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Autore: ChiaraBaroons    26/09/2014    2 recensioni
Maya, fotografa emergente, non ne vuole più sapere del mondo a cui, suo padre, ha sempre cercato di incatenarla: il nuoto. Le piacerebbe viaggiare, vedere il mondo, e invece, per uno scherzo del destino, dopo la laurea si ritrova costretta a convivere con quell'ambiente che poco sopporta, solo per ottenere un lavoro degno di essere chiamato tale.
Ed è qui che spunta fuori Travis, nuova stella del nuoto italiano, bello da far male, ma con un ego talmente grande capace di far concorrenza a quello di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II; ed è proprio lui il soggetto che Maya dovrà immortalare per ottenere quel fantomatico lavoro, ma non tutto risulterà semplice quanto sembra. Non sarebbe divertente, almeno per noi lettori.
Due caratteri predominati messi a confronto, due prime donne che, purtroppo oppure per fortuna, non riusciranno a restare nella stessa stanza a causa del loro orgoglio, troppo grande per rendere le cose semplici sin dall'inizio.
Sono solamente esseri umani e, complicarsi la vita nel peggior modo possibile, sembra proprio la loro linea guida.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Maya14




*****



Incredibile, ma vero.. sono già pronta con un nuovo capitolo! Lo so, è disarmante!
Se nei prossmi giorni si scatenerà il diluvio univarsale, datemi tranquillamente la colpa di tutto!
Scherzi a parte, buttare giù questo capitolo è stato più facile di quanto pensassi: vorrei sempre mantenere il giusto equilibrio di serietà ed ironia, soprattutto per Maya. Quella ragazza è una testa calda ed è difficile scrivere dal suo punto di vista. Cerco di fare del mio meglio..
Comunque.. questo capitolo è leggermente più lungo dei miei soliti standard, ma devo farmi perdonare per i continui salti temporali tra un aggiornamento e l'altro. Quindi, eccolo qui..
Dal prossimo si comincia a ballare, ragazze! Tenetevi forte!

Buona lettura e ci vediamo sotto!


E dire che mi ero imposta di non ringraziare Travis… ero decisamente una donna di parola, sì, e gli asini volavano tra gli arcobaleni.

Era colpa sua, tutta sua, perché io me ne stavo bella tranquilla nell’ufficio di mio padre a parlare con lui del mio nuovo lavoro e, in un batter d’occhio, si è presentato lui con un asciugamano legato in vita. Neanche fosse stato un Bronzo di Riace…

Poi aveva detto quelle cose, aveva detto che quella giornata al mare aveva minato la sua povera concentrazione ed io non ci avevo più visto. Ecco per quale motivo gli ero corsa dietro, perché volevo delle spiegazioni belle e buone. Perché quello accaduto in quella giornata era successo per colpa sua e sembrava che volesse quasi scaricare tutte le sue responsabilità su di me. Non potevo permetterlo.

Poi, certo, la situazione mi era sfuggita di mano, troppe immagini si erano susseguite nella mia mente e l’odore nauseante di disinfettante di quello stanzino me l’aveva annebbiata. Ed era successo. Ancora una volta.

La facilità con cui mi aveva sollevata da terra e mi aveva stretta a sé, era stata disarmante per me. E, se possibile, era stato anche meglio di quel giorno al mio appartamento, ma quest’informazione sarebbe finita nella tomba insieme a me.

Non avrei detto mai nulla a nessuno perché Travis, nonostante fosse… diciamo, capace, restava un vero e proprio idiota. Mi aveva incastrata con quel suo sguardo confuso, ma allo stesso tempo sensuale ed io non ci avevo capito più nulla. E anche per quel motivo non lo sopportavo, lo odiavo davvero. Ed il nostro odio reciproco lo manifestavamo nel modo migliore conosciuto da entrambi, sì.

Quando finalmente uscimmo dalla stanza delle scope arrivò il momento di imbarazzo vero e proprio: ci fissammo per alcuni secondi rossi in viso, con ancora il fiato corto e la vergogna liquida negli occhi. Poi lui doveva tornare in piscina ed io dovevo tornare a casa, così percorremmo il corridoio insieme, senza dire una parola nemmeno in quell’occasione e a debita distanza l’uno dall’altra. Nemmeno ci salutammo, solamente l’ennesimo sguardo, forse ancora nervoso, ma di certo confuso.

Tornai a casa e nemmeno me ne accorsi: mi comportai da automa per tutto il tragitto in auto e, per mia fortuna, ci arrivai sana e salva.

Ancora oggi non so quanto tempo restai seduta in auto a pensare.

