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Se nei prossmi giorni si scatenerà il diluvio univarsale, datemi tranquillamente la colpa di tutto!
Scherzi a parte, buttare giù questo capitolo è stato più facile di quanto pensassi: vorrei sempre mantenere il giusto equilibrio di serietà ed ironia, soprattutto per Maya. Quella ragazza è una testa calda ed è difficile scrivere dal suo punto di vista. Cerco di fare del mio meglio..
Comunque.. questo capitolo è leggermente più lungo dei miei soliti standard, ma devo farmi perdonare per i continui salti temporali tra un aggiornamento e l'altro. Quindi, eccolo qui..
Dal prossimo si comincia a ballare, ragazze! Tenetevi forte!
Buona lettura e ci vediamo sotto!
E
dire che mi ero imposta di non ringraziare Travis… ero
decisamente una donna di parola, sì, e gli asini volavano
tra gli arcobaleni.
Era
colpa sua, tutta sua, perché io me ne stavo bella
tranquilla nell’ufficio di mio padre a parlare con lui del
mio nuovo lavoro e,
in un batter d’occhio, si è presentato lui
con un asciugamano legato in vita. Neanche fosse stato un
Bronzo di Riace…
Poi
aveva detto quelle cose, aveva detto che quella
giornata al mare aveva minato la sua povera concentrazione ed io non ci
avevo
più visto. Ecco per quale motivo gli ero corsa dietro,
perché volevo delle
spiegazioni belle e buone. Perché quello accaduto in quella giornata era successo per colpa
sua e sembrava che volesse
quasi scaricare tutte le sue responsabilità su di me. Non
potevo permetterlo.
Poi,
certo, la situazione mi era sfuggita di mano, troppe
immagini si erano susseguite nella mia mente e l’odore
nauseante di
disinfettante di quello stanzino me l’aveva annebbiata. Ed
era successo. Ancora
una volta.
La
facilità con cui mi aveva sollevata da terra e mi
aveva stretta a sé, era stata disarmante per me. E, se
possibile, era stato anche
meglio di quel giorno al mio appartamento, ma
quest’informazione sarebbe finita
nella tomba insieme a me.
Non
avrei detto mai nulla a nessuno perché Travis,
nonostante fosse… diciamo, capace,
restava un vero e proprio idiota. Mi aveva incastrata con quel suo
sguardo
confuso, ma allo stesso tempo sensuale ed io non ci avevo capito
più nulla. E
anche per quel motivo non lo sopportavo, lo odiavo davvero. Ed il
nostro odio
reciproco lo manifestavamo nel modo migliore conosciuto da entrambi,
sì.
Quando
finalmente uscimmo dalla stanza delle scope arrivò
il momento di imbarazzo vero e proprio: ci fissammo per alcuni secondi
rossi in
viso, con ancora il fiato corto e la vergogna liquida negli occhi. Poi
lui
doveva tornare in piscina ed io dovevo tornare a casa, così
percorremmo il
corridoio insieme, senza dire una parola nemmeno in
quell’occasione e a debita
distanza l’uno dall’altra. Nemmeno ci salutammo,
solamente l’ennesimo sguardo,
forse ancora nervoso, ma di certo confuso.
Tornai
a casa e nemmeno me ne accorsi: mi comportai da
automa per tutto il tragitto in auto e, per mia fortuna, ci arrivai
sana e
salva.
Ancora
oggi non so quanto tempo restai seduta in auto a
pensare.
Passarono
i giorni, arrivò novembre ed il mio lavoro
procedeva a gonfie vele. Sì, ancora non avevo compiti
importantissimi, ma in un
colloquio la direttrice della rivista si dimostrò molto
contenta dei miei
risultati e del mio lavoro. E per una volta riuscii ad essere fiera di
me
stessa.
I
miei scatti erano buoni, indipendentemente dal soggetto
e dallo sport, erano davvero belli e chi ne aveva la
possibilità me lo faceva
notare.
Non
c’erano solo segretarie scocciate ed antipatiche in
quell’edificio: riuscii a conoscere alcune persone davvero
simpatiche che,
almeno, si dimostrarono gentili e disponibili verso la nuova arrivata.
Cercarono di fare il possibile per non farmi sentire un pesce fuor
d’acqua. E
quasi ci riuscirono.
Poi
arrivò una telefonata della direttrice, mentre un
pomeriggio mi aggiravo per casa decidendo come sistemare i mobili.
Un’altra
volta.
La
donna di ghiaccio voleva vedermi immediatamente nel
suo ufficio.
Mi
salii il panico e subito cercai di fare mente locale,
ma non riuscivo a trovare un cavillo per cui potesse incolparmi di
mancata
diligenza oppure di aver svolto un compito in maniera scorretta.
