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Autore: Snehvide    06/10/2008    2 recensioni
Hai mai visto il cielo divenire improvvisamente color ocra? Misato Katsuragi sì.
[OLD FICTION: Non scrivo su Evangelion da anni ormai. L'ultimo capitolo di questa storia era già pronto ma mai pubblicato quì. Adesso l'ho ritrovato e in una botta di noia ho deciso di pubblicarlo. Sappiate però che risale al 2003 o qualcosa di simile e il mio stile e i miei interessi da allora si sono evoluti.]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Misato Katsuragi
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Il cielo color ocra -

VI

-Fiaccole nei corridoi dell’ignoto-


Neo Tokyo 3 - 5.30 AM

Quel giorno era iniziato.
Era iniziato per la decima volta nello stesso identico modo degli anni passati…
Ormai avrei dovuto farci l’abitudine.
Eppure, sino a quando le lancette dell’orologio non avessero segnato l’inizio
del giorno seguente, la qualsiasi evenienza non sarebbe riuscita a cogliermi
impreparata.
Impotente, forse. Ma non impreparata.

Si,
Come ogni anno,
il 13 settembre avrebbe trovato una Misato Katsuragi pronta a tutto.

almeno questo era quello che volevo far credere agli altri, e , principalmente,
a me stessa…


Cercai di affondare questo mio ultimo pensiero nella tazza di caffè che tenevo
tra le mani, mentre dalla vetrata della mia camera da letto, guardavo il sole
sorgere con una tale indifferenza da renderlo quasi irreale…
Inondai di caffeina le mie preoccupazioni sino a quando mi fu possibile.
Sino a quando non vidi la tazza di caffè vuota, con gli ultimi residui di
quest’ultimo attaccati al fondo…
Sino a quando non trovai il coraggio di allontanare la tazza dal mio viso, e
guardare dinnanzi a me, la vetrata…

Il cielo era rosso. Scarlatto. Cremisi.
Ma nulla aveva a che fare con il cielo di quel 13 settembre di dieci anni fa..
Non lo eguagliava in nulla. Come ogni anno.
Era inutile.
-Anche quest’anno, mi sarebbe stata riconfermata l’esclusiva riguardante la
visione dell’ocra dipinta nel cielo di dieci anni fa…

Un’esclusiva che non sapevo sfruttare sufficientemente, secondo alcune persone…
Un’esclusiva che migliaia di scienziati di tutto il mondo mi invidiavano.
Un’esclusiva che io avrei ceduto loro molto volentieri..
Ma tutto ciò non era possibile.
Il cielo color ocra l’avevo visto io.
Loro avrebbero solo potuto, con la loro limitata fantasia, immaginarlo..
Sebbene era chiaro che la loro immaginazione non avrebbe sfiorato minimamente
ciò che in realtà, io, dieci anni fa, vidi…


“Neanche per la cerimonia di commemorazione!?”

“No..”

“Come sarebbe a dire!?”

“Non ritengo necessario riunire oltre 4.000 persone in una sala per trasformare
in una sorta di rinfresco, ciò che in realtà dovrebbe essere un momento di
profonda riconciliazione…”

“Ma è una cerimonia ufficiale!!”

“Non importa.”

“……”

“……”

Sapevo a cosa stava giungendo Ritsuko, durante quella manciata di secondi in
silenzio…


“E’ per lui, non è così?…”

“Lui? Lui chi?”

“Non fare la stupida, sai benissimo di cosa sto parlando…ti ho vista la
settimana scorsa, mentre controllavi furtivamente la documentazione del suo
arrivo ed inserimento in questa base….”

“……….”

Colpita e affondata. Ritsuko avrebbe avuto un futuro da indovina, a mio parere…


“No, non è per lui….tra l’altro, oggi stesso partirò per la base siberiana.
Quindi non vedo per quale motivo dovrei tener conto della sua presenza qui….”

“………”

Ed io, invece, come attrice continuavo a fare terribilmente schifo…

“Misato. Sei un capitano adesso. Potevi permetterti tutto ciò quando eri una
semplice studentessa universitaria, ma non adesso.”


“Lo so.”


“Il tuo grado comporta delle responsabilità e degli impegni a cui non puoi
sottrarti così facilmente. Soprattutto per motivi strettamente personali…”


“Lo so.”


“Oggi alla base non sarà Misato a mancare; ma il Capitano Katsuragi. Tienilo
bene in mente.

“………”

I miei occhi si chiusero.
Sospirai profondamente.
La mia identità cancellata dal grado che mi era stato attribuito appena due
giorni fa…
Ritsuko aveva ragione.
Per la Nerv , Misato Katsuragi non esisteva…
Esisteva il Capitano Katsuragi. Un ufficiale che di Misato, portava solo il
corpo..
E quell’ufficiale non conosceva Kaji Ryouji.
Non conosceva quell’uomo la cui entrata nell’organizzazione era stata fissata
proprio quel giorno…

Però…
Sotto quella divisa;
Sotto quella giacca dov’erano appuntati i miei distintivi,
Vi era un corpo sfregiato chissà come dal Second Impact…
Vi era la Misato Katsuragi che si trovava in balia delle onde quel giorno..
Vi era la Misato Katsuragi che aveva visto il cielo divenire color ocra.
Vi era Misato Katsuragi.
E Misato Katsuragi conosceva bene Ryouji Kaji…
Come poteva non conoscere colui che nei suoi occhi, portava il colore originale
del cielo…?


“Devo ancora finire di mettere la mia roba nelle valigie….partirò sta sera, lo
sai…”
Giocai la mia ultima, e forse, la più convincente scusa..

Ritsuko sospirò.

“Capisco…”

Non capiva.

”Ci vediamo sta sera all’aeroporto allora. Sta tranquilla, dubito che lui ci
sarà…” Continuò rassicurandomi.