 

Passarono i giorni, arrivò novembre ed il mio lavoro procedeva a gonfie vele. Sì, ancora non avevo compiti importantissimi, ma in un colloquio la direttrice della rivista si dimostrò molto contenta dei miei risultati e del mio lavoro. E per una volta riuscii ad essere fiera di me stessa.

I miei scatti erano buoni, indipendentemente dal soggetto e dallo sport, erano davvero belli e chi ne aveva la possibilità me lo faceva notare.

Non c’erano solo segretarie scocciate ed antipatiche in quell’edificio: riuscii a conoscere alcune persone davvero simpatiche che, almeno, si dimostrarono gentili e disponibili verso la nuova arrivata. Cercarono di fare il possibile per non farmi sentire un pesce fuor d’acqua. E quasi ci riuscirono.

Poi arrivò una telefonata della direttrice, mentre un pomeriggio mi aggiravo per casa decidendo come sistemare i mobili. Un’altra volta.

La donna di ghiaccio voleva vedermi immediatamente nel suo ufficio.

Mi salii il panico e subito cercai di fare mente locale, ma non riuscivo a trovare un cavillo per cui potesse incolparmi di mancata diligenza oppure di aver svolto un compito in maniera scorretta. Proprio non riuscivo a capire per quale motivo avesse bisogno di me con tanta urgenza.

Quando arrivai in redazione, la solita segretaria imbronciata mi accompagnò verso la sala d’aspetto, nonostante conoscessi a memoria il tragitto e lei conoscesse bene me.

La lasciai compiere le sue solite cerimonie ed il suo solito copione, fatto da sorrisi falsi ed occhiate sbieche.

Attesi fino a quando dall’ufficio non uscì quella ragazza che vidi tempo prima, ricci biondi perfetti e vestita di tutto punto, senza, tuttavia, quei pantaloni rosa shocking che ricordavo fin troppo bene.

Ciao”, mi disse cinguettante, con uno sguardo tanto amichevole quanto nauseante.

Non le risposi, mi limitai a guardarla storto e a chiedermi da quale fiaba saltasse fuori quella creatura tanto strana. Di certo, l’abitino corto a fiori che indossava era strano.

Dannazione, è novembre!

Aveva cominciato a fare freddo, davvero, ma a quanto pareva a quella ragazza la cosa non toccava minimamente. Magari la vedeva come un’occasione per mettere in mostra le gambe perfette.

Già, perfette, purtroppo.

La donna di ghiaccio mi attese sulla porta, con un sorriso di circostanza, come al solito, così io entrai e mi sedetti in una delle poltrone davanti alla scrivania. Avevo imparato la routine.

Bene, Maya…”, cominciò lei, sedendosi nell’altra poltrona vuota al mio fianco. “Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho chiamato con tanta urgenza”.

Beh si, è stata una chiamata inaspettata ed ho paura di quello che potrebbe significare”, le dissi schietta, agitandomi.

Lei mi guardò un momento, poi le vidi sorridere, ma sorridere davvero. “Oh no, non ti preoccupare: niente brutte notizie, anzi”, si alzò improvvisamente, facendomi sussultare, poi si sistemò al suo posto, dall’altra parte della scrivania. “Ti ho chiamata qui per due motivi: il primo è per dirti che, da domani in poi, il tuo lavoro sarà a tempo indeterminato. Hai avuto un mese di tempo per dimostrarmi le tue qualità e sono stata contenta del tuo lavoro, quindi voglio premiarti”, mi svelò.

Quasi cadetti dalla mia postazione.

Non potevo credere a quello che le mie orecchie avevano appena sentito. Ce l’avevo fatta davvero. La notizia di aver ottenuto il lavoro, di averlo finalmente ottenuto davvero, mi rese felice come non mai. Sì, non era la mia massima aspirazione fotografare sport su sport, ma era meglio di niente ed erano state premiate le mie qualità. Ed io ero felice.

Oh… oddio, grazie mille”, risposi raggiante. Mi sarei messa a saltellare. “Grazie davvero per l’opportunità”.

Si, beh… avrei voluto attendere almeno fino al nuovo anno, ma ti sei dimostrata molto più versatile di quanto pensassi ed ogni tuo scatto era una continua sorpresa, quindi ho deciso di anticipare i tempi”, poi cominciò a trafficare con alcuni fogli che aveva sulla scrivania, per prenderne tra le mani quattro o cinque. “La seconda questione di cui volevo parlarti è il tuo primo incarico come mia dipendente a tutti gli effetti”.

Di già!? Beh sono pronta a tutto”, e lo ero davvero! Quella notizia mi aveva riempita di una carica che avevo sentito poche volte in vita mia e mi sentivo pronta per ogni lavoro e per ogni impresa.