Proprio non
riuscivo a capire per quale motivo avesse bisogno di me con tanta
urgenza.
Quando
arrivai in redazione, la solita segretaria
imbronciata mi accompagnò verso la sala d’aspetto,
nonostante conoscessi a
memoria il tragitto e lei conoscesse bene me.
La
lasciai compiere le sue solite cerimonie ed il suo
solito copione, fatto da sorrisi falsi ed occhiate sbieche.
Attesi
fino a quando dall’ufficio non uscì quella ragazza
che vidi tempo prima, ricci biondi perfetti e vestita di tutto punto,
senza,
tuttavia, quei pantaloni rosa shocking che ricordavo fin troppo bene.
“Ciao”, mi
disse cinguettante, con uno sguardo tanto amichevole quanto nauseante.
Non
le risposi, mi limitai a guardarla storto e a
chiedermi da quale fiaba saltasse fuori quella creatura tanto strana.
Di certo,
l’abitino corto a fiori che indossava era strano.
Dannazione,
è novembre!
Aveva
cominciato a fare freddo, davvero, ma a quanto
pareva a quella ragazza la cosa non toccava minimamente. Magari la
vedeva come
un’occasione per mettere in mostra le gambe perfette.
Già,
perfette, purtroppo.
La
donna di ghiaccio mi attese sulla porta, con un
sorriso di circostanza, come al solito, così io entrai e mi
sedetti in una
delle poltrone davanti alla scrivania. Avevo imparato la routine.
“Bene, Maya…”,
cominciò lei, sedendosi nell’altra poltrona vuota
al mio fianco. “Ti starai chiedendo
per quale motivo ti ho
chiamato con tanta urgenza”.
“Beh si, è stata
una chiamata inaspettata ed ho paura di quello che potrebbe significare”,
le dissi schietta, agitandomi.
Lei
mi guardò un momento, poi le vidi sorridere, ma
sorridere davvero. “Oh no, non ti
preoccupare: niente brutte notizie, anzi”, si
alzò improvvisamente,
facendomi sussultare, poi si sistemò al suo posto,
dall’altra parte della
scrivania. “Ti ho chiamata qui per
due
motivi: il primo è per dirti che, da domani in poi, il tuo
lavoro sarà a tempo
indeterminato. Hai avuto un mese di tempo per dimostrarmi le tue
qualità e sono
stata contenta del tuo lavoro, quindi voglio premiarti”,
mi svelò.
Quasi
cadetti dalla mia postazione.
Non
potevo credere a quello che le mie orecchie avevano
appena sentito. Ce l’avevo fatta davvero. La notizia di aver
ottenuto il
lavoro, di averlo finalmente ottenuto davvero, mi rese felice come non
mai. Sì,
non era la mia massima aspirazione fotografare sport su sport, ma era
meglio di
niente ed erano state premiate le mie qualità. Ed io ero
felice.
“Oh… oddio, grazie
mille”, risposi raggiante. Mi sarei messa a
saltellare. “Grazie davvero per
l’opportunità”.
“Si, beh… avrei
voluto attendere almeno fino al nuovo anno, ma ti sei dimostrata molto
più
versatile di quanto pensassi ed ogni tuo scatto era una continua
sorpresa,
quindi ho deciso di anticipare i tempi”, poi
cominciò a trafficare con
alcuni fogli che aveva sulla scrivania, per prenderne tra le mani
quattro o
cinque. “La seconda questione di cui
volevo parlarti è il tuo primo incarico come mia dipendente
a tutti gli effetti”.
“Di già!? Beh sono
pronta a tutto”, e lo ero davvero! Quella notizia
mi aveva riempita di una
carica che avevo sentito poche volte in vita mia e mi sentivo pronta
per ogni
lavoro e per ogni impresa.
“Non ne ho dubbi,
Maya”, disse, con un sguardo divertito. “Avrai notato la ragazza che è uscita dal
mio ufficio, poco fa?”.
“Riccioli d’oro?
Si, non passa inosservata”, dissi senza pensare.
Strabuzzai
gli occhi nel momento stesso in cui mi resi
conto di quello che avevo appena detto al mio capo che, tanto per
cambiare, mi
aveva appena dato un lavoro a tempo indeterminato. “Oh, mi spiace, non volevo”,
cercai di scusarmi e di sembrare
davvero dispiaciuta, ma la direttrice mi sorprese quando
cominciò a
ridacchiare.
“Non ti
preoccupare, Maya, hai perfettamente ragione”,
disse sorprendendomi ancora.
