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Autore: Celestellina    05/10/2008    6 recensioni
Palermo. Siamo alla vigilia della spedizione dei Mille. La baronessina Carolina Beccadelli si innamora di Lorenzo, uno studente milanese, dall'ardente animo patriota. Difficoltà e pregiudizi da superare, lo splendore artefatto della nobiltà palermitana, intrighi, amicizie, e un padre burbero con un profondo dolore in cuore. il tutto accompagnato dall'amore incondizionato per una nazione che ancora esiste solo nel cuore di chi la sogna. Probabilmente sarebbe stato più adatto inserirla nella categoria "Storico" ma qua l'amore prevale sulla storia, quindi ... vi lascio a leggere!

"Tutte le cose belle della sua vita le venivano in mente in quel momento, sentiva suo marito vicino che le carezzava la fronte e le teneva stretta la mano, era al sicuro, confortata dall’affetto della famiglia e dal sacramento appena ricevuto. Guardò ancora una volta Antonio, e pensò a quanto era fortunata. Una lacrima solitaria le scese lungo la guancia e le dita strette nella mano del marito si rilassarono. Si sentiva così leggera …" ( dal secondo capitolo)

"Restare alzata fino a tardi era sempre stato il suo sogno, ma in quel momento nessuno si curava di lei. Anche Maruzza, che di solito era così allegra e gentile, l’aveva riaccompagnata in camera sua senza dirle una parola, l’aveva solo guardata scuotendo la testa. Non le aveva nemmeno dato il confetto che era solita darle ogni volta che lei andava a trovarla in cucina. E dire che quella sera le aveva anche fatto compagnia mentre cenava, dato che la sua balia non aveva potuto cenare con lei. In fondo, pensò, restare alzati fino a tardi non è così bello, specialmente se piove così forte e tutti ti lasciano sola." ( dal terzo capitolo)
Genere: Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo terzo

Capitolo Terzo  

arolina era inginocchiata vicino il suo letto, e cercava di ricordare bene la preghiera che la madre le aveva insegnato. Le aveva chiesto suo padre di pregare per la mamma che stava male. Forse era la pancia che le faceva male, perché c’era dentro il bimbo. Quella giornata era stata proprio strana. Le nove ormai erano passate da un pezzo, e nessuno ancora l’aveva fatta mettere a letto. Solitamente alle nove la mamma veniva a darle la buonanotte, invece quella sera anche Rosalia l’aveva lasciata sola.

Restare alzata fino a tardi era sempre stato il suo sogno, ma in quel momento nessuno si curava di lei. Anche Maruzza, che di solito era così allegra e gentile, l’aveva riaccompagnata in camera sua senza dirle una parola, l’aveva solo guardata scuotendo la testa. Non le aveva nemmeno dato il confetto che era solita darle ogni volta che lei andava a trovarla in cucina. E dire che quella sera le aveva anche fatto compagnia mentre cenava, dato che la sua balia non aveva potuto cenare con lei. In fondo, pensò, restare alzati fino a tardi non è così bello, specialmente se piove così forte e tutti ti lasciano sola. Le parole della preghiera non riuscivano a stare ferme nella sua testa, e sbagliava di continuo. Infine, rassegnata, tornò alla vecchia preghierina, quella nuova con tutte le parole strane era impossibile da dire senza la mamma. Eppure era una preghiera importante, la mamma le aveva detto che era in latino, come quelle che i grandi dicono in chiesa. Per quella sera Gesù avrebbe capito, pensò, e così giunse meglio le manine e disse – O dolce Bambino Gesù, fammi esser buona come vuoi tu – e fatto il segno della croce si alzò soddisfatta.