Non ne ho dubbi, Maya”, disse, con un sguardo divertito. “Avrai notato la ragazza che è uscita dal mio ufficio, poco fa?”.

Riccioli d’oro? Si, non passa inosservata”, dissi senza pensare.

Strabuzzai gli occhi nel momento stesso in cui mi resi conto di quello che avevo appena detto al mio capo che, tanto per cambiare, mi aveva appena dato un lavoro a tempo indeterminato. “Oh, mi spiace, non volevo”, cercai di scusarmi e di sembrare davvero dispiaciuta, ma la direttrice mi sorprese quando cominciò a ridacchiare.

Non ti preoccupare, Maya, hai perfettamente ragione”, disse sorprendendomi ancora. “Comunque per questo tuo nuovo incarico, dovrai lavorare con Riccioli d’oro per un articolo molto importante che sarà presente nel numero di gennaio”.

La prospettiva di lavorare con quella bambolina appena uscita dal parrucchiere non mi faceva impazzire, per niente, ma sapere di dover prendere parte alla nascita in un articolo molto importante colmava quella mancanza di intraprendenza.

Va benissimo, l’importante è che per me ci sia del lavoro da fare”, dissi dopo alcuni istanti. “Ma non posso garantire che, per sbaglio, non la chiami Riccioli d’oro”.

Riuscii a scatenare una nuova risata della direttrice che, di ghiaccio, non mi sembrava più così tanto.

Non preoccuparti, Maya, Simona sa essere molto accondiscendete, quando vuole”, mi disse improvvisamente seria. “Ecco perché è una delle migliori giornaliste che ho”.

Chissà per quale motivo, ma non riuscivo a credere che, quella ragazza, quella Simona, fosse molto accondiscendete. Almeno non nel lavoro. Mi sembrava più una vipera pronta a colpirti alle spalle nel momento meno opportuno.

Cercherò di non sembrare una villana, allora”, dissi che il miglior sorriso angelico che riuscii a sfoderare.

Non avevo più freni e non capivo per quale motivo. Forse stavo esagerando, ma proprio non riuscivo a frenare quelle parole: uscivano senza il mio permesso.

Ti ringrazio, Maya”, mi rispose lei, con lo stesso sorriso divertito di poco prima. “Allora.. tu e Simona dovrete lavorare insieme per circa un mese e mezzo, forse due e il risultato dovrà essere ottimo, non ammetto errori”.

La donna di ghiaccio fece ritorno in un batter d’occhio e, infatti, l’atmosfera si era fatta quasi insostenibile.

Va bene, ma per cosa dovremmo lavorare insieme?”, le chiesi impaziente. Ogni scusa pareva perfetta per sviare l’argomento e per tergiversare. E la sensazione che dilagava dentro di me non era per niente rassicurante.

La donna davanti a me continuò a trafficare per alcuni secondi con i fogli che aveva sulla scrivania, in cerca di qualcosa di particolare e, quando finalmente la trovò, le spuntò uno strano sorriso. “Per te non dovrebbe essere difficile questo compito, Maya, in fin dei conti con Travis hai già avuto a che fare”, sganciò la bomba, come se nulla fosse.

Come!?”, la mia voce si alzò di alcune ottave, senza che me ne rendesi neanche conto.

Lei mi osservò un momento, con le sopracciglia aggrottate ed un’espressione dubbiosa sul volto. Dovevo tornare in me e far finta di nulla, perché non avrei permesso a niente e a nessuno di intromettersi nel mio lavoro. Anche se le ultime parole della mia datrice di lavoro mi rassicuravano ben poco.

Si, Maya”, sussurrò piegando leggermente la testa di lato, come per scrutarmi meglio. “Il pezzo forte del nostro numero di gennaio dovrà essere un articolo su Travis che, almeno, occupi quattro pagine della nostra rivista e, ovviamente, desidero da parte tua la massima collaborazione per avere degli altri scatti magnifici”, disse voltando verso di me il fogli che teneva tra le mani. Si rivelò essere uno degli scatti che feci a Travis al mare: la fotografia con le sue labbra a pelo dell’acqua e lo sguardo magnetico rivolto verso l’obiettivo.

Una serie di brividi cominciarono a percorrere tutto il mio corpo.

Deglutii a fatica, senza aver ripreso l’uso della parola. Non riuscii nemmeno a distogliere lo sguardo da quello di quel maledetto ragazzo che, tramite la mia fotografia, mi fissava intensamente, quasi volesse scuoiarmi viva.

