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Autore: Giulia_Shumani    27/09/2014    5 recensioni
Louis Tomlinson era un ragazzo timido con due bellissimi occhi color del cielo che vestiva spesso con righe orizzontali e non usciva mai di casa, se non per frequentare l'ultimo anno del liceo del suo paese.
La solitudine era la sua unica amica e la sua stanza piena zeppa di poster era l'unico luogo in cui lui si sentiva sereno. Lui faceva tutto in quella camera, ascoltava la musica, disegnava, addirittura ci mangiava. Poi naturalmente ci scriveva. Lui adorava scrivere, era il suo modo per esprimersi con il mondo. Nessuno leggeva mai le sue cose perchè lui le custodiva come se fossero il suo segreto più prezioso.
C'erano delle volte in cui avrebbe voluto dedicare a qualcuno le sue poesie, ma nonostante tutto lui si sentiva felice in quel bozzolo di solitudine che si era creato. O almeno così pensava.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Louis Tomlinson era un ragazzo timido con due bellissimi occhi color del cielo che vestiva spesso con righe orizzontali e non usciva mai di casa, se non per frequentare l'ultimo anno del liceo del suo paese.
La solitudine era la sua unica amica e la sua stanza piena zeppa di poster era l'unico luogo in cui lui si sentiva sereno. Lui faceva tutto in quella camera, ascoltava la musica, disegnava, addirittura ci mangiava. Poi naturalmente ci scriveva. Lui adorava scrivere, era il suo modo per esprimersi con il mondo. Nessuno leggeva mai le sue cose perchè lui le custodiva come se fossero il suo segreto più prezioso.
C'erano delle volte in cui avrebbe voluto dedicare a qualcuno le sue poesie, ma nonostante tutto lui si sentiva felice in quel bozzolo di solitudine che si era creato. O almeno così pensava.
Fin dai primi anni di vita Louis aveva capito che non sarebbe mai stato con una ragazza. Era attratto infatti, da persone del suo stesso sesso, e qualcuno nella sua classe l'aveva capito.
La voce si era sparsa nella sua scuola e quasi tutti i ragazzi lo prendevano in giro spintonandolo nei corridoi e facendogli dispetti davvero crudeli.
Era anche per questo che lui non usciva mai di casa e se ne stava rintanato nella sua stanza a riempire fogli con il suo dolore.
Era davvero solo. Ma solamente perchè gli altri non lo vedevano non voleva dire che lui non esistesse. Se lo ripeteva in continuazione, lui esisteva davvero anche se si sentiva trasparente.
Spesso si rinchiudeva in bagno e piangeva con la testa tra le mani e la schiena premuta sulle mattonelle fredde. Si chiedeva cosa aveva fatto di male per meritarsi tutta quella cattiveria da parte delle persone.
Tornava a casa sempre camminando a testa bassa e dando calci ai sassolini o alle pigne, per sfogare almeno in parte la sua frustrazione.
Una volta arrivato a casa, trovava sempre sua mamma in cucina che gli preparava il pranzo e gli chiedeva come era andata a scuola. Lui rispondeva ogni volta che era andato tutto bene, nonostante fosse una menzogna.
Non voleva farla preoccupare, lei infondo non avrebbe potuto fare niente.

Quel pomeriggio scrisse più del solito, si sentiva ispirato. Forse perchè le umiliazioni mattutine erano state più gravi di quelle degli altri giorni. Infondo era la giornata mondiale contro l'omofobia.
Perchè non prendere lo zaino di Louis Tomlinson e scrivere "FAGGOT" su tutta la sua roba con il pennarello indelebile?

