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Autore: Sefora_Write    26/09/2014    3 recensioni
«Che cosa stai pensando in questo momento?» Disse prendendomi la mano e accarezzandola lentamente.
«Penso a come ci si sente a restare in posizione eretta, sentire l'erba morbida e correre» Dissi con la testa chinata, mentre guardavo una piccola margherita in mezzo ad un oceano di verde.
Il vento faceva oscillare sia gli alberi che l'erba. Mi girai verso Harry e fissai il suo viso delicato e lineare.
«Se è questo il tuo desiderio, ti aiuterò ad avverarlo.»
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Ciao a tutti questa è la mia nuova fanfiction. Spero vi piaccia. Vi dico subito che è diversa da quelle che scrivo di solito oppure che leggo. Però mi piaceva l'idea e allora l'ho sviluppata. Lasciate un commento e ditemi se vi piace oppure se non dovrei continuarla. E adesso vi lascio alla lettura. Ciao ciao*
 
We are infinite

Capitolo 1


Il mio respiro era irregolare, continuavo ad agitarmi nel letto. Avevo il viso ricoperto da gocce di sudore ed era appiccicoso. Il battito del cuore incominciò a battere velocemente, come un martello pneumatico, urlai dallo spavento. Aprii subito gli occhi e vidi davanti a me l’infermiera. Era una ragazza giovane dai capelli rossi e gli occhi azzurri, credo si chiamasse Sam. Si sedette vicino a me, prese un fazzoletto dal suo camice e tamponò delicatamente la mia fronte. «Ssssh! E’ tutto finito. Ancora un incubo?» La sua voce era dolce e melodica. Con l’indice spostò una ciocca di capelli, che era davanti ai miei occhi, e sorrise. «Si… sempre lo stesso» La mia voce era come un sussulto. Ella appoggiò la sua mano calda, sulla mia spalla. Era una ragazza d’oro, una persona gentilissima e molto paziente, soprattutto con me.  Mi alzai leggermente, appoggiandomi sui miliardi di cuscini che l’ospedale mi aveva portato. Mi guardai in torno, odiavo quella stanza, era così bianca e spoglia. Mi girai verso Sam. Aveva uno sguardo preoccupato e fissava le lenzuola. Cercai di guardare nello stesso punto in cui lei guardava, e notai una macchia rossa. Mi irrigidii e sbiancai alla vista del sangue. Odiavo sia l’odore e sia vedere del sangue, mi faceva venire la nausea. Sam si alzò di scatto e andò subito a controllare che cosa stava succedendo. Spostò le lenzuola impregnate di quella sostanza rossa e osservò la mia “gamba”. Sospirò. «E’ solo una piccola perdita di sangue. Ti assicuro che è normale». Sospirai e chiusi gli occhi.
***
Dopo essere stata ricoverata e aver perso entrambe le gambe, dal ginocchio in giù, rientrare al collage era stata una cosa quasi impossibile. La scuola in cui andavo, non aveva una strada per le carrozzelle e le classi erano troppo piccole. Allora decisi di frequentare dei corsi su internet, ma purtroppo è sempre meglio andare a scuola che studiare a casa. Il perché? Semplice, a scuola c’è una prof che ti spiega e se non capisci puoi chiedere. A casa è diverso, se non capisci qualcosa non puoi farci niente, a meno che vostra madre sia un insegnante. Comunque… La mia giornata era diventata quasi monotona. Uscire di casa era l’unica cosa che amavo fare, sentire il vento tra i capelli, guardare gli alberi che oscillano e altre cose che non vi sto ad elencare. Ogni settimana dovevo andare in ospedale per fare ginnastica. Sam era diventata mia amica e parlavamo molto. Conoscevo molta gente nuova e amavo ascoltare le storie degli altri. L’unica cosa che odiavo, era fare ginnastica, allenare sempre gli stessi muscoli era orribile.
 
