modo, essere ignorata era la migliore delle opzioni in gioco.
La
folla ci circondava, facendo sì che nessuno si accorgesse del mio abbigliamento
sotto la felpa. Prima di uscire, onde evitare di essere trascinate dalla folla
e perderci, Roxanne mi ha afferrato di nuovo per mano. La cosa iniziava a darmi
sui nervi, ma non le ho detto niente, perché non volevo perderla d’occhio, in
quanto aveva ancora addosso la mia giacca firmata.
«COSA?! Era la tua prima volta in metro?!»,
mi ha domandato, una volta tornate in superficie. Io le avevo restituito la
felpa e lei la mia giacca.
«Gradirei
che tu non gridassi così tanto», ho puntualizzato.
«Oh
scusami…è solo che…è incredibile!», si è giustificata. La mia espressione non
si è addolcita. Solo perché non ero mai stata in metropolitana, questo non
significava che poteva prendermi in giro.
«Però
è stato divertente, no?», mi ha chiesto lei, nonostante io continuassi a
starmene zitta.
«Certo,
a parte quel maniaco che ha cercato di palpeggiarci.», ho fatto presente,
annoiata.
«Non
credo che palpeggerà più una ragazza, dopo la memorabile gomitata che gli hai
dato…», mi ha ricordato Roxanne, sorridendo.
Io
ho arricciato i lati delle mie labbra in un sorriso saputo. Non credevo che
avrebbe apprezzato il mio gesto e invece…
«Però,
secondo me, sei stata troppo violenta.»
Ed
ecco che la sua indole moralista era tornata a farsi sentire!
«Nick?
Potresti venire a prendermi?», mi è bastato fare una
telefonata, per avere il mio tassista personale subito a disposizione. Roxanne
mi ha guardato entrare nella sua macchina con un’espressione neutrale, tenendo
in mano tutte le buste con i materiali che avevamo acquistato, più una bustina
contenente quel libro che era rimasta a fissare per tutto il tempo.
«Sicura
di non voler un passaggio?», le ho chiesto, cercando di mostrarmi il più
possibile educata.
Fortunatamente,
Roxanne mi ha evitato il disturbo, declinando l’offerta.
Spiegare
a Nick il motivo del mio silenzio per tutti questi giorni, non è stato facile.
«Mi
chiami solo quando hai bisogno di me o sei nei guai.», continuava a lamentarsi.
Avrei
voluto rispondergli: «E’ proprio questo il punto», ma ho azzittito tutte le sue
proteste con un bacio.
Mi
è sembrato senz’altro più contento.
***
Non ci credo XD scrivere questo capitolo è stato un’epopea anche perché ci sono tante cose che si svolgono tutte in un giorno ed è stato effettivamente scritto in un giorno, onde evitare di perdere altri giorni per l’aggiornamento.
Spero che vi piaccia
Ormai, io vado dove mi portano i capricci di Kate e la trama continuerà a svilupparsi così. Ci sono alcuni punti cardine che svilupperò nei prossimi capitoli, ma per il resto mi affiderò all’improvvisazione…speriamo bene!
Giusto una precisazione:
Un saluto a tutti!