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Autore: Ryuketsu no Kurea    26/09/2014    1 recensioni
Il desiderio di volare libera nel cielo, è questo quello che spinge Skedandra combattere. E lei può veramente volare, con le sue bellissime ali, ma purtroppo non può ancora essere libera...
Una storia inventata da me, è la prima volta che pubblico, spero che vi piaccia. Aspetto le vostre recensioni :)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Storia e cultura di Hayal" dal trattato del noto studioso sig. Albert Draconis.
Le cose ad Hayal sono ben diverse da come erano un tempo. Oggi i giovani draghi e mezzelfi vanno a scuola insieme, anche perché fino agli undici, dodici anni non si sa con precisione se il mezzelfo possiede o no il gene dragonesco, ad esclusione delle antiche storpi quali Asfarath, Cassiel, Undomiel..
Oggi l'Ordine di Verbelding si occupa di addestrare le milizie di Hayal, la sua sede principale si trova nella capitale Vesbalona dove, inoltre, si trova il palazzo reNon La scuola preparatoria dell'Ordine addestra sia draghi che mezzelfi, anche se solo i draghi possono sperare di entrare a far parte dell'Ordine vero e proprio. Tuttavia anche quest'ultima è estremamente selettiva per i draghi, solo i giovani di talento possono sperare di entrarvi.
Hayal è governata da due re, un drago e un mezzelfo, per garantire la parità delle razze e per facilitare il controllo sul vasto territorio. Da decenni ormai la diarchia è diventata ereditaria, tuttavia questo ha fatto perdere la fiducia del popolo nelle istituzioni. Dovendo correre ai ripari i due re divisero il territorio in Ducati affidandoli a coloro che vennero scelti dal popolo, mezzelfi o draghi che fossero, senza distinzioni, e dando vita a un senato formato da un rappresentante di ogni ducato, l'Ambasciatore.
 
«Non ci posso credere» mi disse Reg mentre camminavano fianco a fianco nel cortile della scuola. Il giorno prima me ne ero andata lasciando quella ragazzina da sola e allibita nel campo di addestramento dell'Ordine.
«A cosa?» gli chiesi.
«Hai spaccato il naso a Righelor, ti sei lasciata distrarre da una ragazzina imbranata e l'hai pure importunata. Ti conosco, so che sei orgogliosa, e questo mi va bene perché mi piaci come sei, ma che cavolo ti è preso ieri? Non sapevo che improvvisamente tu fossi diventata anche una bulla!» mi disse furente. Io rimasi spiazzata, non credevo possibile che uno tranquillo e solare come lui potesse urlare a quel modo, mentre che meno urlare in quel modo verso me. Mi ripresi e gli Urali anch'io contro, mettendomi sulla difensiva
«Non la stavo importunando! E non sono una bulla, semplicemente quella lì ha qualcosa di strano. E comunque, da quando in qua fai parte del fanclub di Righelor?!» era così strano, così innaturale urlargli contro, cosa era mai successo per arrivare a tutto questo?
«Non faccio parte del sul fanclub! È solo che credevo che tu non fossi più una bambina, che casca così facilmente nelle provocazioni del primo che passa!» questo era il colpo di grazia, mi guardò per un attimo spaesato, rendendosi conto di quello che mi aveva detto. Non riuscendo a controbattere semplicemente me ne andai, voltandogli le spalle e lasciandolo solo nel bel mezzo del cortile della scuola.
Odiavo litigare con Regulus, lui è l'unico che mi è sempre stato vicino, l'unico che, quando dicevo di voler entrare nell'Ordine, non cominciava a ridere e a darmi pacche sulla testa, credendo fosse una battuta. È l'unico, che mi ha sempre aiutata a conoscere e superare i miei limiti, è l'unico che capisce come mi sento quando volo, che capisce quel senso di libertà che mi dà il piegare a proprio piacimento l'aria con la forza delle mie ali, l'unico.