Di solito, dopo aver recitato la preghiera, Rosalia la metteva subito a letto, ma quella sera tutto era diverso dal solito, e così, presa in braccio la sua bambola preferita, si distese sul letto e iniziò a raccontarle una favola, proprio come faceva ogni tanto la mamma con lei. Ma gli occhi si facevano pesanti per il sonno, e le parole uscivano impastate e confuse. Nel dormiveglia sognò che la mamma veniva a darle la buonanotte e le diceva di non preoccuparsi, perché le sarebbe rimasta sempre vicino. Carolina avrebbe voluto dirle di finire lei di raccontare la favola, ma era troppo stanca, e così disse solo – Lo so mammina, buonanotte –

L’indomani mattina Carolina ebbe uno strano risveglio. Si era addormentata sul letto, ancora con i vestiti indosso e la sua bambola vicino, ma qualcuno l’aveva coperta per non farle prendere freddo. Vide accanto a sé Rosalia che la scuoteva leggermente, e insieme a lei c’era anche la zia Costanza. Entrambe erano vestite di nero, e nessuna delle due sorrideva. Stropicciò gli occhi e non appena fu in grado di parlare chiese – Dov’è la mamma? Sta meglio, vero? – Le due donne si guardarono, e a un cenno della marchesa Rosalia si allontanò. Carolina, incuriosita da tutte quelle stranezze, si tirò a sedere sul letto, stringendo ancora a sé la bambola. La zia si sedette accanto a lei e cominciò a carezzarle le mani. 
– Vedi, piccolina, mamma è dovuta andare via - 
- Via? E dov’è andata? - 
- E’ andata lontano lontano, in un posto chiamato Paradiso, per fare compagnia al fratellino - 
- Allora è nato! E quando tornano? - 
- Vedi, Carolina, il fratellino stava male, e allora il buon Gesù volle portarlo in Paradiso per farlo diventare un angioletto, e la mamma ha dovuto andare con lui - 
- Allora è con Gesù? - 
- Si, tesoro, e anche lei è diventata un angelo - 
- Ma perché non ha portato anche me? - 
- Non poteva portarti, per non lasciare solo tuo padre, Carolina - 
- Si, ma … torna presto? - 
- No, piccolina, non torna … però tu lo sai che gli angeli ci stanno sempre vicino anche se noi non li vediamo, vero? –

- Lo so, ma io voglio la mia mamma! – 
Due grossi lucciconi cominciarono a scendere dagli occhi di Carolina, che da tutto ciò che la zia aveva detto aveva capito che la madre non sarebbe tornata più. La zia la abbracciò forte, le carezzò i capelli e cercò di farla calmare, ma la bambina continuava a piangere. La marchesa, incapace di arginare quel pianto inconsolabile, chiamò in aiuto Rosalia, che accorse a prendere Carolina tra le sue braccia, che tante volte l’avevano cullata.

A poco a poco i singhiozzi di Carolina si calmarono, e allora le venne in mente una domanda 
– Rosalia, ma perché la mamma se n’è andata, se ieri quando mi ha dato la buonanotte disse che restava sempre con me? - 
- Signorina, che dite? Quando ve lo disse? – 
La donna guardò nuovamente la marchesa, che timorosa di un nuovo pianto della nipote, non osava dir nulla, e aspettava anche lei con curiosità la risposta di Carolina. 
– Ieri sera, quando mi ha dato la buonanotte – ripeté la bambina con semplicità. Le due donne capirono che la madre era venuta veramente a salutare la figlia. Carolina guardava ora l’una, ora l’altra, aspettando una risposta. La zia allora le si sedette nuovamente vicino 
– Vedi, Carolina, ormai la mamma è un angelo, e tu non potrai più vederla sempre come prima, però lei può vederti sempre, e ogni tanto, come ieri, anche tu la vedrai. Ieri la mamma voleva dirti questo quando ti ha dato la buonanotte –

Quel giorno e i giorni che seguirono rimasero confusi nel ricordo di Carolina. Le avevano fatto indossare un vestitino di velluto nero, e la casa era piena di gente. Rosalia era quasi sempre in cucina ad aiutare la cuoca, e lei rimaneva nella sua camera a pensare a ciò che le aveva detto la zia. Spesso, al pensiero che non avrebbe più visto la madre, che non avrebbe più sentito la sua risata e non avrebbe più aspettato il suo bacio della buonanotte, lacrime silenziose le scorrevano giù per le guance, nonostante si sforzasse di non piangere. Ogni tanto veniva a farle compagnia Concettina, la sorella di Maruzza, una ragazzina di dodici o tredici anni, tutta lentiggini, che era chiamata in casa ad aiutare quando c’era molto da fare. Durante quei giorni aveva visto suo padre solamente una volta. Era venuto in camera sua per vederla, ma era rimasto appena pochi minuti. Lei avrebbe voluto abbracciarlo, e sederglisi sulle ginocchia come era solita fare quando aveva qualcosa da raccontargli, ma il barone rimase in piedi, e aveva un’espressione così cupa che Carolina non osò dirgli nulla. La sera, quando Rosalia venne per farle recitare le preghiere e metterla a letto, e lei le raccontò della visita di suo padre, Rosalia le sorrise e disse soltanto – Signorina mia, che volete? Senza la signora baronessa non è più lui –