“Comunque per questo tuo nuovo
incarico,
dovrai lavorare con Riccioli d’oro per un articolo molto
importante che sarà
presente nel numero di gennaio”.
La
prospettiva di lavorare con quella bambolina appena
uscita dal parrucchiere non mi faceva impazzire, per niente, ma sapere
di dover
prendere parte alla nascita in un articolo
molto importante colmava quella mancanza di intraprendenza.
“Va benissimo,
l’importante è che per me ci sia del lavoro da fare”,
dissi dopo alcuni
istanti. “Ma non posso garantire
che, per
sbaglio, non la chiami Riccioli d’oro”.
Riuscii
a scatenare una nuova risata della direttrice
che, di ghiaccio, non mi sembrava più così tanto.
“Non preoccuparti,
Maya, Simona sa essere molto accondiscendete, quando vuole”,
mi disse
improvvisamente seria. “Ecco
perché è una
delle migliori giornaliste che ho”.
Chissà
per quale motivo, ma non riuscivo a credere che,
quella ragazza, quella Simona, fosse molto accondiscendete. Almeno non
nel
lavoro. Mi sembrava più una vipera pronta a colpirti alle
spalle nel momento
meno opportuno.
“Cercherò di non
sembrare una villana, allora”, dissi che il miglior
sorriso angelico che
riuscii a sfoderare.
Non
avevo più freni e non capivo per quale motivo. Forse
stavo esagerando, ma proprio non riuscivo a frenare quelle parole:
uscivano
senza il mio permesso.
“Ti ringrazio, Maya”,
mi rispose lei, con lo stesso sorriso divertito di poco prima.
“Allora.. tu e Simona dovrete
lavorare
insieme per circa un mese e mezzo, forse due e il risultato
dovrà essere
ottimo, non ammetto errori”.
La
donna di ghiaccio fece ritorno in un batter d’occhio
e, infatti, l’atmosfera si era fatta quasi insostenibile.
“Va bene, ma per
cosa dovremmo lavorare insieme?”, le chiesi
impaziente. Ogni scusa pareva
perfetta per sviare l’argomento e per tergiversare. E la
sensazione che dilagava
dentro di me non era per niente rassicurante.
La
donna davanti a me continuò a trafficare per alcuni
secondi con i fogli che aveva sulla scrivania, in cerca di qualcosa di
particolare e, quando finalmente la trovò, le
spuntò uno strano sorriso. “Per
te non dovrebbe essere difficile questo
compito, Maya, in fin dei conti con Travis hai già avuto a
che fare”,
sganciò la bomba, come se nulla fosse.
“Come!?”, la
mia voce si alzò di alcune ottave, senza che me ne rendesi
neanche conto.
Lei
mi osservò un momento, con le sopracciglia aggrottate
ed un’espressione dubbiosa sul volto. Dovevo tornare in me e
far finta di
nulla, perché non avrei permesso a niente e a nessuno di
intromettersi nel mio
lavoro. Anche se le ultime parole della mia datrice di lavoro mi
rassicuravano
ben poco.
“Si, Maya”,
sussurrò piegando leggermente la testa di lato, come per
scrutarmi meglio. “Il pezzo forte
del nostro numero di gennaio
dovrà essere un articolo su Travis che, almeno, occupi
quattro pagine della
nostra rivista e, ovviamente, desidero da parte tua la massima
collaborazione
per avere degli altri scatti magnifici”, disse
voltando verso di me il
fogli che teneva tra le mani. Si rivelò essere uno degli
scatti che feci a
Travis al mare: la fotografia con le sue labbra a pelo
dell’acqua e lo sguardo
magnetico rivolto verso l’obiettivo.
Una
serie di brividi cominciarono a percorrere tutto il
mio corpo.
Deglutii
a fatica, senza aver ripreso l’uso della parola.
Non riuscii nemmeno a distogliere lo sguardo da quello di quel
maledetto ragazzo
che, tramite la mia fotografia, mi fissava intensamente, quasi volesse
scuoiarmi viva.
“Simona si occuperà
dell’articolo e, dato che già conosci questo
ragazzo, ti chiedo di fare le
dovute presentazioni quando sarà il momento giusto”,
continuò a parlare,
lei, ignara di come quella notizia mi avesse destabilizzata. “Ti chiedo un altro favore, Maya: potresti
parlare con Travis chiedendogli gentilmente se si rende disponibile per
quest’idea?”, mi chiese rivolgendomi uno
sguardo di ghiaccio, che non
ammetteva risposte negative. Quella donna cominciava davvero a fare
paura, era
tornata la solita direttrice di ghiaccio.