Simona si occuperà dell’articolo e, dato che già conosci questo ragazzo, ti chiedo di fare le dovute presentazioni quando sarà il momento giusto”, continuò a parlare, lei, ignara di come quella notizia mi avesse destabilizzata. “Ti chiedo un altro favore, Maya: potresti parlare con Travis chiedendogli gentilmente se si rende disponibile per quest’idea?”, mi chiese rivolgendomi uno sguardo di ghiaccio, che non ammetteva risposte negative. Quella donna cominciava davvero a fare paura, era tornata la solita direttrice di ghiaccio.

Ed io ancora non riuscivo a proferire parola, ero davvero troppo scossa. L’idea di restare a contatto con Travis per quasi due mesi mi dava la nausea e scatenava dentro di me un’altra sensazione a cui non riuscivo esattamente a dare un nome. E preferii non indagare.

Era capitato due volte, per due volte avevo ceduto ed avevo fatto sesso con lui e un po’ mi facevo schifo, perché io non ero così, non ero la ragazza da sesso occasionale che si lasciava trasportare dagli istinti. Certo, non mi era dispiaciuto, ma mi ero ripromessa fermezza e decisione. E quel nuovo incarico, il mio primo vero incarico da fotografa a tutti gli effetti, mi spaventava a morte perché sapevo, ne ero certa, che, in qualche modo, prima o poi sarebbe capitato ancora una volta.

L’attrazione fisica reciproca era evidente ed innegabile, ma Travis restava l’essere più idiota sulla faccia della Terra e, probabilmente, mi facevo un po’ schifo anche per quel motivo, perché Travis non faceva al caso mio. Per niente.

Ehm…”, cominciai intimorita. “Cercherò di fare del mio meglio, ma, l’avviso, Travis ed io ci conosciamo appena e non siamo esattamente in buoni rapporti”, le dissi, schietta.

Se non volevo far nascere sospetti in quella donna, cominciavo davvero male.

Lei mi rivolse un veloce sguardo, ancora una volta, poi si concentrò sulle carte che aveva sotto gli occhi. “Mi interessa relativamente poco, Maya”, parlò con voce tagliente. “In questo ambiente non ci possono stare tutti simpatici e non possiamo andare d’accordo tutti quanti, come se fossimo veri amici. Non esiste. È un ambiente duro che, alla prima possibilità, ti pugnala alle spalle e, detto sinceramente, non voglio che questo capiti a te, quindi preparati”.

Quelle parole mi sorpresero davvero, anche più dei sorrisi e delle lievi risate che si concesse. Sembrava quasi che, in uno strano modo, quella donna tenesse a me, almeno sotto il profilo professionale. E non capivo bene perché.

Non mi faccio spaventare dalla prima persona che passa, signora, l’ho solamente avvisata che non so come Travis possa rispondere a me ad una richiesta simile, dati i nostri rapporti leggermente… agitati”, dissi cercando di non lasciar trapelare troppe informazioni, seppur involontariamente.

Sono contenta che tu sia preparata a ciò che riserva la tua carriera”, disse regalandomi un altro mezzo sorriso. “Ma io ti ho chiesto un favore e se quel ragazzo ti negherà la possibilità di questo articolo, manderò Simona oppure andrò io stessa”.

Sarebbe stato divertente assistere ad un incontro simile, tra la direttrice di ghiaccio e quel pallone gonfiato. Sarei stata davvero curiosa: chissà chi ne sarebbe uscito vivo. Oppure con quella Simona, tutta sorrisi ammiccanti ed abbigliamento eccentrico. Una facile preda per uno come Travis.

Farò del mio meglio, allora”, le dissi sorridente.

La fiducia che, in quel modo tanto contorto, quella donna riponeva in me, quasi mi rinvigoriva e mi dava la forza giusta per affrontare una sfida simile, ma restava comunque un’enorme e difficile sfida. E, sicuramente, quel ragazzo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendermi ancora più complicato il lavoro.

Benissimo”, disse alzandosi dalla sua postazione e tornando nella poltrona a fianco alla mia. “Sai, Maya, tra poco ci saranno i campionati mondiali di nuoto e so che Travis parteciperà, quindi, probabilmente, anche tu e Simona partirete con lui e tutto il team, per seguire in ogni momento la gara di quel ragazzo ”.

Oh mio dio!

Questa non ci voleva, davvero. Già mi sembrava difficile dover lavorare a stretto contatto con quella ragazza e con Travis, ma pensare di dover partire per una località a me ancora sconosciuta con entrambi, con mio padre, con tutto il team, mi faceva tremare le ginocchia. E la nausea non faceva che intensificarsi.

