Retrace III: Deeper and Deeper.
Kuroko
inspirò l’aria fresca del mattino, sentendosi sereno come non lo era da tempo.
Dopotutto
quella missione avrebbe potuto fargli bene: gli era capitato solo una volta e
per pochissimi minuti di veder giocare la squadra di basket del liceo Seirin e senza scampo ne era rimasto affascinato.
Si era
detto che, se fosse stato un ragazzo normale, avrebbe voluto giocare in una
squadra come quella, dove la fiducia nei propri compagni era quasi palpabile,
al contrario della Teiko, dove in modo lento ma
inesorabile si era insinuato un gelo così tagliente da recidere i fili che avevano
unito la Generazione dei Miracoli. Ovviamente la loro squadra non si era
sgretolata solo a causa dello sbocciare dei vari talenti, ma lui stesso –che
tanto aveva fatto “ramanzine” ad Aomine per il fatto
che saltasse sempre più spesso gli allenamenti- alla fine si era ritrovato a
non presentarsi quasi più in palestra a causa delle missioni che cominciavano
ad occupare tutto il suo tempo libero.
Inventarsi
scuse convincenti per giustificarsi con gli altri era diventato sempre più
difficile e alla fine non gli era restato che arrendersi al fatto che non
sarebbe riuscito a far tornare le cose come prima, soprattutto se lui stesso
saltava tre allenamenti su quattro.
Sospirò
così piano da essere quasi del tutto impercettibile e decise che non voleva
annegare in quei pensieri.
“Adesso devo solo avvicinare Kagami Taiga e
fare in modo che si fidi di me, che male può farmi fingere di non essere un
sicario ma un semplice ragazzo del liceo?” si domandò, per poi ricordarsi
un altro particolare molto importante: per un po’ di tempo sarebbe stato
lontano da Hanamiya.
In pratica
era un sogno, quindi non si sentì affatto in colpa nel non riuscire a
trattenere un sorriso, riconoscente per quegli attimi di pace che gli si
prospettavano davanti.
Tirò fuori
un libro e si mise a leggere mentre camminava. Non riuscì neanche a ricordare
quando era stata l’ultima volta che aveva davvero letto un romanzo che in
realtà non fosse qualche manuale su come ammazzare le persone, opportunamente
nascosto dietro la copertina di qualche grande classico per non destare
sospetti.
Si
stiracchiò appena, si sentiva ancora un po’ indolenzito, ma andava molto meglio
di quando si era risvegliato all’Amnesty, due giorni prima.
Non riuscì
ad impedirsi di ripensare alle parole che gli aveva rivolto Akashi in quella situazione.
«Ascoltami bene, Tetsuya, questa forse
sarà la missione più difficile che tu abbia affrontato fino ad ora, quindi
cerca di non deludermi» aveva detto Akashi, dopo essersi assicurato che Kuroko
non distogliesse lo sguardo dal suo.
Kuroko
era riuscito a mettersi seduto sul letto ed incrociò gambe e braccia, non comprendendo
le parole dell’altro, «Cosa dovrebbe esserci di complicato?» aveva mormorato,
per poi concedersi un attimo di esitazione, «Le vite umane sono assurdamente
fragili, nessuna esclusa. Cosa ci dovrebbe essere di difficile nel spezzare
questa in particolare?»
«La vicinanza, Tetsuya. Per farti un
esempio, se io te lo ordinassi in questo preciso istante, tu uccideresti quel
tuo “amico”, Shigehiro Ogiwara?»
Kuroko sapeva fin troppo bene che,
vista la sua posizione, avrebbe dovuto rispondere subito con un “Sì”, ma ancora
una volta aveva esitato, cosa che era bastata ad Akashi per capire la vera
risposta. Tuttavia, a Tetsuya non era sembrato
affatto stupito di ciò.
«Sei un essere umano, dopotutto. E’
per questo che ho provveduto ad allontanarlo da te, rischiava di compromettere
la vita che stai svolgendo».
«Quindi la partita...?»
«Esatto, era tutto programmato. Devo
impedire che la tua umanità possa diventare un intralcio» Akashi si era passato
una mano tra i capelli per poi riprendere a parlare, «non avvicinarti
emotivamente al tuo bersaglio o sarà la tua rovina».