Ridacchiai, cercando di essere più convincente possibile.

“Ma Ritsuko, ti ho già detto che non mi importa che lui ci sia o no…”

Mi importava.
Dio solo sapeva quanto.
Ed evidentemente, anche Ritsuko doveva saperlo…

“D’accordo. Ci sentiamo…”

Misi giù la conversazione ringraziando il cielo che fosse terminata.
Non ci avevo fatto la gran figura che speravo inizialmente; ma ormai non avrebbe
avuto granché importanza…
Le valigie ancora aperte, poggiate sul divano, riempite nel massimo del
disordine delle mie cose, mi convincevano sempre di più di ciò.

Credo che la vigliaccheria faccia parte del mio bagaglio genetico…
Era la terza, anzi! La quarta volta che fuggivo pur di non affrontare situazioni
a me spiacevoli..
E mi stava bene, in fondo…
Se era così che riuscivo a sopravvivere, beh…che sia..
Dopo tutto, non mi era mai stato detto..
Non avevo mai sentito pronunciare da nessuno, contro di me una simile parola…
Eppure…
Perché tutte le volte che mi ritrovavo a chiudere quelle valigie, avevo come
l’impressione che tutto il mondo mi stesse infierendo contro ripetendo in
continuazione VIGLIACCA?

Era solo una sensazione, in fondo. E come tutte le sensazioni, avrei dovuto
imparare ad ignorarla.
Ignorarle pur di continuare a vivere.




~>*<~

Non ero mai stata in Siberia prima d’ora, ma avrei fatto finta di conoscerla….

Tenendo ben a mente questo presupposto che mi ero auto imposta, sentii lo sbalzo
causato dalle ruote dell’aereo che toccarono il suolo dell’aeroporto siberiano
di Sverdlovsk a mezzogiorno in punto.
Almeno, era questo l’orario che lessi su di uno dei tanti panelli luminosi
pubblicitari, che facilmente si trovano in un aeroporto.
Non sapevo che differenze di fuso orario vi fossero tra il Giappone e la
Siberia, ma non importava.
Avevo abbandonato i miei orologi in Giappone; ed era solo l’inizio.
Pian piano mi sarei sbarazzata di tutti fantasmi del mio passato.
Inizialmente, le intenzioni di ripulire il mio animo da qualsiasi legame
riconducibile alla mia terra natale c’erano;
Peccato che, sin da allora, avevo previsto che non sarebbe stato così facile…
Almeno però volevo crederci.
Solo per un po’.
Che male c’è, in fondo? Se a cancellare la mia identità era bastata una carica
militare, per quale motivo essa stessa non sarebbe stata capace anche di
annullare le mie origini ?
Dopotutto, non doveva essere così difficile…

Guardai intorno a me spaesata. Ma…era veramente un aeroporto militare quello
dov’ero appena atterrata?
C’era un viavai di gente continuo. Gente comune, intendo. Civili con bambini che
trascinavano dietro di se le valigie, bar, boutique, fastfood interni….
Insomma, quest’aeroporto aveva tutte le caratteristiche di essere un aeroporto
del tutto comune. Così diverso dagli aeroporti militari a cui ero abituata…
E’ proprio vero che il Giappone è un mondo a parte…


“Katsuragi? Capitano Misato Katsuragi…?”

Il suono del mio nome, unito a quell’intrecciarsi di voci incomprensibili
fluttuanti attorno a me, mi diede una sensazione indescrivibile…
Mi voltai di colpo.
Per un attimo, ebbi come l’impressione che l’aeroporto, a quel richiamo, si
fosse zittito.
Non conoscevo quella voce che aveva pronunciato con così tanta sicurezza il mio
nome. Chi era?

Mi apparve dinnanzi a me il volto rilassato, e per nulla teso di un giovanissimo
ufficiale.
Carnagione lattea, capelli color platino ed occhi chiari: lo stereotipo della
zona, insomma.
Impacciata, cercai sin d’allora di abbandonare le tradizioni rilegate al mio
paese, bloccando un istintivo inchino sul nascere.

“Pu--purivietto! Menya…menya…” (******)
Arrossii. Arrossii furiosamente.
Avrei dovuto prevedere una simile situazione…
Effettivamente, non credo proprio che tre ore di aereo bastino per imparare una
lingua come il russo a sufficienza da poter instaurare anche la più semplice
conversazione.
Come al solito, avrei dovuto pensarci prima…

Rise.
Non c’era alcun dubbio: rise sicuramente del mio scarso portamento militare.

“Non c’è bisogno che si sforzi di parlare in russo, Katsuragi-shirei. Hanno
mandato me a prenderla proprio per questo! Ah!Ah!Ah!”

Forse fu l’emozione, forse la stanchezza..
O forse, più semplicemente, fu ancora una volta la mia incorreggibile
impulsività, a non farmi notare che, in fondo, lui si era rivolto a me in
perfetto giapponese sin dall’inizio.

“Benvenuta a Sverdlovsk, Capitano Katsuragi! Sono il sottotenente Shapalov!
Vassiliy Shapalov, e sono a sua completa disposizione, Capitano!”

Accennò un veloce saluto militare, per poi proseguire con la sua presentazione.

“Sono stato sospeso dalle mie mansioni proprio in occasione del suo arrivo
all’interno della base, Capitano. A quanto pare, sono l’unico membro in grado di
parlare la sua lingua che non sia troppo impegnato con il proprio lavoro…e così
hanno scelto me, facendomi guadagnare anche un grado in più che non fa mai male!
Eheheh !”