So che tuo padre è l’allenatore di Travis”, disse in tono affabile e, evidentemente, dal mio viso intuì il mio stupore perché, pochi istanti dopo mi disse: “Tranquilla, sono semplicemente informata”.

Avevo immaginato fosse importante e piena di risorse, quella donna, ma non avevo pensato a delle qualità da spia o da 007. Io ero sempre rimasta nell’anonimato, nell’ombra, e pochissime persone erano a conoscenza del legame di sangue tra mio padre e me e, sicuramente, per quel motivo la rivelazione della mia datrice di lavoro mi lasciò sorpresa.

Non solo per questo motivo ho scelto te per questo incarico”, mi rivelò. “Certo, una vicinanza simile a queste persone rende a me e anche a te il lavoro più semplice, ma sappi che ti ho scelta perché hai talento e perché ho riposto tutta la mia fiducia nelle tue capacità e nella tua professionalità”.

Ero incastrata ed ero caduta nella trappola con tutti e due i piedi.

Dannazione!

 

Ero uscita dall’ufficio della direttrice di ghiaccio, quella sera, con un mal ti testa atroce ed una fame che attanagliava il mio stomaco dal momento in cui avevo conosciuto Simona.

Pensai immediatamente a quanto potesse essere vuota e superficiale, quella donna. Non smise un secondo di sorridere, quando la nostra datrice di lavoro ci presentò e mi chiesi svariate volte come facesse a non restare paralizzata con gli ancora della bocca sollevati. Ci presentammo e ci venne ripetuto quanto avremmo dovuto lavorare insieme, quanta fiducia la direttrice aveva riposto nel nostro lavoro e quanto sperava nella buona riuscita di questo articolo. La solita solfa.

L’unica cosa che desideravo davvero era uscire da quel palazzo, mettere qualcosa sotto i denti e buttarmi a letto, sotto le coperte, fino alla mattina seguente. Invece passò un’altra mezzora ed io non ne potevo davvero più.

Erano le sette passate quando arrivai al mio appartamento e sapevo che, da lì a pochi minuti, sarebbe arrivato mio padre con due pizze prese da asporto.

Appena avevo avuto un attimo di respiro, lo avevo contattato immediatamente, chiedendogli di cenare da me così da potergli parlare senza problemi e terzi incomodi ad irrompere all’improvviso.

Quando arrivò a casa mia lo salutai velocemente, con un bacio sulla guancia, e lo accompagnai al tavolo della cucina perché, davvero, stavo morendo dalla fame e, prima di affrontare un discorso come quello che mi ero preparata, avevo bisogno di divorare almeno due tranci di pizza.

Con molta calma spiegai tutto quanto a mio padre che, purtroppo o per fortuna, si mostrò fin troppo entusiasta dell’idea. Sembrò un bambino a Natale, quando venne a conoscenza del tempo che avrei dovuto impiegare per l’articolo e le fotografie.

Poi, per curiosità, gli chiesi dove si svolgessero questi fantomatici campionati.

Oh Maya, quest’anno saranno a Doha”, mi rispose, tutto contento e sorridente con voce esaltata, come se potessi davvero sapere di cosa stesse parlando.

Dove, scusa!?”, gli domandai, perplessa.

A Doha, in Qatar!”, esclamò al settimo cielo.

Mi cascò la mascella dalla sorpresa. Non ci potevo credere.

Mio padre, invece, sembrava pronto per mettersi a saltellare sulla sedia come un bambino, con quegli occhi azzurri accesi e limpidi di felicità.

 

Fortunatamente amavo il caldo, amavo il mare e tutto quello che ne conveniva perché, se così non fosse stato, soggiornare in Qatar per alcuni giorni sarebbe stata una vera impresa.

Sapevo già come preparare la valigia e la moltitudine di costumi da bagno che vi sarebbero andati a finire perché, sì, avrei lavorato, ma nessuno mi avrebbe impedito di fare alcune scappate in spiaggia. Ma dovevo ancora parlare con Travis e non sapevo esattamente come fare. Così telefonai alla mia datrice di lavoro e le chiesi una mano e lei, credendosi simpatica, mi disse che la mattina seguente avrebbe mandato anche Simona alla piscina di mio padre per aiutarmi ad annunciare la lieta novella alla star del momento.

Proprio l’aiuto che avevo tanto agognato.

Quella fatidica mattina mi alzai malissimo, con un macigno al posto della testa e la voglia di vivere sotto le scarpe. Se dopo la giornata al mare avevo il terrore di incontrare Travis, quel giorno non sapevo proprio cosa pensare.

