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Autore: holdmeirwjn    26/09/2014    1 recensioni
Caro tu, che vuoi sapere di cosa parla la mia storia,
questa è una storia vera, che parla di come il mio sogno è diventato realtà. Se anche il tuo sogno si è realizzato, spero che ti aiuti a condividere con me la gioia di un momento speciale, in caso contrario, vorrei che tu sapessi che le cose belle arrivano quando meno ce l'aspettiamo, e che non bisogna mai perdere la speranza.
Mi auguro sinceramente che nessuno di voi mi scambi per una ragazza vanitosa che vuole mettersi in mostra perché non lo sono, davvero.
Il titolo si ispira al libro 'Dare To Dream, One Direction', la storia parla della mia vita dal 19 giugno 2014 ad oggi, spero di meritarvi, e spero che abbiate anche voi il coraggio di sognare.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO
 
Dedicato a chi al concerto ci è stato con il cuore, senza bisogno di uno stupido pezzo di carta.
                                                                                                                                                                                                                                                                 -Anna
 
 
“Mancano solo sedici giorni, ragazze, non ci posso credere!”
A volte mi chiedevo se lo facesse apposta. Era davvero così difficile contenere l’emozione e non farci pesare il fatto di non avere quei dannati biglietti? Perché ormai era risaputo, Claudia sarebbe andata al concerto dei One Direction, sedici giorni più tardi, e a noi della sua classe non restava che invidiarla fino all’odio, ormai fermamente convinte che quei biglietti non li avremmo avuti mai. Una delle meno fiduciose si chiamava Chiara, ed era seduta accanto a me all’esame INVALSI che dovevano somministrarci quel 19 giugno. Era una ragazza molto magra, tanto che quando muoveva il busto le ossa della sua schiena scricchiolavano in modo pauroso. Aveva dei precedenti di autolesionismo, come tutte noi della terza D. Solo due o tre ragazze, le più belle e più false, non erano cadute nella trappola che ci aveva teso il destino. Ma Chiara aveva avuto dei problemi più gravi, ed era stato più difficile per lei tornare a galla insieme a noi. In ogni caso, le nostre cicatrici si erano rimarginate da un pezzo, e gli esami ci avevano impegnato così tanto da non avere neanche più tempo per pensare a lamette e rasoi. Chiara era una ragazza molto solare, ma anche molto infelice. Era una delle più brave a scuola, e frequentava un corso di volteggio sul cavallo da quasi undici anni. Atletica, aggraziata, aveva un sorriso bellissimo e due occhi da togliere il fiato. Insomma, era il mio opposto.
Quando la campanella suonò, segnando l’inizio della prova d’esame, il pensiero del concerto svanì dalla mia mente e cercai di concentrarmi sul testo che dovevo leggere e comprendere. ‘Dov’è ambientato il racconto?’ In Algeria, ovvio… La mia gamba sinistra iniziò a tremare, era una specie di tic nervoso che non riuscivo a reprimere, quando stavo seduta. Avevo paura. Paura di non essere abbastanza, nemmeno per quegli idioti del Ministero dell’Istruzione. L’esame era veramente facile, ripensandoci, ma forse l’idea di essere in palestra, a un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro, con un rappresentante ministeriale e due professoresse mai viste prima non era il massimo per noi, e influì sul nostro lavoro, come potei constatare alla fine della prima prova, quando ci riunimmo e ne parlammo insieme.
“Qual era la risposta della prima domanda?” Chiese Francesco, anche lui molto bravo a scuola.
“Algeria, no?” Risposi.
“Ma come, io ho messo Africa!” Obiettò la mia migliore amica Meg.
“No, era scritto ‘ricchi algerini viziati’. E poi l’Africa non è un paese, ma un continente.” Spiegai pazientemente.
“Veramente io ho segnato Francia.” Borbottò Nicola con aria confusa. Scoppiammo quasi tutti a ridere, lui compreso.
“C’era scritto ‘colonie francesi’, le colonie francesi mica stanno in Francia!” Osservò Vincenzo tra le risate.