«Penso che ormai per me sia
impossibile avvicinarmi emotivamente a qualcuno, Akashi-kun. Non c’è pericolo
che io possa deluderti».
L’altro gli aveva sollevato appena
il viso con il pollice e l’indice e gli aveva rivolto un sorriso che nascondeva
in sé qualcosa di terribilmente falso, «Ne sono sicuro».
«Non c’è davvero bisogno che io mi
avvicini a Kagami, per tenerlo d’occhio» aveva notato
Kuroko, dopo qualche secondo di silenzio, in
un’implicita richiesta di spiegazioni.
«Vero» gli aveva concesso Akashi, «I
motivi per cui io voglio che tu lo avvicini sono due: il primo è perché
potrebbe farsi sfuggire con te qualche informazione su suo padre. Il secondo
motivo lo saprai a tempo debito».
«Ma-»
Era bastata un’occhiata tagliente di
Akashi per interrompere in modo immediato la frase di Tetsuya.
«Stai davvero pensando di contestare un mio ordine?» il tono di voce era stato calmo
come al solito, ma Kuroko aveva avvertito in modo
distinto una nota di pericolo.
«No, ovviamente no».
Kuroko
sospirò, dicendo addio al buonumore che lo aveva animato fino a pochi secondi
prima.
Odiava
vedere Akashi sorridere in quel modo e più di ogni altra cosa desiderava
vederlo tornare in sé, ma non aveva la più pallida idea di come fare.
Sbuffò e
accelerò il passo, raggiungendo la scuola in poco tempo, senza smettere di
leggere mentre avanzava.
Una volta
varcato il cancello, venne investito da un caos senza fine, fatto di voci che
sbraitavano da una parte all’altra, incitando gli studenti ad iscriversi ai
vari club scolastici.
Nonostante
avesse dovuto predominare il nero delle divise, il cortile della scuola oltre
che da voci era invaso da colori fin troppo sgargianti.
“Sembra un circo” pensò Kuroko, ormai
troppo abituato al rigore della Teiko e dell’Amnesty.
Si fece
coraggio e si mise a cercare lo stand del club di basket, tenendo davanti a sé
il suo fidato libro, come a creare uno scudo tra sé e tutto quel frastuono.
“Sicuramente Kagami
si iscriverà al club di Basket, così mi ha detto Akashi-kun.
Se mi iscrivessi prima del mio bersaglio e rimanessi nei paraggi dello stand,
potrei approfittarne per iniziare a studiarlo già da subito” si disse,
voltando una pagina del libro.
Per fortuna
non ebbe neanche bisogno di utilizzare la Misdirection per passare del tutto
inosservato e non ci mise troppo tempo a trovare ciò che stava cercando.
Si avvicinò
allo stand, ma non rivolse la parola alla ragazza seduta dietro al tavolino,
limitandosi a prendere un modulo di iscrizione, compilandolo; inutile dire che
nessuno se ne accorse e a Kuroko non rimase che aspettare lì di veder spuntare
il suo obiettivo.
Non ci
volle molto prima che un ragazzo identico alla fotografia che gli aveva dato
Akashi si facesse avanti, reclamando un modulo di iscrizione con voce quasi
annoiata, come se con la sua presenza stesse solo facendo un favore a tutti
quanti.
“Arrogante” pensò subito Tetsuya,
cercando di convincersi che quel ragazzo non
gli ricordasse in modo incredibile Aomine. Storse il
naso in modo impercettibile, sentendosi un po’ infastidito.
“Questi fenomeni si credono davvero
chissà chi… se scoprissero quanto in realtà siano fragili, forse smetterebbero di darsi tutte queste arie” pensò, distratto,
rendendosi conto solo dopo di quanto un pensiero del genere fosse cinico e
lontano dal tipo di persona che voleva essere.
Scacciò
quelle riflessioni e si affrettò a seguire Kagami, che dopo aver lasciato sul
tavolo il modulo, compilato solo per metà, si diresse verso l’interno della
scuola.