Andai a lezione senza Reg, anche se avevo voglia di marinare la scuola, ed andare a piangere dove nessuno mi avrebbe visto, dove nessuno avrebbe saputo, forse nessuno tranne lui. Ma così non feci, andai a lezione e non lo vidi più per tutto il giorno.
Alla fine dell'orario scolastico quando stavo per trasformarmi per tornare a casa per potermene stare finalmente per conto mio, una voce già sentita mi chiamò.
«Aspetta!!» mi girai e vidi la figura esile, della ragazzina incontrata il giorno prima, venirmi incontro
«Si?» chiesi con tono atono e la voglia di finirla in fretta.
«Ieri non ci siamo neanche presentate volevo solo conoscerti» disse con un tono intimorito, ma la testa alta.
«Skedandra, ma per piacere chiamami Sked odio i nomi lunghi» dissi spiccia.
«Ok, io sono Amilam» mi disse sorridendo.
«Piacere di conoscerti» dissi, volevo prendere e andarmene, ma ricordando la bruciante osservazione di Reg, le dissi «Mi cercavi perché avevi bisogno di qualcosa?»
«No no, niente di particolare, volevo solo sapere il tuo nome e, penso, chiederti perché hai detto quelle cose» mi disse,con la sua voce, che mentre parlava si affievoliva, mentre abbassava gli occhi.
«Scusami, non era mia intenzione importunarti» troncai la conversazione e mi alzai in volo.
 
«Mamma sono a casa». Entrai nella nostra caverna, una delle tante nella parete rocciosa vicino alla città. Le città di Hayal sono fatte per accogliere sia mezzelfi che draghi, per questo, di solito, si ergono vicino a pareti rocciose, nelle quali vengono scavate grotte più o meno grandi con più o meno stanze. Mentre in basso vengono costruite case, botteghe, scuole...
«Come sono andati gli allenamenti oggi?» mi disse mia madre, uscendo dalla cucina con ancora il grembiule addosso. Lei era una di quelle dragonesse che preferiscono la comodità delle cucine a misura di mezzelfo.
«Bene bene, oggi Caph ha avuto il buon senso di non mettermi in coppia con Righelor» nonostante mi fossi sfogata a combattere, ero ancora giù di morale, poiché Regulus Manon si era nemmeno fatto vedere alla lezione dell'Ordine.
«Perché lo rifiuti? E' un bel giovane ed è pure il figlio del duca» mi disse mia madre con aria esasperata.
Il più delle volte, non riesco a capire come faccio ad essere così simile a lei, io sono più alta, ma abbiamo lo stesso naso, la stessa linea del viso, gli stessi capelli mogano. Per fortuna almeno i miei occhi sono dorati, mentre i suoi sono grigi, altrimenti potremmo essere gemelle.
«Sarà anche ricco, bello e famoso, ma ha anche un bel caratteraccio». Risposi indispettita, e senza dare tempo a mia madre di ribattere, mi diressi verso la mia stanza, a destra dell'ingresso, separatone da una spessa tenda cremisi appesa al muro.
La mia stanza era spoglia semplice ed essenziale: in un angolo c'era il giaciglio in onice morbida, una finestra con delle tende bianche, le armi, le armature, erano invece poggiate su una rastrelliera di metallo, vicino alla sedia e alla scrivania in legno; un regalo fatto quando imparai a non sputare fuoco ogni volta che starnutivo. In legno era anche l'armadio che mia madre aveva riempito di gonne e vestiti, tranne uno scompartimento nascosto in fondo, dove tenevo i vestiti che piacevano a me: pantaloni, camice, giacche.
Iniziai a togliermi la bardatura da allenamento e la gettai di malo modo sulla restrelliera, quando entrò mia sorella maggiore Betalona. Lei è completamente diversa da me, è piu simile a nostro padre: bella, aggraziata con le sue bellissime squame bianche e immacolate, la chioma castano chiaro e gli occhi cerbiatta; ma non una combattente, ovvero tutto l'opposto di me.
«Lo sai che tutte le ragazze di questa città t'invidiano?» mi chiese. Io annuii a malapena.