La breve pausa tra la prova di italiano e quella di matematica finì, e ci risedemmo ai nostri banchi, attendendo che ci fossero consegnati i fascicoli dell’esame seguente. Fu un totale disastro, risolsi quasi tutte le domande chiudendo gli occhi e segnando una crocetta a caso, tanto avevo sempre un venticinque percento di possibilità di azzeccare la risposta esatta. Finii molto prima rispetto agli altri, e rimasi per quasi mezz’ora ferma a fissare il mio fascicolo, prima che una delle due professoresse annunciasse la fine della prova e ci lasciasse tornare a casa. Uscendo dalla palestra, camminai accanto a Meg.
“Ieri ho litigato con i miei.” Annunciò. Diciamo che non era una novità.
“Come mai?” Le chiesi fingendomi interessata. La verità era che sapevo già il motivo, visto che era lo stesso fin dalle prevendite del ventotto settembre duemila tredici.
“Per il concerto e per i biglietti. Mio padre non capisce niente. Non capisce veramente nulla di idoli, amore e musica.”
“Non dirlo a me, mia madre ieri mi ha detto che non devo sognare troppo perché potrei rimanere delusa, che forse i miei sogni non si realizzeranno mai e cose del genere. Non so se hai presente come ci si senta…” Fui interrotta dalla voce squillante di Laura, una ragazza piuttosto bassa di statura, con lunghi e lisci capelli biondi e due grandi occhioni scuri.
“Hey ragazze, voi che tesina avete preparato per gli orali?” Chiese affiancandoci mentre uscivamo dall’edificio.
“Io Nelson Mandela.” Sorrisi, prendendola sottobraccio e avviandomi assieme a lei e a Meg lungo il cortile della scuola.
“Io invece la Coca Cola, il consumismo e la globalizzazione in generale.” Annunciò la castana accanto a me.
“Tu, Lally?”
“Oh, io porterò il Centro George Pompidou.” Disse la bionda allegramente.
“Wow, e come pensi di collegarlo con inglese?” Domandai.
“Non lo so, preparerò un discorso in lingua o cose così, sinceramente non ho idee, ma la prof è buona, non mi preoccupo.”
“Come dici tu.” Confermai.
Casa mia era giusto all’inizio della via che portava a scuola, così buona parte della mia classe si fermò lì all’angolo e iniziò a chiacchierare animatamente sulle vacanze estive e sugli esami orali che si sarebbero tenuti due settimane dopo. Personalmente ero molto stanca, e avrei voluto andare direttamente a casa a dormire o a mangiare qualcosa, ma volevo bene ai miei amici e non avrei rivisto parte di loro agli orali, visto che erano divisi in tre giorni diversi, così rimasi seduta con loro sul marciapiede sotto casa, ridendo, scherzando e scattando selfie di gruppo che caricai sul mio profilo Instagram.
Era mezzogiorno passato quando entrai nell’ingresso del mio appartamento. Dalla cucina usciva un delizioso profumo di… crêpes Susette? Nonna era china sui fornelli, ma si voltò sorridendo appena sentì il rumore della porta che si chiudeva.
“Ciao, amore.” Sorrise guardandomi con i suoi spenti occhi azzurri.
Bonjour.” Risposi stampandole un bacio sulla guancia.
“Come sono andate le INVALSI?” Domandò appena mi fui seduta a tavola.
“Bene, bene. Ho avuto qualche problemino con quelle di matematica, ma tutto sommato mi sembra di aver fatto un lavoro decente.”
“Ne sono sicura.” Commentò appoggiando davanti a me un piatto di crêpes alla nutella fumanti. Sorrisi con aria famelica e iniziai subito a tagliarne una con il lato della forchetta.
“Dopotutto, questo è stato un anno piuttosto sfortunato per quanto riguarda la matematica, no?” Proseguì nonna, sedendosi di fronte a me nel tavolo collocato in soggiorno.
