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Autore: Biebersbreathe    25/09/2014    10 recensioni
Chissà quanto stanno soffrendo le persone che amavo: non lo so, non so nemmeno chi siano. Che poi, è vera tutta sta storia o questo Simon mi sta prendendo in giro?
“Shamuel.”, mi corregge. Si beh, lui. Comunque, se riesce a carpire i miei pensieri e se continuo a non svegliarmi…qualcosa sotto c’è. Potrei provare a pensare al mio numero preferito.
“Ventisei. Smettila, Gabrielle.”, mi dice trattenendo un sorriso. Sono nel Purgatorio. Sono…
“Morta. Sì, sei morta.”
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo nono.

Justin muove un pezzo di due caselle, poi torna a fissarmi con occhi critico: “Fammi capire: la tua amica muta sta scontando una punizione perché Nostro Signore non sa tenere a bada il serpente?”

Spalanco gli occhi: non l'avrei proprio detto così, ha fatto una parafrasi poco azzeccata. Fisso la scacchiera che ho sotto il naso, cercando di capirci qualcosa. Non ci so proprio fare a sto gioco. “Non è muta.”, commento, prima di spostare una pedina nera verso destra.

“Che fai, quella è mia!” sbotta, riprendendola e rimettendola al suo posto. Sono due turni che muovo pedine nere: quello disattento qui è lui. Avrebbe dovuto dirmelo che sono dei bianchi. O, forse, sta cambiando schieramento proprio adesso perché io sono troppo brava e con i neri potrebbe fare scacco. Non glielo posso permettere, ho una certa dignità da mantenere. La stessa che, in questo momento, mi trattiene dal saltargli addosso e strappare quella maglietta. L'ho già detto che il bianco gli dona? Sì, forse sì.

“Scacco matto!” sparo a caso, spostando un cavallo davanti ad una pedina più alta delle altre. Stavolta almeno ho preso un cavallo bianco.

“Il cavallo si muove a L, come te lo devo dire? E comunque quella è la regina.”, poi sospira e toglie i pezzi. Finalmente si è accorto che è inutile giocare con me! Però è paziente con me, anche se dopotutto ora può usare le mani grazie a me. È ancora piuttosto brutto vedere i suoi polsi e le caviglie circondati dagli aloni rosso scuro, ma almeno può muoversi un po' di più. Sempre restando recluso qui, ovviamente.

“Che noia.”, commenta lasciandosi cadere su di me. Lo afferro all'ultimo, abbracciandolo. Lui sospira, infilando la testa nell'incavo del mio collo. Non gli piace questa situazione: preferiva rimanere legato, a quanto ho capito. Ha paura che, una volta tornate le catene, si sentirà peggio, perché ha assaporato la libertà. Io, dal canto mio, ho paura di sbagliare qualsiasi cosa faccio con lui. Vorrei solo migliorare la sua condizione, ma spesso finisco per peggiorarla.

“Raccontami ancora una volta la storia di Deborah.”, la sua voce mi arriva soffocata e mi provoca brividi lungo la spina dorsale. Se sapesse che effetto inizia a farmi... Se lo sapessero Shamuel e Deborah, a quest'ora sarei decapitata e la mia testa infilata in un palo, come facevano i vecchi indiani. O erano vichingi?

“Shamuel è un idiota. Non mi ha detto praticamente niente. Dopo aver lanciato la bomba a mano sul fatto che Dio fosse innamorato della mamma di Debby, ha cambiato argomento. Si è messo a parlare di quanto gli piacesse suonare il pianoforte in vita.”, inizio ad accarezzargli i capelli. Sono di un colore ramato, quasi dorato, e sono morbidissimi. Di solito mi chiede di toccarglieli per aiutarlo a dormire; il problema è che quanndo mi addormento mentre lo faccio, in mezzo alla notte si ritrova la mia mano in faccia.

“Anche io sapevo suonare il pianoforte. E la batteria. E la chitarra.”, si tira su e mi sorride. Oh, che palle, sa fare tutto. Non ha un difetto? Come possono sbattermi qui e sperare che io ne sia indifferente? Avrebbe dovuto uccidermi un vecchio ubriacone. No, ok, forse no.