«lo so che lui non ti piace, ma io fossi in te, eviterei di rompergli il naso, se non vuoi che un orda di ragazze in inferocite di venga addosso» disse cominciando a ridere e, chissà come, contagiando anche me.
«Tenterò» risposi dopo essermi ripresa. Lei sorrise e disse «ti voglio bene»
«Anch'io» le dissi.
Adoravo mia sorella, è vero la maggiore era lei, ma era così delicata e aggraziata che ho sempre avuto voglia di proteggerla. Anche lei era nell'Ordine, ma invece di essere sempre piena di lividi e graffi come me, era sempre perfetta, non aveva mai una cresta fuori posto, o una macchiolina d'erba sulle squame. Non che fosse meno letale, anzi il contrario certe volte riusciva a suonarle di santa ragione anche a me, ma un paio di anni fa decise di lasciare l'Ordine anche se non so il perché.
Una volta che mia sorella fu uscita mi ritrasformai in umana e, come avevo iniziato a fare ogni sera, spostati le tende e mi affacciati alla piccola finestra. Il sole stava Tramontano, giungendo di rosa il cielo è dando una sfumatura risata a tutta la città. Montai sul parapetto, mi diedi lo slancio e mi buttati. Il vento mi scivolava addosso, mi trasformai a mezz'aria e volai via, libera.
Un ottimo sistema per uscire di casa facendo pensare a tua madre che stai facendo i compiti.
Iniziava a fare buio ma la mia vista di drago mi permetteva di vedere come fosse giorno.
Volai in cima alla parete rocciosa sicura che lì sarei potuta stare sola a pensare.
Da quando quella ragazzina era entrata nella mia vita non ero più io, non so cosa mi succedesse quando ero insieme a lei, ma succedeva.
Ancora dubbiosa alzai lo sguardo verso il cielo, le stelle brillavano come torce nella notte, creando miriadi di costellazioni. Rimasi così a lungo, pensando al litigio con Reg.
Quando mi stancai di guardare le stelle andai a caccia per non andare a letto con la pancia vuota, mia madre si sarebbe sicuramente arrabbiata vedendo che non ero tornata per cena. Sorvolai la città addormentata, le strade erano vuote e la quiete permaneva l'aria. Arrivata alle mura avvisai il guardiano, un vecchio drago dalle squame ormai opache che andavo a caccia e che sarei tornata tra poche ore, poiché non avevo intenzione di andare lontano. Il vecchio, che ormai mi conosceva mi fece passare senza problemi.
Una volta lontana dalle mura della città mi abbandonai ai miei sensi, rifiutando ogni pensiero, lasciandomi guidare solo dall'istinto della caccia, abbandonai il mondo e fuggii da me stessa. Sentii la scia profumata di un cervo, "Ecco la mia preda" volai alta sopra di lui senza farmi sentire, un'ombra silenziosa, confondendmi con le bianche stelle in cielo. Poi all'improvviso scesi in picchiata, lo afferrai con gli artigli, spezzandogli il collo e atterrando poco più in là. Nello stesso momento nel quale toccavo terra sentii una scia di fuoco attraversarmi l'ala sinistra, una freccia, dall'impennaggio candido, mi si era conficcata nella membrana piena di nervature. Il dolore arrivò e mi fece irrigidire tutti i muscoli, una goccia di sangue uscì dalla ferita e colò sull'altra lasciando una scia rossa.
Mi lasciai scappare un gemito di dolore e girai la testa di scatto verso il mio aggressore pronta a incenerirlo. Ma mi fermai quando distinsi il suo volto.
«Amilam che diamine ci fai qua!» A Milan era davanti a me con un arco corto in mano e la faretra piena di candide frecce.
«Sked? Oddio Sked scusa scusa ero andata a caccia stavo seguendo il cervo poi mi sei piombata davanti e io avevo già scoccato la freccia, vado a caccia perché è una delle poche cose che mi riesce bene, che riesce a rilassarmi, scusa scusa!!» disse tutto di un fiato, la faccia le divenne rossa come un peperone, se non fosse perché sentivo male, mi sarei messa a ridere.