“Ah…capisco…”

Alzai un sopracciglio.
Un neo-sottotenente. Un ragazzetto appena uscito dalla scuola militare della
Nerv, promosso per meriti speciali grazie al compito che gli era stato
affidato, si stava rivolgendo a me, un’ ufficiale tre gradi superiore a lui, con
una disinvoltura tale che qualunque ufficiale, in Giappone, avrebbe sicuramente
ammonito lo scarso rispetto dimostrato ad un militare di grado superiore.
Ma qui ero in Siberia. Ed evidentemente, i russi non seguono la stessa corrente
filosofica che impone come legge morale ad un giapponese, di iniziare
principalmente dall’aspetto esteriore…

Diede un’occhiata alle valigie e borsoni che sostavano accanto a me, e sorrise.

“Mi auguro che, sentendo parlare di Siberia, non abbia riempito le valigie di
tute da neve, scarponi e sci! “

“Cosa intende dire, sottotenente Shapalov ?”

Non servì una sua risposta vocale, per rispondere al mio quesito. Mi bastò
voltarmi, e dare un’occhiata a ciò che sino ad allora, avevo involontariamente
dato le spalle:

“Caspita!!….”
Non riuscii a trattenere quest’espressione di stupore quando attraverso le
vetrate panoramiche dell’aeroporto, mi si presentò dinnanzi la visuale di ciò
che era la Siberia del 2010.
Senza che me ne rendessi conto, avevo abbandonato anch’io il portamento militare
che tanto mi premeva mantenere..

“Eheheh! Bello vero? Naturalmente qui la temperatura è notevolmente più bassa
rispetto a quella che avete voi in Giappone. Ma ormai è raro che scenda al di
sotto dei sei – sette gradi… .A volte – ma intendo dire, MOLTO RARAMENTE – si
riesce persino a scorgere le vette più alte imbiancate da una leggera coltre di
neve, anche se a parer mio, non sarebbe neanche sufficiente per fare una
battaglia a palle di neve! “

“E’ incredibile…”

E lo era davvero.
Immaginavo uno sconvolgimento climatico, ma non in quel modo.
Sverdlovsk era una delle città principali dei monti urali. Una delle più alte.
Lo spettacolo che mi si presentò dinnanzi era un qualcosa di raro. Un qualcosa
di raro, a cui tutti , molto probabilmente, erano gia’ abituati..

Siberia.
I mongoli hanno pensato bene ad attribuirgli il nome di “Terra che dorme”.
Un nome solo a pronunciarlo pone dinnanzi ai nostri occhi la visione di un
paesaggio monocromatico, freddo, inospitale..
Una terra talmente fredda da riuscire a congelare le lancette di qualsiasi
orologio…
Sì, perché lì il tempo non esisteva. Non era mai esistito.
Il luogo in cui la silenziosa Signora delle Nevi aveva trovato rifugio,
riponendo perennemente il suo manto bianco a riposo nell’infinita immensità di
quelle terre sconfinate…

Siberia.
Dov’era finito tutto questo? Dov’erano finite le tanto famigerate Isbe?
(*******)
Sapevo bene di star coltivando un’idea sbagliata della Siberia, però…per me, e
così come penso per ogni altra persona che non sia di quelle parti, era
impossibile crearsi un’immagine della Siberia che escluda la neve, che escluda
il gelo, che escluda tutto ciò che in realtà, il Cielo color ocra aveva portato
via con se..
Lo sconvolgimento climatico di quelle zone era stato tremendo.
Non penso che qualcuno rimpianga la vecchia Siberia, ma per uno straniero, lo
stupore è qualcosa di inevitabile..

Le vette degli Urali facevano capolino sui tetti dei palazzi che sorgevano nei
pressi dell’aeroporto.
Le stesse vette che sino a poco tempo fa erano imbiancate da un’eterna coltre di
neve, adesso erano verdi. Impeccabilmente verdi.
Il cielo Siberiano, famoso un tempo per il suo immutabile color argento, adesso
era blu.
Blu.
Forse, ancora più blu del cielo di NeoTokyo-3.

“Venga, Capitano Katsuragi. Le faccio strada, l’automobile è per di qua.”

Guardai le persone che si muovevano intorno a me.
Gente comune.
Gente che probabilmente, la Siberia non era abituata a vedere così,
tutt’assieme…

“Capitano Katsuragi?”

Lì dove c’era la vita, il Second Impact aveva portato il silenzio.
Lì dove c’era il silenzio, Il Second Impact aveva portato la vita.

“Capitano?….”

Dieci anni, e la Siberia aveva iniziato a vivere..
Che il grido del Second Impact sia stato talmente forte da metter fine al sonno
eterno di una terra come questa?

“Capitano Katsuragi, dobbiamo andare adesso…”

Finsi di non essermi mai immersa nei miei pensieri. Non mi scusai.
Semplicemente mi voltai, ed annuii.

“Eto eë bagaj. Otnesite ego v avtomobil. ”

Vassiliy ordinò qualcosa nella sua lingua ai due uomini della sicurezza che si
erano appena avvicinati a noi. Indicò le mie valigie. Senza dire una sola
parola, i due uomini annuirono, alzando con se i miei bagagli ed iniziando quasi
meccanicamente ad incamminarsi verso l’ingresso dove ad, intermittenza dei
passanti, si scorgeva il muso di una, sin troppo familiare, automobile marchiata
NERV.


--
La Siberia era “scongelata”.
Era bastato guardare la minuscola fetta di quel mondo che si poteva scorgere
dall’aeroporto per farmelo capire.
La cosa curiosa era che sembrava quasi che il gelo di quella terra si fosse
riversato nelle persone…
Non che in Giappone fosse così diverso. Forse si stava ancora trattando di uno
dei miei stupidi pregiudizi infondati..però…
Quel silenzio che vi era all’interno dell’auto faceva gelare il sangue.
Non una parola.
L’uomo alla guida non aveva rivolto neanche una parola al collega alla sua
sinistra. Così come l’uomo a sinistra non aveva rivolto alcuna parola all’uomo
alla guida.

Neanche il ragazzetto sembrava aver voglia di parlare….