Kuroko
scoprì che lui e Taiga erano nella stretta classe; coincidenza troppo fortuita
per essere considerata tale, quindi si disse che in tutto quello doveva esserci
lo zampino di Akashi.
“Meglio così, avrò più tempo per studiarlo”.
Si sedette
al banco dietro a quello del suo bersaglio e passò l’intera giornata ad
analizzarlo nei dettagli, come se non fosse una persona ma un misero oggetto di
studi.
Come aveva
già appurato prima allo stand, doveva essere una persona molto sicura di sé, ma
oltre alla presunzione c’era qualcosa nel ragazzo che in quel momento non
riuscì a comprendere del tutto.
Notò che aveva
un anello appeso ad una catenina legata al collo ed ogni volta che lo sfiorava,
senza rendersene conto il suo sguardo si velava di una leggera malinconia.
Doveva essere il ricordo di qualcuno a cui voleva bene.
Si disse
che anche a lui sarebbe piaciuto avere un legame del genere con qualcuno, per
poi ricordarsi che in effetti lo aveva: Ogiwara gli aveva lasciato il suo
polsino, il loro legame era ancora vivo, nonostante la profonda ferita inferta
da Akashi.
“L’ha fatto per il mio bene” si ripeté
per l’ennesima volta, sperando di riuscire a convincersene al più presto.
Si disse
che quella era la prova che il vecchio Akashi fosse ancora da qualche parte
dentro Seijuro: cercava di reprimere la sua umanità
non per cattiveria ma per salvarlo da se stesso. Un killer che si permette di
essere umano spesso fa una brutta fine.
In quel
momento prese la sua decisione, avrebbe riportato indietro il vero Akashi a
qualsiasi costo. Seijuro era vittima di quel mondo
ancora più di lui, c’era nato dentro, non aveva mai avuto scelta; ora che più
che mai quella voragine nera lo stava risucchiando, non poteva lasciarlo a se
stesso.
Forse per
questo l’Imperatore lo avrebbe
rimproverato di nuovo per la sua eccessiva “umanità”, ma ad essere sincero, in
questo caso non gliene importava. Killer o non killer, non poteva abbandonare
Akashi.
Una volta
risvegliatosi da quei pensieri, si biasimò per quella sua improvvisa incapacità
di restare concentrato e tornò ad osservare Kagami, sospirando appena.
[…]
“Studiare qualcuno non è mai stato così
stancante” pensò Kuroko, abbandonandosi sfinito ad un tavolo del Maji Burger.
Il giorno
prima aveva perfino sfidato Kagami ad un uno contro uno, venendo stracciato
all’istante, mentre quel pomeriggio gli aveva mostrato la sua Misdirection
nella partita contro i senpai, dimostrando come si era ritagliato uno spazio
nella Generazione dei Miracoli.
Guardò con
profonda nostalgia il Vanilla Shake che aveva
comprato e che non avrebbe bevuto.
Ormai erano
due anni e mezzo che non beveva Vanilla Shake.
L’evitare di consumare cibi di cui non conosceva la provenienza e che quindi
potevano contenere veleno, era una delle prime cose che gli erano state
insegnate, quindi questo valeva anche per i suoi adorati Vanilla
Shake.
Aveva fatto
tesoro di quella regola, ma la paranoia vera e propria per il cibo gli era
venuta solo dopo che Hanamiya aveva deciso di
specializzarsi nella preparazione di veleni.
“Suppongo sia uno degli svantaggi di avere un
partner psicopatico” pensò, guardando quasi con tristezza il bicchiere.
Avrebbe
potuto risparmiarsi quello strazio, ma la verità era che starsene seduto in un
fast food ad osservare le persone gli era più utile
di quanto avesse mai creduto possibile, quindi quasi tutti i giorni arrivava,
si comprava un Vanilla Shake e faceva finta di berlo,
immergendosi per qualche minuto nelle vite degli altri e scordandosi la
propria.
“Tra poco
devo fare rapporto su come procede la missione” pensò, guardando l’orologio
appeso dietro al bancone.
Cosa avrebbe
detto a Seijuro? A conti fatti, benché avesse
cominciato già a smuovere qualcosa, al momento non aveva nulla in mano. No,
presentarsi da Akashi e dirgli che non aveva ancora concluso nulla non lo
allettava affatto come idea.