A poco a poco le visite diminuirono, e l’atmosfera della casa, che era sempre stata allegra e serena, divenne triste e cupa. Le domestiche non sapevano da chi prendere ordini, perché prima d’allora si era sempre occupata la baronessa della gestione della casa, e andavano un po’ da Rosalia, un po’ dalla marchesa, che in quei giorni si era stabilita a palazzo Beccadelli. Nessuno osava disturbare il barone, che si era chiuso in un ostinato mutismo. Le visite gli davano fastidio, come gli dava fastidio vedersi qualcuno girargli attorno, anche se si trattava della sorella. Restava giornate intere nel suo studio, a fissare il fuoco nel camino, incapace di pensare a ciò che aveva perduto, e che non riusciva ad accettare. Dalla morte della baronessa non era più entrato nella sua camera, e dopo il pianto iniziale non aveva più versato una lacrima. La dolcezza nel suo sguardo era scomparsa non appena gli occhi della moglie si erano spenti. Aveva amato, aveva donato il suo cuore a quella donna, e adesso che aveva conosciuto l’amore non riusciva a rassegnarsi all’idea di averlo perso per sempre. Rimaneva ore e ore a crogiolarsi nel ricordo doloroso dei suoi momenti felici, della bellezza e giovinezza di Lucia, che erano state stroncate dalla morte come accade con un bel fiore brutalmente spiccato dallo stelo. Il suo dolore per ciò che entrambi avevano perduto era così grande che non lasciava spazio ad altro. La sorella cercava di scuoterlo da questo stato, ma il barone non sentiva ragioni. Niente e nessuno potevano consolarlo. E a nulla valevano le chiacchiere della marchesa, che gli parlava dicendogli che la buon’anima non avrebbe voluto vederlo così, che aveva una figlia che era frutto del loro amore, che Lucia viveva in Carolina e a questo lui doveva pensare. Anzi, invece di intenerirsi, l’animo del barone si inaspriva ancora di più, dandosi la colpa della morte di Lucia, che voleva farlo contento con un figlio maschio. E se non fosse stato per i figli la buon’anima sarebbe ancora qua, diceva alla sorella. Anche vedere Carolina gli provocava lo stesso effetto. I suoi atteggiamenti, le sue sembianze, ricordavano troppo quelli della madre, e ancora di più gliene facevano sentire la mancanza e sembravano gridargli “ È colpa tua se Lucia è morta”. Così le sue visite alla figlia si diradarono, e se prima la vedeva una volta al giorno, poi cominciò a vederla un giorno si e uno no, e a volte per avere notizie della figlia chiedeva direttamente a Rosalia.

La piccola di questo non si capacitava. Ogni volta che chiedeva del padre le dicevano che era impegnato, che era uscito, o semplicemente che non poteva riceverla. E così le sue giornate trascorrevano sempre uguali, in camera sua, senza altra compagnia che quella di Rosalia, e ogni tanto della zia. La domenica quest’ultima la portava con sé in chiesa per assistere alla messa, ma per via del lutto non si fermavano a passeggiare né ad ascoltare la musica al palchetto del Foro. Le mancavano le passeggiate con la mamma, i giochi con lei, le volte che le insegnava a suonare il pianoforte, o le favole che le raccontava. E soffriva in silenzio per non dare dei dispiaceri a nessuno, né alla madre che la vedeva dal paradiso, né al padre, né alla zia che con lei era tanto buona. Rosalia la vedeva mangiare sempre meno e farsi ogni giorno un po’ più pallida, e ne parlava alla marchesa. La marchesa non aveva cuore di lasciarla in quella casa con il padre che non si curava di lei, né aveva il coraggio di portarsela lasciando il fratello solo. Così, quando dopo un mese se ne tornò a casa, memore della promessa che aveva fatto alla cognata in punto di morte, chiese al fratello il permesso di poter curare la sua educazione tenendola con sé durante il giorno, per poi rimandarla a casa la sera. Il barone non ebbe nulla da ridire, così la marchesa, affidando a Rosalia le redini della casa, se ne tornò alla sua famiglia, portandosi dietro anche la nipote.