“Io il flauto.”, faccio spallucce e lui ride, tornando a sotterrarsi tra i miei capelli. È un sacco coccolone, per essere un maschio adolescente. Di solito sono guidati da una specie di mantra “calcio-sesso-cibo-sesso-faccio il dolce per portarmela a letto-calcio-capelli.”

“Gabrielle!” esclama d'un tratto, tirandosi su e dandomi una testata sul mento.

“Justin!” lo imito, massaggiandomi per la botta. I suoi occhi brillano di entusiasmo e non posso fare a meno di sorridergli, interrogativa.

“Mi porti una chitarra?” mi chiede prendendomi le mani tra le sue. Ora che il sangue circola meglio sono calde e ancora più morbide di quanto ricordassi. Penso che gli abbiamo già concesso molto, penso che non so se esistono le chitarre quaggiù, penso che Shamuel non ne sarà contento, penso che a forza di continuare a chiedere potrebbe succedere qualcosa.

“Certo che te la porto.”, gli faccio l'occhiolino, e lui mi sorride ancora più largamente. Non pensavo potesse riuscirci, ma lo fa. È come stare a vedere il sole brillare a occhi nudi. Vale più di mille 'grazie'.

“E' permesso?” una voce ci fa girare di scatto, io arrossendo per la nostra vicinanza, Justin indifferente. Non lascia le mie mani. Sullo stipite della porta, appoggiato a braccia incrociate, Daniel ci guarda con un mezzo sorriso. Justin annuisce sorridendo e lui entra, sedendosi sull'unico materasso libero: il mio. Si schiarisce la voce, ma rimane in silenzio.

“Tutto bene?” gli chiede Justin ad un certo punto, lasciando le mie mani per girarsi a guardarlo meglio. Mi porto le braccia al petto, nascondendo le mani che già sono diventate gelate, senza le sue.

Daniel annuisce. La sua cicatrice spicca nella stanza illuminata dalle candele. “Che fate?” chiede poi. Secondo te? Andiamo in canoa.

“Niente, parliamo.”, fa Justin sbadigliando. Sì, so annoiarlo per bene. Non è da tutti un dono del genere.

“Daniel, posso chiederti una cosa?” dico, sorprendendo anche me stessa. Mi fa paura il tizio, e spesso mi guarda pure male. Non adesso, perché sembra parecchio stanco. Ha delle occhiaie paurose. Mi fa un cenno come per dirmi di chiedere. “Dove sono gli animali?”

Lui mi guarda come se fossi pazza, Justin si volta per metà verso di me, sollevando come al solito il sopracciglio. Possibile che nessuno se lo sia chiesto?

“Insomma, non c'è un regno per i cagnolini, gattini, cavalli?” specifico, sbuffando davanti alle loro facce perplesse. Justin alza gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso. Daniel invece mi guarda serio, grattandosi il mento. Io dovrei avere proprio un livido adesso, in quel punto.

“Non me lo sono mai chiesto, sai? Ma è una bella domanda.”, sospira e appoggia la testa al palmo della mano. Non sembra poi così cattivo, visto da così. Magari mantiene l'aria da duro perché è una specie di guardia.

“Perché sei qui?” mi viene spontaneo chiedergli. Sembra che se lo aspettasse, perché fa un sorriso, accentuando la piega negativa dell'occhio destro, mutilato dalla cicatrice.

“Sono un assassino, mi sembra piuttosto chiaro. Ma sono uno dei primi arrivati qui, anzi direi il primo, così mi è stato garantito una specie di compito di guardia. Controllo che gli altri facciano i bravi, mentre Dio controlla me. Sono probabilmente quello che odia di più.”, ha un tono quasi orgoglioso. Non mi ci va molto per fare due più due. Arretro instintivamente, incontrando la roccia.

“Qual è il tuo vero nome?” chiedo con un filo di voce. Justin, accanto a noi, ci guarda alternativamente, senza capire che sta succedendo. Pensa che Daniel sia un cerbiatto o cosa?

“Dobbiamo fare questo teatrino? Lo hai capito benissimo.”, mi sorride in modo quasi dolce, se uno come lui può essere definito dolce. “Caino, figlio di Adamo ed Eva. Primo uomo sulla Terra, primo assassino sulla Terra.”, al che Justin si soffoca con la sua saliva.