Mi innervosivano.
I momenti di silenzio, mi innervosivano ancora nonostante fossero passati ben
10 anni ed un giorno…
Non resistetti a lungo in quella situazione.

“Complimenti. Parli bene il giapponese!”

Vassiliy si voltò. I due uomini sui sedili anteriori no . Per loro, era come se
nulla fosse cambiato…

“La ringrazio, Capitano Katsuragi.”

Dalla sua espressione, capii che era come se da un momento all’altro si stava
già aspettando una simile affermazione da parte mia…

“Eppure sembri così giovane…quanti anni hai?”

“Ne compirò ventuno a Febbraio…non sono poi così giovane!”

Ecco un altro ragazzino che si sente adulto soltanto perché ha da poco varcato
la soglia dei vent’anni – pensai tra me e me.

Loquace, il ragazzino mm?
Erano tutti così in Russia?
Se lo erano, per me non sarebbe stato facile adattarmi a questo tipo di vita.
Io avevo bisogno di vivere. Dovevo parlare.

“Dista ancora molto?”

“Eh?”

“Dista ancora molto la base?”

“Ah…no…giusto un paio di chilometri…”

Arrossì.
Non mi seppi spiegare il motivo per cui fece ciò. Suscitavo ancora un certo
fascino? Chissà…



~*~

Strutturalmente, la base siberiana non era granché differente da quella
Giapponese;
Costruita nel sottosuolo più radioattivo degli Urali e protetta da un’immensa
cupola di materiale isolante, la base Siberiana era solo leggermente più piccola
rispetto a quella di Neo Tokyo-3
Questo dall’esterno, ovviamente.
Anche un uovo di gallina ed un uovo di alligatore, esternamente, possono
sembrare simili…
Una volta rotto il guscio però, la differenza è evidente per chiunque. Anche per
coloro che parlano una lingua differente…


“Eto vtoroy nauchnyy departament etoy bazy.. ”

”Questo è il secondo reparto scientifico della base…”

“Eto tret' dlya prodleniya.”

“E’ il terzo come estensione…”

“…v etoy nazii...”

“… a livello nazionale…”

“ i eto vsegda v rasshirenii…”

“Ed è in continua espansione.”

Ascoltavo interessata. Non alla spiegazione naturalmente, ma al bizzarro modo di
tradurre di Vassiliy. Certo non era un interprete,ma con quel suo modo lesto e
perspicace di afferrare le parole quasi prima ancora che venissero pronunciate
misero in crisi l’anziano professore che gia’ da un bel po’ aveva iniziato a
lanciare occhiatine seccate al ragazzo che probabilmente, fingeva di ignorare…

Mi resi conto che quel sorriso divertito, fiorito spontaneamente sulle mie
labbra era decisamente fuori luogo. Credo proprio che abbia in qualche modo a
me oscuro, messo a disagio i due, e così lo feci scomparire ritrovandomi ancora
una volta a lottare contro me stessa per riacquistare un comportamento degno del
mio servizio.
Rivolsi l’attenzione a ciò che mi era stato appena descritto.

Avevano ragione.
Era immenso.
Un autentico cratere scavato nelle profondità degli Urali dove migliaia di
persone gironzolavano intorno come moscerini attorno ad un biscotto lasciato a
metà e poi dimenticato in uno scaffale di un antica credenza…


“ Rasnoglasie v bashim otdelom sekziey .”

“A differenza della vostra base..”

“…potomu shto poiski ostovani pokti vsiogda na technologhiceskoy osnove…”

“ Le cui ricerche sono basate quasi sempre sul piano tecnologico…”

“My ji zanimaemsya v osnovnom poiskam…”

“Noi ci occupiamo prevalentemente di ricerche…”

“…i na gheneticemskoy osnove..”

“Basate sul piano genetico…”

Ancora occhiate torve del professore.
Ormai era una questione di minuti; non avrebbe retto a lungo.

“Nashei zelyu yablyaetsya zatsita sortov…”

“Il nostro scopo è quello di preservare delle razze..”

“…jivotnich…”

“..animali…”

“ot neminuemich slucaev isceznovenya…”

“Dall’inevitabile estinzione…”

” Oooooh, niet! niet! NIET!!! Itak seychas chvatit, Shapalov!!!!! Seychas je
zakancivay nerevodit e v etoy manere!! Podojdi poka ya zakonchu!!”

Esplose. Evidentemente, anche la pazienza dei russi aveva un limite!
Sta volta neanche io potrei trattenermi. Sorrisi. E dovrei impegnarmi molto per
non trasformare quel sorriso in una chiassosa risata. Vassiliy non tradusse le
parole dell’uomo, ma non ci volle alcuna traduzione per lasciarmi intendere il
significato di quelle parole. Anzi, di quel rimprovero!

“Accidenti….credo proprio che il mio modo di tradurre gli abbia fatto saltare i
nervi!” Esclamò nella mia lingua, ignorando completamente le indignazioni che
l’uomo, paonazzo, continuava a vomitare senza sosta gesticolando animatamente.

“Effettivamente….” Risposi accennando un sorriso. “Però non andavi così male!”

“Eheheh…credo proprio che il professor Gurevich non la pensi allo stesso
modo….tsk! Gli anziani!”

Continuai a sorridere.
Grazie a quel piccolo imprevisto, l’atmosfera aveva perso tutta la sua rigidità,
e questo era stato decisamente un bene per tutti.
In fondo Vassiliy non era male, per essere appena un ventenne…
Aveva reso in qualche modo interessante una delle parti più noiose
dell’accoglienza riservatami.
Beh…riconobbi che era naturale per loro mettere in mostra per prima il
cosiddetto “Pezzo forte” della loro divisione.
Chissà Ritsuko come sarebbe stata interessata ad un simile laboratorio di
genetica!
I loro obiettivi erano veramente nobili…

Ma adesso, ciò che più mi premeva, era venire a conoscenza degli ambienti del
mio settore. Almeno teoricamente, anche la mia presenza doveva pur avere un
obiettivo nobile, no?