Dopotutto ero stata io a trascinarlo in quello stanzino, ad avvicinarmi a lui e a fare il primo passo. In poche parole, avevo paura di come avrebbe reagito il mio corpo alla sua vicinanza. E anche di come avrebbe potuto reagire Travis. E di come avrebbe potuto interpretare tutto quanto quella Simona.

Ci sarebbe stato da ridere, di sicuro, ma non per me. Ero tesa come una corda di violino e, davvero, non avevo nessuna voglia di andare a quella maledetta piscina.

Avrei volentieri mandato solamente quella biondina, sarebbe stata perfettamente in grado di cavarsela da sola. Magari Travis sarebbe saltato addosso anche a lei.

In ogni caso, di malavoglia, raggiunsi la piscina e, non appena vidi mio padre, mi diressi verso di lui per spiegargli tutto quanto. Chissà cosa avrebbe pensato di Riccioli d’oro.

Mi salutò allegramente come sempre, Claudio, e quando finii di esporgli il programma della mattinata, non poté fare a meno che risultare ancora più felice.

Quell’uomo era sempre e costantemente il ritratto della felicità.

Poi vidi Travis arrivare dal corridoio degli spogliatoi e quasi mi venne un colpo. Mi raggelai seduta stante e smisi di ascoltare i discorsi di mio padre su quanto fosse felice di vedermi dentro quel posto, nonostante non fossi dentro una vasca. Non riuscii proprio ad ascoltare un’altra parola: Travis mi aveva inchiodata con il suo sguardo, un’altra volta.

Sembrava aver avuto la mia stessa reazione, lui, il ragazzo tutto d’un pezzo e, mentre sembrava che stesse quasi per rivolgermi un mezzo sorriso malizioso, si voltò di scatto verso la porta d’entrata.

Seguii il suo sguardo e scoppiai a ridere: capii all’istante per quale motivo la sua attenzione si fosse spostata con così tanta velocità.

Simona aveva fatto la sua entrata plateale, avvolta in un paio di jeans attillati e in una camicetta azzurro cielo che, di comodo, sembrava aver ben poco. Il tutto completato con un meraviglioso paio di decolleté nere e lucide.

Proprio l’abbigliamento giusto per una piscina. No, lei non era come me, in jeans larghi e strappati, Converse e felpa nera.

Eravamo agli antipodi.

Riccioli d’oro si guardò in giro per alcuni istanti con uno strano sguardo soddisfatto negli occhi, come se stesse valutando quale preda sbranare per prima, poi mi vide e, se fossi stata una persona normale, quel sorrisone sincero che mi rivolse, l’avrei anche apprezzato. Ma non ero normale, ero me stessa ed ero una tra le persone più ciniche del pianeta, quindi quell’esposizione di dentatura bianca e perfetta mi fece venire la pelle d’oca.

Si incamminò, Simona, verso me e mio padre, rivolgendo sguardi ammiccanti e sorrisini subdoli ad ogni nuotatore che le capitasse a tiro e, dal mio punto di vista, la scena fu davvero fantastica: la quantità di mascelle cadenti che vedetti in quel momento mi fecero sbellicare.

Non mi dire che la tua collega è quella lì”, disse mio padre a denti stretti, intento a fissare Simona.

Gli rivolsi una breve occhiata e notai, con estremo piacere, la mia stessa espressione di sorpresa mista a disgusto. “Ebbene si, ecco Riccioli d’oro!”, risposi velocemente, prima che la diretta interessante mi raggiunse tutta sorridente.

Restò un secondo immobile, come per far imprimere nella mia mente la sua figura alta e slanciata, dannatamente perfetta, poi cominciò a parlare q quasi rimpiansi quei secondi di quiete.

Maya, che piacere rivederti”, parlò con il suo tono quasi stridulo.

Non potei fare a meno di strabuzzare gli occhi e fingere un sorriso, perché l’entusiasmo che utilizzò mi spaventò non poco. “Simona… ehm, ciao”, le risposi, poco convinta. “Ti presento mio padre, Claudio, l’allenatore di Travis”, presentai mio padre cercando di cambiare immediatamente discorso.

E fu così che mio padre venne abbagliato dal sorriso più solare che vide in vita sua. Simona, di certo, sapeva come risultare affabile e disponibile. Forse un po’ troppo disponibile, ma questi restavano futili dettagli.

Si strinsero la mano energicamente, senza distogliere lo sguardo, prima che Riccioli d’oro cominciasse a parlare. “Oh, ma io la conosco, ho letto tantissime cose sul suo conto”, cominciò ammirata. “È davvero ammirevole tutto il suo lavoro come allenatore, dopo una carriera florida come la sua, Claudio”. Sì, Simona ci sapeva fare, senza dubbio. E la prova inconfutabile era l’espressione allibita di mio padre che, per quanto potesse sembrare facile e alla mano, non si faceva mai prendere in giro da nessuno.