"Forse non dovrei avere il magone adesso, ma lo sento forte dentro, come se volesse sfondarmi lo stomaco e uscire fuori facendo un fracasso immane.
Forse non dovrei parlarne, dovrei solo ucciderlo, facendolo sanguinare a più non posso, anche se non sarebbe giusto, oppure sì?
Sarebbe appropriato per una volta soffocare questo dolore? Sì, lo sarebbe.
Sento le viscere che si arrovellano come panni sporchi in una lavatrice, ma i miei panni non sono sporchi. Hanno il mio odore candido e lieve. Un odore di chi vorrebbe solo essere amato. Sono davvero io quello sbagliato?
In questo momento mi odio per quello che sto scrivendo, ma d’altronde mi sento fin troppo coraggioso questa volta.
Spero che sia vero che tutto torna indietro, e a me non resta che mettere la mia lavatrice fuori dalla porta e lasciarla lì per sempre."



"Louis tesoro, vieni un attimo per favore?". Johanna stava chiamando suo figlio a gran voce dal piano inferiore.
"Sì mamma, arrivo." rispose il ragazzo alzando gli occhi al cielo e sbuffando.
Voleva bene a sua madre, senza alcun dubbio ma spesso parlare con lei lo annoiava. Lei infatti era un pò superficiale.
"Dimmi."
"Guarda Stella, è arrivato il Luna Park, c'era il volantino nella posta. Perchè non ci vai questo week end con i tuoi amici?"
"Mamma cazzo, non chiamarmi stella! Non ho 13 anni." rispose il ragazzo roteando gli occhi al cielo.
"Louis modera i termini, sono tua madre."
"Sì, sei mia madre e non sai neanche che l'unico amico che avevo si è trasferito l'anno scorso in Irlanda."
"Niall non è il tuo unico amico Lou. Mmm. o sì?"
"Sì mamma, non ne ho amici io. Sono strano, la gente lo sa."
"Non sei strano Lou, è solo che stai sempre chiuso in quella camera a scrivere e scrivere. Che scriverai mai poi non lo so."
"Sono cazzi miei, e detto questo me ne torno da dove sono venuto a fare le mie stronzate. Fanculo."

"Questi ragazzi sono proprio intrattabili." sussurrò Joahnna.



Louis riprese a scrivere le sue cose. Le litigate con sua mamma erano un'altra di quelle cose che lo facevano sentire di merda.
La persona che gli aveva dato la vita non si interessava di lui minimamente, come il resto del mondo, dopo tutto.

"E mi dissero dipingi di nero se ti senti nero, dipingi di bianco e rosa se ti senti vivo, ma io non mi sento mai vivo e non voglio più avere paura a dirlo.
Dicono che per risolvere problemi bisogna dare il proprio nome ad ogni cosa senza timori, e io sto impararando,
e ogni volta piano piano cresco sempre di più e mi sento sempre un pò più grande, e ci vuole tanto coraggio per sentirsi grandi, sani e giusti.
E veramente mi fa schifo sentire che sono qualcosa in meno degli altri, non voglio essere qualcosa in meno degli altri, davvero."


Louis teneva tutte le cose che scriveva in un grande raccoglitore che conservava lontano dagli occhi di sua mamma.
Aveva sempre voluto scrivere un titolo sulla copertina, ma tutto quello che gli era venuto in mente non lo convinceva del tutto quindi alla fine l'aveva lasciato in bianco.
Mentre era intento a crogiolarsi nei suoi pensieri sentì un tonfo sul muro di camera sua dalla parte del giardino. Si avvicinò alla finestra e la aprì per vedere cosa stesse succedendo.
La prima cosa che gli saltò all'occhio fu un pallone da calcio sull'aiuola, ma alzando lo sguardo non potè che rimanere estasiato dalla bellezza della persona che aveva di fronte.
Canottiera nera, pieno ti tatuaggi sul braccio sinistro, muscoloso e alto, molto alto. Aveva anche una massa di ricci informi e un paio di labbra rosse come quei soli che bruciano all'orizzonte d'estate.
 "Oops." disse il ragazzo riccio.
"Scusa tanto, non sono troppo forte a giocare a pallone. Tu te la cavi invece?"
Louis era immobilizzato. La sua timidezza gli giocava spesso quello scherzo davanti a persone che non conosceva. Figuriamoci a persone belle, che non conosceva.
"C-ciao!" riuscì a dire con voce strozzata.
Il riccio lo guardava dalla strada con il capo reclinato da un lato e con uno sguardo interrogativo.
"Allora? Ci sai giocare a calcio o no?"
"Sì, cioè, insomma, giocavo nei pulcini della squadra di questo paese quando ero più piccolo, poi..."