Con una fresca disinvoltura mi guardai intorno, abbracciando con lo sguardo
tutto ciò che mi circondava.

“Che dire…tutto questo è impressionante, veramente impressionante!”
Riuscii a leggere nei loro occhi un nonché di riconoscenza, quando le mie
parole velocemente tradotte dal giovane militare, divennero loro comprensibili.

”Ma adesso, se non vi dispiace, gradirei che mostriate il reparto
strategico….avevo sentito dire che questo reparto gode di un ottima
organizzazione qui in Siberia.”

“…?….”

“…uh?….”

“…???…..”

La voce di Shapalov, al contrario di poco prima, non giunse mai alle mie
orecchie; e me ne sorpresi.
Non sentii neanche la voce dello scienziato, se non il brusio di un
leggerissimo, quasi impercettibile chiacchierio nascente tra alcuni membri
dello staff poco distanti a noi.

Mi voltai, e questo sarebbe stato sufficiente per farmi capire ogni cosa.
Dall’espressione di Vassiliy, dello scienziato, e persino dei membri dello staff
più vicini che probabilmente avevano intuito il senso della mia richiesta
senza bisogno di alcuna traduzione, capii che probabilmente avei fatto meglio a
smetterla di mentire e di far finta di essere a conoscenza di più cose di quanto
in realtà ne sapevo.
Non miglioravo la mia situazione. Forse facevo l’esatto contrario, ma di certo
non la miglioravo…

“Stratejicenskiy…otdelenie?? Kakoy Stratejicenskiy Otdelenie??”

Ripetevano tra se e se.
Non capivo.
Lanciai un occhiata di soccorso a Vassaliy che inizialmente non badò a me perché
interessato anche lui nella discussione che stavano tenendo gli altri membri in
russo. Poi si accorse di me, si voltò, e con incertezza aprì bocca.

“Qu…quale reparto strategico??”

Avrei dovuto intuirlo. Avrei dovuto, cavolo! Altrimenti perché soffermarsi tutto
questo tempo solo su un singolo reparto?!
Ero appena arrivata in Siberia, ma quella frase, così semplice e spontanea, mi
fece capire che molto presto, qualcosa mi avrebbe fatto rimpiangere di non esser
rimasta in Giappone…

- -

“Diamine! Diamine! Diamine!!! Non funzionano neanche i telefoni qui!”

Non avevo neanche disfatto i bagagli prima di cimentarmi nell’ardua impresa di
riuscire a comunicare con i responsabili della mia, preoccupante situazione.
Reggevo con le spalle la cornetta del telefono, mentre con le mani scaricavo
tutta la mia tensione e rabbia frizionando con molta più forza del dovuto,
l’asciugamano sui miei capelli ancora bagnati dall’acqua della doccia.
Gia’ , almeno quella me la ero concessa! Speravo che almeno l’acqua sarebbe
riuscita ad allentare un po’ i miei nervi ed evitare quindi un furioso
turpiloquio telefonico. Ma evidentemente, essa non era bastata.

Ad aggravare la situazione poi, si ci era messa anche la vocina meccanica della
segnaletica telefonica che, in una lingua per me del tutto sconosciuta, ci
teneva a farmi presente che tutte le mie procedure, suffissi, prefissi e robetta
varia che avevo composto non erano sufficienti per effettuare la chiamata
desiderata.

Pigiai con violenza un due – tre volte le stanghette dell’apparecchio cornetta,
e, seguendo le indicazioni scritte svogliatamente su dei foglietti sistemati in
bella vista accanto al telefono, tentai di ricomporre per la quarta volta
consecutiva la sfilza di numeri che mi erano stati indicati, per riuscire a
compiere la mia maledetta telefonata in Giappone.

“Rispondete, maledizione!! RISPONDETE!”

Finalmente, qualcuno sembrò ascoltare le mie preghiere…
Il lungo ‘tuuuu…’ prolungato, mi diede conferma di ciò.

“Capitano Katsuragi Misato. Desidero parlare con il Comandante Ikari e alla
SVELTA!”

Dimenticandomi quasi della sua posizione di superiorità rispetto alla mia, non
appena sentii la voce del Comandante Ikari dall’altro lato della cornetta, ecco
che iniziai a vomitare contro di lui proteste su proteste, senza tralasciare,
naturalmente, i dettagli.

“Comandante, so di esser stata io l’artefice del mio trasferimento. Naturalmente
avevo piena consapevolezza di ritrovare qui un ambiente del tutto diverso dalla
divisione giapponese in cui ho lavorato sino ad ora, ma - con tutto il
rispetto, Comandante – mettere su un intero reparto strategico è una mansione
troppo gravosa per me. Data la mia scarsa esperienza non mi ritengo
sufficientemente esperta da poter portare a termine un compito del genere.”

Riuscivo a controllarmi a stendo, mentre adirata ascoltavo le parole del
Comandante Ikari che con la sua classica voce placata e pressoché
disinteressata, mi ricordava ancora una volta i miei doveri e la mia posizione
all’interno della Nerv, galvanizzando automaticamente ogni mia protesta, quasi
come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo…

Dentro di me, mi domandai se avesse seguito un corso proprio per riuscire a far
crollare ogni protesta…


Infatti, non riuscendo più a reggere la situazione, dopo cinque minuti di
discussione persi le staffe:

“Ma…aspetti un attimo!!! Qui il personale non è addestrato a sufficienza! Non
sanno neanche che cosa sia un reparto strategico!! Come potrei io, che non
conosco neanche la lingua, riuscire a cimentarmi in un impresa così grande!? E’
assurdo!!”