Ed
io ancora non riuscivo a proferire parola, ero davvero
troppo scossa. L’idea di restare a contatto con Travis per
quasi due mesi mi
dava la nausea e scatenava dentro di me un’altra sensazione a
cui non riuscivo
esattamente a dare un nome. E preferii non indagare.
Era
capitato due volte, per due volte avevo ceduto ed
avevo fatto sesso con lui e un po’ mi facevo schifo,
perché io non ero così,
non ero la ragazza da sesso occasionale che si lasciava trasportare
dagli
istinti. Certo, non mi era dispiaciuto, ma mi ero ripromessa fermezza e
decisione. E quel nuovo incarico, il mio primo vero incarico da
fotografa a
tutti gli effetti, mi spaventava a morte perché sapevo, ne
ero certa, che, in
qualche modo, prima o poi sarebbe capitato ancora una volta.
L’attrazione
fisica reciproca era evidente ed innegabile,
ma Travis restava l’essere più idiota sulla faccia
della Terra e,
probabilmente, mi facevo un po’ schifo anche per quel motivo,
perché Travis non
faceva al caso mio. Per niente.
“Ehm…”,
cominciai intimorita. “Cercherò
di fare
del mio meglio, ma, l’avviso, Travis ed io ci conosciamo
appena e non siamo
esattamente in buoni rapporti”, le dissi, schietta.
Se
non volevo far nascere sospetti in quella donna,
cominciavo davvero male.
Lei
mi rivolse un veloce sguardo, ancora una volta, poi
si concentrò sulle carte che aveva sotto gli occhi.
“Mi interessa relativamente poco,
Maya”, parlò con voce tagliente.
“In questo ambiente non ci possono
stare
tutti simpatici e non possiamo andare d’accordo tutti quanti,
come se fossimo veri
amici. Non esiste. È un ambiente duro che, alla prima
possibilità, ti pugnala
alle spalle e, detto sinceramente, non voglio che questo capiti a te,
quindi
preparati”.
Quelle
parole mi sorpresero davvero, anche più dei
sorrisi e delle lievi risate che si concesse. Sembrava quasi che, in
uno strano
modo, quella donna tenesse a me, almeno sotto il profilo professionale.
E non
capivo bene perché.
“Non mi faccio
spaventare dalla prima persona che passa, signora, l’ho
solamente avvisata che
non so come Travis possa rispondere a me ad una richiesta simile, dati
i nostri
rapporti leggermente… agitati”, dissi
cercando di non lasciar trapelare
troppe informazioni, seppur involontariamente.
“Sono contenta che
tu sia preparata a ciò che riserva la tua carriera”,
disse regalandomi un
altro mezzo sorriso. “Ma io ti ho
chiesto
un favore e se quel ragazzo ti negherà la
possibilità di questo articolo,
manderò Simona oppure andrò io stessa”.
Sarebbe
stato divertente assistere ad un incontro simile,
tra la direttrice di ghiaccio e quel pallone gonfiato. Sarei stata
davvero
curiosa: chissà chi ne sarebbe uscito vivo. Oppure con
quella Simona, tutta
sorrisi ammiccanti ed abbigliamento eccentrico. Una facile preda per
uno come
Travis.
“Farò del mio
meglio, allora”, le dissi sorridente.
La
fiducia che, in quel modo tanto contorto, quella donna
riponeva in me, quasi mi rinvigoriva e mi dava la forza giusta per
affrontare
una sfida simile, ma restava comunque un’enorme e difficile
sfida. E,
sicuramente, quel ragazzo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendermi
ancora più
complicato il lavoro.
“Benissimo”,
disse alzandosi dalla sua postazione e tornando nella poltrona a fianco
alla
mia. “Sai, Maya, tra poco ci saranno
i
campionati mondiali di nuoto e so che Travis parteciperà,
quindi,
probabilmente, anche tu e Simona partirete con lui e tutto il team, per
seguire
in ogni momento la gara di quel ragazzo ”.
Oh
mio dio!
Questa
non ci voleva, davvero. Già mi sembrava difficile
dover lavorare a stretto contatto con quella ragazza e con Travis, ma
pensare
di dover partire per una località a me ancora sconosciuta
con entrambi, con mio
padre, con tutto il team, mi faceva tremare le ginocchia. E la nausea
non
faceva che intensificarsi.
“So che tuo padre è
l’allenatore di Travis”, disse in tono
affabile e, evidentemente, dal mio
viso intuì il mio stupore perché, pochi istanti
dopo mi disse: “Tranquilla, sono
semplicemente informata”.
Avevo
immaginato fosse importante e piena di risorse,
quella donna, ma non avevo pensato a delle qualità da spia o
da 007. Io ero
sempre rimasta nell’anonimato, nell’ombra, e
pochissime persone erano a
conoscenza del legame di sangue tra mio padre e me e, sicuramente, per
quel
motivo la rivelazione della mia datrice di lavoro mi lasciò
sorpresa.