Udì
qualcuno sedersi al suo stesso tavolo e questo lo riscosse dai suoi pensieri,
riportandolo alla realtà.
“Kagami-kun?”
Il ragazzo
non sembrava essersi nemmeno accorto che il tavolo fosse già occupato e prese a
scartare uno dei numerosissimi panini che gli ingombravano il vassoio.
“Davvero ha intenzione di ingurgitare tutta quella roba?”
«Buonasera,
Kagami-kun» disse a bassa voce, osservandolo con noncuranza.
Taiga per
poco non si strozzò con il panino e lo guardò come se avesse appena visto un
fantasma, reagendo con un’imprecazione pesante mormorata a denti stretti, per
poi domandargli da dove fosse spuntato.
Kuroko non
si scompose «Sono qui da prima che arrivassi tu» spiegò, tranquillo.
«Be’,
vattene, non voglio che la gente pensi che siamo amici» sussurrò Kagami,
guardandosi attorno come se temesse che tutto il locale stesse osservando
proprio loro due.
«Questo è
il mio solito posto» si limitò a commentare Kuroko, fingendo di bere un sorso
di Vanilla Shake.
“A costo di sembrare ripetitivo: arrogante”.
Kagami
sospirò e poi, senza nessun preavviso o senso logico, gli lanciò un panino.
Tetsuya lo prese al volo e guardò il suo obiettivo con aria dubbiosa.
«Non mi
interessano i deboli, ma almeno questo te lo sei meritato» disse l’altro,
distogliendo appena lo sguardo.
Kuroko non
riuscì a trattenere del tutto un sorrisetto vittorioso: era riuscito ad
attirare l’attenzione di Taiga, ora non gli rimaneva che trovare un modo per
legarlo a sé. Avrebbe portato a termine la missione a qualsiasi costo, il
fallimento non era contemplato.
«Grazie»
disse, senza però accennare a scartare il panino.
Di sicuro Kagami lo credeva un semplice studente e non avrebbe mai
immaginato a chi si stesse davvero avvicinando, ma la prudenza non era mai
troppa, quindi mise da parte il panino per poi ributtarlo nel cumulo di quelli
di Taiga alla sua prima distrazione.
Riprese a fingere
di consumare la sua bibita, aspettando che uno dopo l’altro gli hamburger
sparissero nella bocca del compagno di squadra. Scosse la testa in modo quasi
impercettibile, in segno di disapprovazione: in meno di un quarto d’ora aveva
ingurgitato più panini di quanto uno stomaco umano potesse contenere senza
esplodere.
Gli venne
più che naturale seguire Kagami fuori dal fast food e l’altro dal canto suo non
se ne lamentò, quindi per un po’ camminarono in assoluto silenzio, fianco a
fianco.
«Com’è
questa Generazione dei Miracoli? Se dovessi affrontarli adesso, come
finirebbe?» chiese all’improvviso Taiga.
«Ti
farebbero a pezzi» rispose Kuroko senza la minima esitazione.
Ovviamente
non era la risposta che si aspettava Kagami, perché lo guardò malissimo,
«Dovevi proprio dirlo così?!»
“Come avrei dovuto dirlo? Prefazione,
svolgimento ed epilogo?”
Alzò gli occhi al cielo, per poi guardare ancora
Taiga. «Tutti i cinque membri della Generazione dei Miracoli sono andati in una
scuola differente e di sicuro ognuna di quelle scuole raggiungerà la vetta»
spiegò.
Il sorriso
entusiasta che gli rivolse Kagami lo colse impreparato «Grandioso» disse,
sorridendo come se non potesse contenere l’emozione «Ho deciso, li batterò
tutti e diventerò il numero uno del Giappone».
Kuroko non
riuscì a trattenere un sorriso sincero, per poi pentirsene subito dopo. Cosa
stava facendo? Cominciava a simpatizzare per il suo bersaglio? Si marchiò
indelebilmente in testa che quel ragazzo con tutte le probabilità sarebbe stato
null’altro che l’ennesimo nome che avrebbe arricchito l’elenco delle persone
che aveva ucciso in quegli anni. Doveva restare il più distaccato possibile.