Le parole gli morirono in gola. Aveva lasciato il calcio perchè i suoi compagni di squadra, che erano gli stessi della scuola, facevano battute sulla sua virilità e cose del genere.
Anche il Mister con lui non era stato dei più gentili, infatti, quella volta che Tomlinson si presentò nel suo ufficio a parlargli dei soprusi dei suoi compagni, quello gli aveva risposto che non erano certo fatti suoi e che il calcio non è uno sport da femminucce.

"Dai allora vieni fuori, è una bellissima giornata, sarebbe un peccato sprecarla chiuso in casa."
Louis non era sicuro di voler uscire, ma davanti a tale bellezza non si sentì di reclinare l'invito.
"D'accordo, adesso arrivo, dammi un minuto." gli disse facendogli un gesto con la mano.

Non si era mai fatto bello per nessuno prima d'ora, ma non si sentì di uscire con i vestiti che aveva indosso, non erano certo adatti. Una tuta scolorita e sgualcita e una maglietta che avrebbe sottolineato ancora di più la sua insicurezza verso il suo fisico, non proprio perfetto.
Aprì l'armadio e si mise una camicia a maniche corte e un paio di pantaloncini azzurri che gli arrivavano al ginocchio. Si guardò allo specchio e si sitemò il ciuffo per bene sulla fronte, facendo attenzione a modellarlo senza schiacciarselo troppo sulla pelle.
Non si vedeva ugualmente all'altezza dell'altro ragazzo ma almeno adesso era presentabile.

 "Ce l'hai fatta ad uscire eh? Piacere comunque, io sono Harry."
"Sì, scusa, volevo cambiarmi i vestiti. Io sono Louis Tomlinson." rispose il più grande imbarazzato.
"Bè? Se non prendi il pallone non potrai farmi vedere il tuo talento."
"S-sì, ecco, io vado a prenderlo." rispose Tomlinson dirigendosi verso l'aiuola ammaccata.

I due si diressero verso un campetto di cemento lì vicino e cominciarono a palleggiare. Louis iniziò a sentirsi un pò più a proprio agio nonostante lo sguardo di Harry, fisso su di lui. Era nato per giocare a pallone, e per scrivere naturalmente.
"Insomma, perchè hai lasciato la squadra di calcio? Si vede subito che te la cavi parecchio bene." chiese il riccio concentrato sul pallone che gli rimbalzava sul piede.
"Perchè una volta iniziato il liceo volevo impegnarmi a fondo nello studio." mentì.
"Proprio un peccato." sentenziò il riccio.
"Sì forse, comunque ho altre passioni. Scrivo e mi piace anche molto leggere per esempio. Adoro le serie tv e non me la cavo male con la Play Station."

Che idiozia pensò Louis. Perchè gli aveva detto tutte quelle cose? Adesso gli sarebbe sembrato ancora più sfigato di quanto non fosse, ma la risposta di Harry lo sorprese non poco.

"Sono felice, mi piacciono le persone che leggono, hanno la mente più aperta delle altre." disse Harry sorridendo.
"G-grazie per il complimento allora." rispose Louis arrossendo un poco. Non era certo abituato a quel genere di attenzioni, lui non piaceva alle persone di solito.
"Ne conosco a milioni di ragazzi stupidi e superficiali, per una volta mi è andata bene."
"Bè, ti ringrazio comunque. Anche tu non mi sembri affatto male." disse Louis facendo spallucce.
"Con quegli occhi belli avrai sicuramente un sacco di ragazze che non ti sapranno resistere giusto?"
Louis si irrigidì per un attimo, si chiese come mai quel ragazzo dagli occhi verdi si interessasse così tanto a lui.
"N-no, in realtà non c'è nessuna ragazza."
"Eddai, puoi dirmelo!"
"Te lo giuro Harry, sono single a tutti gli effetti!" rispose il liscio con voce un pò troppo alta.
"Bè, meglio così, almeno nessuno si arrabbierà se passo del tempo con te." disse il riccio continuando a palleggiare.