Sebbene prima ero riuscita a mantenere molto stentatamente quel filo di rispetto
e subordinazione, adesso dal mio tono di voce scomparve anche quello e
pronunciai senza mezzi termini le parole che scorsero nella mia mente senza
alcuna “censura”.

Lui non sembrò disturbarsi molto di ciò, ma il mio atteggiamento influenzò anche
il suo modo di parlare…

A differenza di prima, questa volta fu schietto, preciso e pungente.

“Adesso la smetta di piagnucolare, Capitano. Il tempo è denaro, ed invece di
star qui a lamentarsi, veda di impegnarsi in qualcosa di più utile per tutti!”

CLICK.

Chiuse la conversazione.
Quel bastardo mi aveva proprio sbattuto in faccia il telefono senza lasciarmi il
tempo di poter rispondere!
Ma con chi crede di avere a che fare!? Con una schiava!?!?

Fissai con rabbia la cornetta del cordless che stringevo ancora tra le mani.
Milioni di pensieri affollarono la mia mente:

E adesso che cosa avrei fatto!?
Come avrei potuto metter su u intero reparto strategico da sola!?
Cosa faceva credere loro che io ne fossi capace???

Beh…
Evidentemente, la domanda di trasferimento che presentai io stessa era stata più
che una garanzia per loro…
Avevo fatto tutto da sola.
Da sola avevo firmato la mia condanna a morte, da sola l’avevo presentata e da
sola l’avevo attuata.
Loro non avevano fatto nulla. Nulla che potesse prevedere alcun trasferimento
dalla mia posizione ad un'altra.
Sì, avevo proprio fatto tutto da sola.
E tutti adesso aspettavano fiduciosi che io mi assumessi le mie responsabilità
mantenendo fede alla parola data.

Ma….in che modo!?!? Che cosa diavolo avrei mai potuto fare io?!?!?

“Idiota! Idiota!! Idiota Misato!! Sei stata proprio un IDIOTA!!!” Urlai tra me e
me accecata dalla rabbia, scagliando un paio di calci alla porta del bagno.


Vi era una cosa che avrebbe dato risposta a tutte le mie domande: L’immagine di
un uomo mi si materializzò nella mente. Un immagine talmente nitida e superba da
farla apparire quasi prepotente ai miei occhi…

Sempre lui. Kaji Ryouji.
Lo immaginavo sorridente, quasi come se volesse ridere della situazione in cui
ero incappata a causa sua…
Quasi come se volesse dirmi “Ti sta bene! Te la sei proprio andata a cercare!”

“Maledetto….”

Il suo ricordo sedò per qualche istante ogni mio impulso violento…
Mi accasciai sulla moquette viola del pavimento di fianco al letto, sprofondando
il viso sul materasso.
Inconsciamente, sentivo che mel’ero proprio andata a cercare, ma ero troppo
arrabbiata per ammetterlo a me stessa…

Grazie ancora una volta alle mie manie di fuga, avevo sporto domanda di
trasferimento non appena appresi la notizia che anche lui era entrato a far
parte della Nerv, e che ben presto, dopo tanti anni, lo avrei rincontrato
proprio nel posto in cui mi ero recata per dimenticarlo.
Lui, il cui ricordo non era più riuscito ad abbandonare la mia mente, proprio
come la vista del Cielo Color Ocra.

“Maledetto….Maledetto! Maledetto!! Perché devi sempre ostacolare il mio
percorso!?? PERCHE’!? PERCHE’!? PERCHE’ !?!?!?!?”

Il momento di tregua era terminato.
Le mie tempie ricominciarono a pulsare molto più velocemente di prima.
Riesumare certi ricordi aveva fatto scattare in me un nuovo,fortissimo impeto di
rabbia.
Implacabile.
Mi alzai di botto, mi voltai, e scagliai contro la porta d’ingresso che stava
alle mie spalle ,l’oggetto su cui stavo consumando le mie mani: Il cordless.

“RYOUJI KAJI SEI UN MALEDETTISSIMO, FOTTUTISSIMO BASTARDO!!!!!!!!!!!”

Avevo utilizzato tutte le mie forze nel lanciare quell’apparecchio telefonico
contro la porta, Ed i danni che l’impatto avrebbe causato su entrambi gli
oggetti era l’ultimo dei miei pensieri, in quel momento. Ma i danni si sarebbero
limitati lì se solo nel nanosecondo impiegato dal cordless per raggiungere la
superficie della porta d’ingresso, qualcuno dall’esterno non avesse aperto
inaspettatamente la porta con tutte le conseguenze che questo suo gesto
impulsivo ne avrebbe comportato…

/SBAAAAAAAAAAAAAAAMMMMM


“OUCHHHHH!”


“Sha…SHAPALOV!!”

~*~

“No! Ehm..No! Come dite voi? Niet? Non sono i…-merda…-Ascolta! Listen to me!
NO-ESSERE-IO-MALATA! TU CAPIRE ME ? ”

Cercavo di esprimermi quanto meglio potevo, ma si sa, è difficile allacciare
una comunicazione consistente con qualcuno che non parla assolutamente un acca
della tua lingua, e viceversa.
Rimpiansi ancora di non aver imparato almeno qualche frase d’emergenza in russo.
Almeno quelle avrebbero evitato che io e il medico di guardia, che abitava
giusto cinque porte dopo il mio appartamento, ci guardassimo a vicenda da più di
dieci minuti con un’espressione ebete dipinta sul volto quando Shapalov, che ero
riuscita a trasportare alla meno peggio all’interno del mio appartamento,
riversasse sulla poltrona decisamente stordito con una mascella sanguinante.

“Vam ploho? Ne Volnuites’! Ya zdes! Ahahahah !”

Rideva con voce grassa.
La sua stazza era spaventosa. E’ raro vedere in Giappone un uomo così alto e
robusto. Nonostante questo però, il suo viso era bonaccione. Non sembrava
affatto innervosito dal nostro scambio di vocaboli incomprensibili.