Beh grazie mille, Simona”, disse lui, sorridendo. “Apprezzo davvero tanto ciò che hai detto”.

Si, bene”, mi intromisi, sbrigativa. “Ci siamo conosciuti, ci siamo fatti i complimenti, ora possiamo arrivare al nocciolo della questione?”. Ignorai volutamente le loro espressioni leggermente sorprese, non avevo voglia di restare a fare il terzo incomodo, mentre venivano ripercorsi gli anni d’oro di mio padre. “Papà, dov’è Travis?”.

Sono qui”. Due parole, una voce e mille brividi che mi percorsero la schiena. Quella voce risultava fin troppo dura da come la ricordavo. Ma, di certo, io la ricordavo in tutt’altro modo.

Non osai voltarmi, quella volta: avevo imparato a spese della mia sanità mentale quanto, la vista di Travis a torso nudo, potesse nuocere. Restai ferma immobile, esattamente lì dov’ero ed attesi che quel ragazzo si materializzasse al mio fianco.

Mi concentrai sull’espressione di Simona che, di certo, non nascondeva affatto l’apprezzamento verso Travis e tutta la moltitudine di muscoli che si portava appresso, anzi. La scena sarebbe stata quasi comica, se non mi fossi sentita così raggelata.

Travis, finalmente”, disse mio padre, cercando di rompere il ghiaccio che si era formato dall’arrivo della superstar. “Mia figlia deve chiederti una cosa”, aggiunse poi.

Questa me l’avrebbe pagata cara.

Ah si?”, chiese Travis, divertito, voltandosi verso di me. Quella finta espressione sorpresa gliel’avrei fatta volare via a suon di schiaffi molto volentieri.

Maledetto.

“Beh no, non solo io”, risposi velocemente, cercando di giustificarmi, ma senza rivolgergli uno sguardo. “Simona ed io dobbiamo chiederti una cosa”, aggiunsi, indicando la ragazza di fronte a me. E lei non aspettava altro.

Sono Simona”, esclamò, avvicinandosi velocemente a Travis, porgendogli la mano che, lui, non attese a stringere. “È davvero un enorme piacere conoscerti”, disse poi, civettuola più che mai.

Quello che accadde nei trenta secondi seguenti, non riuscii a comprenderlo appieno, ma una cosa la capii all’istante: la presenza di mio padre e la mia divennero improvvisamente superflue.

Simona e Travis si scambiarono occhiate che, normalmente, definirei infuocate. Ma non in senso cattivo. Avrei volentieri proposto di accompagnarli allo stanzino delle scope perché, ormai ne ero consapevole, era un luogo decisamente più appartato per colloquiare, ma poi avrei dovuto fornire una serie di spiegazioni a mio padre che sarebbero risultate un tantino scomode. Quindi, decisi di restarmene zitta, in attesa che le due superstar la smettessero di guardarsi come se fossero gli unici esseri umani sulla faccia della Terra.

Ehm, bene ragazzi”, cominciò mio padre, infrangendo, per mia fortuna, quei secondi imbarazzanti. “Ora che, finalmente, ci conosciamo, vogliamo passare al nocciolo della questione?”. Non potei fare a meno che apprezzare quell’intervento.

Tale padre, tale figlia.

Si, beh…”, cominciai.

Allora, Travis…”, disse Simona, sovrastando la mia voce. “Quando cominciamo con le domande per l’articolo?”.

Di certo quella ragazza andava dritta al punto ed era, dovetti ammettere, una qualità ammirevole, ma pur sempre fastidiosa.

Travis rimase sorpreso: fu palese che non sapesse di cosa si stesse parlando. E dovetti reprimere una risata perché, quella sua espressione leggermente spaesata, risultava davvero spassosa. Soprattutto se mista a quel ghigno da playboy che aveva stampato in faccia.

Come, Simona?”, le chiese.

La mia direttrice ti ha scelto per l’articolo di punta del numero di gennaio della nostra rivista”, rispose lei, tremendamente affabile. “Quindi, io sono qui per domandarti quando saresti disponibile per poter rispondere ad alcune domande. E scusa il gioco di parole”, aggiunse con una risatina.

Io ero diventata improvvisamente inutile. Riccioli d’oro pareva in grado di affrontare tutta la questiona con le sue sole forze, dimenticandosi, involontariamente o no, della mia fondamentale presenza per il servizio fotografico che avrebbe accompagnato il suo maledetto articolo.