Louis si sentì sereno, nessuno voleva mai passare del tempo con lui, quella frase lo fece sorridere tra se e se.
Harry lo osservò per qualche istante senza dire niente, poi con tutta la naturalezza del mondo si avvicinò al più grande e appoggiandogli una mano delicatamente sulla guancia disse
"Era già una bella giornata, ma il tuo sorriso ha illuminato tutto sai?"
"Io, bè, non sono cosa dire. Grazie Harry..."
"Di niente, è la verità."
"Anche i tuoi occhi sono molto belli sai?" disse Louis dopo averlo fissato per un minuto intero senza distogliere mai lo sguardo dal suo viso. Neanche sapeva dove aveva trovato tutto quel coraggio.
"Sì, sono verdi come la speranza." disse Harry mentre il suo sguardo si perdeva pensieroso tra le nuvole.
"Vero, come la speranza. Tu in cosa speri?"
"Spero di poter cambiare vita, di poter fermarmi in un luogo e trovare persone con cui condividere le cose."
"Perchè? Che vita fai?"
"Abiti in un paesino così piccolo e non ti sei mai accorto di non avermi mai visto in giro?" chiese Harry dubbioso.
"Bè, sai, io non esco molto di casa, quindi no, non sono aggiornato sulle anime che vanno in giro in queste zone."
"Perchè non esci molto di casa?"
"Perchè sono un ragazzo a cui piace la solitudine."
"Louis non dire cazzate, a nessuno piace la solitudine!"
"Bè a me sì." rispose il più grande poco convinto.
Gli piaceva davvero la solitudine, ma non aveva scelto di essere solo.
"Va bene, farò finta di crederci allora, almeno finchè non avrai voglia di raccontarmi di tua spontanea volontà cosa c'è che non va."
Louis non rispose.
"Comunque io non sono di qua. I miei genitori sono proprietari del Luna Park che è appena arrivato in città."
Tomlinson si ricordò la discussione avuta prima con sua madre e il volantino.
"Ah, capisco, ne ho sentito parlare."
"Sono stanco di vivere da nomade. I miei rapporti con le persone non durano più di due settimane, e io sono una persona che si affeziona velocemente."
disse Harry sospirando tristemente.
"Posso immaginare che non sia una situazione facile infatti. Quanti anni hai?"
"Diciassette. Diciassette anni che faccio questa vita. Avanti e indietro senza fermarmi mai. Tu?
"Diciotto. Diciotto anni che vorrei volare via da qui e invece sono fermo nello stesso punto."
"Punti di vista diversi." sussurrò Harry guardando il pallone rotolare lontano da lui.
"Comunque quando diventerai maggiorenne potrai decidere di non seguirli più no?"
"Vogliono lasciarmi il Luna Park in eredità ma io non voglio. Devo costruirmi una vita vera. Fatta di persone e di posti chiamati casa, non di roulotte e clienti."
"Pensaci bene, magari il destino ha deciso questo per te."
"Io non credo nel destino, io il destino voglio crearmelo. Penso che in qualche modo ne uscirò. Comunque adesso basta parlare di cose tristi ok?"
"Certo, come vuoi tu. Cosa vorresti fare?"
"Andare a fare un giro. Magari puoi farmi vedere qualcosa di questo paese no? Qualcosa che per te ha un significato speciale."
Louis non capiva bene il perchè di quella richiesta ma provò gioia. Qualcuno si stava davvero interessando a lui per la prima volta.