Palazzo Guardavalda e palazzo Beccadelli erano vicini, così ogni mattina la bambina veniva accompagnata da Maruzza, che tornava a prenderla prima di cena. A Carolina piaceva andare dalla zia. Là c’era sempre qualcosa di bello da fare. Innanzitutto oltre la compagnia della zia c’era anche quella dei suoi cugini, Giacomo e Vincenzo. I due ragazzi, affettuosi per natura, la accolsero subito come una sorella, portandola in giro per la casa e rendendola partecipe di tutti i loro giochi. Giacomo era il più grande dei due, era un ragazzino calmo e gentile, ma il vero capo della combriccola era Vincenzo, di appena un anno più piccolo del fratello, e un po’ più grande della cugina. La mattina un istitutore veniva a far loro lezione, e dopo un paio d’ore li lasciava liberi di studiare per i fatti loro, approfondendo le lezioni singolarmente. Non appena l’istitutore andava via, i tre erano liberi di fare ciò che volevano, così andavano gironzolando per la casa, o nelle loro camere, alla ricerca di nuovi giochi da fare, o di nuovi dispetti da fare al gatto della cuoca. Pian piano le giornate passate in solitudine nella sua camera divennero un lontano ricordo per Carolina, e i giochi preferiti dei cugini divennero anche i suoi. Nel pomeriggio la zia la teneva po’ con sé, insegnandole a ricamare o a suonare il pianoforte. Quando il tempo era bello uscivano tutti in calesse e andavano a Villa Giulia, dove si poteva passeggiare e giocare sotto l’occhio vigile della zia e di tutta l’elegante società palermitana.

Così Carolina iniziò una nuova parte della sua vita, tra giornate spensierate insieme ai cugini e alla zia, e sere tristi e solitarie nella sua camera, con l’unico conforto dell’affezionata Rosalia, e sporadici incontri con un padre che non aveva quasi più nulla del padre affettuoso che era stato un tempo.

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Spero che da questo capitolo si sia iniziato a capire qualcosa in più del carattere della nostra protagonista ... in ogni caso ci sarà modo più avanti di conoscerla meglio!

BLU REI: ogni tua parola è un toccasana per il mio ego da scrittrice incompresa ihihihi grazie per il tuo apprezzamento, per il tuo incoraggiamento e per la tua pubblicità! spero di non deluderti! ormai mi viene l'ansia da prestazione per quanto riguarda fiamma!

Kaoru: Mi fa piacere vedere che la storia ti piace. e sapere che riesco a trasmettere con le mie descrizioni proprio ciò che ti è arrivato è a dir poco esaltante. poi il fatto che mi reputi straordinaria lo è ancora di più, mi raccomando non disertare!

Sheila84: Con le tue poche parole anche tu riesci sempre a colpire nel segno, addirittura stupendo! spero di riuscire a mantenere questo standard allora! ;-)

Ringrazio le ahimè poche persone che stanno leggendo questa storia, nella speranza che non diminuiscano!
Saluto lili1741 che, bontà sua, ha inserito questa storia tra i preferiti

Inoltre volevo lanciare un messaggio promozionale!
alle poche anime pie che si trovassero a leggere fin qua, suggerisco un pò di storie che vale la pena di leggere!
La stagione dei ciliegi in fiore di BLU REI, sezione Originali -> Romantico
Il sole ama la luna, la luna il sole ama di BLU REI_Celestellina, sempre Originali -> Romantico
Il mio cuore è un susino in fiore  e Strambo Garakame in ROUNDROBIN nella sezione Anime/Manga -> Il sogno di Maya (Glass no Kamen)
   
 
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