“Hai ucciso tuo fratello!” esclamo stringendomi le ginocchia al petto. Non posso andare più indietro di così.

“Era un tipo noiosamente fastidioso.”, commenta sospirando. Zero pentimento. Mentre Justin biascica cose a caso, io valuto le alternative. Sono morta, giusto? Per cui non può farmi niente. E soprattutto, non può farne a Justin. Bene. Magari la sua conoscenza del luogo può aiutarci.

“Non è che conosci un posto dove Justin possa stare senza farsi vedere?” chiedo. Daniel, perché mi fa troppo paura pensare di chiamarlo in un altro modo, ci pensa un attimo, poi si alza.

“Oggi mi sento buono.”, ironizza, porgendomi una mano. La uso per tirarmi su e poi afferro quella di Justin. All'orecchio mi sussurra che secondo lui non è prudente girare con Daniel, ma io non lo ascolto. Dopotutto, fino a ieri lo considerava il suo nuovo best friend.

***


Mi siedo accanto a Deborah, stanco, passandomi una mano tra i capelli corti. Sento la sua piccola mano sfiorarmi la schiena e accarezzarla, mentre un calore profondo mi scuote da dentro. È sempre stato così con lei, dalla prima volta che l'ho vista. Ho capito che avrei potuto affrontare anche il... come l'aveva chiamato Gabrielle? Il ProfondInferno. Se fosse esistito, chiaramente.

“Sham, stai tranquillo. Andrà tutto bene.”, cerca di consolarmi, appoggiando la testa alla mia spalla. La stringo a me, annusando il suo dolce profumo. Non è facile essere me, ve lo assicuro. Anzi, fa parecchio schifo. Sento il ronzio continuo dei pensieri altrui, ho un peso sulle spalle più pesante del cielo stesso e sono uno sfigato. Niente da fare, giuro, nessuno lo è più di me.

“Come potrebbe? Dio mi ha quasi fulminato con lo sguardo quando gli ho chiesto di togliere le manette a Justin, mi sa che sospetta qualcosa.”, sospiro, annusando ancora il suo profumo per calmarmi. Caspita, sembro un drogato all'ultimo stadio.

“Mica è Zeus.”, mi risponde, facendomi sorridere. Sento nei suoi pensieri cose che non dovrei, cose che dovrebbe volermi dire solo al momento adatto. Fingo, allora, di non sentire il suo corpo che trema a contatto con il mio, il suo cuore battere impazzito e le sue dichiarazioni silenziose. Dovrei chiedere a Dio di bloccare almeno i pensieri di Deborah. Ah, no, mi sa che se gli chiedo qualcos altro mi decapita.

“Sham.”, mi richiama, alzandosi di poco per guardarmi negli occhi. Deglutisco, cercando di reprimere l'istinto di prenderle il volto tra le mani, baciarla e stringerla forte. Annuisco solo, per dirle di continuare.

“Perché è sbagliato?” sussurra. So dove sta andando a parare, maledizione.

“Che cosa, Debby?” mi accorgo di tenere la voce bassa anch'io, come se non volessi farmi sentire. Tanto è impossibile, lo so bene.

“Quello che proviamo.”, trattiene il respiro dopo averlo detto, come se non ci credesse nemmeno lei. Io non ci credo di sicuro. So cosa prova per me, lei sa cosa provo per lei, ma nessuno l'ha mai detto ad alta voce. Si capiva, semplicemente. Persino una come Gabrielle l'ha capito. Ahi, questo forse era un insulto brutto. Per fortuna che nessuno sente cosa penso io.

“Lo sai, io...” inizio, ma poi mi fermo. Non so cosa dirle. Vorrei poterla amare alla luce del sole, ma non si può. Ed io, proprio io, per primo, devo rispettare questa regola. Devo essere il buon esempio. Un compitaccio.

“Shamuel. -mi interrompe.- Loro si innamoreranno, lo sai meglio di me. E Gabrielle non è come me e te, non sopporterà che le mettano i bastoni tra le ruote.”, la sua voce ora è seria, tagliente. Ha ragione. L'ho capito dalla prima volta che ho visto Gabrielle. Ha quella scintilla negli occhi di chi è ancora vivo, di chi è pronto ancora a vivere le stesse emozioni terrene. È stato difficile convincerla che la sua morte era vera, è una pedina incontrollabile. Lo so fin troppo bene.