Diciamo che quello era stato un anno sfortunato per quanto riguarda qualunque cosa. La nostra professoressa di matematica un giorno, di punto in bianco, se n’era andata, era venuta una supplente che era rimasta con noi per due settimane e poi aveva avuto una bambina ed era andata in maternità, e ci avevano così assegnato una professoressa universitaria di genetica umana, che ci aveva trattati come dei liceali, assegnandoci cataste di compiti e consentendoci di diventare la classe peggiore della scuola. Ci aveva minacciati per tutto l’anno dicendoci che all’esame ci saremmo pentiti di essere nati, e alla fine lo scritto di matematica era stato facilissimo. Oltretutto, i professori ci avevano proibito di preparare una tesina per gli orali, fino all’ultimo giorno, quando “Allora, avete preparato tutti un argomento per gli esami?” e mezza classe stava per bestemmiare in faccia alla prof di lettere.
“Già, proprio un anno difficile. Menomale che è finito tutto. Ora mancano solo gli orali, e poi sarò libera per due mesi interi.” Sorrisi con aria sognante. La mia estate prometteva bene. Due mesi interi per fare tutto quello che mi andava di fare, senza compiti, senza pensieri, senza esami.
“Eh, vedrai come ti mancherà la scuola, quando sarà agosto…” Sospirò nonna, versando un po’ d’acqua nel mio bicchiere.
“Io non credo. E poi ci saranno i ragazzi a farmi compagnia.” Risposi, fermamente convinta di quello che dicevo. Perché loro ci sarebbero sempre stati.
“Che ragazzi, scusa?” Chiese lei guardandomi interdetta.
“I One Direction, nonna.” Spiegai, scandendo bene ‘Uàn Dairecscion’.
“Ah, i tuoi idoli.”
“Già. Proprio loro.”
“E come possono farti compagnia? Non puoi vederli.”
Stavo per scoppiarle a piangere in faccia, ma non importa, nonna non poteva capirmi, probabilmente quando era adolescente lei invece di shippare Harry e Louis shippavano Battisti e Mogol, o qualcosa di simile.
“La loro musica, sai, nonna. Quando cantano è come se fossero vicino a me.” E smisi di parlare perché stavo arrossendo troppo.
“Oh, alla tua età io ero nel dopoguerra, non avevamo niente, sai, amore. Sei così fortunata di poter avere degli idoli.”
“Già. Ma non posso vederli, l’hai detto anche tu.”
“Ma c’è la musica. L’hai detto anche tu.” E mi fece l’occhiolino.
Passai il pomeriggio ascoltando musica, disegnando e cercando su internet le correzioni delle INVALSI. E il primo racconto era ambientato in Algeria, tanto perché lo sappiate.
Arrivarono le sei, mio fratello era tornato a casa e anche nonno e mamma ci avevano raggiunti. Papà sarebbe arrivato a momenti. I nonni stavano per andarsene e tornare a casa loro, quando mia madre mi propose di accompagnarli per un pezzetto, visto che negli ultimi sei giorni non avevo fatto altro che studiare per gli scritti. Accettai volentieri, indossai delle comode scarpe basse di tela, e uscii assieme a nonna e nonno.
Arrivati all’incrocio con la via che portava a scuola, vidi la mia professoressa di matematica, o forse dovrei dire schifosa supplente priva di tatto.
“Buongiorno, prof.” Salutai tirando un sorriso. Nonno mi imitò, e nonna si limitò ad un cenno con il capo.
“Ciao, Anna. Oh, volevo complimentarmi con te per la prova INVALSI, è andata benissimo, sei stata una delle migliori della scuola.”
Sgranai gli occhi, incredula.
“I-io?!”
“Sì, certo. Bravissima, complimenti.”
“Oh, be’, grazie. Grazie mille. Arrivederci.” Lei sorrise e mi salutò con la mano, prima di avanzare verso la fine della via.
“Be’, è stata gentile.” Commentò nonno. “Io che pensavo fosse una racchia malefica.”
“Gianni!” Il rimprovero scandalizzato di nonna mi fece sorridere, mentre il mio cuore accelerava al pensiero di quanto sarebbe stata felice mamma. Mi ero allenata per più di un mese sulle INVALSI, e probabilmente senza il suo aiuto non sarei riuscita a completare la prova in modo decente. Sorrisi, e all’improvviso mi sembrò che un raggio di sole avesse illuminato l’asfalto, mentre It’s A Beautiful Day di Michael Bublè iniziava a risuonare nella mia mente.
   
 
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