Dopo aver camminato per vari minuti i due ragazzi si fermarono davanti ad un locale che ad Harry a prima vista sembrò un semplice bar con un arredamento strano.
Louis gli fece cenno con la testa per invitarlo ad entrare. All'interno del locale non vi si trovava molta gente, ma il ragazzo riccio notò subito qualcosa di insolito tra quelle quattro mura.
Guardandosi intorno infatti notò subito un sacco di scaffali con poggiati sopra una miriade di libri, di ogni misura e colore, divisi in varie sezioni. Si spaziava tra tutti i generi, dal giallo, al romanzo storico alla fantascienza. Quello era un Caffè Letterario.

"Ti piace Harry? Questo è un posto dove vengo ogni tanto quando sono triste, ma se non è di tuo gradimento possiamo andarcene, non c'è problema."
Il riccio si guardava intorno, aveva assunto un'espressione da scimmietta curiosa e la cosa fece sorridere Louis. Trovava quel ragazzo davvero dolce.
"Lou, questo posto è magico. Dico davvero. Non mi rimane difficile pensare che a tu ti senta a tuo agio qui."
"Sono contento che ti piaccia. Adesso prendiamo qualcosa da bere ti va?"
"Sì, io prendo un succo di frutta all'ananas."
"D'accordo, te lo prendo io, tu prendi pure posto dove preferisci, arrivo subito."

"Ciao Louis, era da un pò che non ti si vedeva da queste parti!" disse ad alta voce un signore sulla sessantina che rispondeva al nome di John J. Dumbar.
Il proprietario del locale si era avvicinato al ragazzo una volta, tanti mesi prima perchè l'aveva visto un pò giù. Gli aveva offerto una cioccolata e l'aveva fatto sfogare un pò. Da quel giorno tra loro era nata una grande amicizia che era durata nei giorni e ogni volta che si rivedevano si salutavano calorosamente neanche fossero nonno e rispettivo nipote. Quel signore era una persona speciale per lui. Louis si fidava ciecamente. I suoi consigli l'avevano tirato su di morale più volte da quando si conoscevano.

"Ciao J! Sono stato un pò impegnato con i test ultimamente, ma come hai visto sono tornato a trovarti. Ho portato anche un amico." disse Louis indicando un Harry che girovagava curioso a pochi metri da lì.
"Bene, mi fa piacere che per una volta tu non sia solo Lou. Cosa ti dico sempre? La felicità, è reale solo se viene condivisa ragazzo. Tienitelo bene a mente."
"Anche il lavoro è meno faticoso se viene condiviso John!" tuonò all'improvviso una voce squillante da dentro il magazzino situato alla destra del bancone.
"Oh! Ciao Louis! Non credevo che mio marito parlasse con te, se no sarei corsa subito ad abbracciarti." disse Alice, stritolando il ragazzo in un abbraccio stretto.
"Ciao Alice, mi sei mancata tanto in questi giorni, e se devo essere sincero, ho sentito la mancanza anche della tua torta soffice alle carote."

Alice Dumbar era una signora bionda, anche lei sulla sessantina, che aveva preso in gestione quello squallido fondo con suo marito e l'aveva poi trasformato in un caffè letterario che era rifugio di molti. Louis gli era grato per quello, perchè se non ci fosse stato quel bar, lui davvero la luce del sole non l'avrebbe vista mai, se non per andare a scuola. Era legato a quelle due persone e le sentiva parte della sua famiglia, anche se in realtà non lo erano affatto, e quel luogo per lui era tipo un posto sacro, che quel giorno aveva deciso di condividere con quel ragazzo dagli occhi verdi e dalla spontaneità simile a quella di un bambino.

"Non preoccuparti Louis, sai che per te la torta alle carote c'è sempre. Ma dimmi un pò, ho sentito che John ti diceva che è felice che tu non sia solo quest'oggi. Mmh, quindi con chi saresti? A parte quella coppietta laggiù che è qui da un paio d'ore, non vedo nessuno..." disse la donna guardandosi intorno.
Louis si voltò cercando Harry con lo sguardo, invano.
"Sarà andato nella saletta." disse John.
"Vai a cercarlo, e se mi dici cosa volete, te lo porto al tavolo." si intromise Alice.
"Mmh, sì, allora, io vorrei un succo di frutta alla mela, uno all'ananas, e una fetta di torta con due forchettine se non ti dispiace Alice." sorrise Louis.
"Arrivano subito Honey." replicò lei.