Mi poggiò una mano sulla spalla, mentre con l’altra, mi fece cenno di entrare
nel suo appartamento. Era chiaro che non aveva assolutamente afferrato il
discorso.

“No! Non sono io a stare male! No! Venga…no! Non sono io!

“Chto? Ne Volnuites’ dorogaya! Ne Volnuites’! Nezashto! Ya ochen nravitshsya
tebe yazik!”

“ Venga con me! Come dite voi? Come? Come to me? Come with me? Argh! Al
diavolo!”

Afferrai il suo braccio e con forza lo trascinai fuori dallo porta del suo
appartamento. Apparve confuso.
Indicai la porta del mio appartamento rimasta aperta, e continuai a strattonarlo
per il braccio, intimandolo a seguirmi, come una bambina al luna park che
strattona il nonno che l’accompagna verso il venditore dei palloncini. Mi
sentivo un po’ idiota, ma andai avanti ugualmente.

Percorsi tutto il tragitto in quel modo, sino a quando non entrammo all’interno
del mio appartamento. Mi guardò con sguardo alquanto confuso, evidentemente non
capiva dove volevo arrivare. Continuò tranquillamente a conversare con me nella
sua incomprensibile lingua, sebbene aveva già capito che non avrei assolutamente
afferrato nulla del suo discorso. Smise di parlare soltanto quando ebbe alla
vista la poltrona dove avevo adagiato pochi minuti prima Shapalov-san. Lo
riconobbe immediatamente. Evidentemente si conoscevano gia’…

“Vassiliy!?”

Gli occhi dell’anziano dottore si sgranarono, al contrario di quelli di Vassiliy
che andavano sempre più chiudendosi…
Reggeva ancora in mano il fazzoletto con la quale poco prima gli avevo tamponato
il viso, ormai era quasi del tutto insanguinato…
Si sforzò di rispondere al medico, ma riuscì soltanto tra un mugugno ed un altro
ad annuire con il capo e a fare cenno con l’altra mano…

“Chto s toboy sluchilos?!?!?!”

“Eh…Mi scusi tanto, Shapalov-san! Ho cercato di farglielo capire ma proprio non
riusciva a comprendermi!”

“No—non svi pveo..ccupvi, Capvivan…o Katvuvagi…” Si sforzò, mentre il medico
cercava di visionare alla meno peggio il viso malridotto del povero ragazzo.


Mi avvicinai. Era il minimo che potessi fare.
Mi sentii in colpa. Terribilmente in colpa
La vista di quel ragazzetto biondo, esile, e con il viso adesso quasi tutto
sporco di sangue, mi fece dimenticare per qualche minuto il mio ruolo
all’interno della Nerv.
In quel momento, il mio grado non era più alto di quello di un misero topo di
fogna che scorrazzava nei meandri più nascosti di Sverdlovsk .

Lo stesso giorno lo avevo conosciuto, lo avevo quasi deriso per il suo modo
strano ed insolito per una giapponese come me,di presentarsi alle persone.

E adesso, eccolo lì. Erano sin troppo evidenti gli sforzi che stava compiendo
pur di non mostrare ulteriori segni di sofferenza di fronte a me, un suo
superiore che in un impeto di rabbia lo aveva appena violentemente colpito.
Accidentalmente, certo, ma il risultato non cambiava.

Forse sarebbe stato meglio se fossi uscita dall’appartamento per un po’, per
evitare di metterlo ulteriormente a disagio, ma non avevo idea di come avrebbe
potuto interpretare questo mio gesto. Sì, da una parte avrebbe avuto meno
soggezione, e se avesse voluto lamentarsi e gettare imprecazioni contro di me
nella sua lingua, avrebbe potuto farlo. Ma quella giornata avevo avuto modo di
comprendere che erano molte le differenze tra la filosofia russa e quella
giapponese. In fondo ero io la responsabile del suo incidente, ero un suo
superiore, e come tale avrei dovuto tutelare sino in fondo un mio subordinato.
Quindi allontanarmi dal mio appartamento in un momento del genere sarebbe potuto
anche esser interpretato da loro come un atto di abbandono nei riguardi di
Shapalov, e di certo non avrei voluto questo. Come primo giorno, avevo già dato
abbastanza cattive impressione ai russi, e non mi andava di darne altre.
Quindi, cosa avrei potuto fare? Cercare di rendermi utile, forse?

Mentre questa idea attraversava la mia mente, il medico, che sino ad allora non
aveva smesso un secondo di parlare, richiamò la mia attenzione rivolgendo il
viso verso di me. Mi disse qualcosa nella sua lingua, che continuai a non
capire.

Guardai Shapalov con sguardo misto tra la pietà e la confusione.

“Ti…tvi ha chiesto di andare nel suo appv….” Si fermò per riprendere fiato ed
asciugarsi il sangue che ancora una volta gli aveva riempito la bocca.

Mi dispiace….
Mi dispiace tanto, Shapalov..
Avrei tanto voluto dirglielo…

“…nel suo appavtamentvo e di prendere una bovsa che si tv…vova su una svvedia in
cvucina…”

Fece del suo meglio per scandire le parole onde evitare di doverle ripetere.
Mi sforzai di comprenderle al primo colpo.

“Devo andare a recuperare una borsa all’interno del suo appartamento? Sulla
sedia in cucina?”

Mi fece cenno di sì con la testa, il tutto seguito da delle indicazioni più o
meno futili che il grasso dottore continuava a dire rivolgendosi verso di me. Le
ignorai.

“Si, ci vado subito!”