“E cosa dovrei fare?” la domanda mi esce come un lamento, mentre mi prendo la testa tra le mani. Il ronzio di notte è attenuato, ma lascia il solito mal di testa pulsante a cui ormai sono abituato.

“Fagli capire che l'amore è necessario. Fallo per loro. Per noi.”, la voce le si spezza sull'ultima parola. I suoi occhi si riempiono di lacrime, mentre mi guarda implorante. Quante occhiate del genere ho ricevuto, nel corso di questi anni? Gente che mi ha supplicato di riunirsi al suo amato o alla sua amata. E sono stato irremovibile, una pietra. Adesso che capita a me finalmente capisco quanto fa male, quanto è difficile conviverci. Eppure, dopotutto, non c'è molto che io possa fare. Le decisioni di Dio non sono discutibili senza conseguenze. La stringo tra le braccia, sentendola sciogliersi in singhiozzi. Vorrei non soffrisse mai, vorrei poter distruggere ogni scheggia di dolore dal suo cuore puro. Questa ragazza vivrà per sempre un'esistenza che non si merita.

“Non posso, non posso.”, continuo a ripetere, cullandola. Vorrei. Vorrei davvero. Non ho mai odiato il condizionale così tanto. E io non dovrei odiare nessuno! Sempre sorridente, sempre carino, sempre gentile. Gabrielle ha persino ragione quando dice che sono antipatico. Mi accorgo di esserlo. Ma è il peso del mio ruolo qui dentro, benché possa sembrare una giustificazione.

Alla fine Deborah si calma, ritraendosi dalla mia stretta per asciugarsi gli occhi e tirare su con il naso. Mi guarda con gli occhi ancora umidi, gonfi dal pianto. Nonostante io sia un idiota, non leggo accusa nel suo sguardo. Solo amore. Un amore che mi accende e mi brucia, che mi lascia scottato e impotente.

“Qualsiasi cosa accada, io sceglierò sempre di stare con te.”, si dichiara infine, prendendomi una mano e intrecciando le nostre dita. Deglutisco ancora, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. È troppo bella. Troppo pura. Mi fermo a guardarle le labbra un secondo di troppo, quel secondo che mi frega, mi butta nel buio. Un posto dal quale non potrò mai più ritornare.

Mi allungo e le afferro dolcemente il viso con una mano, tenendo la sua con l'altra, e mi avvicino. La vedo sbarrare gli occhi, incerta e desiderosa. Sto per fare la cosa più giusta, nonché la più sbagliata, di tutta la mia vita. Non voglio chiudere gli occhi. Si dice che il bacio ad occhi chiusi sia più sentito, io invece voglio vederla dritto in quel colore che amo tanto, per essere in grado di cogliere ogni sua espressione. La bacio con dolcezza, premendo le labbra sulle sue umide dal pianto e poi aprendole, per approfondire il bacio. E le vedo tutte: paura, spavento, incertezza, dolore, incredulità. Ma soprattutto amore. Ed è quello che mi spinge a baciarla ancora, fino a che non devo riprendere respiro, fino a che non sento la testa girare e le labbra gonfie. In questo momento, non mi importa se Dio mi squarterà o preferirà la ghigliottina: io ho qualcosa per cui lottare, o almeno avrò qualcosa a cui pensare nei secondi precedenti la morte.

“I-io non...”, inizia a balbettare. Le poggio un dito sulle labbra, scuotendo la testa.

“Non dire nulla, ti prego.”, la imploro. Lei annuisce, e si appoggia alla mia spalla, donandomi il suo calore per quella che spero non sia l'ultima volta.

Allooora. 

L'ultimo pezzo è, come avete potuto notare, dal punto di vista

di Shamuel. Questo sia perché volevo dare una descrizione più

precisa di un'altra coppia, sia perché Julia lo ama ahah.

Ho un'altra cosa da dire prima di andare:

ho notato che la storia non è commentata da molti, il che mi fa pensare

che non piaccia a molti. Sto quindi pensando di cancellarla, ma NON è sicuro.

Ci penserò bene. Grazie a chi c'è, comunque. Spero questo capitolo vi piaccia.

Chiara. :)

  
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