“Non solo per
questo motivo ho scelto te per questo incarico”, mi
rivelò. “Certo, una
vicinanza simile a queste persone
rende a me e anche a te il lavoro più semplice, ma sappi che
ti ho scelta
perché hai talento e perché ho riposto tutta la
mia fiducia nelle tue capacità
e nella tua professionalità”.
Ero
incastrata ed ero caduta nella trappola con tutti e
due i piedi.
Dannazione!
Ero
uscita dall’ufficio della direttrice di ghiaccio,
quella sera, con un mal ti testa atroce ed una fame che attanagliava il
mio
stomaco dal momento in cui avevo conosciuto Simona.
Pensai
immediatamente a quanto potesse essere vuota e
superficiale, quella donna. Non smise un secondo di sorridere, quando
la nostra
datrice di lavoro ci presentò e mi chiesi svariate volte
come facesse a non
restare paralizzata con gli ancora della bocca sollevati. Ci
presentammo e ci
venne ripetuto quanto avremmo dovuto lavorare insieme, quanta fiducia
la direttrice
aveva riposto nel nostro lavoro e quanto sperava nella buona riuscita
di questo
articolo. La solita solfa.
L’unica
cosa che desideravo davvero era uscire da quel
palazzo, mettere qualcosa sotto i denti e buttarmi a letto, sotto le
coperte,
fino alla mattina seguente. Invece passò un’altra
mezzora ed io non ne potevo
davvero più.
Erano
le sette passate quando arrivai al mio appartamento
e sapevo che, da lì a pochi minuti, sarebbe arrivato mio
padre con due pizze
prese da asporto.
Appena
avevo avuto un attimo di respiro, lo avevo
contattato immediatamente, chiedendogli di cenare da me così
da potergli
parlare senza problemi e terzi incomodi ad irrompere
all’improvviso.
Quando
arrivò a casa mia lo salutai velocemente, con un
bacio sulla guancia, e lo accompagnai al tavolo della cucina
perché, davvero,
stavo morendo dalla fame e, prima di affrontare un discorso come quello
che mi
ero preparata, avevo bisogno di divorare almeno due tranci di pizza.
Con
molta calma spiegai tutto quanto a mio padre che, purtroppo
o per fortuna, si mostrò fin troppo entusiasta
dell’idea. Sembrò un bambino a
Natale, quando venne a conoscenza del tempo che avrei dovuto impiegare
per
l’articolo e le fotografie.
Poi,
per curiosità, gli chiesi dove si svolgessero questi
fantomatici campionati.
“Oh Maya,
quest’anno saranno a Doha”, mi rispose,
tutto contento e sorridente con
voce esaltata, come se potessi davvero sapere di cosa stesse parlando.
“Dove, scusa!?”,
gli domandai, perplessa.
“A Doha, in Qatar!”,
esclamò al settimo cielo.
Mi
cascò la mascella dalla sorpresa. Non ci potevo
credere.
Mio
padre, invece, sembrava pronto per mettersi a
saltellare sulla sedia come un bambino, con quegli occhi azzurri accesi
e
limpidi di felicità.
Fortunatamente
amavo il caldo, amavo il mare e tutto
quello che ne conveniva perché, se così non fosse
stato, soggiornare in Qatar
per alcuni giorni sarebbe stata una vera impresa.
Sapevo
già come preparare la valigia e la moltitudine di
costumi da bagno che vi sarebbero andati a finire perché,
sì, avrei lavorato,
ma nessuno mi avrebbe impedito di fare alcune scappate in spiaggia. Ma
dovevo
ancora parlare con Travis e non sapevo esattamente come fare.
Così telefonai
alla mia datrice di lavoro e le chiesi una mano e lei, credendosi
simpatica, mi
disse che la mattina seguente avrebbe mandato anche Simona alla piscina
di mio
padre per aiutarmi ad annunciare la lieta novella alla star del momento.
Proprio
l’aiuto che avevo tanto agognato.
Quella
fatidica mattina mi alzai malissimo, con un
macigno al posto della testa e la voglia di vivere sotto le scarpe. Se
dopo la
giornata al mare avevo il terrore di incontrare Travis, quel giorno non
sapevo
proprio cosa pensare.
Dopotutto
ero stata io a trascinarlo in quello stanzino,
ad avvicinarmi a lui e a fare il primo passo. In poche parole, avevo
paura di
come avrebbe reagito il mio corpo alla sua vicinanza. E anche di come
avrebbe
potuto reagire Travis. E di come avrebbe potuto interpretare tutto
quanto
quella Simona.