Un po’ mi infastidiva questo suo voler mettersi in mostra, ma dovevo ammettere, purtroppo, che Simona sapeva come fare il suo lavoro perché, era palese, aveva già conquistato Travis. Con una semplice occhiata.

E mio padre doveva averla pensata al mio stesso modo perché, dopo alcuni istanti, mi disse ad un orecchio: “Che dici se ce ne andiamo? La tua collega sembra avere la situazione in pugno”.

Lanciai un ultimo sguardo ai due davanti ai miei occhi, lei perfettamente vestita e lui perfettamente svestito, poi presi mio padre sottobraccio e levai le tende insieme a lui.

 

Passò quasi un’ora.

Un’ora durante la quale io mi limitai a starmene seduta su una sedia a bordo piscina a fare qualche scatto alle prime persone che mi capitavano a tiro.

Mio padre di dimostrò fin troppo impegnato, infatti non riuscì a tenermi compagnia nemmeno un momento. Non che mi dispiacesse stare da sola, sola con la mia bambina, ma dover assistere e dover ascoltare la conversazione di Travis e Simona, poco distanti da me, di rivelò un’ardua impresa.

Avevo capito quanto potesse risultare vuota e superficiale, quella ragazza, ma le poche cose che riuscii a capire dalla loro conversazione, mi fecero venire la nausea. E questa, fu accentuata dagli scarsi tentativi di Travis di non pavoneggiarsi troppo e dai suoi tentativi di flirtare.

Sì, sarebbero stati una grande coppia, quei due.

Il mix di battutine squallide, risate forzare e mani poggiate su spalle e gambe, volontariamente, è ovvio, si rivelò assolutamente inaffrontabile.

Poi mio padre chiamò Travis all’ordine, dicendogli che, per quella giornata, aveva relazionato fin troppo con la nuova arrivata e, dopo un veloce saluto ammiccante, lasciò Simona dov’era. E raggiunse me.

Piuttosto, avrei preferito dover ascoltare un’altra ora di conversazione.

L’hai conquistata, superstar?”, gli chiesi sarcastica.

Lui scoppiò in una risata. “Sei gelosa, Maya?”, chiese avvicinando il viso al mio orecchio, così da potersi far sentire solamente da me. “Tranquilla, il trattamento speciale lo riservo solamente a te”, disse poi.

Ed in quel frangente la mascella cascò a me, non a tutti gli atleti della piscina. La presunzione di Travis raggiunse livelli epici.

Mi sentii avvampare, sorpresa dalla sua stupidità, e non mi disturbai nemmeno di non darlo troppo a vedere.

Però se mi schiaffeggia anche lei e mi fa cambiare idea, non ti garantisco l’esclusiva”, continuò lui. “Ah sarà divertente questa storia dell’articolo! E pensa quando saremo a Doha”.

Dovetti reprimere l’istinto di mollargli un ceffone in pieno viso, in quel caso non eravamo soli come quel giorno in spiaggia. Ma resistetti a fatica perché, la sfacciataggine che mostrò in quel frangente, mi fece finire il sangue alla testa e mi diede il voltastomaco.

Sì, avrei preferito di gran lunga dover ascoltare una conversazione tra lui e Riccioli d’oro!

Sei uno stronzo, Travis”, gli sibilai a denti stretti.

Ma lui non batté ciglio, anzi, riuscii solamente a farlo sorridere di più.

Dovevo proprio essere uno spettacolo pietoso.

Ci si vede, Maya”, mi salutò infine, cominciando ad allontanarsi verso mio padre. Poi si voltò improvvisamente, attirando ancora la mia attenzione. “Non vedo l’ora!”, aggiunse, con quel sorriso divertito che cominciavo davvero a detestare.

Decisi di allontanarmi dalla sedia su cui ero seduta fino a poco prima per non avere a portata di mano oggetti contundenti da lasciare a quell’idiota.




*

Eccomi qua.. spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Ora volevo regalarvi un piccolo, insignificante SPOILER del prossimo capitolo.. spero che possa stuzzicare la fantasia durante l'attesa.


Alla prossima,
Chiara

P.S.
Come sempre.. GRAZIE A TUTTE!


Sei sicura di quello che fai?”, le chiesi in tono tagliente.
Durante la giornata, quella bambolina mi aveva fatto davvero girare le palle.
Ma certo, carissima”, continuò lei, come se fossimo migliori amiche. “Ho già in pugno Travis, non preoccuparti. Svolgerò io il lavoro pesante: tra poco usciremo a cena”.
Ecco spiegato l’abbigliamento da prostituta.
  
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