Mi incamminai velocemente verso il suo appartamento alla ricerca di quella
borsa. Mentre arricchivo di nuovi termini l’infinito turpiloquio che rivolgevo a
me stessa mentalmente…

--
Circa un ora e mezza dopo, tutto era finito.
Era quasi impossibile pensare che le stesse persone che due ore prima avevano
vissuto quella situazione tragicomica creatasi all’interno del mio appartamento,
adesso fossero sedute tutte e tre su degli sgabelli di un pub poco distante, di
fronte ad un buon bicchiere di vodka russa….

“Mi dispiace….mi dispiace davvero tanto, Shapalov-san….”

Ripetei, osservando il vistoso bendaggio che adesso ricopriva quasi tutta la
guancia sinistra del giovane.
Allontanò il bicchiere di vodka dalla bocca per rispondermi.

“Non si preoccupi, Capitano. In fondo la colpa è mia, non dovevo permettermi
venire senza preavviso nel suo appartamento…”

Smisi di fissarlo preoccupata, e bevvi un altro sorso di quella che i russi
chiamavano “Acquetta”…
Per essere un’acquetta…la vodka era davvero molto forte…
Era forte persino per una come me che era in grado di bersi quindici yebisu in
una sera…

Ma non bastava per distrarmi.
Non riuscivo a non preoccuparmi per lui.

“Ma…ti fa ancora male, vero?”

“Oh, no…sono ancora sotto effetto dell’anestetico, e poi non è così terribile
come sembra…ho visto di peggio durante gli addestramenti militari! Ahahahah!”

Fui sorpresa della sua risposta, ma mi fece tenerezza, e lasciai che un flebile
sorriso sorgesse sulle mie labbra.
Aveva appena ricevuto un cordless in faccia, due molari lesionati , una
mascella in frantumi e ben quattro punti interni. Eppure riusciva ancora a
ridere.
Questi russi.
Riescono a ridere su qualsiasi cosa.
La vodka riesce ad esprimere in pieno il loro animo.
Ghiacciata all’apparenza ma calorosa, terribilmente calorosa all’interno.

“Beh…menomale…anche perché in un momento del genere non credo proprio che il
dottor Ivanovich possa aiutarti!” Indicai con il pollice rivolto all’indietro lo
sgabello a fianco a me, dove, con il petto riverso in avanti sul bancone, il
dottore che poco prima aveva medicato la guancia di Shapalov, ordinava
l’ennesimo bicchiere di vodka, ridacchiando chiassosamente con il gestore del
locale ed altri clienti non meno ubriachi di lui…

Vassily non si scompose più di tanto.

“Tsk…va sempre a finire così con il dottor Ivanovich….abitar qui vicino è una
tentazione per lui …” Disse con tono di compatimento.

“Oh! A proposito!” Mi ricordai di una domanda che avrei voluto fargli sul
momento, ma che vista la situazione, dovetti rmandare.

“Non mi hai ancora spiegato come mai ti trovavi dietro la porta del mio
appartamento….”

Allontanò ancora una volta il bicchiere di vodka dalle sue labbra.

“Beh, ero venuto per vedere se andava tutto bene, ma mentre mi trovavo nel
pianerottolo ho sentito delle urla provenire dal suo appartamento e mi sono
precipitato, la porta era aperta e quindi….” Le sue guance, o meglio, LA sua
guancia arrossì leggermente….

Sorrisi. “Capisco….”

Era imbarazzato. Non riuscì a mascherare il suo stato d’animo.

“Le…le chiedo infinitamente scusa per essermi comportato così impulsivamente ed
averle provocato dei guai, Capitano!…N…non succederà più! ”

“Va tutto bene, è che stavo affrontando una discussione con i miei superiori in
Giappone e diciamo che…..le mie richieste non sono state del tutto soddisfatte,
perciò un po’ per la stanchezza, un po’ per il nervosismo, ho reagito in quel
modo…”

“Mi dispiace….c’è qualcosa che possa fare per lei in merito?”

Gli sorrisi ancora una volta, mentre stiracchiai le braccia all’indietro.

“mmmm…apprezzo la tua buona volontà, ma sarà meglio che io ne discuta con i
responsabili del settore, domattina. Adesso se non ti dispiace, vorrei andare
nel mio appartamento, sono molto stanca….”

“Oh! Certamente! L’accompagno!”

Pagò il suo conto, il mio, e, sebbene sproporzionato, pagò anche quello del
medico che ubriaco com’era quasi non si accorse del nostro allontanamento.
Quando chiesi a Vassiliy che ne sarebbe stato di lui, rispose che in quel pub i
clienti lo conoscevano e si erano abituati ormai a riportarlo a casa dopo una
delle sue sbornie.
Era incredibile. La situazione aveva preso una piega che mai mi sarei aspettata
di ritrovare anche qui in Siberia.
Il bar.
L’alcool.
La notte.
Lui.
Vi erano quasi tutti gli elementi che si ricollegavano al primo incontro con
Kaji, ai tempi dell’università.
Anche allora era stato di notte.
Anche allora era stato in un pub.
Anche allora avevamo bevuto alcolici.

L’unica cosa a differire da quella volta era il finale.
Per questo mi affrettai a raggiungere il mio appartamento e liquidare in quattro
e quattr’otto il giovane militare.

- Fiaccole nei corridoi dell'ignoto - END


****** “Privet” (Pronuncia: “Privìet”) in Russo significa “CIAO”, ma i Giapponesi, avendo problemi nel pronunciare parole straniere composte da più consonanti in contemporanea (soprattutto se non conoscono la lingua), pronuncierebbero più o meno in quel modo la parola…
******* Le Isbe sono delle costruzioni tipiche siberiane. Si tratta di una sorta di capanna di legno con un’unica, grande stanza riscaldata da un’enorme stufa a legna.
******** Traduzione: Queste sono le sue valigie. Portatele lì dentro. (Si ringrazia Vitaliy per la traduzione)
Grazie ad Andrey e Oleg





   
 
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