Ci
sarebbe stato da ridere, di sicuro, ma non per me. Ero
tesa come una corda di violino e, davvero, non avevo nessuna voglia di
andare a
quella maledetta piscina.
Avrei
volentieri mandato solamente quella biondina,
sarebbe stata perfettamente in grado di cavarsela da sola. Magari
Travis
sarebbe saltato addosso anche a lei.
In
ogni caso, di malavoglia, raggiunsi la piscina e, non
appena vidi mio padre, mi diressi verso di lui per spiegargli tutto
quanto.
Chissà cosa avrebbe pensato di Riccioli d’oro.
Mi
salutò allegramente come sempre, Claudio, e quando finii
di esporgli il programma della mattinata, non poté fare a
meno che risultare
ancora più felice.
Quell’uomo
era sempre e costantemente il ritratto della
felicità.
Poi
vidi Travis arrivare dal corridoio degli spogliatoi e
quasi mi venne un colpo. Mi raggelai seduta stante e smisi di ascoltare
i
discorsi di mio padre su quanto fosse felice di vedermi dentro quel
posto,
nonostante non fossi dentro una vasca. Non riuscii proprio ad ascoltare
un’altra parola: Travis mi aveva inchiodata con il suo
sguardo, un’altra volta.
Sembrava
aver avuto la mia stessa reazione, lui, il
ragazzo tutto d’un pezzo e, mentre sembrava che stesse quasi
per rivolgermi un
mezzo sorriso malizioso, si voltò di scatto verso la porta
d’entrata.
Seguii
il suo sguardo e scoppiai a ridere: capii
all’istante per quale motivo la sua attenzione si fosse
spostata con così tanta
velocità.
Simona
aveva fatto la sua entrata plateale, avvolta in un
paio di jeans attillati e in una camicetta azzurro cielo che, di
comodo,
sembrava aver ben poco. Il tutto completato con un meraviglioso paio di
decolleté nere e lucide.
Proprio
l’abbigliamento giusto per una piscina. No, lei
non era come me, in jeans larghi e strappati, Converse e felpa nera.
Eravamo
agli antipodi.
Riccioli
d’oro si guardò in giro per alcuni istanti con
uno strano sguardo soddisfatto negli occhi, come se stesse valutando
quale
preda sbranare per prima, poi mi vide e, se fossi stata una persona
normale,
quel sorrisone sincero che mi rivolse, l’avrei anche
apprezzato. Ma non ero
normale, ero me stessa ed ero una tra le persone più ciniche
del pianeta,
quindi quell’esposizione di dentatura bianca e perfetta mi
fece venire la pelle
d’oca.
Si
incamminò, Simona, verso me e mio padre, rivolgendo
sguardi ammiccanti e sorrisini subdoli ad ogni nuotatore che le
capitasse a
tiro e, dal mio punto di vista, la scena fu davvero fantastica: la
quantità di
mascelle cadenti che vedetti in quel momento mi fecero sbellicare.
“Non mi dire che la
tua collega è quella lì”,
disse mio padre a denti stretti, intento a fissare
Simona.
Gli
rivolsi una breve occhiata e notai, con estremo
piacere, la mia stessa espressione di sorpresa mista a disgusto.
“Ebbene si, ecco Riccioli
d’oro!”,
risposi velocemente, prima che la diretta interessante mi raggiunse
tutta
sorridente.
Restò
un secondo immobile, come per far imprimere nella
mia mente la sua figura alta e slanciata, dannatamente perfetta, poi
cominciò a
parlare q quasi rimpiansi quei secondi di quiete.
“Maya, che piacere
rivederti”, parlò con il suo tono quasi
stridulo.
Non
potei fare a meno di strabuzzare gli occhi e fingere
un sorriso, perché l’entusiasmo che
utilizzò mi spaventò non poco. “Simona… ehm, ciao”,
le risposi, poco
convinta. “Ti presento mio padre,
Claudio, l’allenatore di Travis”,
presentai mio padre cercando di cambiare
immediatamente discorso.
E
fu così che mio padre venne abbagliato dal sorriso
più
solare che vide in vita sua. Simona, di certo, sapeva come risultare
affabile e
disponibile. Forse un po’ troppo disponibile, ma questi
restavano futili
dettagli.
Si
strinsero la mano energicamente, senza distogliere lo
sguardo, prima che Riccioli d’oro cominciasse a parlare.