La saletta del locale era un posto piuttosto intimo, vi erano posizionati contro le pareti solo un paio di tavolini con delle sedie colorate con tinte differenti tra l'una e l'altra, e esattamente sopra una sedia color magenta trovai il riccio intento a sfogliare un... un libro con foto di cuccioli di gatti??
Louis non rise per non disturbarlo, ma quella scena gli fece sciogliere un pezzetto di cuore nonostante lui non fosse un grande amante dei felini.

"Hey Harry, sei sparito, che fai?"
"Oh, Louis, scusa, mi sono messo a curiosare in giro e sono capitato qui. Ho trovato un libro con delle foto di mici e non ho saputo resistere. Mi piacciono da morire i gatti."
"Io preferisco i lupi. I felini non fanno per me, però hai ragione, queste foto sono adorabili." disse Louis con dolcezza.

I due ragazzi vennero interrotti dalla voce squillante di Alice che canticchiava nel corridoio. Ci vollero pochi secondi prima che spuntasse da dietro l'angolo con un vassoio in mano che reggeva l'ordinazione fatta da Louis poco prima.
Una volta che la donna fu uscita ripresero a chiacchierare.

"Questo è il tuo posto speciale quindi?" chiese il riccio prima di addentare la torta.
"Sì, ci vengo a scrivere quando mi sento a pezzi e quando non ho voglia di avere mia madre intorno."
"Cosa scrivi di bello?" disse Harry sorridendo.
"Di proprio bello non saprei. Diciamo che scrivo quello che mi passa per la testa quando osservo il mondo, la maggior parte delle volte. E scrivo anche delle poesie, quando ho l'ispirazione."
"Mi farai mai leggere qualcosa di tuo? Ci terrei."
"E perchè ci terresti?" rispose Louis senza neanche rendersene conto.
"Perchè mi piacerebbe sapere come si vede il mondo dai tuoi occhi azzurri." rispose Harry fissandolo.
"V-va bene. Se ci tieni ti farò leggere qualcosa." rispose Louis arrossendo.

I ragazzi rimasero lì a parlare per quasi due ore. Si era fatto abbastanza tardi ed entrambi sarebbero dovuti rientrare per cena.
Louis insistette per pagare il conto e dopo qualche protesta del riccio, riuscì a convincerlo e gli disse di aspettarlo fuori.

"Lou, sono 7 sterline, ma per te facciamo 5." sentenziò Alice battendo i tasti sulla cassa.
"Grazie Al, sei la migliore."
"Ah, senti Louis, ma chi è quel bel bocconcino di ragazzo che è con te? Non l'ho mai visto da queste parti."
"L'ho conosciuto oggi. Il figlio dei signori Styles. Il loro nome è sui volantini del Luna Park che è arrivato in città oggi."
"Ah capisco. Forse un pò gli piaci sai? Ti fissa in un modo strano."
Louis abbassò lo sguardo imbarazzato.
"Non dire cavolate Al, comunque adesso devo andare. Ciao!" tagliò corto il liscio.
"Ci vediamo quando torni allora Honey. Noi siamo sempre qui ad aspettarti, lo sai." disse la donna facendogli l'occhiolino.

Louis si era trovato bene quel pomeriggio. Si era sentito più leggero. Una volta arrivato a casa non riuscì a smettere di pensarci. Dormì poco quella notte. Avrebbe descritto ogni particolare di quell'incontro che l'aveva fatto sentire così speciale.

Chi era Harry Styles?

Harry Styles era un ragazzo con gli occhi verdi come la speranza, che indossava canottiere sdrucite e pantaloni stretti. Un ragazzo che aveva amica la solitudine
e che voleva fermarsi ad ammirare un mondo che gli stava sfuggendo di mano. Un ragazzo, che esattamente come Louis, cercava il suo posto nell'universo.





  
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