«Calmati va tutto bene non è niente» la tranquillizzai, peccato, che appena cercai di muovermi per avvicinarmi a lei, mossi l'ala e mi scappò un gemito. Amilam aveva una faccia preoccupatissima. Non potevo dirle di andarsene a casa, anche perché, non sarei mai riuscita a togliermi la freccia da sola, e volare in quelle condizioni, non pensavo di riuscirci, eh sì anche il mio orgoglio ha un limite. E, comunque, quella foresta non è il genere di luogo adatto a un drago bloccato a terra, pensai ai branchi di lupi infernali e mi vennero i brividi.
«Potresti andare a raccogliere un po' di legna per il fuoco, o vuoi estrarre la freccia al buio?» le dissi cercando di apparire più calma possibile.
«Ok , ma te stai bene vero?» mi rispose preoccupata
«Si sto bene ora vai» le dissi scocciata, ho detto che anche il mio orgoglio ha dei limiti, ma non così tanti. Detto questo Amilam si avviò.
Io tentai di mettermi comoda e stendere l'ala ferita, operazione decisamente dolorosa nonostante le avessi detto che stavo bene. Il brutto delle ali è che per quanto possano essere sottili sono piene di nervi.
Amilam arrivò dopo poco con la legna, l'accatastò per terra e si allontanò per prendere la pietra focaia, ma io la precedetti, e con una piccola fiammata accesi il fuoco. Amilam alzò un secondo la testa, ma non si stupì, anzi continuò a cercare qualcosa nella sua borsa. Quando si alzò vidi che aveva in mano una ciotola, un po' d'acqua in un otre e una strana polverina gialla.
«E' un cicatrizzante. Evita che, una volta levata la freccia la ferita s'infetti» Mi spiegò mostrandomi la polverina.
«Sei attrezzata e esperta allora» le dissi con ammirazione «Quindi avevo ragione io a dirti che sbagliavi quando dicevi di non saper far nulla» le dissi ironica, mentre le facevo l' occhiolino.
«Ok forse qualcosa la so fare» disse esasperata, mentre mischiava la strana polverina con un po' d'acqua, facendola diventare una specie di crema.
«Ora devo estrarre la freccia te cerca di non muoverti» disse, e, con una sicurezza che mi stupì, tirò fuori il pugnale, ruppe la freccia dalla parte della punta e con un movimento rapido estrasse la freccia, il sangue cominciò a colare sull'ala, ma Amilam vi applicò la crema. Quando sentii quella mistura toccarmi la ferita mi dimenai dal dolore sperché bruciava come fuoco e senza volerlo stavo per travolgere Amilam, che si allontanò con una prontezza di riflessi impressionante e con inaspettata forza riuscì a bloccarmi la parte ferita dell'ala e finì di metterci la crema. Io rimasi ferma dallo stupore, ma quella era veramente la solita ragazzina imbranata dell'altro giorno? A poco a poco il dolore si attenuò e riuscii a ripiegare l'ala.
«Ma ti sei vista! Mi hai bloccato con la forza e hai avuto uno scatto rapidissimo, che non se lo sognerebbe neanche Caph!!» le dissi stupita, Amilam mi guardava come se la notizia non la toccasse.
«Ma se riesci a farlo ora perché non lo fai quando combatti? Riusciresti a battere Caph dopo poco!» continuai imperterrita.
Amilam si limitò ad un'alzata di spalle, poi quando vide che non cedevo alzò lo sguardo verso di me, era lo sguardo triste di chi ha ricordato qualcosa che era meglio non ricordare. Quello sguardo mi sconvolse particolarmente, non è che credessi che lei non fosse in grado di provare sentimenti, ma quegli occhi non esprimevano tristezza, esprimevano la Tristezza, era come se non fosse mai esistita prima e fosse stata lei ad inventarlo. Disse:
«Se vuoi te lo racconto, ma è una storia lunga»
«Non ho fretta» dissi accoccolandomi meglio, a questo punto volevo sapere tutto.
   
 
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