“Oh, ma io la conosco, ho letto
tantissime cose sul suo conto”,
cominciò ammirata. “È
davvero ammirevole
tutto il suo lavoro come allenatore, dopo una carriera florida come la
sua,
Claudio”. Sì, Simona ci sapeva fare,
senza dubbio. E la prova inconfutabile
era l’espressione allibita di mio padre che, per quanto
potesse sembrare facile
e alla mano, non si faceva mai prendere in giro da nessuno.
“Beh grazie mille,
Simona”, disse lui, sorridendo. “Apprezzo
davvero tanto ciò che hai detto”.
“Si, bene”, mi
intromisi, sbrigativa. “Ci siamo
conosciuti, ci siamo fatti i complimenti, ora possiamo arrivare al
nocciolo
della questione?”. Ignorai volutamente le loro
espressioni leggermente
sorprese, non avevo voglia di restare a fare il terzo incomodo, mentre
venivano
ripercorsi gli anni d’oro di mio padre. “Papà,
dov’è Travis?”.
“Sono qui”. Due
parole, una voce e mille brividi che mi percorsero la schiena. Quella
voce
risultava fin troppo dura da come la ricordavo. Ma, di certo, io la
ricordavo
in tutt’altro modo.
Non
osai voltarmi, quella volta: avevo imparato a spese
della mia sanità mentale quanto, la vista di Travis a torso
nudo, potesse
nuocere. Restai ferma immobile, esattamente lì
dov’ero ed attesi che quel
ragazzo si materializzasse al mio fianco.
Mi
concentrai sull’espressione di Simona che, di certo,
non nascondeva affatto l’apprezzamento verso Travis e tutta
la moltitudine di
muscoli che si portava appresso, anzi. La scena sarebbe stata quasi
comica, se
non mi fossi sentita così raggelata.
“Travis, finalmente”,
disse mio padre, cercando di rompere il ghiaccio che si era formato
dall’arrivo
della superstar. “Mia figlia deve
chiederti una cosa”, aggiunse poi.
Questa
me l’avrebbe pagata cara.
“Ah si?”,
chiese Travis, divertito, voltandosi verso di me. Quella finta
espressione
sorpresa gliel’avrei fatta volare via a suon di schiaffi
molto volentieri.
Maledetto.
“Beh
no, non solo io”,
risposi velocemente, cercando
di giustificarmi, ma senza rivolgergli uno sguardo. “Simona ed io dobbiamo chiederti una cosa”,
aggiunsi, indicando la
ragazza di fronte a me. E lei non aspettava altro.
“Sono Simona”,
esclamò, avvicinandosi velocemente a Travis, porgendogli la
mano che, lui, non
attese a stringere. “È
davvero un enorme
piacere conoscerti”, disse poi, civettuola
più che mai.
Quello
che accadde nei trenta secondi seguenti, non
riuscii a comprenderlo appieno, ma una cosa la capii
all’istante: la presenza
di mio padre e la mia divennero improvvisamente superflue.
Simona
e Travis si scambiarono occhiate che, normalmente,
definirei infuocate. Ma non in senso cattivo. Avrei volentieri proposto
di
accompagnarli allo stanzino delle scope perché, ormai ne ero
consapevole, era
un luogo decisamente più appartato per colloquiare, ma poi
avrei dovuto fornire
una serie di spiegazioni a mio padre che sarebbero risultate un tantino
scomode. Quindi, decisi di restarmene zitta, in attesa che le due
superstar la
smettessero di guardarsi come se fossero gli unici esseri umani sulla
faccia
della Terra.
“Ehm, bene ragazzi”,
cominciò mio padre, infrangendo, per mia fortuna, quei
secondi imbarazzanti. “Ora che,
finalmente, ci conosciamo, vogliamo
passare al nocciolo della questione?”. Non potei
fare a meno che apprezzare
quell’intervento.
Tale
padre, tale figlia.
“Si, beh…”,
cominciai.
“Allora, Travis…”,
disse Simona, sovrastando la mia voce. “Quando
cominciamo con le domande per l’articolo?”.
Di
certo quella ragazza andava dritta al punto ed era,
dovetti ammettere, una qualità ammirevole, ma pur sempre
fastidiosa.
Travis
rimase sorpreso: fu palese che non sapesse di cosa
si stesse parlando. E dovetti reprimere una risata perché,
quella sua
espressione leggermente spaesata, risultava davvero spassosa.
Soprattutto se
mista a quel ghigno da playboy che aveva stampato in faccia.
“Come, Simona?”,
le chiese.
“La mia direttrice
ti ha scelto per l’articolo di punta del numero di gennaio
della nostra rivista”,
rispose lei, tremendamente affabile. “Quindi,
io sono qui per domandarti quando saresti disponibile per poter
rispondere ad
alcune domande. E scusa il gioco di parole”,
aggiunse con una risatina.