“No, non devo preoccuparmi per quel sorriso, di
sicuro era solo immedesimazione nella parte. Dopotutto farci amicizia fa parte
della mia copertura, devo fingere che non mi sia indifferente” pensò, prima
di darsi dell’idiota per non aver capito subito cosa significassero in realtà
le parole di Kagami.
Taiga aveva
aperto un varco e lui si sarebbe insinuato al suo interno senza esitazioni,
tenendolo così in pugno finché sarebbe stato necessario.
«Non credo
che ce la farai» disse tranquillo, fermandosi ed alzando lo sguardo verso di
lui, «Non so se tu abbia qualche talento nascosto, ma da ciò che ho visto, non
sei affatto al loro livello, non puoi farcela da solo. Perciò anche io ho
deciso. Io sono un attore non protagonista,
un'ombra. Ma un'ombra diventa più
scura quando la luce è forte ed è così che fa risaltare il bianco della luce.
Come ombra ti renderò luce e ti farò diventare il numero uno del Giappone».
Kagami
sgranò gli occhi, stupito da un discorso del genere, per poi riprendersi subito
e sorridergli quasi con arroganza.
«Va bene».
[…]
Akashi
quella sera si era fermato al quartier generale dell’Amnesty e si sentiva
profondamente irritato. Era rimasto in ufficio solo per aspettare Tetsuya ed il
suo rapporto, ma l’altro era in ritardo di quasi un’ora.
Inaccettabile.
Se Tetsuya
non fosse tornato con notizie più che ottime, in grado di giustificare quel
ritardo inammissibile, lo avrebbe punito.
Sentì un
tocco leggero alla sua porta e seppe subito che si trattava di Kuroko; ormai aveva imparato a riconoscere quel suono, non
poteva sbagliarsi. Aprì la porta, ma non diede all’altro il tempo di provare a
giustificarsi e lo freddò con un’occhiata che non lasciava nessun dubbio sulle
sue intenzioni: senza una motivazione più che valida, lo avrebbe ucciso senza
rimpianti.
«Ti
conviene avere buone notizie. Sai bene che non tollero i ritardi».
A dispetto
di ogni aspettativa di Akashi, Tetsuya accennò un sorriso quasi del tutto
impercettibile, per nulla sconvolto da quella occhiata.
“Che se lo sia aspettato?” si chiese.
«Ho notizie
molto migliori che “buone”».
Akashi
lasciò la presa sull’altro e gli fece cenno di continuare a parlare. Capitava di
rado che Tetsuya fosse soddisfatto di se stesso, per quanto riguardava il loro
lavoro, quindi dovevano essere notizie davvero ottime.
Si sedette
dietro la sua scrivania, osservando Kuroko con attenzione. «Hai già avvicinato
il tuo obiettivo?»
«Ho fatto
di meglio, ho trovato il modo per impedirgli di allontanarsi da me», si sedette
di fronte all’altro, guardandolo negli occhi, «vuole sconfiggere la Generazione
dei Miracoli e l’ho convinto che per farlo avrà bisogno di me».
Akashi
decise di graziarlo con un sorriso compiaciuto e gli sfiorò impercettibilmente
il viso per qualche rapido istante, in un’assurda imitazione di una carezza,
che in realtà era solo uno sfoggio di proprietà «Ti ho addestrato bene,
Tetsuya. Non solo sei riuscito in poco tempo a guadagnarti la fiducia del tuo bersaglio,
ma sei anche riuscito ad ottenere ciò che vuoi davvero».
«E cos’è
che vorrei davvero?»
«Un mezzo
per sconfiggere la Generazione dei Miracoli, ovvio».
Death Note: Lo
so, lo so… la chiacchierata tra Tetsu e Bakagami è praticamente
copiata pari pari dall’originale… shame
on me ;; Solo che, be’, così doveva andare e così è
andata.
Comunque, Akashi è
sempre più perso nelle sue psicosi e Kurokocchi si
sta brillantemente avvicinando a Kagami. Si accettano
scommesse su come andrà avanti u.u
Come sempre ringrazio Rota
per aver betato il capitolo <3