Mi svegliai alle sei, come ogni giorno, e mi appoggiai con la schiena sui cuscini. Mi guardai intorno, come facevo tutte le mattine. La mia camera era molto simile a quelle delle teenage americane,  lucine sulla testata del letto, foto appese al muro, scritte con dei significati ben precisi, candele ovunque e altre cose. Era molto confortevole a parer mio. Mi sporsi dal letto per cerare di avvicinare la mia carrozzella. Appena ci riuscii appoggiai entrambe le mani sui braccioli e feci leva per alzarmi. Ogni giorno era sempre più faticoso, cercare di alzarmi con le mie sole braccia era un grosso sforzo. Mi accomodai, mettendo al posto giusto ogni parte del mio corpo. Uscii dalla camera canticchiando una vecchia ninna nanna, che mi cantava mia mamma. Guidai fino alla cucina e mi preparai la colazione. Purtroppo vivevo da sola, i miei genitori erano morti e mio fratello era scomparso. Vivevo a Londra, in una casa vecchia e molto spaziosa. Lavoravo come segretaria, ma ero stufa di quel lavoro, mi annoio troppo. Finii la colazione e lavai i piatti. Mi venne in mente che oggi dovevo stare tutto il tempo in ospedale per degli stupidi controlli. Sospirai e chiusi l’acqua. Avevo la mente quasi completamente vuota, non riuscivo a pensare molto. Preparai la borsa, mettendoci cose a caso che magari non servivano a niente, e uscii chiudendo la porta di casa. 
L’ospedale era a due isolati che casa mia, così con la mia buona volontà e con tutta la mia forza girai le ruote della carrozzella fino all’entrata dell’edificio. Si prospettava una lunga giornata. Appena entrai tutti mi fissarono, era la cosa più odiosa che potessero fare. Salutai tutti gli operatori dell’ospedale. Ormai conoscevo tutti, erano miei amici. Andai verso l’ascensore e schiacciai il bottone, alcune persone si fermarono per aspettare insieme a me, ma erano quasi disgustati e nervosi. L’ascensore arrivò ed entrai con tutta la calma possibile.  Schiacciai il bottone del quarto piano e partì immediatamente. C’era un silenzio tombale. Eravamo in tre in quella specie di sgabuzzino e la mia carrozzella occupava gran parte dello spazio. Una signora, sulla quarantina, iniziò a borbottare da sola. Riuscii solo a distinguere alcune parole e non riuscii a trattenermi. «Mi scusi, se le da fastidio la mia carrozzella, poteva prendere uno  degli altri ascensori. Sa… ce ne sono ben altri quattro» Mi guardò male. Non riuscivo a frenare la mia risata, così cercai di tapparmi la bocca. Fortunatamente arrivammo al quarto piano. Alcune persone che erano davanti a me si spostarono e sorrisero.«Grazie!» Sfrecciai nel corridoio fino ad incontrare Sam. «Giorno, sei una bambina piccola?»
«Eh?» Spalancai gli occhi.
«Non ti hanno insegnato che non devi  correre nei corridoi?» Risi. Cosa centrava? 
Mi grattai l’occhio e sbadigliai. «Oggi fai le visite tu?» Chiesi aspettando una risposta positiva. 
«No, mi dispiace, ma c’è uno nuovo, e lui ti farà tutte le visite che devi fare» Rimasi spiazzata. Non volevo un’infermiere nuovo e magari appena uscito dall’università. Sicuramente sarà un incapace. 
«Bene» Non riuscii a dire altro. Sam mi sorrise e mi condusse nella stanza, dove abitualmente stavo.
Chiuse la porta e mi aiutò a sedermi sul lettino. Mi appoggiai ai braccioli della carrozzella e feci leva, Sam mise le sue braccia sotto le mie ascelle e mi adagiò sul lettino. La ringraziai per l’enorme sforzo. Mentre sorrideva accarezzò delicatamente la mia guancia. 
Uscì e rimasi sola. Le pareti della stanza erano bianche e brutte, il lettino era rivestito di carta color verde, orribile e in un angolino c’era una scrivania vecchia con dietro una seggiola sgangherata. Immaginavo come potesse essere il nuovo infermiere… E’ un cesso, secchione e non ha neanche il senso dell’umorismo. Sono messa male. Pensai tutto il tempo, fino a quando bussarono alla porta. «Entra pure» La mia convinzione era troppa.
La porta si aprì e un ragazzo giovane e molto carino sbucò. Feci una faccia strana. «Scusa hai sbagliato stanza» Si girò era sbalordito dalla mia frase. «Tu sei Honey Brown?» Aveva lo sguardo puntato su un foglio che teneva in mano. Era un ragazzo alto, occhi verdi e un cespuglio di riccioli castani in testa. 
Annuii e lui sorrise. «Perché sorridi?» Ero curiosa di sapere il perché  di quella risatina. Lo osservai tutte le sue mosse per capire che cosa stava facendo. Prese una borsa nera, sicuramente di pelle, e tirò fuori alcune scartoffie. «Ho riso perché dalla tua espressione non pensavi che ero così» Disse sicuro di se.
«In effetti» Ammisi. Ormai mi ero messa in ridicolo con la prima affermazione.  Prese una sedia e si sedette davanti a me con in mano un foglio, probabilmente c’era scritto quali visite doveva fare e tutte le informazioni su di me, intento a leggerlo. Più guardavo il suo viso e più notavo ogni cosa. Il suo viso era bellissimo e con delle linee delicate . Il colore della pelle era unico, quasi indescrivibile. «Allora, incominciamo?» Alzò il capo e incrociò i miei occhi. Annuii distogliendo lo sguardo. Posò i fogli sulla scrivania e prese dei guanti bianchi e se l’infilò delicatamente. «Ho le mani un po’ fredde, scusa» Disse ridendo e girandosi di nuovo. Mi guardò con un sorriso a dir poco stupendo. «Ma sei muta?» ma che domande sono queste? Pensai. Alzai un sopracciglio e si mise a ridere. «Ti muovi? Ho tante cose da fare» Ero irritata, volevo uscire al più presto da quel posto. Troppi ricordi brutti mi faceva venir in mente. 
Dopo la mia frase si mise subito a lavoro. Controllò tutti i muscoli e le vecchie cicatrici.
 
***
 
Passò un oretta dall’ultima volta che parlammo, ma il silenzio si interruppe. «Ho finito. E’ tutto a posto, stai bene» Sorrise alzandosi e togliendosi i guanti. Sospirai, finalmente aveva finito. Dopo tutto mi era sembrato bravo. Avvicinai la carrozzella. Feci leva con le braccia sui braccioli della sedia e, sotto gli occhi attenti dell’infermiere, cercai di alzarmi. Purtroppo persi l’equilibrio e caddi per terra. Il ragazzo, di cui non sapevo il nome, si chinò e mi raccolse posandomi sulla sedia. Appena si allontanò mi toccai il sedere, mi faceva veramente male. «Stai bene?» Disse soffocando la sua risatina. «Dopo essere caduta da un lettino e aver battuto rovinosamente il sedere per terra? Direi bene» Forse il mio tono era troppo da smorfiosa. «Comunque mi chiamo Harry. Piacere di conoscerti» Incrociai le sue iridi verde smeraldo, erano stupende. «Il piacere è tutto mio..» Ero più o meno uno zombie. Mi sorrise e aprì la porta della stanza per aiutarmi ad uscire.

 
   
 
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