Io
ero diventata improvvisamente inutile. Riccioli d’oro
pareva in grado di affrontare tutta la questiona con le sue sole forze,
dimenticandosi, involontariamente o no, della mia fondamentale presenza
per il
servizio fotografico che avrebbe accompagnato il suo maledetto articolo.
Un
po’ mi infastidiva questo suo voler mettersi in
mostra, ma dovevo ammettere, purtroppo, che Simona sapeva come fare il
suo
lavoro perché, era palese, aveva già conquistato
Travis. Con una semplice
occhiata.
E
mio padre doveva averla pensata al mio stesso modo
perché, dopo alcuni istanti, mi disse ad un orecchio:
“Che dici se ce ne andiamo? La tua
collega sembra avere la situazione in
pugno”.
Lanciai
un ultimo sguardo ai due davanti ai miei occhi,
lei perfettamente vestita e lui perfettamente svestito, poi presi mio
padre
sottobraccio e levai le tende insieme a lui.
Passò
quasi un’ora.
Un’ora
durante la quale io mi limitai a starmene seduta
su una sedia a bordo piscina a fare qualche scatto alle prime persone
che mi
capitavano a tiro.
Mio
padre di dimostrò fin troppo impegnato, infatti non
riuscì a tenermi compagnia nemmeno un momento. Non che mi
dispiacesse stare da
sola, sola con la mia bambina, ma dover assistere e dover ascoltare la
conversazione di Travis e Simona, poco distanti da me, di
rivelò un’ardua
impresa.
Avevo
capito quanto potesse risultare vuota e
superficiale, quella ragazza, ma le poche cose che riuscii a capire
dalla loro
conversazione, mi fecero venire la nausea. E questa, fu accentuata
dagli scarsi
tentativi di Travis di non pavoneggiarsi troppo e dai suoi tentativi di
flirtare.
Sì,
sarebbero stati una grande coppia, quei due.
Il
mix di battutine squallide, risate forzare e mani
poggiate su spalle e gambe, volontariamente, è ovvio, si
rivelò assolutamente inaffrontabile.
Poi
mio padre chiamò Travis all’ordine, dicendogli
che,
per quella giornata, aveva relazionato fin troppo con la nuova arrivata
e, dopo
un veloce saluto ammiccante, lasciò Simona
dov’era. E raggiunse me.
Piuttosto,
avrei preferito dover ascoltare un’altra ora
di conversazione.
“L’hai conquistata,
superstar?”, gli chiesi sarcastica.
Lui
scoppiò in una risata. “Sei
gelosa, Maya?”, chiese avvicinando il viso al mio
orecchio,
così da potersi far sentire solamente da me. “Tranquilla, il trattamento speciale lo riservo
solamente a te”,
disse poi.
Ed
in quel frangente la mascella cascò a me, non a tutti
gli atleti della piscina. La presunzione di Travis raggiunse livelli
epici.
Mi
sentii avvampare, sorpresa dalla sua stupidità, e non
mi disturbai nemmeno di non darlo troppo a vedere.
“Però se mi
schiaffeggia anche lei e mi fa cambiare idea, non ti garantisco
l’esclusiva”,
continuò lui. “Ah
sarà divertente questa
storia dell’articolo! E pensa quando saremo a Doha”.
Dovetti
reprimere l’istinto di mollargli un ceffone in
pieno viso, in quel caso non eravamo soli come quel giorno in spiaggia.
Ma
resistetti a fatica perché, la sfacciataggine che
mostrò in quel frangente, mi
fece finire il sangue alla testa e mi diede il voltastomaco.
Sì,
avrei preferito di gran lunga dover ascoltare una
conversazione tra lui e Riccioli d’oro!
“Sei uno stronzo,
Travis”, gli sibilai a denti stretti.
Ma
lui non batté ciglio, anzi, riuscii solamente a farlo
sorridere di più.
Dovevo
proprio essere uno spettacolo pietoso.
“Ci si vede, Maya”,
mi salutò infine, cominciando ad allontanarsi verso mio
padre. Poi si voltò
improvvisamente, attirando ancora la mia attenzione. “Non vedo l’ora!”,
aggiunse, con quel sorriso divertito che
cominciavo davvero a detestare.
Decisi
di allontanarmi dalla sedia su cui ero seduta fino
a poco prima per non avere a portata di mano oggetti contundenti da
lasciare a
quell’idiota.
Ora volevo regalarvi un piccolo, insignificante SPOILER del prossimo capitolo.. spero che possa stuzzicare la fantasia durante l'attesa.
Alla prossima,
Chiara
P.S.
Come sempre.. GRAZIE A TUTTE!